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CAPITOLO 1 – Un mutamento di paradigma: dal fordismo al postfordismo

1.2. Il postfordismo: principali linee interpretative

1.2.4. Servilizzazione

Il fenomeno della servilizzazione, ovvero l’introduzione nel rapporto col lavoratore di elementi di dipendenza personale, che si va diffondendo in modo esteso, può essere ricondotto a diversi fattori. Gorz, per esempio, prova a dare una spiegazione ampia, facendo riferimento alla teoria della cosiddetta “società duale”. In altre parole, l’aumento della produttività del lavoro, dovuto al potenziamento della tecnologia, espelle continuamente lavoratori dal processo produttivo, liberando una quantità di tempo libero che diviene, per chi è fuori dal circuito dei salariati industriali, una vera maledizione – poiché è il tempo di lavoro “produttivo” e remunerato a determinare la sopravvivenza delle persone. La costituzione di un nucleo, sempre più ridotto, di lavoratori ben pagati (e privi di tempo, di cui sono sovrabbondanti, invece, i marginalizzati), apre lo spazio allo sviluppo di un terziario “povero” o “umile”, fatto di servizi alla persona, di cui i lavoratori più garantiti e pagati non hanno più modo di occuparsi. La stessa dinamica, inoltre, produce una massa disposta a svolgere mansioni – paragonate a delle corvées – per poter sopravvivere. Le prestazioni servili sarebbero dunque il frutto dello “scarto” dei processi di contrazione del lavoro: l’eccesso di manodopera, però, porta nuovamente a inchiodare queste vite “di scarto” alle ferree regole della società del lavoro114.

È quanto sta accadendo oggi nelle grandi metropoli del mondo. “Il sistema dei broker, consulenti finanziari, esperti di sistemi informatici, programmatori, agenti immobiliari ed esperti di assicurazioni può funzionare solo con una grande quantità di persone che provvedono alle pulizie, alle riparazioni, agli approvvigionamenti e alla sicurezza: una nuova società neofeudale di servi […]”115

. Si ripresenterebbe, insomma, nel cuore della postmodernità, una situazione tipica delle realtà urbane di centocinquant’anni fa, o di alcune realtà coloniali116. Non c’è dubbio che il funzionamento di un’economia dei servizi altamente specializzata richieda in modo imprescindibile una quantità di altri servizi – di cura, di ristorazione, di facchinaggio – che sono visti erroneamente come uno scarto del processo

114

M. BASCETTA, L’anima per un salario, in ID. ET AL., Nuove servitù, Roma, Manifestolibri, 1994, pp. 7-15, qui p. 12.

115

U. BECK, Il lavoro nell’epoca della fine del lavoro, cit., p. 61. 116

A. GORZ,Perché la società del lavoro salariato ha bisogno di nuovi servi?, in M. BASCETTA ET AL., Nuove

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lavorativo “alto”, ma che in realtà sono assolutamente necessari, come spiega Saskia Sassen a proposito delle città globali117, dove accanto ai nuovi coolies – manovalanza a basso costo – lavorano, peraltro, migliaia di persone in condizione di vera e propria schiavitù, profondamente intrecciata ai flussi globali della ricchezza118.

A ben vedere, però, questa spiegazione è valida parzialmente, ma nel complesso insoddisfacente. Distinguere un lavoro servile, in cui si ripresentano i tratti del dominio e della sottomissione personale, e un lavoro non servile, in cui la formalità del rapporto contrattuale garantirebbe spazi di autonomia e di protezione da una sorta di “feudalesimo industriale”119

, significa trascurare la dinamica trasversale della trasformazione, che coinvolge tutte le professioni e i settori con gradi diversi, più che riguardare settori distinti come scompartimenti. È l’irrompere della conoscenza e della relazionalità nel lavoro, è l’uso delle differenze e della soggettività per produrre valore che riconsegna al servilismo il lavoro contemporaneo. Il lavoro, mettendo in gioco l’intera esistenza personale, torna a generare una dipendenza altrettanto personale. Ogni lavoro, allora, può configurarsi come servile, senza più la possibilità, offerta tempo addietro dal mercato formalizzato (contratti, associazioni di categoria ecc.), di fornire una via d’uscita dai rapporti di dipendenza personali. Al più sfumato rapporto fra lavoro e non lavoro corrisponde un aumento degli obblighi sociali, quasi sconosciuti alla precedente condizione operaia: vestiario, svaghi, letture ecc.: “ogni aspetto della vita personale può diventare funzione della figura professionale, mezzo di produzione e viatico per un succedersi di uscite e entrate nel mondo del lavoro”120

