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Brand identity e store image: la gestione dei company store

Capitolo 2 – Il canale diretto: i company store

2.3 I company-owned store: una strategia in controtendenza

2.3.3 Brand identity e store image: la gestione dei company store

A livello del singolo store, vengono coordinati design, visual merchandising, assortimento e servizi, per dare uniformità all’offerta e stabilire una relazione informativa e emozionale con il consumatore. L’architettura e il design del punto vendita sono definiti nei singoli dettagli e rispondono a precise indicazioni dell’architetto o designer, che si occupa di tradurre a livello espositivo i significati e l’immagine del marchio. Il brand concept si riflette quindi in modo coerente nell’allestimento e nel visual merchandising, veicolando un messaggio unico e distintivo. I materiali, i colori, l’illuminazione e l’arredamento sono definiti in base alla brand identity e si ripetono in ogni store, in modo da riprodurre la stessa store image e far rivivere al consumatore la stessa brand experience. Più nel dettaglio, anche il layout merceologico e il display seguono direttive precise a seconda della volontà dell’impresa di fornire una chiave di lettura univoca o meno; il visitatore può essere guidato nell’esposizione dei prodotti oppure può essere lasciato libero di interpretare l’offerta merceologica e attribuire ai prodotti significati diversi. L’assortimento è solitamente vasto e completo, e risponde alle preferenze della domanda, ma possono riscontrarsi differenze tra company-brand store e flagship store, dove si da maggiore spazio alle edizioni speciali che comunicano con maggior intensità la brand identity. La componente del servizio infine si divide tra informativa e edonistica32 a seconda che sia utilizzata per far conoscere i dettagli dell’offerta commerciale o a intrattenere il cliente. Nel primo caso il servizio ricopre un ruolo fondamentale quando i prodotti sono complessi e richiedono un’assistenza pre e post vendita da parte del personale qualificato, per guidare il consumatore durante il processo d’acquisto. I servizi edonistici invece coinvolgono il consumatore a livello psicologico e emotivo, e comprendono tutte le attività collaterali in grado di comunicare la brand identity in modo alternativo.

Nei company store di proprietà assume nuova importanza il Retail Merchandising, che si sviluppa con nuove dinamiche rispetto agli esempi classici in cui la gestione del punto vendita è indipendente rispetto ai produttori; le attività di RM infatti impattano ora sia

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sull’organizzazione, che sui processi d’acquisto e di gestione. Le attività partono dall’analisi dei bisogni e delle richieste dei consumatori, cercando di capire come si sviluppano le preferenze e come poterle soddisfare al meglio attraverso la presentazione dell’offerta e il processo d’acquisto. In base a questo si definiscono in primis i prodotti più aderenti alle aspettative della domanda in grado di soddisfarne le esigenze, e in seguito le modalità espositive per massimizzare l’impatto a livello di store image. Si pianifica quindi come fare incontrare domanda e offerta nei modi e nei tempi più indicati per favorire e facilitare il processo di acquisto. Tutte le attività di retail merchandising nei company store sono guidate da un duplice obiettivo; da un lato quello di mantenere inalterata l’immagine di marca nei diversi negozi, fornendo una brand e store image uniforme e coordinata , distintiva e riconoscibile in ogni paese e in grado di comunicare con lo stesso impatto, lo stesso messaggio. Dall’altro si cerca di personalizzare l’offerta a seconda del mercato di riferimento, quindi differenziando gli assortimenti e il display per catturare le preferenze specifiche di quel target. Dal punto di vista gestionale i processi di RM possono essere delegati alle diverse aree/paesi o ai singoli store managers, oppure gestiti centralmente dalla direzione generale. Nel caso di imprese che gestiscono più DOS in paesi diversi, solitamente la direzione centrale si occupa di gestire e coordinare le strutture d’acquisto decentrate, fissando budget e assortimenti più o meno vincolati. In ogni caso la gestione punta a massimizzare la rotazione dei prodotti e ridurre al minimo le scorte, utilizzando meccanismi e sistemi gestionali efficienti. Per fare questo si individuano gli articoli a rotazione più lenta e si ipotizzano piani di ritiro dal mercato, si organizzano meccanismi di trasferimento di prodotti tra company store per prevenire rotture di stock o nuovi lanci in produzione, e si utilizzano magazzini comuni consultabili online per una gestione degli ordini veloce e efficiente33. Il retail merchandising si inserisce quindi nel contesto operativo lavorando a stretto contatto con le altre aree funzionali, dalla produzione al visual merchandising, per curare in modo coordinato tutti gli aspetti del punto vendita, dall’assortimento alle vetrine e il display.

