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C APITOLO IV: I L MARCHIO COLLETTIVO NELL ’ AGROALIMENTARE

IV.8 C APACITÀ DISTINTIVA DEI MARCHI AGROALIMENTAR

Il marchio, secondo la dottrina industriale è indicativo della “fonte di origine”, ovvero l'impresa che genera il prodotto, e la presenza del marchio sul prodotto garantisce una qualità, ma per l’ordinamento giuridico il marchio d’impresa, non acquisisce da solo una funzione informativa o espressiva dell’origine dei prodotto, né la norma garantisce direttamente al segno una funzione significa di indicazione di origine o di qualità del prodotto.

Il legislatore prevede regole che interessano le modalità di uso del marchio, e l’insieme di informazioni che, insieme ad esso, vengono comunicate al pubblico; si veda a tal proposito l’art. 21, 2° co., c.p.i. che vieta l’uso del marchio che sia tale da indurre in inganno il pubblico circa la natura, qualità o provenienza del prodotto; e l'art. 14, 2° co., c.p.i. e l’art. 20 § 1, lett. c), reg. n. 40/1994, che prevede la decadenza del marchio divenuto ingannevole, il cui significato mette il luce come il marchio, perpetuato nel suo utilizzo, può acquisire un certo valore aggiunto conferito da una funzione informativa. La facoltà del marchio di essere uno strumento di opportuna distinzione porta a credere, come la vis dia luogo ad atti illegittimi da parte di terzi che si traducono in rilevanti cause di confusione tra marchi.

Accanto alla normativa che conferisce il diritto all’uso esclusivo del segno, il legislatore interviene con una norma diretta ad ostacolare il disordine tra i segni, sanzionando l’evento dannoso; la ratio sottesa intende impedire qualsiasi atto che potrebbe, anche solo potenzialmente, determinare la confusione, senza tuttavia limitare il divieto al caso in cui la confusione si realizza in concreto o il rischio è effettivo ma riferendosi, in astratto, a ipotesi nelle quali il rischio è potenziale.

Nel caso riconosciuto da un rischio di confusione, non sempre la norma si riferisce ad un pericolo effettivo, da accertarsi in concreto, “in quanto è possibile spostare la soglia

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di punibilità precostituendo una difesa anticipata e vietare un comportamento che, a priori possa determinare una situazione di pericolo”8.

Le suddette considerazioni guadagnano un contorno ancora più netto nell’agroalimentare per il concorso di ragioni che interessano la natura dell’oggetto cui il marchio è riferito, oltre che alla tipologia del dato informativo, poiché il prodotto agroalimentare è soggetto a una probabile confusione per l’omogeneità merceologica, la concorrenza, i canali distributivi e la presenza di un consumatore mediamente informato, nonostante il fine cui l’alimento è destinato esiga dei dati informativi certi che garantiscono l’utente quanto alla sicurezza dell'alimento, ai sensi del reg. n. 178/2002, quanto alla scelta del prodotto.

Lo stretto rapporto tra agricoltura e territorio, da sostenibilità ambientale a fonte di reddito, si declina nell’adozione di appositi segni che esprimono “l’agrarietà” del messaggio, o meglio il rapporto tra il segno e l'indicazione geografica quale mezzo capace di evidenziare nei prodotti agricoli naturali quanto in quelli di prima trasformazione e, in parte anche in quelli di lavorazione industriale, le qualità, del prodotto.

Se il rapporto è tale per cui il luogo, per sue peculiarità, è idoneo ad evocare particolari qualità del prodotto, insite in quel luogo, si è di fronte ad un marchio descrittivo la cui capacità distintiva è riconoscibile rispetto alla mera indicazione geografica di provenienza.

In virtù dell'associazione tra il toponimo e la denominazione del prodotto, la denominazione del prodotto nel marchio soprattutto di impresa che evochi il luogo di origine, rischia di confondere i segni sul mercato, da cui deriva la confusione tra segni, giuridicamente distinti, ma richiamanti la medesima origine, oppure dall’impiego fraudolento e confusorio di marchi che recano il nomen dell’alimento con il fine di evocare nel consumatore la denominazione di origine protetta, come per il caso “Parmesan”.

