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Scrittura e letteratura

1 Influenze sulla scrittura odierna

1.3 Scrittura e letteratura

Se da una parte si è vista l’influenza dell’oralità sulla scrittura e si è analizzato come quest’ultima si diriga verso un linguaggio non proposizionale e sempre più generico, da un’altra parte si registra una tendenza quasi contraria che ‘fa di ogni enunciato un aforisma’.

L’impressione è che le nuove modalità di comunicazione testuale19

, in particolar modo i social network, siano sempre più utilizzate per colpire il pubblico di lettori con frasi ad effetto e ricercate. Una deriva letteraria sembrerebbe dunque presentarsi al vasto pubblico, con esiti talvolta inaspettati e talvolta bizzarri.

Il fenomeno in realtà si inserisce in un più vasto sperimentalismo che il singolo utente è chiamato a condurre per mettere alla prova le sue capacità ed emergere al di sopra di una massa caotica e indistinta del Web. Si fa sempre più urgente, a livello più o meno conscio, la volontà di celebrità e di riconoscimento da parte altrui; tale necessità di visibilità è forse la diretta conseguenza del livellamento democratico che il Web garantisce; come si diceva precedentemente in Internet ‘tutti possono essere tutto’, affermazione che da una parte apre all’individuo un ventaglio di possibilità

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fino a poco tempo fa impensate ma dall’altra appiana l’individuo stesso facendo di lui un utente indifferenziato, un fruitore di notizie come gli altri.

La tendenza alla letterarietà è quindi forse un bisogno di affermazione di sé per riconoscere la propria identità più che un semplice travaso di figure retoriche negli enunciati. Tale esigenza, tra l’altro, si rispecchia non solo nel mondo della scrittura di testi in senso stretto ma anche in altri ambiti, in tutti quelli che il Web permette di attraversare, come ad esempio il mondo della fotografia. Se lo sperimentalismo linguistico vede oggi un incremento del suo bacino di utenza lo stesso si può dire per quello visuale, in cui Flickr come Instagram permettono più o meno a chiunque di lasciare il proprio segno con qualche prodotto online.

Il problema del mondo digitale è che in realtà tale ‘segno’ se potenzialmente è garantito all’eternità nella realtà si inserisce spesso in un mare magnum di proposte tanto da poter essere definito una goccia in mezzo all’oceano più che un segno indelebile della presenza umana.

La necessità di questi ‘segni’ dipende dunque da tue tensioni, da una parte, come detto, la necessità di identità, che paradossalmente non si traduce più in un cogitare ma in un ipotetico scribo ergo

sum, e dall’altra un desiderio di fama e riconoscimento legati all’abitudine al talent show, alla

pubblicità, ai quindici minuti di celebrità.20

Due tensioni perfettamente spiegate da Fabio Guarnaccia nel blog «minimaetmoralia»

Uno dei maggiori problemi che affligge la società occidentale è diventato la possibilità di dar conto dell’unicità del proprio progetto identitario. Una volta che l’identità personale non è più direttamente collegabile al ruolo sociale, al ceto, alla classe, allo status oppure a istituzioni collettive e aggreganti come famiglia, apparati politici, comunità di appartenenza, quella che poteva sembrare la liberazione da un fardello si trasforma in una sorta di obbligo assoluto, l’ingiunzione di dover ritrovare, valorizzare e

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Il riferimento è alla celebre frase di Andy Warhol pronunciata nel 1968: «In the future, everyone will be world- famous for 15 minutes»; l’espressione si pensa derivi dalle tesi di Marshall Mc Luhan a riguardo della potenza della televisione; tesi che a loro volta traggono forse spunto dal motto inglese ‘nine days’ wonder’. Cfr. «15 minutes of fame» in Wikipedia, http://en.wikipedia.org/wiki/15_minutes_of_fame, consultato il 28 Febbraio 2013.

