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CAPITOLO 2 – Biopolitiche del lavoro

2.2. Biopolitica e bioeconomia: oltre Foucault

2.2.1. Bioeconomia

Innanzitutto, è opportuno precisare in che modo vada intesa l’economia come attore biopolitico. Gli autori che se ne occupano parlano, a questo proposito, di “bioeconomia” . Con questo termine non si vuole però alludere a un’economia ecologica, nel senso di un’attività produttiva “sostenibile”, dall’impatto ambientale equilibrato38. Si intende piuttosto un’attività di produzione di valore attraverso l’appropriazione delle particolarità – culturali in senso molto ampio – che nei differenti territori del pianeta le attività cooperative e competitive delle comunità umane hanno prodotto. Le competenze “generiche” di ciascun individuo (come appartenente al genere umano) e della popolazione sono utili per produrre valore. “Solo oggi, in epoca postfordista, la realtà della forza-lavoro è pienamente all’altezza del suo concetto”, scrive Paolo Virno39. Il “concetto” di forza lavoro è quello espresso nella definizione marxiana, secondo cui essa indica “l'insieme delle attitudini fisiche e intellettuali che esistono nella corporeità, ossia nella personalità vivente d'un uomo, e che egli mette in movimento ogni volta che produce valori d'uso di qualsiasi genere”40

, vale a dire capacità di compiere movimenti e sostenere sforzi fisici, ma anche di ricordare, apprendere, comunicare, collaborare. Se bioeconomico è allora l’utilizzo della forza lavoro nella sua interezza, quanto avviene in epoca postfordista rappresenta tale fenomeno più compiutamente rispetto al periodo e al modello fordista. Il bios – la vita relazionale e comunicativa umana – e il corpo divengono oggetti da controllare poiché sono il sostrato di una facoltà potenziale,

38 Così l’ha intesa, per esempio, Nicholas Georgescu-Roegen in Bioeconomia: verso un’altra economia

ecologicamente e socialmente sostenibile, Torino, Bollati Boringhieri, 2004, cit. in F. CHICCHI, Bioeconomia:

ambienti e forme della mercificazione del vivente, in A. AMENDOLA ET AL., Biopolitica, bioeconomia e processi di

soggettivazione, cit., pp. 143-157, qui p. 146.

39

P. VIRNO, Grammatica della moltitudine, cit., p. 80.

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processuale, che è la forza lavoro. Comprendiamo meglio, dunque, cosa significhi che “storicamente, il welfare state è stato il modo in cui lo Stato ha dovuto riconoscere l’esistenza biologica della classe operaia (e non solo l’esistenza produttiva)”41

. In altre parole, la biopolitica ha fatto la sua comparsa in tutta la sua urgenza e necessità con l’emergere della forza lavoro operaia, dei suoi bisogni vitali e dei problemi collegati al loro soddisfacimento, per quanto, per certi versi, sembri esserne anche il presupposto. Oggi la bioeconomia si presenta dunque come capacità/possibilità di utilizzare profittevolmente le abilità e le attitudini di ciascun individuo – per esempio le qualità femminili dell’ascolto e della cura. Esse divengono attività con un mercato, come quello dei servizi alla persona, in cui essere scambiate. Col termine bioeconomia, inoltre, si indica il fenomeno attraverso cui la razionalità economica tende ad estendersi all’intero ambito della vita, a divenire, come sostiene Foucault in un passo citato sopra, “modello dei rapporti sociali e dell’esistenza stessa, una forma del rapporto dell’individuo con se stesso”42. In questo senso, l’economia funge anche da “dispositivo” per produrre soggetti, comportamenti, modi di pensare, scelte e così via.

Bioeconomico è pure il rapporto fra economia e “popolazione”. Esso si articola su molteplici livelli. Da un lato, significa utilizzo delle specificità prodotte dalla storia di un popolo ai fini della loro messa in valore, come quando, per esempio, alcune grandi compagnie transnazionali trasferiscono i loro call center in Pakistan o in India, in cui tradizionalmente il comportamento delle donne è caratterizzato da oblatività, capacità di ascolto e immedesimazione43, oppure quando ciò che è frutto dell’inventiva di un popolo diviene cifra di una serie di prodotti che ottengono in questo modo un particolare significato simbolico che ne incrementa il valore (il “gusto” italiano ne è un esempio).

Bioeconomia è però anche, sempre più, la gestione dei grandi aspetti biologici dei popoli attraverso logiche e pratiche economiche. La finanziarizzazione dell’economia manifesta, per esempio, un evidente elemento biopolitico. Christian Marazzi sostiene che i grandi processi di finanziarizzazione su scala nazionale e su scala globale siano stati resi

41

C. MARAZZI, L’ammortamento del corpo macchina, cit., p. 218.

42

M. FOUCAULT, Nascita della biopolitica, cit., p. 196. Si veda anche F. CHICCHI, Introduzione. Scenari,

resistenze e coalizioni del lavoro vivo nel capitalismo contemporaneo, in F. CHICCHI – E.LEONARDI (a cura di),

Lavoro in frantumi, cit., pp. 7-24, in particolare pp. 8-16.

43

C. MORINI, Per amore o per forza. Femminilizzazione del lavoro e biopolitiche del corpo, cit., p. 59. Per quanto riguarda la corsa all’utilizzo della forza lavoro indiana nell’industria dei servizi alle imprese, in particolare dell’immissione dati, si veda anche B. J. SILVER, Le forze del lavoro. Movimenti operai e globalizzazione dal

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possibili grazie “ai grandi collettori che sono i risparmi collettivi, i fondi pensione”44 . Profondamente indebolite le due istituzioni che erano al contempo “collaterali” e “consustanziali” al capitalismo della prima modernità, per dirla con Ulrich Beck, nella quale dominava il modello fordista, ciò che rimane è un allargamento del rischio e una gestione sempre più finanziarizzata di quegli aspetti biologici dell’esistenza che riguardano tanto il corpo singolo quanto la popolazione (salute, vecchiaia, incidenti).

