• Non ci sono risultati.

pubblici, forme e scene della politica plateale

4.2. Un biennio oltre la piazza

4.2.1. Primavera 1919

Terminate in novembre le operazione belliche, il ritorno alla normalità giuridica e politico-sindacale – il «ripristino delle libertà statutarie», secondo la formula dell’epoca – tarda di qualche mese, lasciando per tutto l’inverno il paese in una sorta di sospensione. Il divieto di pubblici comizi resta in vigore fino al febbraio 191913, la maggior parte delle Camere del lavoro riapre i battenti solo con la primavera e nelle stesse settimane riprendono le pubblicazioni della stampa politica d’opposizione.

Inevitabile dunque che il Primo maggio 1919 diventi l’occasione per celebrare solennemente la rinascita del movimento operaio: la prima festa dei lavoratori senza divieti generalizzati dal 1914, la prima dopo gli sconvolgimenti di massa della guerra e la prima (non va dimenticato) da quando il bolscevismo è «sorto ad oriente». Né stupirà che entrambe le parti in causa – Partito socialista e autorità di pubblica sicurezza – predispongano il terreno con dovizia di disposizioni, appelli e proclami:

Lavoratori! Lavoratrici!

Le adunate proletarie di questo Primo Maggio dovranno riuscire solenni, imponenti, grandiose manifestazioni di forza e di volontà. Non semplici celebrazioni della festa del lavoro. Non giornate di placidi riposi. Ma le masse enormi, col loro numero, colla loro imponenza dovranno invece chiedere ed imporre la smobilitazione, l’amnistia completa per tutti i condannati politici e militari, l’esercizio delle più ampie libertà civili […]. La classe lavoratrice dovrà infine affermare che è ormai animata da chiara coscienza della propria forza e dei

13 Il 16 febbraio, nella veronese Piazza dei Signori, è lo stesso sindaco socialista della città a tentare un comizio contro la disoccupazione, che viene tuttavia impedito dai funzionari di PS «ai termini dell’Art. 3 del R.D. 23 maggio 1915, N° 674» (ACS, MI, DGPS, DAGR, 1920, cat. C1, b. 84, fasc. Verona e provincia. Disoccupazione, prefetto di Verona a MI, 17 febbraio 1919). Il primo «pubblico comizio» senza reazione della forza pubblica di cui si è trovata traccia nelle carte ministeriali si tiene il 2 marzo 1919 nel piazzale municipale di Polesella (Ro); tre settimane dopo, a Taglio di Po, un altro oratore socialista annuncia che «la Confederazione socialista di Rovigo […] ha iniziato un’azione di propaganda da svolgersi in tutta la provincia coi comizi da tenersi nei teatri e nelle pubbliche piazze», e infatti nella prima settimana di aprile se ne segnalano nelle piazze di diversi paesi polesani (cfr. ACS, MI, DGPS, DAGR, 1920, cat. C2, b. 89, fasc. Rovigo. Movimento sovversivo). Tra marzo ed aprile i comizi sembrano riprendere con regolarità un po’ ovunque ma, ancora una volta, restano differenze e incertezze sull’applicazione della legge: l’autorità comunale di Farra di Soligo (Tv), ad esempio, in settembre nega il permesso ad una manifestazione, credendo sia ancora in vigore il decreto del 1915 (ma, naturalmente, potrebbe anche trattarsi di malafede: cfr. ACS, MI, DGPS, DAGR, 1919, cat. C1, b. 76, fasc. Treviso. Ordine pubblico).

propri destini: che è pronta a raccogliere e seguire gli insegnamenti della Russia, dell’Ungheria, della Baviera dove il potere politico ed economico è raccolto soltanto nelle mani di chi produce, di chi lavora. […] La grande ora storica vi chiama, o lavoratori, vi sospinge ormai alle conquiste decisive. Esige da ciascuno di voi spirito di sacrificio e la fede più viva e fiammante; l’offerta di tutta l’anima vostra, di tutte le vostre energie, il vostro braccio, e se occorre, la vita.

