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Proteste studentesche e irredentismo in età giolittiana

pubblici, forme e scene della politica plateale

3.1. Proteste studentesche e irredentismo in età giolittiana

A fine novembre 1903 i socialisti veneziani protestano, sul loro giornale “Il Secolo Nuovo”, per il modo in cui la forza pubblica ha represso le dimostrazioni dei giorni precedenti in Piazza S. Marco, ironizzando sullo «spiegamento di tutto un esercito di poliziotti contro pochi ragazzetti urlanti […] scappati dalla scuola»1. Accuse alle autorità, dunque, ma anche sarcasmo sui manifestanti (sarcasmo che, peraltro, tende fatalmente alle stesse forme della polemica antipiazzaiola moderata: monelli, ragazzacci e ragazzetti erano pure i protagonisti delle manifestazioni socialiste secondo la stampa borghese); una posizione anomala rispetto allo schema classico delle cronache socialiste, che prevedeva – e ancor più prevedrà in seguito – la denuncia della violenza poliziesca contro le proprie manifestazioni e, per contrasto, l’accusa alle autorità di essere indulgenti verso quelle degli avversari. Qui evidentemente le posizioni non risultano ancora ben delineate e il giudizio rimane sfumato: i ragazzetti urlanti non sono certo dei nostri, ma non paiono nemmeno un avversario tale da distogliere dall’obbiettivo principale della polemica, cioè la questura.

Siamo nell’ambito delle manifestazioni antiaustriache seguite ai cosiddetti “fatti di Innsbruck”2. A rispondere all’appello per la mobilitazione lanciato il 24 novembre dagli studenti dell’Università di Padova erano stati, in un capoluogo lagunare ancora privo di atenei propriamente detti, gli studenti dei due istituti parauniversitari cittadini, l’Accademia di belle arti e la Scuola superiore di

1 Le dimostrazioni della polizia e degli studenti, “Il Secolo Nuovo”, 5 dicembre 1903; cfr. anche A Ca’ Foscari, ivi, 28 novembre 1903.

2 L’annunciata attivazione di corsi in lingua italiana presso l’università della città tirolese aveva provocato una sollevazione anti-italiana, cui avevano risposto dimostrazioni patriottiche in tutta la penisola.

commercio di Ca’ Foscari3. Si erano prima dati appuntamento da Montin (la trattoria frequentata dagli intellettuali aristocratici e dagli artisti bohemien, da D’Annunzio al giovane Modigliani, allora anch’egli studente dell’Accademia4); poi per un comizio a palazzo Faccanon, sede del “Gazzettino”, e infine erano andati in Piazza S. Marco a lanciare canti e grida contro l’Austria, provocando l’intervento della forza pubblica. Tra gli arrestati, tutti rimessi in libertà entro la notte, risultavano il figlio del presidente del tribunale e altri rampolli della miglior classe dirigente, ma anche un leader degli scaricatori di porto come Angelo Vianello. D’altronde a mostrare qualche incertezza, in campo socialista, sull’interpretazione da dare a queste prime manifestazioni di piazza dell’irredentismo studentesco non è solo la cronaca del giornale di partito, ma lo stesso atteggiamento del circolo giovanile socialista, evidentemente sospeso tra il coinvolgimento generazionale e lo scetticismo – ché allora non era molto di più – dei compagni adulti. I giovani socialisti, infatti, rendono noto di aver aderito al comizio di palazzo Faccanon in segno di protesta per le violenze anti-italiane di Innsbruck, ma senza condividere l’odio nazionalista verso il popolo austriaco; e aggiungono peraltro, a mo’ di discolpa, che a quel comizio è stata pure negata loro la parola5.

A questa data, dunque, la mobilitazione irredentista – sospesa tra eredità risorgimentale e prime avvisaglie di nazionalismo imperialista – non ha ancora esplicitato appieno il suo carattere antisocialista e, parallelamente, il socialismo non ha ancora colto la reale portata dell’arma lasciata in mano agli avversari: un’arma in grado non solo di isolare progressivamente il PSI dalle altre forze democratiche ma, persino, di aprirsi varchi all’interno dello stesso movimento socialista, infilandosi nelle discontinuità tra la matrice risorgimentale-garibaldina e quella marxista-internazionalista. I socialisti non sono, peraltro, gli unici a mostrare qualche imbarazzo di fronte alle manifestazioni studentesche del 1903: anche l’autorità statale fatica ad aggiornare gli schemi interpretativi e non sa bene

3 Fondata da Luigi Luzzatti nel 1868, la Scuola di Ca’ Foscari sarà progressivamente parificata ad un’università nel primo trentennio del Novecento, ma otterrà la denominazione di Università degli studi solo nel 1968.

