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CAPITOLO 2 – Biopolitiche del lavoro

2.3. Lavoro e paradigma bioeconomico

2.3.1. Vita e lavoro

Bisogna perciò parlare del rapporto vita/lavoro e di come tale legame vada ampliandosi, erodendo i confini fra i due termini. La “vita messa al lavoro” rimanda a una pretesa sempre più totalizzante del lavoro nei confronti di qualcosa che si è pensato e si pensa come esterno ad esso, ma che con una velocità progressivamente maggiore viene “sussunto” dal lavoro. La vita, il bios, è messa al lavoro sia sotto il profilo estensivo che sotto quello intensivo.

Estensivamente significa allungamento del tempo di lavoro, fenomeno che caratterizza l’epoca postfordista in modo trasversale. In India, Cina, Sud America ed Est Europa la giornata lavorativa media è di 12 ore, straordinari esclusi. Non sono tuttavia rari i casi in cui il tempo di lavoro giunga alle 16 o 24 ore, come nelle fabbriche della coreana Samsung, o negli stabilimenti cinesi della Yue Yuen Industrial Holdings Co. e della KTP Holdings, subfornitori di noti marchi americani di calzature e abbigliamento sportivo76. Il discorso può essere ampliato a piacimento: basti prendere in considerazione le 15 mila aziende che producono per la Wal- Mart, grande catena americana di distribuzione, in cui gli orari medi settimanali di lavoro vanno dalle 80 alle 130 ore. Sarebbe errato credere che siano fenomeni che interessano unicamente i Paesi in cui la coscienza dei diritti dei lavoratori, la loro unità e capacità di organizzazione siano ancora “arretrati” per ragioni storiche e/o politiche.

qualcosa a cui la preparazione e l’abilità possono rimediare, anche se non è indicato, nell’articolo, quanti dei partecipanti alla ricerca hanno assunto tale posizione.

75 La tematica biotecnologica e genetica, la capacità del mercato di manipolare la vita e l’affermazione di una

razionalità economica anche in tale settore, pur essendo evidentemente attinente alle questioni che andiamo sviluppando, sarà intenzionalmente trascurata, poiché marginale relativamente al presente discorso.

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Nei paesi di più antica industrializzazione la tendenza è la medesima. Negli Stati Uniti, paese-guida relativamente alle trasformazioni di cui stiamo parlando, il lavoratore “medio” ha visto allungarsi il suo tempo di lavoro del 20% dagli anni Settanta ai primi anni del Duemila77. Una tendenza alla crescita delle ore lavorate per ciascun lavoratore e pro-capite si è registrata in molti paesi OCSE78. Non solo si allunga la giornata lavorativa, ma nel tempo extralavorativo le tecnologie informatiche – e-mail, cellulari ecc. – permettono una rintracciabilità quasi costante del lavoratore.

Dall’altro punto di vista, si va assistendo a una “intensificazione (che vuol dire fare più cose nel medesimo lasso di tempo) e densificazione del lavoro (che significa invece soppressione di ogni tipo di pausa nel calcolo dell’orario […])”79

. Federico Chicchi, nella sua ricerca sul lavoro operaio nella società postfordista, ha mostrato quali siano le sue caratteristiche, che riguardano l’autoattivazione, la maggior responsabilizzazione e di conseguenza un carico di stress maggiore senza una controparte in aumenti salariali o reale autonomia decisionale. Un altro aspetto fondamentale analizzato dal sociologo è la polivalenza funzionale del lavoro operaio, per cui si riassociano compiti prima divisi e, nella stessa persona, si rendono operative mansioni di produzione, esecuzione e controllo. Se ciò vale per la fabbrica, luogo per eccellenza della standardizzazione, è facile comprendere come tale “polivalenza” sia caratteristica di ampi segmenti lavorativi, specialmente nel settore dei servizi. Infine, il lavoro diviene “relazione comunicativa”, cooperazione.

Affinché la cooperazione sia auto-attivata (e quindi più veloce e flessibile) ma nello stesso tempo eterodiretta, l’impresa deve sussumere, dunque, non solo le abilità “tecniche” della

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Ivi, p. 45.

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OECD Employment Outlook 2004, disponibile all’indirizzo http://www.oecd.org/els/emp/34846847.pdf (ultima visita novembre 2013), p. 48. Nella pubblicazione a cura della EUROPEAN FOUNDATION FOR THE IMPROVEMENT OF

LIVING AND WORKING CONDITIONS, Fifteen years of working conditions in the EU: charting the trends, in

http://www.eurofound.europa.eu/pubdocs/2006/85/en/1/ef0685en.pdf (ultima visita novembre 2013), si sostiene che per gli anni 1991-2005, relativamente all’UE, si va verso una minor durata della settimana lavorativa, anche se per la maggior parte questo dato è legato alla diffusione del lavoro part time. Si registra, ad ogni modo, una diminuzione dei lavoratori i cui turni superano le 48 ore settimanali, che restano, per il 2005, il 14% del totale.

