2.2.1 “L’Amleto Una storia per il cinema”
2.2.2 Post-Hamlet
Nel 1983, a dieci anni esatti dalla messa in scena dell’Ambleto, Testori torna ancora una volta a misurarsi con il «dolce principe», facendone il grande assente della partitura di Post-Hamlet, dramma di scarnificata semplicità che rovescia in speranza cristiana la violenza da cui erano squassati gli Scarozzanti. A morire, questa volta, non è un re, ma il Padre stesso. E il sacrificio di Amleto porta a compimento la Passione del Figlio, restituendo al popolo la Croce che gli era stata sottratta.
L’identificazione di Amleto con il Cristo è l’ultima provocazione del Testori “shakespeariano”, vertice di un percorso di riscrittura iniziato con l’oscena declinazione dello spettro nella sceneggiatura e culminante ora nell’identificazione dell’eroe con l’agnello sacrificale.
Come accade precedentemente, anche l’idea del Post-Hamlet nacque da un incontro, quello con Adriana Innocenti86, la quale riesce a procurarsi un appuntamento con Testori, grazie alla mediazione di Emanuele Banterle.
La stessa Innocenti racconta il suo primo incontro con lo scrittore durante un’intervista: “Appena arrivata mi sono detta ‘Che faccio qui dentro! Come faccio a chiederglielo!’. La prima cosa che gli ho detto è stata
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Adriana Innocenti, detta Nana (Portico e San Benedetto, 16
ottobre 1926 – Torino, 4 marzo 2016, è stata un'attrice e regista teatrale italiana, attivai n teatro, cinema e televisione.
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“Guardi io sono venuta per chiederle il testo di Erodiade” e lui mi fa: “ Perchè lei fa l’attrice?”, dico “Si, faccio l’attrice da un po’ di anni, adesso sono qui con il Piccolo Teatro che faccio Madama Peachum87”. Mi guarda e mi dice: “Sì, sì, forse tu potresti essere giusta, per questa madre che…” e io comincio a guardarlo “Questa madre con questo senso dell’amore per il figlio e il figlio per farle capire cos’è l’amore addirittura la violenta, questa Gertrude” e io zitta. Poi ad un certo punto non ce l’ho fatta più e gli ho detto “Scusi, ma io Erodiade, se sono venuta a chiedergliela, è perché la conosco, perché altrimenti, non gliela chiederei. Ma chi è questa Gertrude di cui le mi parla? Non ha nulla a che vedere con Erodiade. Erodiade ha avuto solo una figlia, Salomè, una femmina, ma lei mi parla di questo figlio…” allora lui s’è messo a ridere e mi fa “So benissimo chi sei, ti sto scrivendo addosso un testo: il Post-Hamlet. Poi ti vedrò su Erodiade”.88
Da questo primo incontro si giunge poi al debutto sulla scena, avvenuto il 12 aprile 1983 al Teatro Porta Romana, in occasione del XX Congresso Eucaristico Nazionale.
Il ritorno a Shakespeare può essere compreso solo con la svolta religiosa testoriana con la partecipazione al movimento di Comunione e Liberazione.
87 Personaggio de L’opera da tre soldi di Bertolt Brecht.
88 Gilberto Santini, Giovanni Testori. Nel ventre del teatro, Quattroventi, Urbino, 1996, pag. 127
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Sotto il segno di questa nuova conversione, nella letteratura di Testori penetra l’antitesi tra l’essere e il non essere, che culminerà con Factum est. In Post-Hamlet ci troviamo in un mondo capovolto, dove il Totem-re (Claudio) incarna il potere e realizza una società basata sull’artificiale. A contrastare il re troviamo il Coro, guidato da Orazio, ‘apostolo’ di Amleto e testimone dello scandalo e della sua morte.
Altra superstite è Gertrude, prima complice del progetto del Totem-re e poi alleata del Coro.
Il coro risulta essere un’aggiunta fondamentale al dramma, presenza che richiama e sintetizza varie forme della tradizione, ma Testori incrina lo schema della tragedia classica, ponendo il Coro alla ricerca della verità e spogliandolo quindi, del suo ruolo di depositario della verità.
Ponendo Orazio a capo del Coro, Testori gli fa compiere la sua missione e rianimare l’azione statica della tragedia. Lo vediamo scontrarsi aspramente con Gertude, la quale riprende con sdegno la tematica dell’omosessualità di Amleto, ma è nella confessione della ‘mortificazione della carne cui la costringe il Totem-re, e nell’accenno alla disperata solitudine del letto coniugale che il personaggio ritrova una sua contrita umanità’89, che la porterà ad unirsi al coro.
