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BREVE ANALISI DEL CONTENUTO DEI TAVOLI DI ASCOLTO

Nel documento Voci dalla scuola e dal territorio (pagine 161-172)

di codifica (coding), presa in prestito dalle metodologie proprie della ricerca empirica qualitativa in particolare, per la quale sono state necessarie altre riletture. Trattandosi di un’analisi del con-tenuto, è stata sufficiente un’attività di topic coding (Richards, 2009), finalizzata all’individuazio-ne dei temi considerati rilevanti dai partecipanti (“etichette”) e a descriverall’individuazio-ne le caratteristiche, piuttosto che ad elaborare teorie interpretative, che esulano dallo scopo del presente lavoro.

2. Il Piano e le sue rappresentazioni

Già da un primo ascolto delle registrazioni e da una prima lettura emerge chiaramente che la discussione sul Piano Trentino Trilingue è accompagnata dall’espressione di emozioni spesso negative, più intense chiaramente nelle persone coinvolte in prima persona (mondo della scuola), ma presenti anche in altri soggetti. Si riscontrano soprattutto preoccupazione, frustrazione, timore, sofferenza, rabbia nei primi:

“È stato un percorso sofferto”

“Hanno fatto le barricate”

“Ci accusano (…)”

“Mi veniva da piangere”

“Incontra resistenze”

“noi… loro… c’è questa grande paura, possiamo fare piani di aprire le classi, possia-mo trovare tutti gli strumenti che vogliapossia-mo per far vedere che funziona e quali sono i risultati, però in questo momento che predomina è la paura, perché non si conosce”

E dubbi, timori e perplessità nei secondi, meno emotivamente coinvolti di chi ogni giorno si trova in classe:

“gigante dai piedi di argilla”

“è come costruire un palazzo magnifico su una palude”

Ciò che è evidente e che è importante sottolineare è che queste emozioni non sono dirette verso il Piano Trentino Trilingue di per sé, né tanto meno, la scelta di porre l’insegnamento delle lingue al centro della politica educativa provinciale, considerato generalmente un apprezzabile e lungimirante segno di attenzione nei confronti della popolazione trentina nel suo complesso.

Questa iniziativa ha acuito ed esasperato alcune tensioni già presenti nelle scuole trentine, dettando una tempistica soprattutto per l’attivazione del CLIL che ha creato un profondo senso di frustrazione e di inadeguatezza in parte del personale, sia in chi si approccia per la prima volta a questa metodologia, sia in chi la pratica da anni, a causa della mancanza di una comunicazione che rendesse meno ambiguo il destino degli interventi già in atto.

Il senso di insofferenza verso questa proposta è piuttosto senso di insofferenza nei confronti di un’azione politica che viene vissuta come invadente nella vita della scuola, senza aver cer-cato prima un confronto con chi dovrà poi mettere in atto tali riforme. Alcune frasi ricorrono nelle narrazioni dei docenti e sono in questo senso rivelatrici.

Meglio tardi che mai

Mi pare di aver capito

Calato dall’alto

Ma chi me lo fa fare?

Nessuno finora ci ha ascoltati

C’è ancora ambiguità e confusione su quello che dobbiamo fare

il Piano è stato confezionato fuori dalla scuola e ci è stato imposto senza che noi fossimo coinvolti su questioni di cui siamo competenti

Istanza di riconoscimento

Ancora, le connotazioni negative espresse sul Piano, riguardano le modalità di comunica-zione e la tempistica che sembra non aver tenuto conto delle esigenze organizzative delle scuole. Inoltre, il Piano pone degli obiettivi quantitativi chiari, ma, trattandosi di un documen-to politico e non tecnico, non entra nel meridocumen-to del percorso attraverso cui raggiungere questi obiettivi e ciò è vissuto con ansia e preoccupazione.

La sofferenza legata a questo deficit di ascolto si trasforma in gratitudine espressa da molti dei partecipanti per la possibilità offerta dai tavoli, vissuta come occasione per un confronto autentico.

“io volevo ringraziarvi per questo incontro; pochi in questi nove anni hanno ascoltato il parere di noi insegnanti, che siamo quelli che hanno in mano l’esperienza lavorando sul campo.

Io do atto che finalmente qualcuno sposta l’attenzione. Sono fiduciosa e sono spe-ranzosa che lavoreremo tutti insieme per affrontare le paure e per “parlare la stessa lingua,” altrimenti il progetto non funzionerà mai se non si collabora. L’idea di questi tavoli di lavoro allargati è veramente importante”.