La giurisprudenza ha intravisto in tali prassi, azioni di concorrenza sleale per agganciamento, attraverso la riproduzione del nomen nel marchio, della notorietà li un prodotto fregiato e per esiti di confusione in grado di indurre in errore il consumatore che, a causa della forza evocativa del toponimo riproposto illegittimamente nel marchio, potrebbe ritenere di rinvenire caratteristiche qualitative nel prodotto.

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L’Europea ha peraltro evidenziato il pericolo di associazione non come la specificazione del rischio di confusione sull’origine del prodotto che si verifica ogniqualvolta il consumatore sia indotto a ritenere che i prodotti provengano dalla stessa azienda.

La situazione è notevole per i suoi riflessi sul mercato, e riflette come il marchio, che rappresenti uno strumento privatistico e abbia assunto un ruolo fondamentale per la sua funzione comunicativa, ossia una funzione pubblicitaria, determinando l’opportunità di adattare gli interessi privati con l’interesse unico che è quello di rendere il mercato trasparente.

Il legislatore parla anche di rischio di associazione tra prodotti che sì realizza attraverso i marchi e attraverso i segni, e il messaggio che questi riferiscono che, possono evocare il luogo di origine e altresì le qualità del prodotto.

Sull’affinità tra prodotti, il giudizio va fondato in primo luogo sulla confondibilità in concreto di marchi e segni e quindi dei prodotti sulla base della loro funzione, natura e destinazione alla medesima categoria di consumatore, indirizzati a soddisfare il medesimo bisogno.

Nel settore alimentare il rischio di confondibilità si determina con estrema facilità in ragione del concorso di una moltitudine di fattori che interessano l'effetto comunicativo del marchio o del nome del prodotto; la confusione è data da una valutazione che tiene conto dell’impressione complessiva prodotta, come effetti visivi, fonetici o concettuali, sul consumatore medio nei confronti del quale l’effetto dominante è determinato dal messaggio che, con particolare rilievo ai prodotti alimentari, è riferito all’origine o alle qualità ad esso attribuite in quanto sintesi di fattori prettamente naturali ma altresì tradizionali e culturali.

La giurisprudenza ha sanzionato l’uso di un marchio contenente il riferimento geografico relativo a prodotti fabbricati altrove, in quanto idonei a perseguire quell'informazione falsata che si traduce nel rischio di confusione del consumatore. Il ricorso all’indicazione geografica può essere effettuato in via diretta, allorché è costituito dal toponimo, e quando non consiste nell’esatto toponimo ma evoca, mediante altri richiami, il luogo geografico in cui è prodotto.

Nei marchi complessi il rilievo di ogni parte a sé stante deve essere riconosciuta qualora tale componente conservi una posizione distintiva autonoma del segno composto, pure senza costituire l'elemento dominante; il giudizio di confondibilità in presenza di un componente all'interno di un segno, e ciò non solo nei marchi complessi, può condurre

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il consumatore all'istituzione di un collegamento delle più varie componenti del messaggio di cui il marchio è portatore.

La forza evocativa dell’origine geografica, rappresentata attraverso il toponimo oppure a mezzo di un qualunque riferimento grafico o visivo, determina un rapido collegamento.

Il nesso tra il prodotto e l'area geografica, ricordata per il fatto di essere questa un elemento caratterizzante la motivazione di acquisto, in particolare, il rilievo del messaggio sembra ricadere nella grafica e nella decorazione delle etichette evocanti il territorio di origine, nei segni e nei significati dei termini relativi alla presentazione dei prodotti alimentari in quanto detti termini specificano una maggiore espressione geografica, trasmettendo ai consumatori caratteri di unicità del prodotto.

La produzione dell’alimento acquista un peso nella pubblicità, assicurando al consumatore un alimento distinto dalla produzione qualunquista e frutto di tradizioni ed artigianalità in quanto riconducibile ad un determinato territorio di origine.