La verità rivendicata del Post-Hamlet ci viene indicata dallo stesso autore nel Programma di sala: “Come nell’Amleto shakespeariano e come
89 Stefania Rimini, Rovine di Elsinore. Gli Amleti di Giovanni Testori, Bonanno
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nell’Ambleto anche nel Post-Hamlet il Padre rivela una colpa, svela un assassinio. Ma è un assassinio d’ordine non temporale ma assoluto, è quello che il Sociale (cioè la realtà e la compagine umana tolta dal riferimento a Dio) compie dentro la struttura e la nascita stessa dell’uomo tentando di sopprimere la radice divina.
Allora non si tratta più di un assassinio dentro la storia, della sua stessa possibilità di esistere. Senza il peccato originale la storia non esisterebbe, non riconoscere questo peccato d’origine significa destoricizzare la storia. Quel che nel Post-Hamlet viene enunciato è da una parte la necessità del riconoscimento di questo distacco dal Padre e dall’altra l’invito che il Padre rivolge al coro (e qui questo testo si differenzia dalle mie precedenti riletture del tema shakespeariano e dallo stesso originale) a riprendere coscienza del proprio essere Figli, cioè persone e non più numeri o cose”90. Così per ripristinare la memoria della nascita occorre purificarsi dal peccato originale, e ciò è percepibile in questa parabola cristologica in cui Padre e Figlio sono divisi da tale peccato, ma pronti a riunirsi nel segno della croce.
Il Figlio, ovvero Amleto è reso da un’assenza fantasmatica, capace di rompere le catene del potere con il costante presagio di un possibile ritorno.
90 Riccardo Bonacina, Una drammaturgia dell’oltre: dialogo fra l’autore e il regista,
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Il Padre passa al Figlio il mandato sacrificale attraverso la bocca, nell’immagine in cui Amleto lecca il corpo sanguinante del Padre, alludendo al “mistero della comunione eucaristica, alla metamorfosi del corpo e del sangue in pane e in vino”91.
Amleto è protagonista di un’altra immagine assurda, l’incontro con la madre Gertrude, l’abbraccio seguito da un bacio, nel quale nel Figlio prende forma e corpo il Padre.
91 Stefania Rimini, Le Rovien di Elsinore. Gli Amleti di Giovanni Testori, Bonanno
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2.3 L’Ambleto
La struttura del testo non prevede la tipica distinzione in atti e ricorre alla semplice individuazione di due parti. La prima è composta da cinque scene, collocate al cimitero, nella sala del trono, nella stanza del Franzese, e nel cortile; la seconda parte individua invece sei scene, nel cortile, la stanza di Gertruda, la stanza del Franzese, il cimitero e la sala del trono. La prima parte di chiude con l’epifania del fantasma, “risolta da Testori con un efficacissimo effetto di metamorfosi: si tratta di una pasa forte che segna l’irrevocabile precipitare della strage”92.
La seconda parte prosegue con un ritmo animato di morte e di maledizioni, che lascia gli attori quasi senza fiato.
La distribuzione e l’ordine delle scene sembrano seguire più lo schema della sceneggiatura che non la fabula shakespeariana.
92 Stefania Rimini, Rovine di Elsinore. Gli Amleti di Giovanni Testori, Bonanno
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2.3.1 Parte I
L’Ambleto si svolge alla corte del re Arlungo, in un luogo imprecisato che potrebbe, secondo le parole di Ambleto, essere Elsinore o Camerata o Lomazzo o la Mediolanensis urbiz. A questa indeterminatezza geografica si accompagna quella temporale, in cui si fondono l’epoca barbarico- medievale seicentesca e i tempi odierni, a cui appartengono i personaggi attori.
È lo stesso Ambleto che indica le nuove coordinate geografiche della messa in scena:
AMBLETO [...]Inzipit Amuleti tragedia. Inzipit qui, A Elzinore. Inzipit a Elzinore o in n’ impota che àltero paese. Mettiamo in del regno de Carmelata. Mettiamo in de quello de Lomazzo. O anca un po’ più in de
giù, squasi alle porte della illustrissima e magnificentissima Medionalensis urbiz. Tanto fa l’istesso. Quando si è chivati indidentro della cassa, cassa è e chiavata resta per totos quantos e in totos quantos i
loca locorum dell’univerzo mondo93.