Ed ognuno sia pronto per la grande ora decisiva. Viva il socialismo!14

Così il manifesto della Direzione nazionale del PSI. Un po’ più concrete le indicazioni contenute nella circolare della stessa Direzione alle sezioni:

Le circostanze che accompagnano questo anno la solenne ricorrenza hanno consigliato alla Direzione […] di indicare ai compagni e alle Sezioni una più suggestiva e impressionante forma di manifestazione, come corollario della completa astensione del lavoro, la quale dev’essere sempre più completa ed estesa tanto in città che in campagna. La Direzione quindi invita i compagni dei centri urbani più importanti (Capoluogo di provincia o di circondario) a chiamare le Sezioni sparse nel territorio per partecipare tutte coi compagni, colle compagne, colle famiglie, cogli amici, colle bandiere alla formazione di dignitosi ed imponenti cortei che attraverseranno le città dove risiedono gli organi principali del regime attuale responsabili dei lutti, dei dolori e degli strazi inflitti per quattro anni al popolo italiano, per recarsi ad una generale riunione, in luogo addetto, dove con oratori, o senza, saranno votate uniformi deliberazioni reclamanti la soddisfazione dei bisogni fondamentali e immediati nel senso espresso dal manifesto.15

La novità non sfugge nemmeno al ministero degli Interni, all’epoca affidato ad Orlando: «contrariamente a quanto si è praticato negli anni precedenti, in cui la festa si riduceva ad una scampagnata, tutti i lavoratori appartenenti a paesi non capoluoghi di circondario o provincia, si rech[eranno] nel maggior numero possibile, il I° Maggio ai capoluoghi […]. Tali riunioni serviranno anche per una rassegna delle forze socialiste in tutta Italia onde farne la esatta valutazione»16. Ma i richiami socialisti alla «grande ora decisiva», agli «insegnamenti della Russia» e al sacrificio della vita – che in altri frangenti avrebbero fatto suonare svariati campanelli d’allarme – vengono giudicati più che altro retorica d’occasione: «dalle informazioni pervenute al Ministero si può ritenere che i partiti sovversivi non intendano dare alle manifestazioni del Primo Maggio uno spiccato carattere

14 ACS, MI, DGPS, DAGR, 1919, cat. K9, b. 105, fasc. 1° Maggio. Affari generali, manifesto della Direzione nazionale del Partito socialista italiano per il 1° maggio 1919.

15 Ivi, prefetto di Vicenza a MI, 20 aprile 1919 (che riporta il testo della circolare, «avuta in via riservatissima»).

rivoluzionario»17. Il governo impartisce quindi alle prefetture disposizioni quanto mai ponderate e, di fatto, insolitamente concilianti:

La ricorrenza del I° Maggio assume quest’anno una speciale importanza, sia perché sono venute meno le limitazioni che negli ultimi anni erano imposte alle pubbliche manifestazioni, sia perché nell’attuale momento i partiti sovversivi daranno da per tutto alle manifestazioni medesime un carattere più vivace ed apertamente politico. È necessario, pertanto, che la massima vigilanza sia usata per evitare disordini; accertandosi preventivamente di quanto i vari partiti intendono di fare, anche allo scopo d’evitare provocazioni reciproche e conflitti, e predisponendo i servizi di P.S. in modo da assicurare il più efficace funzionamento.

Nessun ostacolo deve esser fatto alle manifestazioni e alle riunioni che abbiano soltanto carattere economico e di classe, e saranno consentite anche le altre che, traendo occasione dalla festa del lavoro, siano indette per riaffermare il programma del partito socialista ufficiale. Ma sarà pure necessario d’assicurarsi che esse possano svolgersi senza turbamento della tranquillità pubblica e senza arrestare il corso della vita cittadina. Non si dovrà, pertanto, consentire cortei e processioni nel centro della città, permettendoli, invece, quando si svolgano nella periferia e nelle contrade secondarie.

