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Il “calco” è un’interferenza linguistica che si manifesta con l’uso di parole o espressioni derivanti da equivalenti stranieri, diverse nel significato e simili nel significante. A differenza dei prestiti, per i calchi è necessario che le lingue siano in un rapporto più profondo poiché il processo di formazione di parole ha bisogno di riprendere la struttura della lingua modello. Esistono due tipi di calco linguistico: morfologico e semantico. Un esempio del primo caso è la parola “fine settimana” che deriva dall’inglese week end. Prima della creazione di questo termine, in lingua italiana non ce n’era uno per indicare gli ultimi giorni della settimana. Il calco semantico si verifica quando una parola già esistente in una lingua assume un nuovo significato sul modello di un’altra. Ad esempio la parola “realizzare” ha assunto il significato di “ rendersi conto” sul modello inglese “to realise”.

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Gli studi di antropologia hanno dimostrato che la lingua è il prodotto culturale di una comunità, un utile strumento per decifrare il modo di vivere e di pensare di un individuo.

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Nel rapporto tra lingua e cultura, sviluppato da Sapir25 e approfondito da Whorf26, la lingua è intesa come mezzo determinante di creazione e di concettualizzazione dei pensieri. Umberto Galimberti27, filosofo italiano contemporaneo, spiega in un conferenza che «noi possiamo pensare solo in base alle parole che possediamo»28. I romani erano un popolo molto maschile che costruiva strade e faceva guerre; aveva un vocabolario molto elementare e di conseguenza si esprimeva con pensieri veramente poveri. Difatti, i latini avevano circa 4.000 parole mentre i greci ne possedevano 80.000. Dunque se la cultura è l’intero modo di vivere di un popolo, la lingua è senz’altro parte della cultura29

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Durante il processo di acquisizione del sapere e di interpretazione sociale-comunicativa della realtà, la lingua è il migliore strumento di comunicazione dell’esperienza. Le caratteristiche intrinseche della cultura sono la sua dinamicità e la sua negoziabilità. Il contatto fra culture genera l’ibridismo linguistico ovvero la mescolanza di diversi aspetti socio-culturali e socio-linguistici che, soprattutto dal punto di vista della traduzione, sono spesso una delle problematiche cui si presta maggiore attenzione. Tradurre una lingua non significa trovare solamente una corrispondenza in significato di una parola, ma avere le capacità di comprenderla nel contesto culturale dei suoi parlanti.

4 LA DIMENSIONE PRAGMATICA

Come detto in precedenza, la lingua non è solo un concetto astratto, ma è il mezzo che permette di comunicare e di agire nei contesti di vita reale in cui è utilizzata. Questa prospettiva di analisi della lingua è determinata dai cosiddetti fenomeni pragmatici.

La pragmatica è quella parte della comunicazione legata ai linguaggi non verbali. A questo proposito, si fa distinzione tra pragmatica intraculturale (l’insieme delle norme che regolano l’uso di una lingua all’interno di una cultura) e pragmatica interculturale (l’interazione tra nativi e non nativi di una certa lingua e cultura). Nel primo caso, poiché la comunicazione avviene all’interno di una stessa sfera linguistico-culturale, non sorgono

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Linguista e antropologo statunitense di origine tedesca.

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Linguista e antropologo statunitense, allievo di Sapir.

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Filosofo e docente universitario italiano.

28Galimberti U., conferenza a Casarano (Lecce) “Amore e Psiche”, 2015. 29

notevoli problemi di fraintendimento, se non quelli che avvengono nelle conversazioni quotidiane. Il problema di ambiguità si risolve subito, non solo perché la comunicazione segue un iter regolare (gli interlocutori parlano per mezzo della stessa lingua), ma grazie anche alla fitta rete di impliciti socioculturali e fenomeni extralinguistici che determinano il contesto del messaggio comunicativo (Vitucci, 2013). Il fraintendimento, invece, nasce se la sfera di riferimento non è più quella intraculturale, ma interculturale. Se si considera che il 70-80% della comunicazione giunge all’occhio, mentre solo il 10-15% all’orecchio, si può constatare che gran parte della comunicazione avviene per via non verbale. Poiché l’impatto visivo è più dirompente rispetto a quello linguistico, il traduttore oltre ad avere una certa competenza linguistica, dovrà essere capace di decifrare gli aspetti paraverbali del linguaggio (il tono, l’intonazione, il ritmo del parlato), quelli extraverbali (risate, mugugni, colpi di tosse) e quelli pragmatici del corpo (movimenti, espressioni del viso). Le categorie su cui la traduzione audiovisiva basa la dimensione paralinguistica si configurano come segue:

- La dimensione cinesica, ossia l’analisi che incentra il suo focus sulla gestualità umana, di cui fanno parte i movimenti di braccia, mani, gambe e piedi, posture, contatto degli occhi, mimica facciale, emissione di odori e rumori corporei.

Nella cultura occidentale il sorriso è usato per comunicare messaggi positivi, in quella asiatica può indicare anche situazioni di imbarazzo. Lo sguardo si basa su un atteggiamento puramente culturale in quanto si relaziona al contesto, al sesso degli interlocutori, alla gerarchia e al grado di confidenza. Così anche l’uso di braccia, mani, gambe e piedi, durante l’atto comunicativo può essere considerato poco rispettoso o addirittura offensivo per alcune culture. Anche gli odori e i rumori corporei possono essere indice di impurità e per questo considerati atti intollerabili in alcune culture e tollerabili in altre.

- La dimensione prossemica, ossia lo studio del rapporto che una cultura sviluppa nei confronti dello spazio inteso come contatto o distanza.

In alcune culture la distanza fisica tra parlanti può essere intesa come intromissione degli spazi personali, mentre in altre potrebbe essere percepita come manifestazione di freddezza e di distacco emotivo. L’analisi prossemica facilita molto la comprensione del contesto dei significati durante la sottotitolatura. Ne fanno parte il modo in cui ci si siede e

a che distanza gli uni dagli altri,il modo in cui ci si posiziona nell’ascensore (se davanti le porte di apertura o in fondo), i saluti e gli inchini (come nella cultura asiatica) ecc.

Altre due categorie che non bisogna tralasciare quando si affronta un’analisi interpretativa di un processo comunicativo sono la vestemica e l’oggettemica. Il vestiario e il concetto di eleganza variano fra culture, così come gli oggetti indossati denotano non solo uno status sociale in termini di benessere economico ma anche in segno di poco stile. Infine, gli oggetti offerti o regalati possono essere considerati come atto di gentilezza e rispetto nei confronti degli ospiti. Occorre tuttavia porre l’accento sulle modalità dell’offerta, sulla capacità di insistenza e sul modo di schernirsi nell’accettare un dono. Ogni cultura ha poi degli oggetti ritenuti portatori di fortuna o sfortuna e che quindi possono o non devono essere regalati in determinate occasioni. Ad esempio in Italia non si offrono i crisantemi, in quanto fiori il cui è significato è associato alla morte ( Madii, 2008)30.

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