93 Giovanni Testori, Opere 1965-1977, a cura di Fulvio Panzeri, Bompiani, Milano,
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La dislocazione spaziale inquadra la scena in un piccolo borgo rozzo e ne consegue la rinuncia alla nobiltà della tragedia e dei suoi personaggi eroici. Il testo entra nel vivo e Ambleto celebra il funerale del padre. Il conflitto fra i due emerge fin dalle prime parole che Ambleto indirizza al padre nella bara, icona fredda e dolente della morte, ed è inconsueto il muto dialogo che Ambleto intrattiene con il re defunto; consegnato alla verità della morte, l’uomo ha perso i suoi possedimenti e si offre per la prima volta nudo alle domande fondamentali del figlio. Le parole di Ambleto sono pugnali che trafiggono il corpo senza vita del povero re, la veemenza del tono poco si addice al dolore e alla disperazione di un figlio straziato dalla scomparsa del padre. Ma c’è, alla radice di quest’atteggiamento, la convinzione profonda di essere un ingranaggio di un sistema che prevede automi asserviti al potere. Dentro questo convincimento il padre di Ambleto e il potere finiscono per coincidere, così come di fatto avviene anche nell’economia dei rapporti familiari; e infatti, Testori mette al centro della sua riflessione drammaturgica i rapporti fra i personaggi di questo fantasmagorico regno, che per convenzione appartengono ad una famiglia ma che in realtà sono dentro uno stereotipo sociale. L’autore vuole muovere un'accusa al sistema famiglia, enfaticamente dichiarato asse portante della società, soprattutto italiana, che da culla accogliente e rassicurante più spesso stritola i suoi figli costringendoli in schemi prefigurati e assegnando loro un ruolo che finisce per annientare sensibilità
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e costruzione futura di senso. Ancora una volta, sul filo della provocazione costante, Ambleto introduce una scarozzante, Gertruda:
AMBLETO [...] Paganti, siamo ‘rivati al vero inzipimento! Siamo ‘rivati alla presentazzione della primissima femmina, soperàno o zubretta che
sia! Enter Ghertuden o Gertude o Gertruda, a seconda che ve soddisfa meglio la legua todesca, quella sesspirriana o la lengua che lecca i merli
in zu le rive del Lario! (Entra Gertruda. E’ seguita da una bambina, vestita da angiolo.) Arebbe da essere mi madre. Ma avrebbe altresì aruto
da essere la moglie de mio padre. Vardàtela. E’coverta sì de negro e de viola, ma va in dell’avanti tacchinenta e superba come se aresse da
andare al trionfo del Radamesso.94
In Ambleto, farsa destinata a diventare tragedia, ogni personaggio tiene fede ad un suo copione che prevede l’annientamento dell’altro, perché il bene prezioso che ogni personaggio insegue e persegue è quello di ottenere e raggiungere un potere, sia esso materiale o carnale. Complice di questa totale dedizione al poteraz è Arlungo, personaggio in cui si
94 Giovanni Testori, Opere 1965-1977, a cura di Fulvio Panzeri, Bompiani, Milano,
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identifica l’immagine stessa dell’usurpatore. La sua entrata scena rivela la sua tensione tra le ragioni dello scettro e del ventre:
ARLUNGO (portandosi verso la bara) Bernarda et potere, bernarda et potere, bernarda et potere... Ma, alla fine dei contamenti, tra bernarda et
potere, potere. Sempre e inzolo potere.
Anca senza bernarda. Potere che soffèghi, che strozzi, che strazzi, che schiazzi. I zervelli de tutti, giù, in del tombino, come succede dei ratti, dei vermeni, dei lumagotti dei scarafazzi. Potere et bernarda, potere et
Bernarda, potere et bernarda..95
Della stessa sostanza di Arlungo è fatto anche Polonio, calcolatore spietato, sempre pronto a ordire congiure e a spiare. La sua scalata al potere prevede di usare e sfruttare i due figli, Laerto e Lofelia, che diventano vittime sacrificali immolate ai capricciosi deliri di un padre assettato di gloria.
I due, divisi da una diversa inclinazione verso Ambleto, saranno vittime di un stesso destino che li porterà entrambi alla morte.
95 Giovanni Testori, Opere 1965-1977, a cura di Fulvio Panzeri, Bompiani, Milano, 2008 pag.1153
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Laerto è un giovane attento all’ «onore carnale e politegale»96, proprio come mostra la «medagliera che porta puntata in zul petto!»97.