Cos’è in gioco con l’investimento sui mercati borsistici? È in gioco la nostra vita futura, il nostro reddito futuro, la nostra pensione, la possibilità di vivere dignitosamente una volta usciti dal mercato del lavoro per entrare in pensione e non solo: è in gioco, per la prima volta in modo perentorio, esplicito, il bios e questo attraverso la finanziarizzazione dell’economia, e attraverso di essa, della società. È in gioco cioè la nostra vita presente: la persona che risparmia per investire nei fondi pensione è la stessa persona che subisce i contraccolpi e i dettami dei mercati finanziari e quindi, contemporaneamente, da una parte ha interesse a degli alti rendimenti dei propri risparmi investiti e dall’altra subisce questi stessi alti rendimenti in termini di precarizzazione del lavoro, dell’occupazione, di aumento della produttività e quant’altro45.

La finanziarizzazione, inoltre, ha un altro volto biopolitico, legato alla possibilità che l’estrema volatilità dei capitali metta in crisi le economie di interi paesi. Ciò vale in modo più marcato per gli Stati che esportano materie prime: una crisi del loro valore può significare un crollo generalizzato, cui possono seguire speculazioni sulla moneta, aumenti del debito nazionale, tutti elementi che hanno concretamente un impatto sulle popolazioni e sul loro tenore di vita46. Nulla di nuovo, ovviamente: basti pensare a quanto è accaduto, per esempio, in Brasile dopo la crisi del Ventinove, con il crollo del valore del caffè e la sua distruzione, e alle migrazioni interne di massa negli USA, legate sempre alla Grande Depressione. Che l’economia abbia cioè un impatto sulla popolazione, più che presentarsi come la cifra della biopolitica, pare essere un’ovvietà che dalla rivoluzione neolitica ad oggi non fa che ripresentarsi su scala diversa per grado, più che per qualità dei fenomeni. Chi scrive crede che le cose siano un po’

44

C. MARAZZI, Il corpo del valore: bioeconomia e finanziarizzazione della vita, in A. AMENDOLA ET AL., Biopolitica,

bioeconomia e processi di soggettivazione, cit., pp. 135-142, qui p. 139.

45

Ibidem.

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più complesse, e che vi siano due buone ragioni per ritenere che la bioeconomia, guardata dal punto di vista del suo potere biopolitico, sia qualcosa di nuovo, sia un elemento proprio della nostra contemporaneità.

La prima ragione è legata al rapporto economia/società, e si basa fondamentalmente sulla prospettiva elaborata da Karl Polanyi47. La sempre più profonda “economizzazione” della società è un fenomeno realmente recente, legato ad un processo che ha avuto inizio poco più di due secoli fa ma che si è manifestato in tutta la sua potenza specifica negli ultimi trenta-quarant’anni, quando gli spazi non integralmente mercantilizzati si sono profondamente ridotti. “Quel po’ di Medioevo che la società industriale ha non soltanto preservato, ma prodotto, viene dissolvendosi. Le persone vengono affrancate dagli involucri cetuali di genere trasfigurati in natura”48. Solo nella “seconda” modernità la vita è sempre più sottoposta, senza residui, agli imperativi economici.

Individualizzazione significa dipendenza dal mercato in tutte le situazioni della vita. Le forme dell’esistenza che stanno sorgendo sono il mercato di massa isolato, non consapevole di sé, e il consumo di massa di abitazioni, arredamenti, articoli di uso quotidiano progettati secondo criteri uniformi, ma anche di opinioni, abitudini, orientamenti e stili di vita promossi e adottati attraverso i mass media. In altre parole, le individualizzazioni consegnano le persone ad un controllo e ad una standardizzazione

esterni, sconosciuti nelle nicchie delle sottoculture familiari e cetuali49.

Nel processo bioeconomico, così, la vita (individuale e sociale-biologica, nella loro indisgiungibile connessione) diviene strumento di produzione e, allo stesso tempo, prodotto, risultato finale. Potremmo dunque affermare con Polanyi che per buona parte della storia dell’umanità l’economia non è stata né il principio regolatore della società, né il suo sottosistema dominante. Essa era piuttosto inserita (embedded), come molte altre pratiche, all’interno del sistema della produzione e della riproduzione sociali. È dunque una situazione

47

K. POLANYI, La sussistenza dell’uomo. Il ruolo dell’economia nelle società antiche, Torino, Einaudi, 1983 (ed. orig. 1977).

48

U. BECK, La società del rischio, cit., p. 175.

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relativamente recente quella che stiamo descrivendo, e che abbiamo chiamato bioeconomia, in cui la società tende a farsi integralmente “economica”50

.

La seconda ragione che ci spinge a considerare l’impatto biopolitico dell’economia come il proprium della nostra epoca (ed in stretto legame con quanto abbiamo chiamato postfordismo), sta nella rapidità di tali fenomeni. Se è ragionevole obiettare che l’interdipendenza (economica) tra le aree del globo ha sempre avuto un impatto sulla vita delle popolazioni, ciò a cui stiamo assistendo oggi, forse, è non solo un’interdipendenza sempre più profonda, ma anche una possibilità di incidere sulle economie e sulle vite delle persone con una celerità e una capacità di manipolazione sconosciute in altre epoche51.