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confermare continuamente l’originalità e l’unicità del proprio carattere personale, mostrando le proprie differenze specifiche da tutte le altre identità con cui si entra in relazione. Una nuova e implicita prescrizione morale scorre al fondo della nostra società: afferma il tuo carattere personale, non omologarti, cerca la diversità che ti consenta di non confonderti. Dal momento che no c’è peggior condanna che quella di non essere più riconosciuti. Ci arrabattiamo per dare consistenza al nostro io, ma tutto questo diventa sempre più arduo perché l’individuo è ora in balia di una società che mette a disposizione una libertà mai sperimentata prima, una libertà che deriva da un’offerta concorrenziale di modi di vita pronti per l’uso, capaci di garantire varianti sempre nuove, stimoli inesplorati, promesse di avventure. Ecco allora che l’identità diventa un vero e proprio lavoro, una forma di azione e non più una situazione; e se nel passato la rappresentazione del sé poteva essere considerata un dato culturale, un’eredità sociale o un elemento di riflessione, ora appare sempre più simile a una attività performativa. Molti studiosi sottolineano il fatto che la nostra società sembra aver accentuato i comportamenti di rappresentazione e presentazione riflessiva del sé: ci percepiamo come performer perennemente sottoposti al giudizio altrui, immaginiamo la presenza di altri che costituiscono il pubblico delle nostre esibizioni e con cui condividiamo pensieri, gusti, attitudini. Ma dato che queste performance sono sempre più diluite all’interno della vita quotidiana, la separazione tra realtà mediata e realtà esperita, tra spazi pubblici e privati, sembra svanire e gli individui acquisiscono l’abilità di muoversi agevolmente lungo la linea di confine tra attore e spettatore.21

Per quanto riguarda i testi in senso stretto, è soprattutto nella scrittura del cosiddetto status che l’utente cerca di impressionare il suo pubblico; la ristrettezza di spazio concessa, la brevità necessaria a cogliere l’attenzione del navigatore disattento e il celebre pulsante ‘mi piace’ spingono il discorso verso la ‘frase ad effetto’. Il numero di utenti che cliccano sul pulsante appena

21FABIO GUARNACCIA, La strategia delle emozioni. L’io dal reality show ai social network, 7 Novembre 2011, in

http://www.minimaetmoralia.it/wp/la-strategia-delle-emozioni-lio-dal-reality-show-ai-social-network/, consultato il 1 marzo 2013.

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menzionato funge poi da indice di gradimento della stessa frase e il riscontro tra autore e lettore è dunque immediato. Studi specifici sull’argomento non sono ancora disponibili, tuttavia una sommaria consultazione dei social network rivela alcune direttrici comuni.

Una di esse consiste nell’utilizzo della congiunzione coordinata «e» in apertura di frase; L’enunciato risulta sintatticamente scorretto ma l’effetto è quello di una evanescenza e indeterminatezza del discorso che lo rende più fluido e poetico.

Considerando quest’uso, forte è il richiamo agli ultimi versi de La pioggia nel pineto22

a quella «e» ripetuta insistentemente a inizio verso che fa della lettura un continuum sonoro; oppure a Quasimodo e al componimento Alle fronde dei salici,23 il quale si apre con la stessa congiunzione forse a voler sottintendere un discorso e una riflessione prolungati dal quale nasce e si collega la poesia.

Non si vuole intendere che l’utente medio di un social network quando scriva tragga spunto da esempi di ‘letteratura alta’ tuttavia è possibile che la reminescenza sia automatica o probabilmente lo è l’effetto del particolare utilizzo della congiunzione. L’effetto poetico donato al testo è comunque indiscutibile.

La seconda particolarità di questi enunciati è connessa con la brevità. L’impedimento materiale, ma soprattutto logico, alla creazione di periodi lunghi, associato a quella volontà di letterarietà appena citata, provoca una tensione costante verso l’aforisma. Tale diffusione è visibile sia nel numero ingente di vignette che spesso citano una ‘frase celebre’ di un autore – i più

22 «E piove su le tue ciglia, Ermione./ Piove su le tue ciglia nere/ sì che par tu pianga/ ma di piacere; non bianca/ ma

quasi fatta virente,/par da scorza tu esca./ E tutta la vita è in noi fresca/ aulente,/ il cuor nel petto è come pèsca/ intatta,/ tra le pàlpebre gli occhi/ son come polle tra l'erbe,/ i denti negli alvèoli/ son come mandorle acerbe./ E andiam di fratta in fratta,/ or congiunti or disciolti/ (e il verde vigor rude/ ci allaccia i mallèoli/ c'intrica i ginocchi) chi sa dove, chi sa dove!/ E piove su i nostri vólti/ silvani,/ piove su le nostre mani/ ignude,/su i nostri vestimenti leggieri,/ su i freschi pensieri/ che l'anima schiude/ novella,/ su la favola bella/ che ieri/ m'illuse, che oggi t'illude,/ o Ermione». GABRIELE D’ANNUNZIO, La pioggia nel pineto, in Versi d’amore e di gloria, Alcyone (1903), edizione diretta da Luciano Anceschi, a cura di Annamaria Andreoli e Niva Lorenzini, Milano, Mondadori, 1984, disponibile in http://www.classicitaliani.it/D'annunzio/poesia/Alcyone/pioggia_pineto.htm.

