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Capitolo 1. PARTE TEORICA

1.5 La funzione pedagogica del teatro: lo stato dell’arte nella comunità scientifica

1.5.3 Rigorosità scientifica

Un’evidenza sintomatica del fatto che la ricerca qualitativa che indaga l’effetto del drama come strumento educativo sia ancora agli inizi viene evidenziata da altri autori (Jindal-Shape e Vettraino, 2007; Mages, 2006; Mages, 2008) quando sottolineano una mancanza di rigore scientifico dei lavori in questione.

Jindal-Shape e Vettraino (2007) hanno revisionato la letteratura scientifica in lingua inglese dal 1990 al 2005 sull’uso del drama per promuovere lo sviluppo socio- emozionale in soggetti con bisogni speciali, intendendo per ‘drama’ qualsiasi forma di attività drammaturgica atta a promuovere il benessere emozionale e sociale di una persona (role-play, social drama, forum theatre, drama therapy..), per ‘sviluppo socio- emozionale’ tutti quegli aspetti di sviluppo che hanno un impatto sul benessere emotivo e sociale di un individuo e per ‘bisogni speciali’ qualsiasi disabilità o condizione disabilitante che può impattare lo sviluppo socio-emozionale. Un fondamentale criterio di ricerca era che i report esponessero il disegno di ricerca e che

riportassero i dati per garantire l’evidenza relativa all’influenza dello strumento educativo sperimentale e per determinare l’attendibilità e la validità dei dati stessi: dei 67 report trovati solo 8 hanno superato la selezione. Dai dati emerge che negli 8 studi rilevati ci sono buone pratiche ma anche notevoli falle. Solo 6 lavori hanno riportato un documentato disegno di ricerca e alcuni dubbi possono essere sollevati su: l’uso di indagini statistiche utilizzate su un ridotto gruppo sperimentale, misure statistiche che non mostrano differenze significative e nessuna documentazione della portata degli effetti. Inoltre, negli studi ad approccio quantitativo che hanno utilizzato somministrazioni pre e post-intervento, “è difficile determinare che il cambiamento positivo nel comportamento è un risultato della tecnica drammaturgica e non dovuto ad altri fattori quali il lavoro di gruppo. Qualsiasi altro fattore che può aver provocato il cambiamento durante il progetto è difficile, se non impossibile, da rilevare con un test pre e post-intervento” (Jindal-Shape e Vettraino, 2007, p.115, la traduzione è mia). L’approccio qualitativo sembrerebbe, a detta degli autori, più adatto a individuare collegamenti con l’efficacia dello strumento drammaturgico, sebbene si debba considerare il rischio della deriva soggettivistica del ricercatore, e l’osservazione sembra essere, tra tutti, lo strumento più adatto. Problematiche sono state riscontrate, inoltre, anche nel range d’età dei gruppi sperimentali, nell’identificazione delle specifiche variabili da indagare, nella rilevazione del mantenimento nel tempo degli eventuali effetti positivi e nel rigore dei disegni di ricerca. Gli ampi range di età dei campioni (uno studio con limiti 13-18, un altro con limiti 14-15 e gli altri con limiti 6-12), ad esempio, possono influire sulla validità dei risultati in quanto ci si chiede come una stessa tecnica drammaturgica possa influire allo stesso modo su comportamenti di soggetti di così differente età; inoltre ci sono mancanze nella motivazione che porta a scegliere quello determinato range di età.

Proseguendo, risultano insufficienti anche le motivazioni che hanno portato a scegliere determinati aspetti del comportamento socio-emozionale, cosa che evidenzia la poca chiarezza nella scelta delle variabili da indagare. Tutte le ricerche, inoltre, hanno documentato l’efficacia delle tecniche drammaturgiche contestualizzate al momento del training/intervento ma nessuna è riuscita a generalizzare i comportamenti positivi orizzontalmente su diversi setting (casa, amici..); solo uno studio ha dimostrato il mantenimento del miglioramento nelle otto settimane successive, tempo troppo ridotto per dimostrare l’efficacia della tecnica. Un’altra limitazione dei lavori analizzati è, secondo gli autori, il fatto che venga documentata solo l’efficacia della tecnica drammaturgica e non siano considerate le limitazioni o gli impedimenti all’uso del drama con determinati soggetti: nessun report espone considerazioni circa l’adeguatezza o inadeguatezza della tecnica per un individuo. È vitale riportare le tecniche che non hanno funzionato per determinati individui in quanto si possono informare i professionisti su quali tecniche utilizzare e quali evitare. Gli articoli difettano, inoltre, in bibliografia scientifica (pochi effettuano un’accurata ricerca bibliografica necessaria prima del disegno di ricerca e pochi citano colleghi) e in rigore metodologico: chi ha utilizzato l’osservazione dovrebbe riportare la check- list dei comportamenti presi in considerazione e i costrutti più complessi dovrebbero essere scomposti in componenti misurabili (la conversazione ad esempio dovrebbe essere scomposta in conversazione, risposta, ascolto..). I report, infine, dovrebbero riportare esplicitamente il disegno di ricerca “per rendere le asserzioni più credibili, per permettere al lettore di fornire un suo giudizio e per facilitare la replicazione” (Jindal-Shape e Vettraino, 2007, p.116, la traduzione è mia).