Le forze disponibili dovranno essere dislocate in modo da poterne fare il più rapido uso nelle località ove se ne manifesti il bisogno; e sarà opportuno, nei centri maggiori, di valersi dei mezzi di trasporto che l’Autorità Militare abbia a sua disposizione. Si crede, infine, superfluo di avvertire che, trattandosi di manifestazioni che si svolgeranno simultaneamente in tutto il Regno, i Prefetti dovranno provvedere con i funzionari e con la forza disponibile in ciascuna provincia, astenendosi dal chiedere rinforzi che non potranno in alcun modo essere accordati.18

Anche l’unica limitazione prevista da Roma, ovvero l’esclusione dei centri cittadini, viene in verità lasciata cadere da molti prefetti veneti. A Venezia ad esempio un numeroso corteo – aperto da due grandi cartelli: «Proletari di tutto il mondo unitevi» e «Vogliamo il ritiro delle truppe alleate dalla Russia» – attraversa tutta la città, S. Marco compresa, e agli occhi dei socialisti pare risvegliarla dal torpore del lungo “inverno”: «a tutte le finestre sono affacciate donne, con negli occhi la gioia di quella manifestazione. Chi non può partecipare al Corteo, vi partecipa con l’anima. Il significato della manifestazione è tale che tutti coloro che non intendono le finalità socialiste, sentono però nell’anima che si vuole qualcosa di meglio»; a S. Maria del Giglio «sono affacciati i genitori del

17 Ivi, MI ai prefetti del Regno, 23 aprile 1919; nello stesso documento si ribadiva comunque, ancora una volta, che il giudizio finale sulle «condizioni locali» dell’ordine pubblico, e con esso la responsabilità delle decisioni, spettava ai singoli prefetti: «potendo, però, tali manifestazioni assumere forme diverse ed avere diverse conseguenze e ripercussioni a seconda dei vari ambienti, e dovendosi ad ogni modo prevedere anche le più gravi eventualità, i Signori Prefetti devono ben rendersi conto, in base a quelle precise informazioni che loro certo non mancheranno, delle speciali condizioni locali nell’emanare le loro disposizioni per il mantenimento dell’ordine pubblico».

compagno Elia Musatti», a cui va il saluto della folla, mentre a S. Marco «tutte le finestre sono chiuse; sono però aperte quelle delle Assicurazioni Generali Venezia, alle quali si affacciano tutti gli impiegati»19.

A Padova, secondo gli accordi presi con l’autorità, il corteo di un migliaio di persone muove da Prato della Valle e, percorrendo l’asse viario principale della città, raggiunge la centrale Piazza Unità d’Italia (alias dei Signori), dove avviene il comizio. Nel Trevigiano invece il comizio più significativo non si tiene nel capoluogo, ma a Vittorio Veneto, cuore della più “rossa” Sinistra Piave: il numero dei partecipanti varia, nelle stesse fonti prefettizie, tra 1000 e 5000. E mille sono i partecipanti anche a Belluno; qui però, nell’unica provincia veneta ancora priva di una Camera del lavoro, ci si limita alla «consueta passeggiata in campagna». Quanto al Polesine, si parla di 50.000 manifestanti in tutta la provincia20.

Ma la particolarità del Primo maggio 1919, anche laddove non accada nulla di concretamente eccezionale, sta nell’atmosfera della giornata – piena di speranza ma tutto sommato rilassata, nonostante i proclami qua e là cruenti del PSI – diversa sia dal clima di sospetto dell’anteguerra, sia da quello oppressivo della fase bellica, sia dalle violente collisioni di paure e utopie delle stagioni successive. Nel giro di poche settimane, infatti, la tensione comincia a crescere, fino a sfociare nell’«ingorgo della conflittualità sociale e politica»21 dell’estate 1919.