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L. GALLINO, Il costo umano della flessibilità, cit., p. 59. Ricerche empiriche hanno mostrato come i lavoratori europei abbiano registrato un’intensificazione dei compiti lavorativi fra il 1995 e il 2000, e più in generale fra il 1990 e il 2000. Si veda, per conto della EUROPEAN FOUNDATION FOR THE IMPROVEMENT OF LIVING AND WORKING

CONDITIONS, P. PAOLI – D. MERLLIÉ (a cura di), Third European Survey on Working Conditions – 2000, in

http://www.eurofound.europa.eu/pubdocs/2001/21/en/1/ef0121en.pdf (ultima visita novembre 2013), p. 13. Il

trend riguardante l’intensificazione dell’attività lavorativa è ribadito, per gli anni 1991-2005, nella pubblicazione, a cura sempre della EUROPEAN FOUNDATION FOR THE IMPROVEMENT OF LIVING AND WORKING CONDITIONS, Fifteen

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forza-lavoro, ma anche le sue più profonde dimensioni simboliche, che sono le risorse utili a sviluppare un’efficace ed organica cooperazione produttiva. In questo senso possiamo allora parlare […] di sussunzione biopolitica del lavoro al capitale, vale a dire un assorbimento completo e non remunerato, nei processi di creazione del plus-valore, delle facoltà più “intime” del lavoro vivo: quelle politiche, relazionali, emotive, affettive ecc.80

.

Probabilmente è questa l’accezione più precisa sotto cui possiamo considerare l’espressione “biolavoro”. Seguendo e procedendo oltre il pensiero di Marx, si potrebbe dunque distinguere, da questa prospettiva interpretativa, un processo che andrebbe dalla “sussunzione formale” del lavoro al capitale, quando cioè il sistema capitalistico si limita a inserire nel proprio circuito di valorizzazione sistemi produttivi tradizionali e extracapitalistici (si pensi, per esempio, al cosiddetto “capitalismo commerciale” del Medioevo e della prima età moderna), alla “sussunzione reale”, nella quale l’intero processo produttivo – tecnologia, forza lavoro, orario di lavoro ecc. – è informato, ossia prende forma, dalla logica capitalistica (culminante, a nostro avviso, con il fordismo/taylorismo), per concludersi con la “sussunzione biopolitica”, in cui anche le “forme di vita” considerate esterne al processo produttivo vengono inserite in esso e divengono fattori di valorizzazione81. È quanto, secondo Paolo Virno, potremmo cercare di leggere nel passo dei Grundrisse in cui Marx parla del General intellect, quando il pensatore tedesco scrive che, una volta giunti al completo dispiegamento della forza produttiva della tecnica e delle macchine “non è né il lavoro immediato, eseguito dall’uomo stesso, né il tempo che egli lavora, ma l’appropriazione della sua produttività generale, la sua comprensione della natura e il dominio su di essa attraverso la sua esistenza di corpo sociale – in una parola, è lo sviluppo dell’individuo sociale che si presenta come il grande pilone di sostegno della produzione e della ricchezza”. Nel passo citato Marx considera principalmente le sfere produttive tradizionali (agricoltura e grande industria), e quella conoscenza che ha forma scientifica e, perciò stesso, può essere impiegata concretamente, in special modo nelle macchine. Egli però, nello stesso luogo, si riferisce anche al “sapere sociale generale” che diviene “forza produttiva immediata”82. L’ambiguità del

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F. CHICCHI, Lavoro e capitale simbolico, cit., p. 91.

81

Per la distinzione marxiana si veda K. MARX, Il Capitale, libro I, cit. in ID., Antologia, Milano, Feltrinelli, 20103, p. 192

82

I due passi citati sono in K. MARX, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica 1857-1858, vol. II, Firenze, La Nuova Italia, 1997, rispettivamente p. 401 e p. 403.

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sapere cui si riferisce Marx può essere letta come oscillazione fra una concezione di esso

come “conoscenza”, “scienza”, e una che lo considera come insieme di abilità e capacità umane in generale, essenziali alla produzione di valore quanto la prima – come abbiamo visto in diversi passaggi del presente lavoro83.