“grazie a voi perché abbiamo parlato di qualcosa di cognitivo invece che solo organiz-zativo. Grazie di questa opportunità. Grazie mille”.

“È una cosa fantastica essere stati chiamati qui, se ne sentiva la necessità”.

Inoltre, non mancano casi in cui il Piano è visto anche come una grande occasione al di là degli obiettivi che pone rispetto alla competenza linguistica degli studenti e della popolazione trentina. È un’occasione sia per sistematizzare le esperienze passate, estremamente ricche, ma parcellizzate, sia per riflettere sulla dimensione linguistica insita in ogni disciplina.

3. CLIL: metodo, simbolo o religione?

Nei Tavoli, in particolare quelli con il personale docente, discutere del Piano significa discu-tere del CLIL, e discudiscu-tere di CLIL significa chiarire in prima istanza di cosa si sta parlando, perché in alcuni casi ci sono tante definizioni quanti sono i parlanti in gioco.

Innanzitutto talvolta si parla di CLIL, ma si sta parlando d’altro, il CLIL diventa un simbolo di volta in volta di innovazione didattica in generale, di paura di perdere il posto di lavoro, di intromissione della politica nella vita della scuola, ecc.

Al limite, c’è una sorta di rappresentazione fideistica, militante, come a dire “io credo nel CLIL”.

Appare evidente che l’acronimo CLIL nella migliore delle ipotesi si riferisce ad un ventaglio estremamente ampio di metodi didattici, talvolta nemmeno legati alle lingue; nella peggiore è simbolo o fede, che contrappone chi ci crede e chi no.

Le definizioni proposte sono ampie, ambigue e confuse. A seguito gli aspetti su cui i parte-cipanti insistono maggiormente nel caratterizzare il CLIL:

CLIL è… fare una disciplina in lingua

CLIL è… una metodologia interattiva e partecipativa CLIL è… imparare la lingua in modo non tradizionale CLIL è… fare programmazione con i colleghi

Nelle interazioni tra i partecipanti ai tavoli e i coordinatori domina la necessità di chiarire cosa si intenda quando ci si riferisce al CLIL, come se ci fosse un’accezione “trentina” di questa metodologia, che va dichiarata; un confronto proficuo necessita innanzitutto di un accordo su ciò di cui si sta parlando.

Solo in un caso si valorizza la dimensione linguistica e cognitiva legata all’apprendimento del linguaggio specialistico e scientifico in lingua.

Al di la delle diverse definizioni, non si riscontra una condivisione nemmeno sui vantaggi o i limiti del CLIL, ovvero sui suoi processi di implementazione.

• “il clil ha consentito di programmare un pochino meglio”

• Ha portato al cooperative learning, metodologie attive

• Modalità per ripensare alla propria materia

• A livello linguistico obbliga ad una maggiore interazione ponendo al centro lo studente

• Didattica inclusiva

• Preparano ad una elasticità mentale

• “Beneficio per tutte le discipline, perché obbliga a pensare alla materia, ad adottare uno stile più partecipato”

• “Il CLIL è una metodologia che deve entrare come metodologia della scuola, che si faccia in italiano, in tedesco o in inglese, quella scuola lavora con la metodologia CLIL”.

• “La sensibilità deve partire dall’insegnante, ma soprattutto dal dirigente: se il dirigente non crede nella cosa, non ha voglia di introdurre l’aggravio organizzativo che comun-que comporta mandare a certificazione 50-100-200 ragazzi, se il dirigente non riesce a imporsi sulla propria segreteria che magari ha una rigidità perché non si vuole fare anche questo lavoro in più, la certificazione non si fa e non c’è niente da fare, non c’è persuasione che li convinca. Quando invece ci credono, volentieri attingono anche ai fondi a disposizione della scuola.

In quella fase la dirigente ha fatto una scelta fondamentale riconoscendo le  ore di programmazione ai colleghi

Qui dipende molto dal dirigente, cioè abbiamo veramente dirigenti che ci tengono, e abbiamo dirigenti che ci lasciano nell’oblio (…)”.

4. Partire con il piede giusto

La proposta del Piano Trentino Trilingue ha suscitato alcune preoccupazioni e alcuni dubbi, che richiedono di essere affrontati. Non si possono controllare tutte le variabili che parteci-pano alla costruzione di un clima organizzativo e relazionale, ma quattro aspetti meritano di

essere chiariti fin dall’inizio o comunque devono essere punti di attenzione su cui ci si impeg-na ad elaborare delle risposte.