Non solo il padre Polonio confida nel giovane, ma anche Gertruda, che per tenere a bada i moti dell’animo di Ambleto e i nemici della corte, puntano sulla sua diplomazia e il suo spirito bellicoso.
L’occasione per dimostrare il suo valore eroico arriva all’indomani della presa di potere dei due coniugi, quando gli viene affidata l’ambasciata in Voltolina, per difendere i confini del regno.
Prima della partenza Polonio fa le raccomandazioni al figlio, e dalle sue parole si desume il suo essere uno scaltro calcolatore:
POLONIO Donca, filius carissumus meus […] hai da comprendere che dal concludimento, overossia conclusione od anca exitus, de questra
missionaria missione, de cui el re ha voruto caregare le tue spalle, depende el salire, bssello per basello, della nsotra famiglia tutta ed intrèga nella gradazzione della forza economica e politegale, overosia del
podere. Perché, ove pur sia che il prenze se dessida veridicamentea prendere in mogliera la sorella tua de te…
LAERTO Mia sorella in mogliera a esso lui! Inpiuttosto la do in mogliera ai gatti! La do ai extra, ai ‘narchi e ai zobillanti, inpiuttosto!
96 Giovanni Testori, Opere 1965-1977, a cura di Fulvio Panzeri, Bompiani, Milano, 2008 pag.1153
97 Giovanni Testori, Opere 1965-1977, a cura di Fulvio Panzeri, Bompiani, Milano, 2008 pag.1154
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POLONIO [..] Che vada in mogliera con esso lui, anca se il prenze è, per incosì dire, un po’ istravagante e, anzi, fuora in completo della norma, fa parte di quei baselli che, como Nostro Signore Gesù Cristo lunghesso el suo Calvario, anca noi ariamo da percorrere, vuno per vuno, ‘me altrettanta stazzioni che, dal rango dei fideli del re, ce portino inzino
a sentire cont el naso e toccare a raffare cont le dia l’odore, el brillamento degli orti e tutto il restante che compone el zegreto, la forza,
l’attrazzione el’isplendore della corona e del coronamento.98
Se il destino di Laerto non si discosta granché da quello dell’opera shakespeariana, senz’altro degna di nota risulta l’avventura di Lofelia. Innamorata di Ambleto, generosa e appassionata, diventa il mezzo usato da Testori per denunciare la rapida degenerazione della cultura in nozionismo:
LOFELIA Un vucabulario spezzialissimo che me son fatta prestare in della bibbliotega del Munizzipio. Vorevo farme più degna de lei ...
AMBLETO Più degna de me? E cosa segnifega? LOFELIA Segnifega che io...Podo assidermi, prenze?
AMBLETO Assìdeti. Se dise: assìdeti o assèdeti?
98 Giovanni Testori, Opere 1965-1977, a cura di Fulvio Panzeri, Bompiani, Milano, 2008 pagg.1164-65
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LOFELIA Credo che in del vucabolario questo non c’èva. In del comunque lei pensa che io podo veramente osare...
AMBLETO Osa, osa... ( Lofelia si siede ) E ‘desso che hai osato? LOFELIA Già ha rasòne. El più è andare in dell’avanti. El vucabulario
diseva: procèdere...
AMBLETO E procèdere in che cosa?
LOFELIA Se lei savesse como, invece de star qui a soffegare in ‘sta castellaria, vorraria essere vuna delle tante che la mattina vanno in la filanda o in la fabbreca a fabbrecare le sete per le buticche de Vièn o de
Parìgio!
AMBLETO E chi t’obblìga a star chiavata in de qui? LOFELIA El mio papà.
AMBLETO Fudessi in de te, ‘na mattina, trovarei un qualche sistema de sortire e non me farei più vedere, ma proprio impiù! Incosì, oltra agli
altri, libereresti anca me.
LOFELIA (alzandosi) Liberare te? Liberare te de me? Ce dò in così fastidio? E penzare che io non riesco ad avere in della crappa che lei! Soprattutto in ‘sti tempi che la vedotutta immaligonita. E pensare che, anca ieri, per venirci in aiuto, per dessetare questa sua sete de savere, ho
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refatto un’altèra vorta l’enterrogatorio al papa mio de me...99.