4 Cfr. Gabriele D’Annunzio, Prefazione a Hans Barth, Osteria. Guida spirituale delle osterie italiane da Verona a Capri, Filippi, Venezia 1972 [Roma 1909], p. IX; Elio Zorzi, Osterie veneziane, Filippi, Venezia 1967 [Bologna 1928], pp. 100-102; Fabio Mauroner, Acquaforte, Arti Grafiche Friulane, Udine 1955, pp. 21-22.

5 Oltre ai già citati articoli del “Secolo Nuovo”, cfr. La dimostrazione irredentista in Piazza S. Marco, “Il Gazzettino”, 1 dicembre 1903.

come collocare i propri figli, ribelli in nome del tricolore, nella contrapposizione manichea tra partiti d’ordine e forze sovversive. Mentre buona parte dei prefetti tituba all’idea di trattare le agitazioni irredentiste alla stregua di quelle dei rossi, è Giolitti ad alzare la voce contro gli «studenti irriflessivi», «che non sanno coniugare i verbi irregolari e vogliono anticipare le vacanze»6 (siamo sempre dalle parti dei «ragazzetti scappati da scuola» dei socialisti); il governo invia quindi ai prefetti istruzioni tassative per far cessare le agitazioni, vietare i cortei e gli assembramenti, tutelare nella maniera più assoluta le rappresentanze diplomatiche straniere e, se necessario, chiudere le università7.

Che non fosse solo un occasionale sparigliamento di carte, ma la prima comparsa di futuri protagonisti, lo dimostra quanto accade esattamente un lustro più tardi: copione praticamente identico, solo che stavolta i “fatti” sono quelli di Vienna8 e le proteste dilagano capillarmente in tutta Italia (cinque anni non sono passati invano). Giolitti dà subito disposizione che i comizi siano permessi solo in luoghi chiusi, e che siano comunque garantiti «la tutela dell’ordine pubblico, l’ossequio della legge e delle istituzioni, il rispetto dei nostri doveri internazionali»9. Gli ultimi giorni del novembre 1908 vedono manifestazioni antiaustriache in tutte le città venete: a Rovigo, il 24, gli studenti delle superiori tentano una protesta in strada, ma ripiegano poi su un comizio privato; il 25 a Belluno dimostrano circa 300 studenti10, riuscendo pure a tenere discorsi in Piazza Duomo, senza dare luogo ad incidenti; a Vicenza gli studenti cercano di bruciare la bandiera austriaca presso il monumento a Garibaldi, ma vengono fermati dalle

6 Fiorentino, Ordine pubblico nell’Italia giolittiana, cit., p. 27.

7 Anche il ministro dell’Istruzione, Nasi, spedisce circolari imperiose ai provveditori scolastici: «Ai disordini che in varie città si sono testé deplorati, risulta questo ministero che abbiano in qualche luogo preso parte anche gli studenti di alcuni istituti secondari. Raccomando alla S.V. di esercitare la più severa sorveglianza e d’inculcare ai Capi d’Istituto e a tutti i professori che facciano opera efficace ed assidua allo scopo di evitare qualsiasi disordine». E ai rettori delle università: «Debbo vivamente raccomandare alla S.V. d’impedire qualsiasi adunanza dentro l’Università per iscopi estranei allo studio e di autorità affinché essi non commettano disordini, avvertendoli che in caso contrario il governo adotterà misure severissime. La S.V. vorrà tenermi informato di tutto ed anche del contegno dei professori, ritenendoli strettamente obbligati ad unirsi a lei per mantenere il buon ordine e il decoro degli studi. La S.V. mi risponderà della esatta osservanza delle norme vigenti e delle istruzioni contenute nella presente circolare» (ibid.). I sospetti del governo verso il corpo docente si dimostreranno giustificati: in occasione delle successive ondate di manifestazioni irredentiste professori, presidi e rettori saranno spesso alla testa dei propri studenti.