I difetti metodologici sembrano sussistere anche nelle ricerche che utilizzano il drama come strumento di sviluppo del linguaggio per i bambini (Mages, 2006; Mages,

2008). I criteri di inclusione degli studi riguardavano: la lingua (l’inglese), l’anno di pubblicazione (dal 1960 al 2008), l’uso della tecnica (il creative drama), il costrutto da influenzare (il linguaggio orale) e i partecipanti (bambini dai 2 ai 7 anni). Uno dei primi problemi emersi dall’analisi riguarda, come già accennato, la pluralità terminologica utilizzata per identificare la tecnica utilizzata. Negli studi analizzati i ricercatori, infatti, tendono ad utilizzare un ampio vocabolario di termini per riferirsi ai vari costrutti che in questa tesi, e nel lavoro di Mages, sono stati riassunti sotto la voce creative drama, comportando una difficoltà nel distinguere gli studi che hanno effettivamente utilizzato la stessa tecnica o che hanno intenzionalmente usato tecniche differenti e “rende difficile sintetizzare le ricerche o trarre conclusioni attraverso gli studi” (Mages, 2008, p.131, la traduzione è mia). Questa confusione terminologica, di costrutti e di definizioni può essere combattuta, consiglia l’autrice, dall’uso costante di definizioni operazionali e dalla esplicita definizione dei costrutti che si intende indagare; è quindi importate “che gli autori distinguano i termini che usano come sinonimi dai termini che stanno usando per comunicare concetti diversi” (Mages, 2008, p.131, la traduzione è mia). Una seconda problematica si riferisce alla descrizione del processo del training drammaturgico che, negli studi analizzati, è spesso carente di dettagli. Ricordando che nei laboratori drammaturgici che intendono utilizzare la drammatizzazione come strumento di ampliamento del linguaggio dei bambini spesso si usano testi d’infanzia su temi fantastici, fiabe, favole etc.., l’autrice denuncia notevoli insufficienze nella descrizione dei temi trattati, dei titoli dei testi utilizzati e se vengono usate o meno le illustrazioni per facilitare la comprensione e la successiva drammatizzazione. L’edizione del testo è, secondo l’autrice, fondamentale, in quanto le differenti versioni possono riportare la storia in modalità differenti. Le versioni, infatti, “possono differire nel grado di sofisticazione del linguaggio usato,

nella complessità della sintassi e nella lunghezza totale del testo” (Mages, 2006, p.5, la traduzione è mia). Inoltre, spesso mancano indicazioni sul numero di volte in cui si è trattato il tema e quante volte è stato drammatizzato, cosa che rende impossibile la replicabilità dello studio e identificare i meccanismi del cambiamento ipotizzato. L’ultima critica riportata nella review si riferisce all’attenzione rivolta al conduttore del laboratorio drammaturgico che l’autrice definisce facilitatore, termine assunto anche in ambito di questa tesi. La scelta del facilitatore rappresenta un punto critico nelle indagini che intendono utilizzare il drama come strumento trasformativo: un facilitatore non qualificato o insufficientemente esperto rischierebbe di impoverire l’intervento e, conseguentemente, di influenzare la risposta dei partecipanti e viziare i risultati. Riportare nei report il curriculum formativo del facilitatore risulta, pertanto, un passo fondamentale per incrementare la qualità della produzione scientifica in quanto “non solo informa il lettore sul suo training personale ma permette di sapere quali tecniche drammaturgiche il facilitatore ha usato nel corso dell’intervento” (Mages, 2008, p.141, la traduzione è mia). Infine, il rapporto facilitatore-partecipante è un altro fattore da tenere in considerazione in quanto può influenzare non solo l’andamento dell’intervento ma può guidare chi volesse scegliere quella tecnica in casi simili. L’autrice conclude consigliando alcune linee guida da seguire quando si intende avviare una ricerca per individuare l’effetto trasformativo del creative drama: riconoscere e valorizzare gli studi precedenti per avviare la stesura di un paradigma che incominci ad avere basi solide e condivise in quanto “una volta creato un forte paradigma di ricerca, gli operatori scolastici che lavorano in quel paradigma possono sistematicamente manipolare le variabili attraverso studi nel tentativo di identificare i meccanismi con i quali il creative drama contribuisce al cambiamento nello sviluppo del linguaggio” (Mages, 2008, p.142, la traduzione è mia); utilizzare le tecniche