La gestione dei directly- operated store richiede una pianificazione accurata e ingenti investimenti per organizzarne quindi il coordinamento. Il numero di punti vendita in cui strutturare la rete distributiva dipende da diverse variabili e va accuratamente definito per non correre il rischio di immobilizzare la struttura economico finanziaria dell’impresa con costi fissi non sostenibili. Secondo quello che viene definito Penrose Effect34 esistono dei limiti ai

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G. Brandazza, B. Rovetta, P. Varacca Capello, Moda e lusso: le strategie e i risultati dei più grandi player mondiali, Economia & Mangement, Novembre 2010, numero 6.

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P. Cyrenne, Dual distribution and the Penrose Effect, International Journal of the Economics of Business, 2014, 21:1, pp. 55-76.

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vantaggi derivanti da un incremento numerico dei company store dell’impresa, in quanto oltre un certo numero i rendimenti divengono decrescenti. Tracciando una similitudine con un altro tipo di canale verticalmente integrato e paragonabile a quello diretto, si dimostra che a fronte di un incremento del numero di store, il contratto di franchising risulta più conveniente dei negozi di proprietà. Al di là di una certa soglia infatti, i benefici derivanti dalla proprietà sembrano diminuire a fronte di maggiori costi, rispetto ai profitti marginali realizzabili con un aumento dei franchising. Tale vantaggio sarebbe giustificato dal fatto che le aziende beneficiano del maggior sforzo e impegno degli affiliati nell’attività commerciale, dati i loro interessi diretti sui rendimenti futuri del punto vendita. Questo si tradurrebbe quindi in un maggiore controllo dei costi da parte dei proprietari del franchising, a fronte invece di un aumento dei costi marginali per ogni nuovo directly-operated store. Nel caso infatti della proprietà diretta, con l’espandersi della rete aumentano anche le complessità gestionali e l’impresa si trova a gestire una quota sempre maggiore di costi fissi da ammortizzare. Ovviamente tali dinamiche variano da settore a settore, e la decisione coinvolge l’analisi anche di altre variabili, come la brand awareness, il numero di mercati in cui l’impresa opera, il grado di penetrazione e le variazioni della domanda35. In particolare evidenze di mercato dimostrano che maggiore è la conoscenza e la notorietà di marca, maggiore è il numero di DOS che l’impresa è in grado di gestire, in quanto la forza del brand nel mercato è indicatore della disponibilità a pagare dei consumatori. L’immagine e la notorietà del brand influenzano positivamente il valore percepito del prodotto e di conseguenza i comportamenti d’acquisto e lo scontrino medio, aumentando così la redditività dei punti vendita.

Infine, bisogna considerare l’armonizzazione del canale diretto con le altre strategie distributive nel caso in cui l’impresa adotti una strategia multi-channel. Non di rado infatti le imprese combinano reti commerciali dirette e indirette per aumentare la presenza sul mercato e rafforzare il proprio posizionamento rispetto ai competitors. Solitamente quindi la distribuzione si diversifica attraverso contratti di franchising, o attraverso il canale wholesale con i department e specialty store. La criticità maggiore risiede quindi nel coordinamento delle politiche distributive e nella corrispondenza tra segmentazione industriale a monte e segmentazione commerciale a valle. L’impresa si impegna a controllare il marketing mix su tutti i canali, gestendo le politiche di marca e quelle di insegna al fine di mantenere uniformità di immagine in tutti i punti vendita diretti e indiretti. Per fare in modo che la brand identity e la brand image siano coerenti nella strategia multi-channel l’impresa deve sviluppare un

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P. Cyrenne, Dual distribution and the Penrose Effect, International Journal of the Economics of Business, 2014, 21:1, pp. 60- 66.

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design store e un ambiente espositivo definito e distintivo dell’identità di marca, coordinare gli assortimenti, ottimizzare le consegne pianificando ad hoc le tempistiche, allineare la comunicazione nei diversi canali. In pratica si tratta di declinare sui canali indiretti le politiche commerciali di prodotto, marca e punto vendita, già implementate nei company- owned store. Per quanto riguarda gli allestimenti infatti, l’impresa può richiedere ai punti vendita non controllati direttamente, uno spazio minimo di allestimento dove disporre i prodotti, riprendendo il design e i modelli espositivi distintivi del brand. La direzione centrale fornisce le linee guida per il visual e la vetrina, in modo che i messaggi e l’identità di marca non risultino compromesse, e che i prodotti siano comunque riconoscibili e distinguibili anche nei negozi multimarca. Per quanto riguarda prezzi e scontistiche invece, l’impresa può solo dare indicazioni per armonizzare le politiche di prezzo, ma non riesce imporre direttive assolute; in ogni caso i retailer indipendenti sono obbligati secondo il contratto di licenza di vendita a non applicare prezzi incoerenti a quelli dei company-owned store o a effettuare sconti o promozioni non previsti dall’impresa36

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