8 Oggetto delle polemiche è di nuovo la concessione di una facoltà italiana all’interno dei confini dell’Impero (stavolta era stata negata a Trieste): una protesta degli studenti italiani a Vienna provoca la reazione violenta di quelli austriaci, con conseguenti incidenti.

9 Fiorentino, Ordine pubblico nell’Italia giolittiana, cit., p. 49.

10 Il numero dei partecipanti, qui e nelle righe successive, è quello riportato dalle fonti prefettizie.

guardie; a Verona 200 studenti manifestano in coda ad un comizio privato, il 27, e altrettanti improvvisano una manifestazione tre giorni più tardi, all’uscita dal cinematografo, ma vengono «sciolti» dalla forza pubblica (i tre manifestanti più riottosi sono portati in questura, ammoniti e rilasciati). La mobilitazione raggiunge anche diversi centri minori, per esempio nel Trevigiano: la “Dante Alighieri” promuove un comizio a Motta di Livenza, mentre a Conegliano manifestano gli studenti della scuola enologica11.

I prefetti di molte province italiane avvallarono allora la tesi – poi parzialmente ereditata dalla storiografia – che le proteste fossero in gran parte dirette dai repubblicani, quando non infiltrate da elementi anarchici e socialisti; insomma che l’irredentismo nascondesse soprattutto mire antimonarchiche e “anticostituzionali”, quasi un risveglio del radicalismo risorgimentale12. Un’interpretazione che pare, ancora una volta, il tentativo di inserire fenomeni nuovi in vecchi schemi: le manifestazioni del 1908 segnano semmai un altro passo nella pur incerta trasfigurazione dell’irredentismo in nazionalismo e, per quanto più direttamente ci interessa, nell’affermazione di una nuova generazione della borghesia italiana, ormai pronta a calcare la scena pubblica con piglio diverso da quello dei padri. In Veneto, poi, il “sovversivismo” repubblicano conferma anche in questa occasione la sua marginalità: se a Vicenza (comizio organizzato dalla “Trento-Trieste”, 500 presenti comprese le «società militari») i repubblicani si fanno effettivamente notare per una polemica con i clericali, a Treviso sono tutti i partiti, dai socialisti ai cattolici, ad unirsi agli studenti per il comizio di protesta al Politeama, e a Verona gli studenti fanno addirittura base all’Associazione monarchica13.

Anche in questa occasione gli incidenti più rilevanti non si registrano nella “capitale” studentesca della regione, Padova (dove pure gli universitari si riuniscono in un’aula per poi recarsi in corteo, assieme ai liceali, al vicino municipio), ma a Venezia, città sempre al centro dell’attenzione internazionale e

11 Cfr. ACS, MI, DGPS, DAGR, 1908, cat. A5, b. 3, fasc. Dimostrazioni per i fatti di Vienna, sottofascc. Rovigo, Treviso, Vicenza e Verona; ivi, b. 2, fasc. Dimostrazioni per i fatti di Vienna, sottofasc. Belluno.

12 Cfr. Fiorentino, Ordine pubblico nell’Italia giolittiana, cit., pp. 48-49; per un’interpretazione che ridimensiona il ruolo dei repubblicani cfr. Giuseppe Carlo Marino, Le generazioni italiane dall’Unità alla Repubblica, Bompiani, Milano 2006, pp. 199-201.

13 Cfr. ACS, MI, DGPS, DAGR, 1908, cat. A5, b. 3, fasc. Dimostrazione per i fatti di Vienna, sottofascc. Vicenza, Verona e Treviso.

sede di consolati14. Qui gli studenti di Ca’ Foscari, dell’Accademia e delle scuole superiori inscenano le prime dimostrazioni il 25, ma vengono tenuti a bada senza complicazioni dalla forza pubblica, preoccupata soprattutto di non farli avvicinare al consolato austriaco. La gioventù patriottica ritorna tuttavia alla carica la sera del 29, puntando stavolta su Piazza S. Marco, oltre che sulla solita sede diplomatica dell’“alleato” asburgico:

