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CAPITOLO 2 – Biopolitiche del lavoro

2.4. Problemi e criticità del dispositivo bioeconomico

2.4.1. Una nuova alienazione

Secondo la nota disamina dell’alienazione svolta da Marx nei Manoscritti, il suo elemento fondamentale è la separazione. La divisione fra vita e lavoro, l’estraneità fra esistenza e attività lavorativa – causate, come sappiamo, dall’essere le masse lavoratrici prive dei mezzi di produzione – produce una dissociazione fra il tempo di vita e il tempo di lavoro123. Dal lavoro alienato deriva, secondo Marx, la “vita estraniata”124

. Nel corso del Novecento, in pieno apogeo fordista, le condizioni dei lavoratori restavano dure. Il lavoro di fabbrica era ancora il regno della necessità, ma il progressivo aumento della produttività, la diminuzione dell’orario lavorativo e l’allentamento della fatica fisica dovuti al macchinismo e alle lotte sindacali avevano generato delle condizioni inedite. Il tempo di vita – una vita sostenuta da programmi di assistenza, per lo più pubblica – riguadagnava spazi per il soggetto sotto forma di tempo libero. È una necessità della produzione fordista, che accanto alla produzione in scala necessita di un consumo di massa. A ben vedere, è difficile stabilire se la libertà guadagnata fosse una reale espansione della vita, o se non si trattasse piuttosto di un allargamento delle esigenze del ciclo produttivo che “colonizzavano” l’immaginario e i consumi per spingere le vendite.

All’interno del paradigma postfordista, seguendone gli aspetti biopolitici, abbiamo notato come vita e lavoro tendano a ridurre la separatezza delle rispettive sfere. La mobilitazione della vita intera, di tutte le sue dimensioni genericamente umane nell’ambito lavorativo, conduce a un nuovo tipo di alienazione, in cui ciò che si soffre non è più la separazione, ma la tendenziale coincidenza, di cui le donne, tradizionalmente, hanno avuto esperienza. Se si mette al lavoro il sapere “vivo”, esso evidentemente non può essere scorporato dal lavoratore.

La “presenza totale” del lavoratore potrebbe dunque essere interpretata come il farsi “vivo” di parte del capitale fisso. Si potrebbe spiegare ciò con un paragone: come nel linguaggio c’è un capitale costante – la grammatica, la letteratura, le parole – e l’attività

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K. MARX, Manoscritti economico-filosofici del 1844, Torino, Einaudi, 2004, pp. 68-79.

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concreta del parlare che rende, appunto, “viva” la lingua, allo stesso modo le facoltà relazionali, cognitive, emozionali del lavoratore sono un bagaglio di “capitale costante” che dev’essere continuamente reso operativo nello svolgimento delle sue mansioni. Se Marx nei

Grundrisse sosteneva che il sapere scientifico accumulato dalle forze produttive è “rappreso”

nelle macchine e separato così dal lavoratore, come accade nel fordismo, nel postfordismo la separazione ha un senso ma è trasferita nel vivente. Ciò comporta dei costi non contabilizzati da chi utilizza la forza lavoro – e genera delle esternalità negative di carattere “biopolitco”. Non solo il corpo necessita di una manutenzione costante che, come abbiamo visto, va al di là del concetto tradizionale di “salute”, ma anche la dimensione psichica abbisogna di interventi simili, che si concretizzano in due azioni: interventi terapeutici e farmacologici da un lato, continuo accrescimento delle conoscenze dall’altro. Dei primi abbiamo già parlato. Riguardo alle seconde, le logiche neoliberali di privatizzazione della formazione rischiano di fare in questo modo cortocircuito, riversando sui membri di una “società civile” più esposta, attraverso il progressivo accollamento privato degli oneri per l’acquisizione di conoscenze, i costi di ciò a cui il sistema economico può sempre meno rinunciare. Indagini empiriche confermano una simile tendenza. Nel 2010 un lavoratore europeo su dieci (9%) aveva finanziato autonomamente la propria formazione professionale, mentre nel 2005 la percentuale era del 4,5%: il risultato indica un aumento del 50% registrato nel periodo 2005- 2010125. Quest’ultimo tema, però, non rientra propriamente nella ‘nuova alienazione’ di cui stiamo discutendo, ma è piuttosto legato a un ulteriore problema, che potremmo definire di ‘consumo della società’, che svilupperemo nel prossimo paragrafo.

Diversi autori, infine, evidenziano come proprio il mutato rapporto fra vita e lavoro renda difficilmente utilizzabile il concetto tradizionale del tempo di lavoro come criterio su cui basare la retribuzione. Nel momento in cui viene richiesto anche al salariato di “prendersi cura” delle sue mansioni, e considerando che molte attività emozionali e di cura divengono lavori salariati, emerge un’eccedenza di quanto la forza-lavoro immette nel circuito produttivo rispetto a quanto è retribuito. Ciò vale a maggior ragione quando ci riferiamo al prodotto immateriale e il lavoro di conoscenza, in cui è difficile separare il prodotto dal suo artefice. Il

software torna a casa con il suo progettista, è nella sua testa; il coinvolgimento emotivo non

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EUROPEAN FOUNDATION FOR THE IMPROVEMENT OF LIVING AND WORKING CONDITIONS, Fifth European Survey on

Working Conditions – 2010 http://www.eurofound.europa.eu/surveys/ewcs/2010/training_it.htm (ultima visita novembre 2013)

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può non lasciare le sue tracce psichiche, e i segni del logoramento tipico dei care givers lo dimostra. Il lavoro è indissociabile dalla persona che lo incorpora, tende a travalicare le frontiere sancite dall’orario contrattualizzato e la sua natura a sfuggire alla contrattualizzazione/formalizzazione.

Notiamo inoltre come da un lato il non lavoro, vale a dire il tempo libero, divenga momento di autoformazione, creazione di significati, condivisione di saperi ecc., che aumentano il valore d’uso delle forze lavorative individuali e collettive, dall’altro vi sia il tentativo del mercato e delle aziende di porre sotto controllo queste attività, assoggettando “l’insieme dei tempi sociali alla logica eterogenea della valorizzazione del capitale”. In altre parole, il tempo di ricreazione e riproduzione della propria forza lavoro è subordinato non solo indirettamente, ma anche direttamente, ai meccanismi economici e di mercato. Management per progetti, obbligo al risultato, precarizzazione ecc. sono diverse forme dello stesso tentativo “di imporre e di beneficare gratuitamente della implicazione/subordinazione totale dei salariati, senza riconoscere e senza pagare il salario corrispondente a questo tempo di lavoro non integrato e non misurabile nel contratto ufficiale di lavoro”126

. Questo sistema, tuttavia, si rivela un falso risparmio sul medio-lungo periodo. Specialmente nelle aziende che si muovono nei settori più innovativi e competitivi, per immobilizzare il capitale fisso (vivente) si devono introdurre incentivi meritocratici e legare la retribuzione al valore azionistico dell’azienda, ma ciò va in cortocircuito con la necessità di produrre dividendi: alti stipendi non suffragati da equivalenti valori reali fanno emergere l’autoreferenzialità dei valori borsistici fino a mostrare la corda con l’esplodere della crisi. Con essa, il capitale umano è dissipato e rottamato, e aumentano così il turnover e i costi per la salute psicofisica dei lavoratori127.