3 Ridefinizione di autore, lettore, critico
3.3 La funzione del critico
«C’è un legame tra l’eccesso dei libri e la comunicazione del vuoto, tra l’espansione illimitata della
cultura e la sua evaporazione nell’illusione pubblicitaria, nell’insulsaggine spettacolare?» Così si interrogava Giulio Ferroni in Scritture a Perdere, riflettendo sulla produzione letteraria di inizio secolo. La preoccupazione è rivolta in prima istanza alla trasformazione del libro in merce, poi alla sua conseguente iperproduzione. Le leggi che regolano i mercati internazionali hanno inglobato anche la cultura ed essa se ne è a tal punto assoggettata che talvolta è stata trasformata in un prodotto da vendere. L’origine di simile processo è da ricercarsi nella serialità permessa dalla stampa poi ampliatasi grazie a Internet.
Col risvolto già intravisto da Benjamin, della perdita dell’aura, ossia del posto di privilegio tradizionalmente assegnato al letterato e alla letteratura, ma con l’effetto concomitante di una maggiore (e sia pur ambigua) democraticità nell’accesso al libro.91
La facilità di accesso sia alla ricezione che, se pur con le dovute eccezioni, alla produzione di un libro, ha dunque permesso un ampliamento del bacino dei lettori ma d’altro canto ha visto un notevole calo della qualità delle proposte che ai lettori stessi erano offerte. Gran parte della lacuna qualitativa è probabilmente ascrivibile al mercato economico e alle sue leggi.
Tale panorama ha influenzato la figura del critico, immagine oggi forse evanescente le cui attività corrono il rischio di farsi sempre più simili a registrazioni e prese d’atto più che a giudizi discriminanti. Diminuire la produzione letteraria, in nome di un controllo più ferreo sulla sua qualità, è corretto nell’impostazione ma si scontra con le idee basilari che reggono l’economia mondiale. Per far fronte alla dispersione e all’abbassamento qualitativo della conoscenza,
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l’atteggiamento, professionale ma anche umano, che il mondo cartaceo ha sempre richiesto e che il Web oggi necessita, è quello appunto del critico.
Non è quello del collezionista antiquario che conserva ogni cosa, ma del navigatore critico, appunto – in termini mondani – dell’uomo navigato. […] Cambia di conseguenza anche il profilo del professionista della ricerca e delle conoscenza, da colui che sa un po’ di molto a colui che sa molto di poco, l’homo unius libri.92
Ed è proprio quest’andatura che il critico deve saper riconoscere e in parte far propria aspirando ovviamente a sapere ‘molto di molto’. Un rinnovamento però si rende urgente perché
- Sia detto per inciso – ad avere oggi in mano la visibilità e l’interpretazione collettiva delle reti e dell’informazione on line sono soggettività che appartengono a apparati e a operatori radicati nelle più forti tradizioni di quelle strategie: da quelle dei politologi a quelle degli opinionisti e più in generale all’intera mappatura dei saperi cognitivi istituzionalmente accreditati. E infatti quanto più tali saperi continuano ad essere socialmente legittimati – ruolo specificamente assunto proprio dalla stampa – tanto più di fatto essi si dimostrano incapaci di comprendere il presente. Tra le strategie da ridefinire sicuramente va dunque individuato proprio il principio ancora dominante della classificazione del sapere in discipline.93
Al di fuori di queste ‘lobbies’ della conoscenza esisteva un tempo proprio la figura del critico che, se non schierato, garantiva uno sguardo critico e di ampio respiro alle problematiche culturali. Costui, forte di un bagaglio di competenze multidisciplinare poneva l’opera in relazione con le stesse fornendo un’interpretazione sicuramente parziale ma disinteressata.
92 ALBERTO ABRUZZESE, Il tempo e lo spazio di Internet, in CLAUDIA HASSAN (a cura di), op. cit., p.28. 93
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Oggi la disciplina, per sua stessa ammissione, non sa come comportarsi di fronte al dilagare prepotente dei mezzi di comunicazione e la figura del critico si scontra contro la de- ideologizzazione dei saperi che contraddistingue il postmodernismo.94
Tale trasformazione compiutasi a cavallo tra i due secoli, ha reso sempre meno autorevole il ruolo del critico e ha generato una contrazione del dibattito letterario modificando gli attori dello stesso. Sul confronto tra critici si è imposta la polemica tra giornalisti e critici o tra scrittori e scrittori, polemica che raggiunge talvolta toni accesi, frutto di quella spettacolarità della discussione che la televisione quotidianamente decanta. L’involuzione della figura del critico ha lasciato un vuoto dietro di sé che non ha trovato degni sostituti; spesso infatti tale scarto è stato riempito da una figura simile per il fine ma non per le competenze, l’opinionista.