Malgrado il gran numero dei dimostranti, ingrossati anche da molti teppisti, e l’accanimento di essi, che a ogni costo volevano passare, spingendo, urtando e lottando con le guardie, furono fermati e trattenuti, mercé l’energia impiegata dal funzionario e dagli agenti, i quali seppero vittoriosamente opporsi a quella fiumana di giovani eccitatissimi, senza usare le armi, evitando così gravi fatti che certo sarebbero succeduti.15

È evidentemente la questione delle terre irredente a svolgere in quegli anni, nella regione geograficamente e storicamente più vicina ad esse, il ruolo fondamentale per la mobilitazione patriottica e studentesca. Assai più limitate

14 Oltre al normale movimento turistico internazionale, Venezia ospita spesso incontri diplomatici e dinastici di alto livello; la stessa posizione geografica e le stesse tradizioni storiche che ne fanno uno dei centri dell’irredentismo italiano la rendono, in particolare, la sede preferita per incontri al vertice con gli alleati degli imperi centrali, e questa sovrapposizione non può che generare costanti ansie per l’ordine pubblico. Nell’aprile 1905, ad esempio, il ministro degli Esteri Tittoni e il suo omologo austriaco si incontrano al Grand Hotel di Venezia; Piero Foscari, allora presidente della “Trento-Trieste” riesce a fargli trovare sul tavolo un documento di protesta per i fatti di Innsbruck (cfr. Giovanni Giuriati, La vigilia. Gennaio 1913-maggio 1915, Mondadori, Milano 1930, p. 30). Un mezzo caso internazionale scoppia nel giugno 1909, durante la visita in laguna della regina d’Inghilterra e della zarina madre; siamo nel clima delle roventi polemiche per la visita dello zar in Italia e un giornale svedese scrive che, al passaggio della sovrana russa, «individui nascosti tra la folla avrebbero sparato diversi colpi di rivoltella, riusciti fortunatamente vani»; secondo la stampa berlinese si sarebbe trattato solo di fischi ostili, mentre il prefetto smentisce tutto (cfr. Fiorentino, Ordine pubblico nell’Italia giolittiana, cit., p. 54). E una sonora fischiata è anche quella che, dalla gradinata di Ca’ Foscari, saluta il passaggio sul Canal Grande della gondola che trasporta Vittorio Emanuele III e Guglielmo II, nel marzo 1914 (così almeno ricorda Li Causi, che era tra gli studenti fischiatori: cfr. Li Causi, Il lungo cammino, cit., p. 48); i due sovrani si erano già dati appuntamento in laguna nel 1908 e nel 1912, e il kaiser vi aveva fatto altre regolari apparizioni: così nel marzo 1911 la Camera del lavoro voleva tenere un comizio antimilitarista in Campo Bandiera e Moro, ma il prefetto lo vietava per la vicinanza della riva degli Schiavoni, dove i socialisti – oltre a intralciare il «pubblico passeggio» domenicale – avrebbero certo tentato dimostrazioni ostili contro lo yacht imperiale, lì ormeggiato (cfr. ACS, MI, DGPS, DAGR, 1911, cat. C1, b. 19, fasc. Venezia. Ordine pubblico, decreto del prefetto di Venezia, 25 marzo 1911, e prefetto di Venezia a MI, stessa data: entrambi i documenti sono citati in appendice 3). Anche quando non ospita visitatori tanto illustri, la città svolge un fondamentale ruolo di rappresentanza, che può cozzare apertamente con i sentimenti dei manifestanti: nel 1908, l’anno delle contestazioni antiaustriache per i fatti di Vienna, Venezia ospita ad esempio i festeggiamenti per il sessantesimo anniversario dell’assunzione al trono dell’imperatore Francesco Giuseppe, con ricevimenti al consolato e navi austriache impavesate in porto (cfr. ACS, MI, DGPS, DAGR, 1908, cat. A5, b. 2, fasc. Venezia).