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«E come potevamo noi cantare/ con il piede straniero sopra il cuore,/ fra i morti abbandonati nelle piazze/ sull’erba dura di ghiaccio, al lamento/ d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero/ della madre che andava incontro al figlio/ crocifisso sul palo del telegrafo?/ Alle fronde dei salici, per voto,/ anche le nostre cetre erano appese,/ oscillavano lievi al triste vento». SALVATORE QUASIMODO, Alle fronde dei salici, Giorno dopo Giorno (1947), Milano, Meridiani Mondadori, 2005.

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‘inflazionati’ sono Oscar Wilde, Jim Morrison e Woody Allen - ma anche nel singolo utente. La volontà è forse ancora quella di farsi interpreti della realtà cercando di formulare un pensiero denso di significato racchiuso in poche righe. Gli effetti non sempre sono all’altezza del proposito ma talvolta sorprendono per l’abilità di composizione e lo spessore.

Parallelamente l’abitudine alla sintesi sfavorisce la competenza nell’argomentazione e nella tenuta nel lungo tempo di un discorso o una narrazione; motivo per il quale pare che - comunemente - le nuove generazioni siano appunto più adatte alla formulazione di aforismi piuttosto che alla costruzione di romanzi o argomentazioni intorno ad un tema. La novità risiede proprio nel fatto che per la prima volta nella storia della comunicazione il dialogo è volontariamente affidato alla scrittura e non all’oralità; ed è per questa caratteristica che l’urgenza di argomentazione si rende oggi necessaria per fare di queste piattaforme luoghi di dibattito e non solo della chiacchiera da bar. Un simile spostamento investe non solo il social network ma la stessa letteratura, i cui autori non rifiutano l’inserimento di massime, frasi brevi e criptiche, periodi spezzati da numerosi punti ecc. nelle loro opere. L’esempio più celebre è costituito dalle pubblicazioni di Fabio Volo ma non è insolita la pratica anche a Tiziano Scarpa, Isabella Santacroce, Alessandro Baricco e altri, con vertici di saggezza differenti. Non si intende affermare che l’utilizzo del periodo breve e denso di significato sia un’abitudine riprovevole, al contrario in molti degli autori sopra citati è utilizzata con competenza e con risultati piacevoli alla lettura; si vuole sottolineare come la letteratura compenetri nei macro fenomeni linguistico-sociali e come questi la possano influenzare a loro volta.

Per comprendere come si concretizza questa compenetrazione si propongono alcune citazioni, a mero titolo esemplificativo, di letteratura contemporanea; si tenga comunque presente che la tensione verso la brevità e la densità significato è stata una direzione culturale che ha preceduto lo sviluppo dei social network; essa tuttavia sembra oggi una componente immancabile dello stile.

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«Si incontreranno per tre volte, ma ogni volta sarà l'unica, e la prima, e l'ultima.» (ALESSANDRO BARICCO, Tre volte all’alba, Feltrinelli, 2012)

«Solo chi fa domande sui dettagli ha provato a sentire cosa sente il tuo cuore. I dettagli. I dettagli: un modo di amare davvero.»

(ALESSANDRO D’AVENIA, Bianca come il latte rossa come il sangue, Mondadori, 2012)

«Fai vedere al tuo sogno che veramente ci tieni a incontrarlo, senza pretendere che lui faccia tutta la strada da solo per arrivare fino a te, poi le cose accadono. I sogni hanno bisogno di sapere che siamo coraggiosi.»

(FABIO VOLO, Un posto nel mondo, Mondadori, 2006)

«È tardi, è tardi sempre, anche all'inizio. Qualsiasi inizio è già un ritardo, perché tutto inizia terminando di continuo.»

(ISABELLA SANTACROCE, Amorino, Bompiani, 2012)