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Nel documento con gli occhi delle bambine (pagine 71-74)

PoVertà assolUta

minorile

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n “caso di studio” interessante per valutare gli effetti sulla povertà minorile - e si spera anche per una futura valutazione di genere da parte dell’INPS e del MEF - è offerto dal Reddito di

Cittadinanza. Ad aprile 2019 è stata, infatti, avviata la prima misura universale di contrasto alla povertà in Italia, il Reddito di Cittadinanza, con un impatto di riduzione della povertà assoluta già visibile nei dati pubblicati dall’Istat relativi al 2019. Un impatto che, naturalmente, occorrerà riconsiderare alla luce della crisi economica scoppiata a seguito dell’emergenza sanitaria nel 2020.

La povertà assoluta minorile dal 2018 al 2019 è scesa dal 12,6 all’11,4%, ossia l’incidenza è passata da 1 minore su 8 ad 1 minore su 9, e l’impatto sulle famiglie con figli 0-17enni appare ancora più incisivo (da 11,3 a

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9,7%) anche perché della misura hanno beneficiato in particolare le famiglie con un solo figlio.

L’incidenza della povertà assoluta per questa tipologia familiare si è ridotta di un quarto, passando da 6,5% nel 2018 al 4,9% nel 2019, mentre risulta poco efficace l’impatto sulle famiglie con 3 o più figli (dal 17,2 al 16,6%), poiché il beneficio economico erogato aumenta solo marginalmente all’aumentare dei figli minorenni presenti nel nucleo familiare. Se guardiamo poi agli effetti positivi che il Reddito di Cittadinanza ha avuto nelle diverse ripartizioni geografiche, appare evidente il miglioramento registrato per la povertà minorile nel Centro Italia, dove l’incidenza si è ridotta di un terzo, dal 10,1% al 7,2%. Al Nord e al

Mezzogiorno, invece, l’impatto è stato minore.

Al Nord la povertà assoluta colpisce ancora il 10,7% dei minori, oltre 1 su 10, con una lieve discesa dal 2018 (era dell’11,2%), poiché molti minori in povertà sono di origine straniera. In Italia, infatti, il 31% delle famiglie con figli

minorenni e genitori stranieri vive in povertà assoluta (dato invariato rispetto al 2018). Questo dato suggerisce che le stringenti condizioni sulla residenza poste per l’ottenimento del Reddito di Cittadinanza hanno di fatto tagliato fuori da questa misura molte famiglie di origine straniera in povertà.

Anche nel Mezzogiorno, dove però risiede un numero molto inferiore di stranieri, la povertà assoluta dei bambini è rimasta molto elevata (passando dal 15,7 al 14,8%): anche se serviranno ulteriori dati (al momento non disponibili) per un’analisi

approfondita, la limitata efficacia dell’intervento appare

innanzitutto da ricondurre alla maggior presenza al Sud di famiglie in povertà con numerosi figli.

Il fatto che molti residenti nel Mezzogiorno siano riusciti a beneficiare del Reddito di Cittadinanza ma che la povertà minorile permanga a livelli allarmanti dovrebbe far riflettere i decisori politici sull’urgenza di affrontare la povertà dei bambini – al Sud in modo particolare – con un approccio strategico e

multidimensionale rivedendo gli stessi parametri di attribuzione della misura di sostegno.

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UN BILANCIO DI GENERE PER FAR qUADRARE I CONTI

Nel decennio della crisi, in Italia, sulla scia di un approfondito dibattito e dell’impegno delle associazioni femminili e di molte donne con incarichi politici e amministrativi, è stato messo a punto un meccanismo di valutazione delle politiche e degli interventi sulla componente femminile della popolazione. Dal 2016, il Ministero dell’Economia e della Finanza (MEF) redige un Bilancio di Genere dello Stato che mira ad effettuare una valutazione del diverso impatto delle politiche di bilancio sulle donne e sugli uomini, in termini di denaro, servizi, tempo e lavoro non retribuito.

A livello nazionale, è stato introdotto in via sperimentale dall’articolo 38-septies della legge 196 del 2009 e condotto per la prima volta sul Rendiconto generale dello Stato 2016. Questo dovrebbe aiutare a capire chi beneficia e chi è lasciato indietro dagli interventi di welfare o di altra natura, come le politiche di housing o quelle che incidono sul sistema sanitario, le politiche educative o le misure a salvaguardia dell’ambiente, o per aumentare la partecipazione dei cittadini.

In paesi come l’Italia, dove la spesa pubblica ogni anno assorbe risorse pari al 49% del PIL, è fondamentale analizzare e poi valutare l’impatto che ogni misura e ogni risorsa spesa hanno avuto o possono avere sulle donne come sui minori. Quasi sempre, infatti, gli effetti delle decisioni di politica economica o delle leggi emanate non sono neutri dal punto di vista del genere (gender blind) e tra generazioni diverse. Così come molte misure non hanno lo stesso impatto sui cittadini italiani e su quelli senza cittadinanza italiana.

LE FINANZE POVERE DEL SECONDO SESSO

In Italia, mancano ancora indicatori in grado di rilevare le diverse condizioni economiche di uomini e donne. Infatti, le stime sulla povertà misurano solo la capacità di spesa dei nuclei familiari e da questa capacità di spesa fanno derivare l’incidenza della povertà assoluta e relativa dei minori presenti in ciascun nucleo in povertà. Sappiamo però che il rischio povertà – calcolato attraverso l’indagine EU-Silc (European Union Statistics on Income and Living Conditions) di Eurostat – è maggiore per le donne tra i 25 e i 54 anni: nel 2019 era del 29,8% rispetto al 27,6% degli uomini. Si tratta di un inevitabile riflesso di percorsi di vita segnati da una bassa o nessuna occupazione, da salari inferiori (sia in media sia a parità di mansioni) e da pensioni più basse rispetto agli uomini. Nel 2017, ad esempio, l’importo medio annuale riscosso da una pensionata era di circa 7 mila euro, inferiore a quello dei pensionati maschi tra i 60 e i 79 anni e, soprattutto, la quota di donne che percepivano meno di mille euro al mese era del 45% rispetto al 27% degli uomini. E’ il riflesso di vite trascorse senza un lavoro o con percorsi lavorativi frastagliati, meno remunerati e con minori opportunità di carriera.

Nel documento con gli occhi delle bambine (pagine 71-74)

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