15 ACS, MI, DGPS, DAGR, 1908, cat. 1.5, b. 3, fasc. Dimostrazione per i fatti di Vienna, sottofasc. Venezia, prefetto di Venezia a MI, 13 dicembre 1908; più in generale, su Venezia si veda tutto il sottofascicolo; per Padova: ACS, MI, DGPS, DAGR, 1908, cat. A5, b. 2, fasc. Dimostrazioni per i fatti di Vienna, sottofasc. Padova.

paiono invece, almeno a vederle “dalla strada”, le manifestazioni d’orgoglio nazionale prive di rimandi ai confini nord-orientali: l’impresa libica ad esempio – pur accompagnata anche sulla stampa Veneta da virulente campagne giornalistiche, peraltro strettamente intrecciate alle lotte politiche locali16 – non dà luogo a pubbliche dimostrazioni altrettanto significative. La spedizione coloniale del 1911-12 non sembra scaldare troppo le folle, né in un senso né nell’altro: abbiamo già visto come la stessa agitazione contro la guerra voluta dai socialisti (27 settembre 1911) avesse ottenuto un deludente seguito popolare; e come il suo esito più interessante fosse stato, semmai, quello di provocare a Padova una delle prime contromanifestazioni nazionaliste, che aveva offerto alla forza pubblica il pretesto per rispedire tutti a casa17. L’intento di reagire all’iniziativa dei «turchi d’Italia» era stato probabilmente, in questo caso, la vera molla dell’azione dei patrioti; ma, in assenza di simili «provocazioni» sovversive, le dimostrazioni a sostegno dell’impresa libica si rivelavano a loro volta piuttosto esigue, sia nei numeri che nelle forme. All’indomani dello sciopero socialista, ad esempio, gruppi di studenti veneziani festeggiavano l’ultimatum del governo italiano alla Turchia con la classica richiesta di inni patriottici all’orchestra comunale che stava suonando in Piazza S. Marco; nella stessa piazza accendevano poi alcuni bengala tricolori e infine – presa in prestito da un negozio una bandiera nazionale – davano vita ad un piccolo corteo fino al teatro Goldoni dove, nell’intervallo dello spettacolo, inscenavano ulteriori dimostrazioni patriottiche18. Nei mesi successivi capitava ancora che un centinaio di liceali manifestassero a S. Marco il loro sostegno alla guerra19, ma per lo più Venezia era testimone di cerimonie alquanto tradizionali: cortei di studenti e notabili che accompagnavano i soldati in partenza o li accoglievano al loro ritorno, conferenze patriottiche in interni, commemorazioni dei caduti organizzate da appositi comitati o dalle pubbliche amministrazioni. Nemmeno la “vittoriosa” conclusione delle operazioni belliche,

16 Oltre alla vicenda di Musatti e dello scontro per il suo seggio alla Camera (il leader del PSI veneziano si dimette da deputato proprio in segno di protesta contro la guerra e quindi, ricandidatosi alle elezioni suppletive, viene sconfitto da un ampio fronte antisocialista, che ossessivamente accusa «il turco Musatti» di antipatriottismo), va ricordato l’importante ruolo “diplomatico” svolto nel conflitto da Giuseppe Volpi, già allora alquanto influente sull’opinione pubblica veneziana; la diversità di giudizi sulla guerra del 1911-12 contribuisce inoltre a mandare all’aria diverse amministrazioni bloccarde, a cominciare da quella padovana, e fa maturare le prime defezioni “patriottiche” in seno alle stesse leadership socialiste locali (in particolare a Verona e in Polesine).

17 Cfr. sopra, paragrafo 1.5.

18 La notizia dell’«ultimatum» a Venezia, “Gazzetta di Venezia”, 29 settembre 1911. 19 Cfr. ad esempio Manifestazioni patriottiche di gioventù, ivi, 7 novembre 1911.

nell’ottobre 1912, dava luogo a particolari manifestazioni d’entusiasmo; il patriottismo della città lagunare sembrava dunque, in questa occasione, ingessato su un registro istituzionale, senza che le forze politiche nazionaliste vi assumessero un ruolo significativo20. Qualcosa di simile succedeva nelle altre città venete (con la parziale eccezione di Padova, dove la sinergia tra associazioni goliardiche e nazionalisti riusciva a tener viva una qualche mobilitazione), mentre nei centri minori le stesse iniziative “ufficiali” di sostegno allo sforzo militare, promosse da municipi e parrocchie, avviavano intanto la riscoperta del tricolore in quel Veneto rurale in cui un attivismo patriottico spontaneo e volontario pareva ancora impensabile21.