1. Dai tavoli emerge che i docenti che più si sono impegnati in questi anni, non si sento-no adeguatamente rassicurati su ciò che accadrà rispetto alle esperienze consolidate. Il Piano dichiara la possibilità per le esperienze di atto di proseguire, ma evidentemente la comunicazione su questo non è passata in modo efficace.

“Ma c’è un grande ma, come abbiamo fatto e c’è stata data l’opportunità di proced-ere fino ad ora e come sarà, perché c’è un abisso”.

“Non è stato valorizzato il “nostro” CLIL”

2. Si riscontra inoltre che il CLIL, così come se ne discute, suscita il timore in alcuni do-centi e genitori che gli alunni “restino indietro” sui contenuti e non imparino i termini spec-ifici delle discipline in italiano. Si insiste a questo proposito sulla necessità di definire gli obiettivi del CLIL nella direzione di una maggiore valorizzazione degli aspetti sia linguistici, sia cognitivi, includendo l’alternanza “programmata” delle due lingue, che invece viene vista ancora con sospetto, come se introdurre momenti in italiano inquinasse la purezza della lezione CLIL.

Chi ha già esperienza di CLIL ammette che gli stessi timori erano anche i propri all’inizio della sperimentazione. Si riconosce quindi che è una paura legittima, dovuta in gran parte a ciò che non si conosce, ma che si può disinnescare aprendo un confronto senza pre-giudizi con chi ha esperienza. Ora invece sembra che ci sia una contrapposizione tra due posizioni molto rigide, tra chi è favorevole al CLIL e chi è contrario, ma, come visto prima, per motivi che solo in parte hanno a che fare con la didattica. Riconoscere la legittimità dei timori dell’altro da una parte e riconoscere l’esperienza dei colleghi dall’altra, potreb-be riportare ad un clima più proficuo per tutti.

3. In terzo luogo i partecipanti ai tavoli sottolineano come finora la sperimentazione CLIL debba molto del suo successo a dirigenti lungimiranti, ma soprattutto ai docenti animati da uno spirito quasi militante, il cui impegno però è stato ricompensato spesso solo dalle soddisfazioni che ricevono in classe dai propri alunni. Ciò che viene espresso con forza nei tavoli è un’istanza di riconoscimento, che ha a che vedere con la dimensione contrat-tuale, ma non solo. Questo aspetto è uno dei più urgenti e non procrastinabili, a rischio c’è il buon esito della sfida posta dal Piano. Essere docente CLIL significa ad esempio costruire i propri materiali e questo deve essere riconosciuto, anche non necessaria-mente in termini economici.

“non necessariamente in soldi, ma meno ore o esonero da certe attività”

“Sarebbe però essenziale che si potessero riconoscere almeno le ore di program-mazione ai colleghi”

“È importantissimo riconoscere il lavoro dei docenti”

“a quel tempo, tra l’altro, era possibile riconoscere il lavoro in termini economici.

Questo però non accadeva dappertutto e per questo motivo si sono perse alcune esperienze importanti, perché di fronte ad una grande mole di lavoro basato sul volo-ntariato il docente diceva: “Ma chi me lo fa fare?”.

“va regolamentato l’albo professionale per i docenti Clil, già previsto dalla legge pro-vinciale sulla scuola del 2006”.

“Sarà necessario assolutamente un passaggio dal punto di vista contrattuale, poiché ai docenti va riconosciuta sia la programmazione, sia la costruzione di materiali che per il CLIL sono quasi sempre inediti quindi bisogna costruirli”.

4. L’ultimo aspetto, ma non per ordine di importanza, è la centralità della formazione del corpo docente. Nei tavoli ricorre trasversalmente la convinzione che il successo di questa innovazione dipenderà in larga parte dai docenti, per cui la formazione e l’aggiornamento sono centrali. Si riconosce che molto è stato fatto, ma è necessaria una riflessione sul tipo di formazione che questo progetto richiede.

“Con i corsi di formazione linguistica di 24-30 ore proposti negli scorsi anni da Iprase non si aumenta la competenza, ma si certifica quella che c’è già”.

“la formazione per gli insegnanti delle scuole partite con i progetti CLIL c’è stata. È mancata una informazione più allargata”.

