2.2.1 “L’Amleto Una storia per il cinema”
2.7 Le figure femminili nell’ Ambleto
La figura femminile in Testori copre tutta la gamma del reale, la donna è depositaria della confessione di un maschio, diventando un presidio di vita così potente da rigenerare chi è morto; la donna è luogo in cui si scarica l’irriducibile attrazione tra il corpo e la parola; è portatrice di una vitalità violenta, di una furiosa voglia di vivere; è sempre sensuale, avvolgente e seducente
Tutte le donne testoriane hanno messo in gioco ogni cosa, “carne, sangue, cuore, grandissimo cuore che si dibatte e cerca la propria strada, l’unicità della propria strada”124.
Testori non rappresenta appena le donne, ma attraverso il grande affresco del femminile guarda la vita intera, nella sua origine e nelle sue istanze essenziali: la donna è “, un ganglio, un nucleo oscuro, ancestrale, di cui mi fa pena parlare, e che mi s’è formato davanti a poco a poco. Questa specie di risucchio dal dentro al di fuori che c’è stato, che continua a esserci, di cui siamo vittime tutti, uomini e bestie, e che in me, è andato a coincidere fatalmente col grembo di mia madre… ma allora, parlare della donna è come parlare della vita”125.
Le protagoniste sono madri, in alcune opere esplicitamente ed esemplarmente, in altre la maternità appare come dimensione inesplorata.
124 Giovanni Testori, Voci femminili, a cura di Daniela Iuppa, Roma, Edizioni Studium,
2014, pag.11
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Nella Trilogia degli Scarozzanti, il ventre materno viene riconosciuto sì luogo di riposo, ma anche associato al niente: “l’uomo come goccia che brama di rientrare e dissolversi nell’indistinto nulla da cui ha preso a palpitare”126.
La prima donna presentata nell’Ambleto è Gertruda, il suo incedere sul proscenio non è di certo tra i più eleganti, viene introdotta da Ambleto con un condizionale interessante:
« Arebbe da essere mia madre»127.
I colori del lutto sono soverchiati dalle altezze vertiginose dei tacchi e da un’aria superba che mal si addice alle gramaglie di un funerale:
«E’ coverta sì de negro e de viola, ma va in dell’avanti tacchinenta e superba come se aresse da andare al trionfo del Radamesso»128.
Dopo aver raccontato la causa della “mattaria” del figlio, Gertruda si lancia in una supplica lacrimevole rivolta al marito defunto, un’invocazione accorata che però nasconde insidie diaboliche:
126Giovanni Testori, Voci femminili, a cura di Daniela Iuppa, Roma, Edizioni Studium,
2014, pag.19
127 Giovanni Testori, Opere 1965-1977, a cura di Fulvio Panzeri, Milano, Bompiani,
2008 pag.1150
128 Giovanni Testori, Opere 1965-1977, a cura di Fulvio Panzeri, Milano, Bompiani, 2008 pag.1149
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«In dall’alto dei cieli, in dell’altissimo dei Troni e delle Dominizzioni, in degli abissi. In dei profondori della terra dove stai per essere chiavato in
pacem aeternam, iutami tu. Dammi tu la forza, el coraggio, la virilità necessaria, anca se sono nassuta femminissima e donna, per prendere in
delle mie brazze la zituazzione incosì incomo me l’hai voluta lassàre e dezzìdere e operare per el bene, la prosperazzione, la gloria e il luzzore de tutto quello che fu, è arà da essere in dell’eterno el tuo dominio, la tua
corona et el tuo regname»129.
La volontà di Gertruda è di appropriarsi della “virilità necessaria”130 a governare, allontanandosi dalla donna ‘elisabettiana’ e vestendo una femminilità scandalosa.
Ciò che più colpisce della reìna è la rimozione totale della maternità, l’assoluta incapacità di mostrare affetto e comprensione al figlio. L’apice della freddezza calcolatrice si ha nel cruciale dibattito tra i due, quando la donna, confessa ad Ambleto di non aver provato amore neanche durante il suo concepimento.
La stessa attrice interpreta anche l’altro personaggio femminile dell’Ambleto, Lofelia. La giovane si libera del complesso vittimario servo/padrone, sfoderando una grinta e un’energia decisamente estranea a
129 Giovanni Testori, Opere 1965-1977, a cura di Fulvio Panzeri, Milano, Bompiani,
2008 pag.1152-1153
130 Stefania Rimini, Rovine di Elsinore. Gli Amleti di Giovanni Testori, Roma, Bonanno
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Shakespeare.
Rimasta intatta la passione infuocata e vibrante verso Ambleto, è la sua disposizione d’animo ad essere cambiata, tanto da riuscire a tenere testa allo stizzoso Ambleto:
«Sono diventata più tigrosa»131.
Adesso la ragazza ha tirato fuori le unghie e prova a far breccia nel cuore del suo amato. Un altro dettaglio conferisce a Lofelia un carattere più deciso, ovvero il suo desiderio di evasione, fuggire lontano dalle costrizioni del regno di Lomazzo:
« Se lei avesse como, invece de star qui a soffegàre in ‘sta castellaria, vorraria essere vuna delle tante che la mattina vanno in filanda o in fabbreca a fabbrecare le sete per le buticche de Vièn o de Parìgio!»132.
Messi da parte i propositi di fuga, Lofelia resta accanto al suo amato, continuando a sperare nel matrimonio, finché non decidono di mandarla in convento. Ma prima è costretta a sopportare l’assassinio del padre per mano di Ambleto, verso il quale continua a provare un amore straziante:
131 Giovanni Testori, Opere 1965-1977, a cura di Fulvio Panzeri, Milano, Bompiani,
2008 pag.1174
132 Giovanni Testori, Opere 1965-1977, a cura di Fulvio Panzeri, Milano, Bompiani,
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«’Desso maridarci sarà per sempro impossibile. È vera, prenze? El mio papà penzava inzolamente ai baselli e alla corona. Siccome areva fatigato
talmente in della sua giovinezza, vardava e vedeva niente d’altèro che quello. E incosì credeva che anca io te voressi bene e te portassi tutta la
‘fezzione che te porto, inzolamente per quello. Ma io, a te, te vorevo bene perché eri te; te vorevo bene anca passato de anni ‘me sei e rovenato dalle letture, dalla ‘narchia e da tutte ‘ste stramberìe. Sono segura, eccota, che sarei riussìta a essere tua isposa e tua compagna anca
incosì, con tutta la pazzia che podevi aère, con tutte le ombrìe e le strambarìe della vita tua de te, imperzino con tutto lo scadenamento iroso
che te et el fratello de me arete sempre aruto vuno indecontro dell’àltero, che io non sono mai reussita a capire imperchè…»133.
Lofelia è un’anima pura, ama Ambleto incondizionatamente con la consapevolezza arrendevole di chi sa di non avere più possibilità. Non riesce più a sopportare il dolore di un amore sfiorito e così decide di gettarsi da una finestra del convento, lasciando una lettera d’addio. La delicatezza della lettera è l’ultimo soffio di residua vitalità dentro la brutalità di un’umanità fredda e subdola; non c’è traccia di risentimento nelle parole della giovane, solo la rassegnata accettazione di un destino avverso.
133 Giovanni Testori, Opere 1965-1977, a cura di Fulvio Panzeri, Milano, Bompiani, 2008 pag.1203-1204
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