Quanto a Venezia, altre questioni sembravano agitare maggiormente l’opinione pubblica. Il 22 marzo 1913, ricorrenza annuale della rivoluzione del 1848, il Comune organizzava il trasferimento delle ceneri di Giorgio Manin, figlio di Daniele, dal cimitero cittadino al «sepolcreto» di famiglia, posto – dopo infinite polemiche ottocentesche – su un fianco esterno della basilica di S. Marco; ma il prefetto ordinava di allontanare dal corteo i vessilli delle associazioni irredentiste, peraltro invitate dal Municipio, mentre le autorità militari disertavano la manifestazione per la presenza di quelle stesse associazioni; seguivano lunghe polemiche. E il fatto che un richiamo anche occasionale alle vicende risorgimentali scaldasse gli animi più della guerra in corso dimostra abbastanza chiaramente che non era all’Africa che guardava l’anima patriottica della città22.

3.2.

Il 1914, prima di Sarajevo

3.2.1. Preamboli patriottici

20 Cfr. Pomoni, Il Dovere Nazionale, cit., pp. 52-54, 61, 308, 511-512.

21 Si veda ad esempio il caso di Salara, in Polesine (dove peraltro la presenza di un municipio “rosso” complicava alquanto le cose): ACS, MI, DGPS, DAGR, 1912, cat. C1, b. 23, fasc. Rovigo. Ordine pubblico, prefetto di Rovigo a MI, 7 dicembre 1912; per le cerimonie patriottiche promosse dalle parrocchie cfr. sopra, paragrafo 2.5; sulle difficoltà della propaganda nazionalista nel Veneto rurale cfr. paragrafo 1.4, nota 75.

22 Cfr. ACS, MI, DGPS, DAGR, 1913, cat. C1, b. 25, fasc. Venezia. Ordine pubblico; per la complessa vicenda delle ceneri di Manin padre, di cui questo episodio costituisce una sorta di appendice, cfr. Eva Cecchinato, La rivoluzione restaurata. Il 1848-1849 a Venezia tra memoria e oblio, Il Poligrafo, Padova 2003.

Prima ancora che, con lo scoppio della guerra europea, il 1914 acquistasse il suo significato epocale, ponendo all’opinione pubblica italiana la stringente alternativa tra intervento e neutralità, il primo semestre dell’anno aveva già concentrato in sé una serie di episodi tali da dimostrare inequivocabilmente il grado di maturazione ormai raggiunto in Italia dalla politica di piazza.

Sia la piazza sovversiva che quella patriottica davano segni di crescente mobilitazione, ma mentre la prima imboccava una direzione opposta a quella poi presa dagli eventi (e dunque faticava non poco ad interpretarli), la seconda pareva quasi anticipare gli avvenimenti internazionali che le avrebbero donato un’indiscussa centralità; si mostrava cioè capace – per intuito o per consonanza – di fiutare un clima politico internazionale rispetto a cui l’escalation bellica dell’estate non sarebbe giunta così inaspettata. L’intensificarsi, nella primavera, delle uscite pubbliche dei nazionalisti, degli irredentisti e della gioventù patriottica non può forse essere considerato preveggente, o propedeutico a ciò che verrà, ma nemmeno una pura coincidenza.

Il crescendo di iniziative riguarda, ancora una volta, soprattutto Venezia e Padova. Mentre l’antica capitale prosegue sulla via segnata fin da inizio secolo da una convergenza di spinte culturali, politiche ed economiche – la riscoperta storico-poetica dell’imperialismo adriatico (D’Annunzio), il filone più propriamente irredentista del nazionalismo italiano (Foscari e Giuriati), gli interessi imprenditoriali che guardano ai Balcani (Volpi) – la città universitaria deve la sua centralità ad un fondamentale incontro, quello tra il professor Alfredo Rocco e gli studenti. Il futuro teorico dello Stato nazional-fascista è a Padova dal 1910 come titolare della cattedra di Diritto commerciale, ma è solo alla fine del

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