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1.8 1986-1990: Branciatrilogia prima e seconda

Nel documento L'Ambleto di Giovanni Testori (pagine 37-42)

Giovanni Testori fu sempre estremamente disponibile e attento ai bisogni di giovani pittori privi di un loro mercato; la sua casa e il suo studio era colma delle opere di questi pittori, acquistati per sostenerli.

In particolare si dedicò a giovani pittori tedeschi, i quali sembravano riportare in voga l’espressionismo della tradizione germanica degli anni Venti e Trenta.

Diventò così il massimo esperto italiano del Neoespressionismo tedesco. Si occupò di due movimenti, i “Selvaggi” e i “Nuovi Ordinatori”.

Come accade con Parenti, un altro incontrò diventò fondamentale per Testori: nel 1984 fece conoscenza con l’attore Franco Branciaroli66. Per lui e gli Incamminati, Testori scrisse sei opere teatrali, raggruppate dall’autore nella “Branciatrilogia” prima e seconda.

L’esordio avvenne con Confiteor, edito da Mondadori nel 1985, e andò in scena al Teatro di Porta Romana il 25 settembre 1986. Il protagonista Rino ha ammazzato il fratello Nando, diversamente abile, per ‘alleggerire’ la sua pena e quella di tutta la famiglia. Ammazza inoltre l'amico del fratello,

66 Franco Branciaroli (Milano, 27 maggio 1947) è un attore teatrale e regista teatrale

italiano.

Dal suo debutto, si presentò come interprete originale e attento, all'interno del

panorama italiano. Affiancato, fin dai primissimi anni, da uomini di teatro come Aldo Trionfo, Carmelo Bene e Luca Ronconi, l'incontro con lo scrittore Giovanni Testori diede vita ad una collaborazione professionale che influenzò definitivamente il teatro dell'attore milanese

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testimone imprevisto del fratricidio, col quale Nando, nella casa di cura, aveva instaurato un rapporto di affetto istintivo come quello che può esserci tra due esseri puramente bisognosi di dare e ricevere affetto. Rino viene incarcerato, ma non crede nell'amore che salva il colpevole o nel semplice perdono. Cosicché decide che l'unico modo è espiare la colpa attraverso le più feroci torture e violenze del carcere che lui accetta come dono per la salvezza. Finché non verrà ucciso lui stesso. Si scopre infatti alla fine che Rino parla da morto in un dialogo tra lui stesso e la madre in una continua confessione di fronte al pubblico. Tra tutti i mezzi che Rino poteva scegliere per confessare, sceglie infatti il più crudele in questo caso, ovvero il teatro.

Confiteor segnò l’inizio per Testori di una nuova idea di teatro, che prevedeva di focalizzare le messe in scena solo sul rapporto attore-autore. L’accoppiata Testori-Branciaroli si rivelò giusta per mettere in pratica l’idea.

Nel febbraio 1988, Piero Gelli, direttore della Garzanti, pubblicò il secondo atto della Branciatrilogia, In Exitu. Il protagonista, Gino Riboldi, nome che rimanda a quello dei personaggi dei Segreti di Milano, è un giovane drogato e tutta la vicenda si svolge in un angolo della Stazione Centrale di Milano, nella quale trascorre gli ultimi momenti della propria esistenza, percorrendo tutta la sua vita, prima di morire per overdose.

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Nonostante nacque come romanzo, Branciaroli convinse Testori ad adattare il testo alla messa in scena. L’idea piacque così tanto all’autore, che prese parte allo spettacolo, per interpretare sé stesso, lo scrivano, con un tono di voce che spiazzò tutti gli spettatori.Senza limitarsi al ruolo du semplice testimone, sembra prestare al suo personaggio il proprio furore, una rabbia lacerata e oscura: il rantolo diventa grido – anche negli echi che riverberano dalle altissime pareti. La parabola assurda d’una rovina sembra così cercare disperatamente il proprio senso. E’ Testori stesso a lanciare il grido strozzato, quasi disumano della madre: “Gino!..”.67 La prima andò in scena il 9 novembre al Teatro della Pergola di Firenze, per la regia di Testori e Banterle.

Il disappunto del pubblicò non tardò ad arrivare, buona parte lasciò la sala prima della fine. Il 13 dicembre “In Exitu” approdò a Milano, alla Stazione Centrale e poi all’ Out-Off. Successivamente venne portato in altre stazioni ferroviarie.

Il 20 giugno 1989 al Piccolo Teatro di Milano andò in scena il terzo atto che concludeva la prima Branciatrilogia, Verbò.

Il testo si rifaceva alla vita di Paul Verlaine ed Arthur Rimbaud, in particolare alla loro storia d’amore, che si concluse tragicamente, Verlaine sparò all’amato ferendolo.

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Testori, oltre a curare la regia con Emanuele Banterle, recitò la parte di Verlaine accanto a Branciaroli nelle vesti di Rimbaud.

In un’intervista, Testori spiegò il filo conduttore della prima Branciatrilogia: "Il Rino del Confiteor, il Riboldi Gino di In Exitu, i due grandi poeti di Francia, Rimbaud e Verlaine, dentro i quali s’intrecciano la vita dell’autore e dell’attore, vivono sulla scena esattamente come si trovassero su d’un altare; svolgono, quindi non un’azione, bensì un atto di martirio; insomma un’esecuzione. Il loro martirio nelle diverse condizioni e temperie, ha un grumo centrale che li unifica: ciò che tutti e quattro trovano, volendolo o non volendolo, al fondo della loro tragedia. Non si tratta di una risposta sociale e storica, quantunque coinvolga società e storia, bensì una risposta cristica.

È lui, il Cristo, che essi arrivano a nominare (Rino); dal quale riescono a farsi abbracciare (Gino).

E’ lui, il Cristo che anche Rimbaud e Verlaine, nella disperata furia del loro rapporto, arrivano a toccare; e a toccare proprio al fondo delle loro carni fuse e confuse”68.

Nel frattempo Testori dedicò a Vittorio Alfieri e al suo teatro due opere: il Filippo, che andò in scena il 2 novembre 1987, di cui lo scrittore curò regia e disegnò scene e costumi e l’Oreste, che debuttò al Teatro Verdi di Padova il 17 marzo 1988.

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Nel 1990 iniziò la seconda parte della Branciatrilogia esordì con Sfaust, edito da Longanesi diretta da Mario Spagnol. Lo Sfaust ha fatto un patto col diavolo, Smefì per avere il controllo di una modernissima azienda, la “Acnò Cernò Sevesanìan” che permetterà la produzione industriale dell’uomo, la tecnologia metterà fine alla riproduzione. Il testo, composto da quattro brevi atti, fu rappresentato al Teatro Nazionale di Milano il 22 maggio 1990, con la regia dello stesso Testori.

Alla prima però Testori non partecipò, poiché da alcuni mesi aveva iniziato la sua battaglia contro la malattia che lo avrebbe portato alla morte.

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Nel documento L'Ambleto di Giovanni Testori (pagine 37-42)

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