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Capitolo 1. PARTE TEORICA

1.6 Strumenti e processi del creative drama

1.6.1 Competenze individuali

1.6.1.1 Bilocazione cognitiva

La bilocazione cognitiva (Demetrio, 1995) è un processo che permette all’individuo di scoprirsi capace di dividersi senza perdersi, autonegarsi, annullarsi; è la capacità di essere contemporaneamente qui e “nell’allora” della reminiscenza di sé; un’ “ubiquità temporale” che ci permette di vivere il passato, il presente ed il futuro contemporaneamente; di riscoprirsi attraverso l’immagine di un altro da sé.

Duccio Demetrio (1995) sostiene che questo processo viene attivato nell’uso dell’autobiografia come strumento di cura di sé: conversare con se stessi, scrivere un testo narrativo dedicandolo a noi stessi equivale a diventare un altro e contemporaneamente a ri-scoprirsi, a esplorare luoghi inesplorati, a scoprire immagini di noi stessi che ritraggono un soggetto che a volte fatichiamo a riconoscere. Nello strumento autobiografico Demetrio (1995, cfr. pp. 19-22) individua tre tipi di bilocazioni che operano fortemente intrecciate tra loro: la bilocazione identitaria, temporale ed esistenziale.

La prima si colloca sul livello io-tu. In questo senso la bilocazione identitaria è separazione indispensabile, scoperta della propria altruità. L’autobiografo scopre di aver posseduto non una ma molteplici identità e grazie a questo riconoscimento si autostima nel riaffiorare della ricchezza dimenticata, nel riscoprire la propria molteplicità identitaria, intesa come diverse configurazioni assunte dalla propria ambivalenza nel corso della propria vita. L’interpretazione di sé è, in questo caso, assolutamente sui generis perché “l’intelligibilità è possibile nel momento in cui l’autobiografo diventa qualcun altro, anzi molti altri” (Demetrio, 1995, p.21). Da un lato c’è l’identità storico-sociale, la storia, dall’altro c’è la finzione, il fantasma di se stesso, ciò che non è più e che avrebbe voluto essere, quel personaggio che si credeva sigillato nel passato ma che invece viene riattualizzato dalla rivisitazione di se stessi. Qui subentra la seconda tipologia di bilocazione, quelle temporale, che si colloca sul piano qui-allora. Raccontando la propria storia si rivisita il presente attraverso il passato, nonostante si utilizzino capacità mentali e narrative del presente. S’individuano nel passato le orme, le tracce, più che le cause, delle continuità e discontinuità, del riaffiorare di emozioni di oggi, dei conti in sospeso. Una ridescrizione di sé che obbliga l’autobiografo ad accedere contemporaneamente a due luoghi: la vita interiore e la vita esteriore, introducendolo in quello che sopra è stata definita la terza bilocazione, quella esistenziale, il livello dentro-fuori. La vita interiore si rivela dunque nella ricerca del “dettaglio del nostro mosaico esistenziale”, nel seguire quelle tracce frammentate lasciate sul nostro cammino del tempo che si moltiplicano e ci moltiplicano; la vita esteriore invece appartiene alla “visione complessiva” che siamo stati storicamente e socialmente, a quell’insieme di parti addizionate cui abbiamo attribuito una logica o un disegno. L’identificazione dei dettagli di entrambe ci permette di ridiscuterli, di reinventarli, di reinterpretarli senza

vincoli. Esplorando immagini fino ad allora ignorate, ricomponendo quelle parti che dovevano essere separate per comprendersi, l’autobiografo scopre che molteplici sono le sue autobiografie, tutte dotate di vita propria.

In questa triplice dimensionalità si attiva una ricerca rivolta all’interno di sé, ricerca che ci permette di “sentirci vivere grazie alla percezione di essere esistiti un tempo” (Demetrio, 1995, p.23).

A mio parere, il meccanismo della bilocazione è riconoscibile nel creative drama su tutti e tre i livelli indicati da Demetrio: io-tu, qui-allora, dentro-fuori.

Tutto verte attorno alla valenza del personaggio3. Che si tratti di un figlio incestuoso, di un regina sanguinaria o di una locandiera femminista, il personaggio-nella-parte è per sua stessa essenza altro da noi. Questo indubbiamente facilita il nostro processo di differenziazione, di distacco che dovremmo tenere nei confronti di noi stessi in un processo di analisi. In pratica, l’atteggiamento di indagine che dovremmo rivolgere verso noi stessi viene facilitato se indirizzato verso il personaggio che in quel momento interpretiamo. Ci si sente protetti dalla possibilità di addurre parole ed emozioni, che solitamente non ci concediamo né ci perdoniamo, al personaggio

3 Il lavoro dell’attore si pone su più livelli: il livello persona, il livello personaggio e il livello parte. La differenza tra persona e personaggio è sufficientemente chiara, mentre tra personaggio e parte è ormai radicata l’abitudine di non fare alcuna distinzione. Ma se, ad esempio, pensiamo all’Amleto è evidente che in quanto personaggio potrebbero essere varie le azioni da compiere al di là della parte nell‘Amleto, azioni diverse da quelle di Amleto in quanto personaggio-nella-parte. Seppur distinti, il lavoro sul personaggio è inseparabile dal lavoro sul personaggio-nella-parte. Il primo, infatti, è debitore verso il secondo per quelle informazioni senza le quali l’identità del personaggio rimarrebbe vaga. “E reciprocamente il lavoro sulla parte è debitore al personaggio di quell’indole psico-fisica, in difetto della quale le azioni sarebbero legate solo dall’artificio della storia rappresentata, anziché essere organicamente connesse dalla natura di un individuo che reagisce con la sua personalità a circostanze date” (Ruffini, 2003, p.85). Entrambi i lavori devono procedere di pari passo: il personaggio deve essere autonomo dalla parte, ma non troppo; la parte deve contribuire alla definizione del personaggio, ma senza schiacciarlo. In conclusione, “la ‘costruzione del personaggio’ è, di fatto, la costruzione di un personaggio-nella-parte, che comporta, al suo interno, la costruzione di un personaggio per principio autonomo dalla parte, e però in certa misura condizionato dalla parte e finalizzato alla parte” (Ruffini, 2003, p.85).

interpretato liberandoci dalla vergogna dell’ammissione e innescando un processo di verbalizzazione di emozioni represse che potrebbe sfociare nell’abreazione4.

Come affrontare i conflitti, i traumi del personaggio-nella-parte? Come non confrontarli con i propri? Lo studio del personaggio ci conduce inevitabilmente a noi stessi, perché il processo psichico non può esimersi dal paragonare qualcosa di nuovo a quello che si conosce (o si pensa di conoscere): noi stessi, appunto.

In pratica, si può sostenere che l’approccio al personaggio-nella-parte può agevolare il riconoscimento di un me-stesso-nella-parte, dotato della potenzialità di tramutarsi in un me-stesso-nella-realtà. L’usare parole altrui (del personaggio) per esprimere sentimenti altrui (del personaggio) ma col proprio corpo, con la propria voce non è forse pura bilocazione? Raccontare il presente di qualcun altro (il personaggio) tramite una ricerca nel nostro passato non è forse bilocazione temporale?

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