La prassi dunque, come notava già Febbraro, sposa il declino delle correnti teoriche, la spersonalizzazione del discorso convertendosi in un soggettivismo di stampo edonistico che fa del critico una sorta di lettore particolarmente attento o che intende ‘capirci di più’. Ed è proprio questa prassi che la critica deve arginare. Il rischio cui va incontro la disciplina infatti, in questo momento, è quello di configurarsi come strumento di consonanza e non di scarto, o di tensione, con la responsabilità di stimolare il dibattito culturale.
La causa di tutto ciò è forse da ricercare proprio nell’ideologia postmodernista caratterizzata dal «massimo grado di relativismo in fatto di valutazione dei fenomeni estetici».95
Il problema è ancora più vasto se si legano le ipotetiche funzioni del critico con le scelte editoriali odierne; dovrebbe forse il primo farsi difensore della pubblicazione di nicchia che rimane quasi del tutto sconosciuto? Dovrebbe forse additare il mercato e le sue logiche sperando di orientare il gusto comune? È possibile che in entrambi i casi, lo sforzo si traduca in un impegno autoreferenziale con risonanza minima.
94 Cfr. GILDA POLICASTRO, op. cit., p.90. 95
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D’altro canto la valenza di guida “pastorale” auspicata da Onofri per il critico parrebbe poi del tutto anacronistica o altrimenti impraticabile nel panorama culturale contemporaneo, tanto per via del ridursi progressivo degli spazi di azione per qualsivoglia figura intellettuale, quanto, e a maggior ragione, per la perdita di autorevolezza, nella spettacolarizzazione dominate, del critico nello specifico, a vantaggio di figure più versatili accattivanti.96
Quale dunque il dovere, anche morale, del critico dei tempi odierni? Occorre innanzitutto ripensare la sua formazione poiché
Va da sé che si rendono necessarie, a svolgere questo compito arditamente censorio, una serie di competenza sempre meno costitutive della stessa formazione umanistica, la quale, con lo specialismo accademico e le ipersettorializzazioni dei saperi derivanti dall’impostazione modulare del curriculum universitario, si è ormai assestata sul piano orizzontale dell’informazione più che su quello verticale dell’approfondimento.97
Un monito che, sul piano pratico, è stato ascoltato dall’informatica umanistica, capace oggi di fornire strumenti aggiornati e utili a chi intenda intraprendere la professione di critico, di filologo o di scrittore. A tutte queste figure però, oltre a strumenti innovativi come sono quelli informatici, deve essere offerta la possibilità di una formazione ‘critica’, al fine di arginare lo sconfinamento nello sterile ambiente della recensione di cui oggi il Web trabocca.
Porre un freno a questa deriva è possibile e uno dei luoghi in cui attuare tale imperativo potrebbe essere offerto proprio dalla rete.
96 Ivi, pp. 94-95. 97
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Indubbiamente la rete potrebbe costituire un contrappeso allo strapotere del mercato editoriale e incidere – come talvolta accade – sulla elaborazione del gusto, a patto però di rinunciare all’aggressività preventiva nei confronti delle istituzioni legate alla formazione specialista e allo snobismo nei confronti delle modalità tradizionali dell’esercizio critico.98
A dimostrare che il connubio tra critica e Web può funzionare e fornire risultati di valore si erge «Nazione Indiana», sito che, in completa autonomia dalle istituzioni accademiche, ambisce a focalizzare l’attenzione su alcuni temi importanti del presente situandosi quindi in quel continuum i cui predecessori furono la «Voce» o il «Politecnico».
Altra impresa che realizza l’unione tra i due è «Ilprimoamore», rivista fondata da appartenenti a «Nazione indiana» che vede tra i promotori più celebri Antonio Moresco, Tiziano Scarpa e Carla Benedetti.
La critica dunque deve saper rinnovare i suoi canali di comunicazione e aprirsi al panorama digitale con la competenza e l’imparzialità del giudizio che la contraddistinguono, in questo modo la disciplina può ritrovare quella vitalità e quella funzione di guida che la elevano a genere per professionisti della cultura.
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