19 La solenne manifestazione del I Maggio, “Il Secolo Nuovo”, 4 maggio 1919; l’accenno finale agli impiegati delle Generali annuncia una delle novità di questo dopoguerra, ovvero l’organizzazione e la protesta di ceti tradizionalmente lontani dal movimento operaio (impiegati, dipendenti comunali, funzionari statali, maestri, infermieri, camerieri, personale dei pubblici esercizi, reduci ecc.). Sui numeri del corteo le notizie divergono clamorosamente: secondo il giornale socialista 30.000 persone e 70 vessilli, secondo la prefettura 3000 persone e 30 bandiere, secondo il “Gazzettino” 2000 persone (cfr. ACS, MI, DGPS, DAGR, 1919, cat. K9, b. 105, fasc. 1° Maggio. Affari generali; “Il Gazzettino”, 2 maggio 1919). Merita, infine, breve citazione il manifesto pubblicato per l’occasione da Camera del lavoro e Sezione socialista di Venezia: «Compagni! Lavoratori! In questo I° Maggio – sul quale si riverbera il vermiglio sangue proletario, inutilmente versato – […] alle ore nove si formerà un Corteo alla Casa del Popolo, al quale parteciperete tutti, coi fiammanti vessilli delle vostre organizzazioni, per attraversare la città. Nel cortile delle Scuole di S. Provolo sarà tenuto un pubblico comizio, nel quale parleranno: G. Giordano - E. Musatti - G.M. Serrati. Compagni! Lavoratori! In quest’ora solenne nessuno manchi» (cfr. Resini, Cronologia, cit., p. 393).

20 Cfr. ACS, MI, DGPS, DAGR, 1919, cat. K9, b. 105, fascc. 1° Maggio. Affari generali e Treviso. 1° Maggio; Zaghi, L’eroica viltà, cit., p. 144.

4.2.2. L’estate e i tumulti urbani

Le agitazioni contro il caroviveri si diffondono in tutta la penisola tra la primavera e l’estate del 1919, come reazione allo smantellamento del sistema annonario creato durante la guerra e alla conseguente, improvvisa esposizione dei generi di prima necessità all’elevatissima inflazione post-bellica. La rabbia popolare si indirizza subito verso «pescecani» e profittatori ovvero, principalmente, verso i commercianti accusati di accaparramenti e speculazioni. Tumulti e assalti a magazzini e negozi si susseguono in varie regioni, tanto da far proclamare a Nitti, appena nominato presidente del Consiglio, che «l’ora è grave, forse la più grave della storia d’Italia» (il che, a venti mesi da Caporetto, non è un’esagerazione da poco)22. Ed è in questo frangente che le iniziative nominalmente rivoluzionarie delle organizzazioni operaie – dalle «guardie rosse» ai «soviet annonari» – si ritrovano paradossalmente a rappresentare l’unica mediazione tra protesta popolare e istituzioni: «durante le agitazioni contro il carovita sembrò per un momento che i poteri legali fossero scomparsi e tutti obbedissero soltanto all’autorità delle Camere del Lavoro»23, scriverà Rinaldo Rigola (leader del sindacalismo socialista, certo, ma non particolarmente affezionato alle Camere del lavoro né a qualsivoglia ipotesi rivoluzionaria).

Quanto al quadro veneto, è probabilmente nel solo capoluogo di regione che simili dinamiche emergono appieno. In seguito ai ripetuti scioperi contro il caroviveri e agli incidenti di inizio luglio davanti ad alcuni spacci – nulla, peraltro, di eccessivamente grave – è lo stesso prefetto di Venezia ad invitare il segretario della Camera del lavoro nella commissione cittadina per il calmiere dei prezzi; ma l’organizzazione socialista rifiuta l’offerta e dà vita, invece, ad una propria commissione prezzi che di fatto esautora quella ufficiale, soprattutto quando si dota di «Guardie rosse», le squadre di vigilanza che impongono il rispetto del calmiere agli «esercenti ingordi»:

Lavoratori! Cittadini!

22 Per il quadro generale dei tumulti annonari del 1919, e per un approfondimento del caso toscano, si vedano Roberto Bianchi, Bocci-Bocci. I tumulti annonari nella Toscana del 1919, Olschki, Firenze 2001; Id., Pace, pane, terra, cit.

23 Cit. in Idomeneo Barbadoro, Storia del sindacalismo italiano dalla nascita al fascismo, vol. 2, La Confederazione generale del lavoro, Nuova Italia, Firenze 1973, p. 377.

