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C APITOLO IV: I L MARCHIO COLLETTIVO NELL ’ AGROALIMENTARE

IV.9 L A CONVIVENZA TRA MARCHI E DENOMINAZIONI D ’ ORIGINE

Il regime normativo dei marchi e la disciplina dei segni del territorio, Dop e IGP, riconosciuti dalla normativa di fonte comunitaria, rivela uno dei profili del sistema capace di acquisire una sostanziale criticità, anche se la coesistenza può esprimere una positiva sinergia che determina vantaggi sia nei confronti dei produttori che dei consumatori: la coesistenza del marchio individuale dell’imprenditore fregiato da un segno è espressione della conformità del prodotto al disciplinare; nella stessa misura vi sono diversi esempi anche di marchi collettivi raffigurati sulle etichette di prodotti agroalimentari che si sommano al segno geografico, ove il marchio collettivo è espressione di una garanzia diversa rispetto a quella dell’origine del prodotto.

Il conflitto tra questi segni è tuttavia evidente allorquando vi sia identità tra di essi, che il legislatore comunitario ha risolto ricorrendo al criterio della priorità della registrazione, per cui i diritti anteriori prevalgono sui diritti posteriori.

Tale principio nei propri contenuti esprime una regola tipica dei segni distintivi ed evidenzia i limiti della coesistenza che si riflettono nella difficoltà di trovare un punto di equilibrio soddisfacente, causa di una frizione in sede internazionale tra le politiche

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agricole comunitarie e americane, caratterizzate dal perseguimento di interessi e finalità ben distinte.

Segnatamente con riguardo al profilo normativo occorre distinguere seconda che si tratti di marchi individuali o collettivi nel regime di coesistenza con una Dop o IGP.

Nel caso di marchi individuali o collettivi, la rottura tra i distinti diritti è da emergere a fronte della pretesa dei produttori, che rivendicano una esclusiva sul nome o sui nomi che costituiscono l'indicazione e, in particolare, in relazione alla sorte di marchi preesistenti alla registrazione di una denominazione di origine oppure alla possibilità per i terzi di sindacare i presupposti di tutela di una indicazione geografica protetta. Il tema è articolato e non può essere ricondotto al solo art. 14 del regolamento di base preposto dal legislatore a porre fine alle “relazioni tra marchi, denominazioni di origine

e indicazioni geografiche”, ma obblighi a richiamare gli ulteriori spunti normativi che si

rinvengono nell'art. 3, § 4, il quale prevede il divieto di una registrazione di una Dop e IGP in ragione della notorietà del marchio anteriore al fine di evitare un inganno del consumatore sulla vera identità del prodotto ed anche per l’opposizione alla registrazione di segni quando questi possano indurre in errore il consumatore circa la vera identità del prodotto e se dovesse recare danno ad un marchio anteriore.

L'art. 14, § 2, fa salvi soli i marchi che siano anteriori alla protezione delle denominazioni nel Paese di origine o che siano stati acquisiti con l’uso in buona fede sul territorio comunitario, e non a quelli, pur anteriori alla richiesta di registrazione della Dop o IGP, siano posteriori alla sua protezione nello paese originario, a meno che non siano marchi anteriori al 1 gennaio 1996.

La norma non è chiara nel tracciare i motivi di opposizione, dopo aver fissato l'esistenza del marchio anteriore notorio nei casi dell'art. 3, § 4, ammette all’opposizione i titolari dei marchi la cui esistenza potrebbe essere danneggiata senza alcuna distinzione tra marchi.

In presenza di un marchio anteriore noto, la Commissione è tenuta, a rifiutare la registrazione dei segni con un margine per cui la registrazione può indurre in errore il consumatore circa la vera identità del prodotto; l’interpretazione sembra allargare il campo di applicazione a fattispecie ulteriori a quelle del solo marchio che gode di rinomanza in quanto il legislatore attraverso l'art. 3, § sembra voler individuare il vero presupposto dell'impedimento nel rischio di inganno del pubblico circa l'identità del prodotto.

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L’art. 3, § 4, è da ostacolo alla registrazione delle Dop o IGP che possano portare a generare una confusione con un marchio già esistente, senza tuttavia escludere la possibilità che il marchio preesistente possa comunque non essere in conflitto con la denominazione registrata ai fini dell'art. 13.

La compatibilità posta su un rischio di confusione, non comprende tutte le situazioni in cui i marchi possano ledere le denominazioni registrate; così può trovare menzione la sentenza della Corte di Giustizia che ha rilevato che la registrazione della IGP “Bayerisches Bier” non pregiudica la validità o l’utilizzabilità di preesistenti marchi purché siano stati registrati in buona fede e non sussistano cause di nullità o di decadenza previste dalla direttiva sui marchi d’impresa, come disposto dall’art. 14, n. 2, del regolamento, fatto che deve essere accertato dal giudice nazionale.

Il suddetto articolo che stabilisce le condizioni in base alle quali un marchio antecedente può continuare ad essere utilizzato, nonostante la registrazione e una denominazione o indicazione. Cioè, quando il marchio preesistente non è stato registrato in buona fede, concetto che riguarda se la registrazione del marchio in questione sia stata presentata nel rispetto delle norme nazionali e internazionali in vigore al momento di presentazione o se al marchio sussistono cause di nullità o di decadenza per le ragioni specifiche stabilite nelle disposizioni della direttiva sui marchi d'impresa, i segni prevalgono sul marchio preesistente.

Diversamente nel caso in cui, pur ricorrendo l'impedimento di cui all’art. 3, § 4, la Dop o IGP venga ugualmente registrata;. così è scartata la possibilità di avviare la procedura di cancellazione della Dop o IGP, in quanto l’art. 12 prevede categoricamente la cancellazione solo quando non è più garantito il rispetto delle condizioni del disciplinare.

Nella coesistenza tra marchi collettivo e indicazioni di qualità il problema si pone, anche in questo caso nell’ottica della compatibilità; le due forme di protezione hanno trovato prova nella giurisprudenza interna che ha rilevato come non vi sarebbero ostacoli logici e giuridici per le forme di protezione.

Altra dottrina ha invece messo in luce le differenze tra tali segni, in quanto il marchio collettivo rappresenta un segno distintivo dalla natura privatistica, mentre la Dop o IGP un segno a disposizione di chiunque sul quale nessun soggetto può in proprio rivendicare un’esclusiva, pur rilevando che entrambi gli strumenti operano nella stessa direzione e con la medesima denominazione.

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Si tratta di segni ad uso plurimo diretti ad individuare il prodotto per le sue caratteristiche oltre alla sua riconduzione a una sua specifica area geografica, cosicché la possibilità di una confusione, ex art. 3, § 4, è possibile.

L’esperienza del mercato dei prodotti agroindustriali presenta in più occasioni l’ammasso dei segni Dop o IGP rispetto ai marchi collettivi; entrambi svolgono una diversa funzione di garanzia qualitativa nell’interesse e degli operatori della zona e dei consumatori.