“io ho colleghi che hanno approfittato dei vari corsi formativi, li hanno fatti i corsi, ma non si sentono comunque adeguati e all’altezza di fare CLIL”.

“È fondamentale, ripeto, il discorso della selezione e formazione dei docenti, perché altrimenti partiamo con un gigante dai piedi d’argilla, cioè ci poniamo degli obiettivi ambiziosi”.

“si deve dare il tempo per la formazione specifica dei docenti e poi per capire quale formazione possa accrescere la competenza dei docenti che è la variabile chiave per garantire la stessa efficacia del progetto”.

“Ecco allora che è necessario promuovere un piano straordinario di formazione dei docenti in ambito sia linguistico sia metodologico, e pertanto anche pedagogico.

non c’è alcun dubbio che per quanto riguarda la formazione vada riconosciuta in qualche modo”.

5. Strategie e suggerimenti per il futuro

Oltre alla necessità di una comunicazione più efficace sul Piano, dai partecipanti ai tavoli vi-ene ribadito che ciò che può contribuire a chiarire alcuni aspetti di ambiguità e costruire una maggiore condivisione è la socializzazione delle esperienze esistenti. Molti docenti negli anni passati si sono già confrontati con preoccupazioni, dubbi, ostacoli durate il percorso di sper-imentazione CLIL. Ci si chiede quindi: perché non capitalizzare queste esperienze evitando che le nuove generazioni di docenti CLIL debbano per forza inventare nuove soluzioni, come se si partisse da zero?

Le narrazioni dei docenti sono ricche di strategie, soluzioni, suggerimenti estremamente sti-molanti, che dovrebbero essere oggetto di riflessione sistematica e diffusi ai colleghi.

Ad esempio molti docenti hanno già elaborato strategie per:

• Arginare rischio che si impoverisca l’italiano;

• Valorizzare eccellenze e supportare chi è in difficoltà;

• Ottimizzare le possibilità offerte dal CLIL anche quando è “sulle educazioni”;

• Utilizzare il CLIL nelle educazioni come strategia di prudenza (opposta a strategia di rifiuto, che relega il CLIL alle educazioni sperando che faccia meno danni possibili)

E questo attraverso:

• Programmazione tra scuole diverse;

• Integrazione della lezione CLIL con lezione di italiano, in cui si affrontano aspetti diversi dello stesso tema

• Dividere la disciplina che viene fatta per metà in CLIL e per metà in italiano

• Compresenza in cui l’altro docente fa da osservatore

• Alternanza tra lingua straniera e italiano

Ci sono infine anche diversi suggerimenti che ricorrono nel confronto ai tavoli e che qui ven-gono solo citati:

• Per essere efficace il CLIL deve sempre essere accompagnato dall’insegnamento della lingua

• Costituzione di un albo

• Rendere permanente l’attività di ascolto iniziata con i tavoli

• Mettere il CLIL al servizio della disciplina per recuperare frattura con docenti DNL (“cosa vi può essere utile?”)

• Concentrare risorse su programmazione comune piuttosto che compresenza

• The younger, the better à investire sui primi anni

• Prevedere sistematicamente attività di osservazione in classe

• Necessità della valutazione e del monitoraggio delle sperimentazioni.

Finito di stampare nel mese di ottobre 2015 da la grafica srl - Mori (TN)

Printed in Italy

Il Profilo delle politiche educative per le lingue o Language Edu-cation Policy Profile è un format di auto-analisi proposto dal Con-siglio d’Europa di Strasburgo, Unità delle Politiche linguistiche ai Paesi membri. Si tratta, in particolare, di un processo di auto-va-lutazione assistito da esperti, volto a rilevare le modalità di realiz-zazione della politica educativa per le lingue in una data nazione, ma anche regione, provincia o città. Non costituisce quindi una

“valutazione esterna”: l’ottica è di attivare un processo di rifles-sione, guidato da esperti designati dal Consiglio, da parte delle autorità locali e dei membri della società civile sulle azioni in atto e sulle possibili evoluzioni con riferimento al tema delle politiche linguistiche.

Il volume restituisce tale processo attraverso la viva voce dei par-tecipanti ai Tavoli di ascolto, promossi da IPRASE nell’ambito della costruzione del Profilo, e propone un’analisi dei principali contenuti emersi durante il confronto.

Francesca Rapanà è collaboratrice di IPRASE.

ISBN 978-88-7702-401-5

Nel documento Voci dalla scuola e dal territorio (pagine 161-172)