. Sempre Gorz nota infatti che, all’interno dell’economia della conoscenza, o dell’immateriale, poiché è la soggettività stessa, la capacità di produrre sé stessi come soggetti che gestiscono informazioni, a determinare lo svolgimento del lavoro, muta il modo tradizionale di computare il valore del lavoro salariato come tempo della prestazione. Questo criterio valeva per il lavoro standardizzato, dove era possibile pianificare e stabilire procedure e tempi in modo oggettivo. Il coinvolgimento della soggettività nel processo lavorativo, tuttavia, unito a forme di contrattazione sempre più individualizzate (legate alla singola fabbrica, alla singola équipe ecc.) e flessibili, favorirebbe, secondo Gorz, “il ritorno del lavoro come prestazione di servizi, il ritorno del servicium,

117

S. SASSEN, Le città nell’economia globale, cit.

118

K. BALES, I nuovi schiavi: la merce umana nell’economia globale, Milano, Feltrinelli, 2000, pp. 26-28. 119

C. MARAZZI, Il posto dei calzini, cit., p. 36.

120

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obsequium dovuto alla persona del signore nella società tradizionale”121. Il rapporto diretto, non mediato da regole (si legga “diritti”), fra le soggettività al lavoro, è esattamente lo spazio per il rapporto di dipendenza personale. La contrattazione sempre più individualizzata, inoltre, permette l’emergere di fenomeni di dipendenza che, in quanto non contrattualizzati, assumono una connotazione, oltre che formale (la quale è sempre presente), anche materiale (la quale era attenuata dalla volontarietà formale della sottoscrizione dell’accordo, e protetta istituzionalmente). “La tendenza all’instaurazione di rapporti di lavoro servili è implicita nel nuovo modo di produrre postfordista, ed è rintracciabile nella forma salariale che accompagna questa trasformazione”122

. Vediamo infatti come da una parte spetti esclusivamente ai salariati assorbire gli shock macroeconomici, gli alti e i bassi congiunturali: essi divengono esclusivamente una “variabile d’aggiustamento” in termini di investimento, e vi regna un’incertezza che ha come contraltare la “devozione”, la “fedeltà”. Studi empirici confermano tale prospettiva: la parasubordinazione, per esempio, allarga lo spettro del lavoro gratuito e della svalorizzazione professionale, che vengono peraltro attivati dai lavoratori stessi, che si “immolano”123 come forma di investimento di cui non conoscono, però, l’effettiva redditività, che significherebbe stabilizzazione del rapporto lavorativo. “I rapporti di lavoro sono caratterizzati da una forte mancanza di trasparenza, che induce i lavoratori a tentare strategie tipiche del capitalismo preindustriale, orientate cioè alla disponibilità e all’instaurazione di rapporti di subordinazione informale con il datore di lavoro”124

. Anche il salario, come dicevamo poc’anzi, viene fortemente individualizzato: una sua parte è legata alle competenze del lavoratore, un’altra si determina sul posto di lavoro in relazione all’impegno, allo zelo e alla partecipazione dimostrate durante il processo produttivo, ossia

dopo il momento della contrattazione. È proprio questo elemento variabile del reddito del

lavoratore a rendere servile il lavoro, in un processo che attraversa sia i lavori industriali che quelli di servizio, i quali, per certi versi, diventano indistinguibili125.

121

A.GORZ,L’immateriale, cit., p. 13.

122

C. MARAZZI, Il posto dei calzini, cit., pp. 37-38.

123

Sono le parole di una lavoratrice, in G. DE ANGELIS Disponibilità e lavoro gratuito: la difficile via della

responsabilizzazione per i lavoratori parasubordinati, in M. LA ROSA (a cura di), La ricerca sociologica e i temi del

lavoro, supplemento a “Sociologia del lavoro”, n. IV, 2011, Milano, Franco Angeli, pp. 51-68, p. 61.

124

Ivi, p. 65.

125

C. MARAZZI, Il posto dei calzini, cit., pp. 38-39. Riguardo al fenomeno della “terziarizzazione” si veda anche F.

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