[…] Camera del lavoro e partito socialista, che conoscono i vostri bisogni e sanno quanto siete depredati ed affamati, hanno assunto volontariamente l’incarico di proporre calmieri che garantiscano i vostri interessi ed hanno nominato squadre di vigilanza, di lavoratori e giovani socialisti, consapevoli della gravità dell’ora ed ardenti di fede, per fare rispettare calmieri e cercare, come hanno fatto, di snidare le derrate, che gli esercenti avevano nascosto per affamarvi.24

Alcuni negozianti chiudono bottega e consegnano direttamente le chiavi alla sede sindacale, altri affiggono sulla saracinesca abbassata il cartello «a disposizione della Camera del lavoro», sperando così di evitare vandalismi; i rappresentanti socialisti, affiancati dall’esercito, distribuiscono latte e cercano di accontentare la folla che ormai pretende dal sindacato i prodotti di prima necessità che non può più trovare nei negozi. Alla fine, inevitabilmente, l’organizzazione rossa è costretta a ricordare che «l’obbligo di provvedere al rifornimento della città» spetta solo alle autorità; le squadre di vigilanza vengono così ritirate dopo cinque giorni di attività25.

Nel resto della regione le proteste contro il caroviveri si dividono fondamentalmente tra pubblici comizi e assalti ai negozi. A Verona (città in cui l’architettura del movimento operaio si presenta, in questo dopoguerra, particolarmente intricata26) la Camera del lavoro rivoluzionaria annuncia per il 9 luglio lo sciopero, che – secondo quanto proclamato da Armando Borghi in un comizio alla Gran Guardia – avrebbe dovuto essere generale e insurrezionale. Lo sciopero viene però annullato quando la Giunta municipale socialista vara il calmiere, salvo essere poi riproclamato, la notte precedente la data stabilita, perché il provvedimento comunale non soddisfa i Consigli delle leghe:

24 Il manifesto è riprodotto in Primo esperimento della Guardia Rossa, “Il Secolo Nuovo”, 11 luglio 1919 (2° supplemento).

25 Ibid.; cfr. anche Resini, Cronologia, cit., p. 394-395. Anche Girolamo Li Causi, dal suo osservatorio veneziano, registra le agitazioni contro il carovita come uno dei grandi avvenimenti del 1919: «Anche a Venezia, a causa della mancanza di derrate alimentari, la folla prendeva d’assalto i negozi e a un determinato momento furono gli stessi bottegai che venivano a consegnare le chiavi dei loro negozi alla Camera del lavoro, onde le derrate venissero distribuite alla popolazione dai sindacalisti. […] Fu possibile ottenere una certa disciplina grazie alla presenza dei dirigenti socialisti delle leghe, che erano conosciuti ed apprezzati perché, in una città come Venezia, nei sestieri ci si conosce tutti e di tutti si sanno meriti e difetti; in questo modo si riuscì a soddisfare i bisogni più impellenti della popolazione, regolando la distribuzione di quel poco che si poteva requisire o avere dalle botteghe» (Li Causi, Il lungo cammino, cit., p. 61).

26 Mentre l’amministrazione comunale socialista è stata “sfiduciata” dal PSI nazionale durante la guerra, Sezione cittadina e Federazione provinciale dello stesso partito sono a lungo in rotta tra loro; l’approdo della Camera del lavoro su posizioni sindacaliste rivoluzionarie spinge inoltre i riformisti a creare, nel marzo 1920, una seconda e concorrente Camera del lavoro confederale (fedele cioè alla Confederazione generale del lavoro).

Astensione lavoro completa, quasi tutti negozi chiusi, tramvai cittadini ed intercomunale Verona-Vicenza hanno cessato servizio ore sette. Circa duemila fra contadini operai comuni limitrofi addetti officina ferroviaria hanno tentato invadere città, sono stati trattenuti fuori Porta Vescovo e sciolti. Sinora non è segnalato alcun caso saccheggio od altro notevole incidente. Disposto servizio nei punti importanti città presidio banche esattorie cooperative uffici pubblici.27

