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a caccia di dati “M ancano i dati”

Nel documento con gli occhi delle bambine (pagine 191-194)

Quante volte si è sentita ripetere questa frase, quasi a giustificare un vuoto di analisi, un’assenza di azione, un’impasse involontaria. Altrettanto abusata è la frase: “lo dicono i dati”, per descrivere una realtà che fonda su di essi la sua apparente oggettivazione. Eppure cifre e numeri non sono neutri.

«Ci sono sempre persone e istituzioni che parlano per i dati e ciascuno ha la propria agenda. I dati non sono mai innocenti», sostiene Catherine D’Ignazio del MIT. A maggior ragione quando si tratta delle donne, spesso rimosse dall’analisi e dalle rilevazioni, in particolare in quelle realtà del mondo dove più deboli sono i loro diritti.

Talvolta i dati non vengono raccolti, più spesso non vengono disaggregati per genere. Quasi mai c’è la volontà di nascondere una realtà, piuttosto si procede per inerzia.

Al tema, D’Ignazio, insieme a Lauren Klein, ha dedicato lo studio “Data Feminism” (MIT Press) in

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cui, utilizzando la lente del femminismo intersezionale, analizza i modi in cui la “Scienza dei dati” riflette la struttura sociale. Se i dati sono potere – sostengono le due studiose – inevitabilmente rifletteranno i rapporti diseguali tra uomini e donne.

Al tema dell’assenza dei dati o della loro manipolazione si è dedicata anche Caroline Criado Perez, giornalista britannica di cui Einaudi ha recentemente

pubblicato Invisibili. Perché le donne rischiano di più negli incidenti stradali? E perché davanti ai bagni femminili c’è sempre più coda che in quelli maschili? Sono alcune delle domande provocatorie che pone e a cui tenta di rispondere l’autrice.

Secondo la giornalista ci sarebbero alcune dimensioni del femminile particolarmente

penalizzate nella raccolta dei dati: il corpo delle donne, il carico di lavoro non retribuito che grava sulle loro spalle e la violenza maschile. Forse per questo – ha sottolineato la Perez in numerose interviste – all’inizio

dell’emergenza Covid-19 molti si sono stupiti che le donne fossero

più resistenti al virus, ma nessuno ha saputo spiegare il perché. Sulla necessità di raccogliere dati con un’ottica di genere si è soffermata anche Ilaria Capua, una delle scienziate più ascoltate nei mesi della pandemia.

Alla domanda del giornalista del Corriere della Sera sulle attività del suo istituto ha risposto: «Non ci occupiamo solo del coronavirus, ma anche di Big Data, cioè dati che possano essere messi in relazione con la pandemia.... Dati di tutti i tipi. Per esempio, le condizioni metereologiche nelle diverse zone del mondo (che possono influenzare la

sopravvivenza del virus, ndr). Per esempio le differenze di genere che possono spiegare perché le donne sono più protette. Qualcuno deve cominciare a metterci le mani»29.

È quello che sostengono molte, di fronte agli sviluppi dell’Intelligenza artificiale che rischiano di

moltiplicare bias e stereotipi. “Garbage in, Garbage out”, è la sintesi brutale ma efficace di cosa avviene nell’universo dei big data. Immondizia entra, immondizia esce. Tradotto: se i programmatori sono uomini, è difficile che abbiano un’attenzione al genere femminile. Anche non volendo, i dati che immetteranno nei computer saranno condizionati dalla loro visione o dalle loro dimenticanze. Con il risultato che si rischia di amplificare i divari di genere. Per questo si moltiplicano gli appelli alle ragazze, “metteteci le mani, entrate nel mondo dei big data, siate sviluppatrici del femminile”.

ha partecipato solo alla prima parte dell’indagine (Computer and Information Literacy) e non alla seconda (Computer Thinking), che indaga competenze più sofisticate

(“la modalità di pensiero che usiamo quando programmiamo le operazioni da eseguire per risolvere un problema su un computer o su un dispositivo digitale”)30.

In generale, i dati mostrano che le ragazze, in terza media, hanno una “Computer and Information Literacy” più alta dei coetanei maschi. La maggior competenza delle ragazze è confermata anche dalla rilevazione effettuata in Italia dall’Istat nel 2019 per la fascia d’età 14-17 anni: il 32% delle adolescenti e il 28,7% degli adolescenti hanno elevate competenze digitali. Nella fascia d’età 18-19 anni, il vantaggio delle ragazze svanisce, anche se le alte competenze riguardano una fetta maggiore del campione (44% delle ragazze e 44,7% dei ragazzi). Analizzando le diverse componenti, per le adolescenti di 14-17 anni, il vantaggio risulta evidente nelle information skills (salvare files, trovare informazioni online, ecc.) e nelle communication skills (utilizzo di email e dei social, caricare contenuti) ed è più contenuto nelle problem solving skills (installare app, trasferire file tra dispositivi, cambiare impostazioni) e nelle software skills31.

Le adolescenti utilizzano internet più dei coetanei per consultare un wiki (69% e 63%), leggere giornali, informarsi (44% e 36%), partecipare ai social network (77% e 68%), ma sono pari nell’uso di internet per servizi e-governement (l’11%). I ragazzi, invece, sono leggermente più esperti nell’utilizzo dei pagamenti per acquisti online (15% rispetto al 13% di ragazze). Entrambi, comunque, sono troppo indietro rispetto al bisogno non solo di sapere, ma anche di governare, in età adulta, gli enormi processi di mutamento trainati dalla computer science.

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na bambina che conosco mi ha raccontato che riceveva continuamente messaggi da sconosciuti, gli sconosciuti dichiaravano di essere suoi fan. Essendo una bambina di buon senso non aveva mai sospettato che fossero messaggi rivolti a lei. Rispondeva: mi sa che vi siete sbagliati, e non ci pensava più. A un certo punto, arrivò un messaggio che conteneva una domanda, a qualcuno era venuto un dubbio: sei, e il nome di uno youtuber mediamente noto che lei non aveva mai conosciuto. No, rispose la bambina, capendo che quello youtuber per liberarsi delle insistenze dei fan aveva pubblicato un numero falso, che per un caso era il suo numero. Senza alcuna ansia, armata di pazienza, aveva scritto allo

youtuber che il numero era suo e che lo togliesse. Ma i messaggi per un po’ continuarono ad arrivare. Arrivò anche il messaggio di una bambina, le fece anche lei quella domanda, lei rispose quello che rispondeva sempre: non sono io, quello youtuber ha indicato un numero falso che per un caso è il mio. Facciamo amicizia? Propose la bambina che aveva scritto, e lei disse sì. Così le due bambine di città diverse cominciarono una corrispondenza, la bambina che aveva scritto sbagliando, che era di due anni più piccola, le raccontò della sua vita, che non era facile, aveva i genitori separati e il padre a volte le faceva paura. Aveva un gran bisogno di parlare e aveva trovato così per caso qualcuno con cui farlo, qualcosa di simile a un’amica. Credo che si scrivano ancora.

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Nel documento con gli occhi delle bambine (pagine 191-194)

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