descrittive degli studi etnografici in quanto narrazioni esaustive possono portare alla luce somiglianze e differenze nelle pratiche drammaturgiche e individuare nuove richieste di ricerca che potrebbero non emergere con lavori sperimentali; esporre accuratamente i costrutti che si intende studiare e utilizzare definizioni per l’uso di termini tecnici in quanto questa facilita la comunità scientifica nel creare un vocabolario comune; seguire rigorosi standard di stesura dei report nell’esposizione dei metodi, degli strumenti e dei risultati ovvero dettagliare “quali pratiche drammaturgiche sono state introdotte, chi ha facilitato l’intervento drammaturgico, la formazione e la qualifica del facilitatore e il numero di studenti assegnati al facilitatore. Include inoltre gli strumenti di raccolta dati utilizzati e la validità e attendibilità degli strumenti stessi” (Mages, 2008, p.143, la traduzione è mia). Seguire questi suggerimenti può avviare la comunità scientifica verso un mantenimento dell’alta qualità dei prodotti scientifici e, di conseguenza, può facilitatore gli amministratori scolastici nella decisione di includere l’uso del creative drama nei curriculum scolastici.

Riassumendo le potenzialità dello strumento teatrale, esso sviluppa competenze

individuali e competenze sociali. Le prime possono essere individuate in:

espressione della propria creatività, acquisizione di autonomia, indipendenza, autostima, originalità e fiducia in se stessi, sviluppo di autonomia sociale (ovvero responsabilizzazione), acquisizione di autocontrollo, spinta all’analisi introspettiva, perfezionamento della propria motricità e del senso dello spazio, superamento della timidezza, miglioramento linguistico. Le seconde comprendono, invece, la capacità d’ascolto, il rispetto delle regole, l’accettazione del confronto e della relazione, il percepirsi parte di un gruppo (solidarietà, appartenenza, accettazione reciproca), la collaborazione, il riconoscimento delle diversità. Lo sviluppo di entrambe le

competenze, che concorrono alla formazione dell’identità individuale, avviene tramite strumenti quali l'attivazione del pensiero metaforico, al quale Munari (1993) attribuisce una funzione privilegiata nel processo di acquisizione e costruzione della conoscenza, attivazione di forme rielaborative, ritestualizzazione, partecipazione attiva, gioco, valorizzazione dell’identità narrante, recupero della tradizione orale. Sotto quest’ottica, il teatro può essere considerato come strumento di attivazione simbolico-semiotica, emotiva, dinamico-relazionale, culturale-interculturale, in pratica uno strumento educativo che permette la crescita dell’individuo nel suo complesso. Introdurre l'esperienza teatrale nelle scuole puntando sulla categoria del creative drama, e non focalizzandosi sul prodotto scenico, potrebbe essere un sistema per coinvolgere gli adolescenti e far avvenire quei vissuti di risonanza di cui parla Pietropolli Charmet. Generalmente le esperienze teatrali fanno già parte delle offerte formative in atto nelle scuole, ma solo come offerte pomeridiane extra-scolastiche. Questo innesca la nascita di gruppi informali formati in base a processi di cooptazione spontanea tra individui sensibili ai codici proposti. Il mio obiettivo è stato, invece, quello di introdurre tale esperienza, ovvero il creative drama, all'interno di un gruppo formale, il gruppo-classe, facendo rientrare il laboratorio nella proposta didattica e, quindi, legittimandone la presenza agli occhi di studenti che hanno scelto, come vedremo più avanti, un indirizzo di formazione altamente tecnicistico.

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