La povera Lofelia in quanto essere femminile riassume agli occhi di Ambleto tutte le colpe della madre Gertruda che si condensano nella mancanza fondamentale della regina e cioè nella sua assenza d’amore che ha portato Ambleto a restare nel corpo e nell’anima diviso in Am e bleto. Chiuso nel suo mondo separato e distinto, Ambleto si accanisce sulla povera Lofelia che ritroviamo umana e disperata al cospetto del suo “prenze”, da cui viene incaricata di scoprire la vera causa di morte di suo padre. Ambleto la accusa di ingenuità e addirittura di far parte di quei cortigiani bramosi di scalare la piramide del potere che lui tanto detesta. Nessuno si salva, perché il potere è un virus che infetta le menti più sane e per Ambleto lo stesso Dio incarna questa brama di potere. Lo stereotipo teatrale di riferimento è sempre il testo shakespeariano, ma la diversità è tutta in quell’incipit in cui è assente l’essere e campeggia l’avere. Il verbo pone l’attenzione sull’avvenuta coincidenza fra essere e avere. Ambleto uomo dimidiato, disperato e in lotta contro tutti progetta di distruggere il regno stesso. Il “prenze” trova conforto nell’unica persona che può dare una risposta alla sua eterna richiesta d’affetto: il Franzese. Sostenuto dal
99 Giovanni Testori, Opere 1965-1977, a cura di Fulvio Panzeri, Bompiani, Milano, 2008 pagg.1173-74
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calore di un abbraccio del suo amato, regredisce allo stadio infantile e poi ancora più indietro fino a diventare sperma, nell’impossibilità di essere accolto nell’affetto del grembo materno. Lo spettro del padre svela che è stato ucciso da una formaggella avvelenata, ma, rispetto al modello shakespeariano, questa rivelazione del fantasma del re non consegna al figlio alcuna risposta salvifica. L’unica raccomandazione del re defunto è quella di salvare “la statuazione”, la piramide dell’ordine e del potere. Il principe sentendosi abbandonato, medita una vendetta finale che distrugga la vita stessa e ogni possibilità futura di esistenza.
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2.3.1 Parte II
In mezzo a tutto questo, la regina vive nel suo mondo autoreferenziale, occupata a tessere le trame dei suoi intrighi. Secondo un procedimento tipicamente testoriano, dopo il punto di massima tensione Testori inserisce una situazione o un personaggio che possa sdrammatizzare la situazione e naturalmente il drammaturgo inserisce Gertruda. Madre fatua e snaturata, moglie infedele non ha nessuna possibilità di incidere sulle scelte di Ambleto e tanto meno sulla sua essenziale fame d’amore. Il confronto con Gertruda sarà durissimo e liberatorio per il “prenze” che riuscirà finalmente a parlare del suo amore per il Franzese senza sentirsi schiacciato dal giudizio della regina, portavoce involontaria della vulgata popolare e del giudizio stereotipo che accompagna le unioni
omosessuali. Ma la regina è priva di una qualunque originalità di pensiero e quindi non può far altro che infarcire i suoi discorsi con frasi stereotipiche che cerca di pronunciare in modo stentoreo per gustarne l’effetto:
GERTRUDA Il re ha parlato como un libro istampato. Istampato e poi anca istoriato. Fate incosì, Polonio. E dite a colei che io ebbi a tenere
nelle mie brazza in del momento che receveva la santissima battesimazione; diteci che così fazzendo, renderà grazzia mirabile anca alla sua reina che è in primis, la sua ‘fezzionatissima madrina. Questo sia
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donca ciarissimamente istabilito per quel che conzerne Lofelia.100 Sul registro della commedia avviene un altro accadimento dentro le mura della torbida regia: Ambleto uccide Polonio. La morte del servo del potere si conclude con toni da farsa; meglio, da stereotipi pubblicitari. Testori irride alla morte di un uomo che ha perso la sua dignità, e invece di regalargli un finale di maestosa potenza con parole solenni scrive per Polonio parole più adatte a un tema musicale:
POLONIO. Reina...reina...el vostro lacchè de voi more... ma in del morire...ve raccomanda il suo purissimo lilium... Inseguitala con amore,
reina... con l’istesso amore che ho sempre nudrido inverzo de voi.101 Sono parole pesanti e crudelmente epigrammatiche quelle che chiudono l’esistenza di Polonio e se non intervenisse la pietà di Lofelia la sua sarebbe la fine tragica di un uomo ridicolo. Nel dialogo con Ambleto Lofelia parla con accenti di insolita dolcezza, destinando al padre un ritratto di grande tenerezza.
LOFELIA [...]EL mio papà penzava inzolamente ai baselli e alla corona.