A Vicenza il comizio della Camera del lavoro, la sera del 21 giugno, raccoglie «in luogo chiuso» 500 persone e, nonostante la riunione assuma «carattere completamente politico con tendenza rivoluzionaria», non si lamentano incidenti; soltanto all’uscita «una parte degli intervenuti per lo più ragazzi mosse in corteo verso la piazza Maggiore della città ma fu contenuta e si sciolse senza dar luogo a disordini»28. Più che le cronache dal capoluogo, sono degne di nota quelle dalla provincia: ad Arzignano la Camera del lavoro riunisce ben 1500 persone, mentre in altre località la folla assalta negozi e carri di vino; l’episodio più significativo il 10 luglio a Sarcedo, presso Thiene:

Ieri a Sarcedo una folla di gente ubbriaca perfidamente suggestionata dopo aver reclamato calmiere penetrò in un casificio [sic] e invase poi villa sindaco producendo gravissimi danni. Operati 23 arresti tra cui tre militari ritenuti maggiormente responsabili. 29

Circa 150 persone fra uomini donne frammistati pochi soldati assaltarono Sarcedo villa sindaco Bassani Giuseppe devastando ogni cosa asportandovi vestiti biancheria mobili orologi altri oggetti oro argento materazzi coperte portafogli libretti depositi titoli.30

Ecco dunque far la loro comparsa le «folle ubbriache», protagoniste come mai in passato, agli occhi dell’autorità e della stampa moderata o reazionaria, delle agitazioni del 1919-20. E altrettanto caratteristico del dopoguerra è il ruolo dei militari (intesi come individui sciolti o piccoli gruppi in divisa) nei tumulti e nei saccheggi; mai, d’altra parte, l’Italia aveva affrontato un simile processo di militarizzazione – e successiva smobilitazione – di massa31.

27 ACS, MI, DGPS, DAGR, 1919, cat. C1, b. 77, fasc. Verona. Ordine pubblico, prefetto di Verona a MI, 9 luglio 1919; cfr. inoltre Gaspari, Il movimento operaio e socialista a Verona, cit., pp. 96-97; Andrea Dilemmi, Anarchismo e sindacalismo rivoluzionario a Verona dalla guerra di Libia al fascismo, in Berti (a cura di), Socialismo, anarchismo e sindacalismo rivoluzionario, cit., pp. 165- 186.

28 ACS, MI, DGPS, DAGR, 1919, cat. C1, b. 77, fasc. Vicenza. Ordine pubblico, prefetto di Vicenza a MI, 23 giugno 1919.

29 Ivi, prefetto di Vicenza a MI, 12 luglio 1919.

30 Ivi, comandante Carabinieri di Vicenza a MI, 12 luglio 1919.

31 Al di là della tradizionale e indubbia funzione affidata al vino nella festa/protesta/cuccagna popolare, la facile equazione tra tumulto e sbornia collettiva fu accolta in maniera generalizzata

Se le avvisaglie di una rottura generalizzata dei canoni di sottomissione e remissività32 accomunano la situazione veneta al quadro nazionale, tuttavia, le proteste contro il caroviveri non raggiungono ancora il numero o l’intensità di altre regioni (specie dell’Italia centrale). Né assume, qui, caratteri del tutto eccezionali l’altro evento di quell’estate, lo “sciopero internazionale” del 20-21 luglio, proclamato dai partiti socialisti europei in segno di protesta per la pace di Versailles e di solidarietà alle rivoluzioni in Russia e Ungheria. Ribattezzato «scioperissimo» e spasmodicamente atteso – dalla sinistra del PSI ma anche, come spesso accade, da avversari e autorità – quale possibile rendez-vous rivoluzionario33, l’appuntamento perde in verità molta della sua forza prima ancora che si giunga alla fatidica data, per le discrepanze emerse nel movimento internazionale (alla fine si sciopererà praticamente solo in Italia, Romania e Slovenia, mentre gli altri paesi si limiteranno a manifestazioni o comizi) e per la stessa concomitanza con i tumulti annonari, che «distraggono» dall’obbiettivo disperdendo le energie del proletariato in agitazioni estemporanee. O, perlomeno, questa è l’interpretazione di parte della dirigenza del socialismo italiano; è

Documenti correlati