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La dimensione cronemica rappresenta un altro elemento per comprendere in chiave pragmatica alcune scene cinematografiche. Si pensi alla durata delle conversazioni, delle pause, dei convenevoli e al ruolo dei silenzi in certe culture. Prendendo in esame quest’ultimo, si constata senza dubbio la possibilità di essere inteso come assenso implicito o dissenso. Importante è anche il ruolo dei turni di parola, che in base al rapporto instaurato tra i parlanti, assume significati diversi. In Italia ad esempio, in una conversazione è frequente la sovrapposizione dei turni di parola che non è per forza intesa in termini di “interruzione” e “intromissione” nel discorso del parlante. Il meccanismo dei turni di parola che ne scaturisce non è altro che una “co-costruzione del significato”31 all’interno di una conversazione tra gli interagenti. Così pure le interruzioni possono essere sia collaborative, per offrire al parlante qualche suggerimento lessicale, sia competitive, allo scopo di prendere il turno di parola. Per quanto riguarda queste ultime,

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Madii L., 2008, La diversa appartenenza culturale può influire sull’apprendimento di una seconda lingua?, IRRE Toscana, lettura offerta dall’Agenzia Nazionale per lo Sviluppo dell’Autonomia scolastica (http://insegnoitaliano.indire.it/).

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Bazzanella C. (2005) in Linguistica e pragmatica del linguaggio per “co-costruzione del significato” intende che la condivisione dello scopo motiva le forme e le procedure inferenziali utilizzate per raggiungere un’intesa tra gli interagenti in una conversazione.

«in molti casi interruzioni apparentemente competitive, potevano essere spiegate e interpretate come collaborative in un contesto di acquisizione linguistica: l’interlocutore percepisce le difficoltà del parlante per portare a termine il suo enunciato e decide di aiutarlo prendendo il turno e partecipando alla dinamica di una co-costruzione dialogica.»32

“Fare le cose con le parole”: GLI IMPLICITI SOCIOCULTURALI

La lingua è connessa a comportamenti culturali spesso espressi implicitamente. Per chi deve affrontare una traduzione audiovisiva è importante che non trascuri l’analisi degli impliciti socioculturali caratterizzanti i vari personaggi, al fine di evitare ogni tipo di ambiguità comportamentale, altrimenti travisata dall’audience. Con la lingua non si informa solo l’interlocutore di qualcosa, ma è anche possibile svolgere vere e proprie azioni. Pronunciando determinate parole, il parlante può infatti influenzare, ordinare, offendere, condannare, litigare e scusarsi. Allo stesso modo gli atti linguistici, studiati da un punto di vista interculturale, sono molteplici: i rifiuti, le scuse, le lamentele, le richieste, i saluti.

A tal proposito, Austin (1962) e Searle (1973)33 spiegano la teoria degli atti linguistici attraverso l’analisi dello svolgimento della comunicazione che avviene in tre momenti: atto locutorio (quando ci si esprime verbalmente), atto illocutorio (quando si compie un’azione), atto perlocutorio (quando si provoca una reazione). La teoria degli atti linguistici proposta da Austin che mette in evidenza la correlazione tra dire e fare, viene ripresa dal suo allievo Searle che la riprende con la seguente critica:

« Parlare una lingua significa impegnarsi in una forma di comportamento molto complessa, governata da regole. »34

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Pettorino M., Giannini A., Dovetto F.M., 2009, “ Lacomunicazione parlata 3” atti del congresso internazionale tenutosi all’Università degli Studi di Napoli L’Orientale delGruppo di Studio sulla Comunicazione Parlata .

33 Filosofi del linguaggio. 34

Searle J., (1969) 1976, p.36, Atti linguistici. Saggi di filosofia del linguaggio. Milano: Bollati Boringhieri. Trad. it Giorgio Raimondo Cardona [ Speech Act: An Essay in the Philosophy of Language. Cambridge

Con questa affermazione, Searle giunge all’individuazione degli atti sottostanti che, in base a un’insieme di regole, qualificano il “dire” sul piano del “fare”, infatti secondo la sua teoria sulla “forma dell’ipotesi” :

« la struttura semantica di una lingua può essere concepita come realizzazione convenzionale di una serie di regole costitutive sottostanti e che gli atti linguistici sono atti eseguiti, tipicamente, enunciando espressioni in accordo con questi insiemi. »35

In sintesi, l’influenza della parola sul contesto si basa su alcuni aspetti fondamentali: - Capacità degli enunciati utilizzati per agire sul contesto: modificare lo stato delle

cose.

- Dimensione sociale del linguaggio: atti regolati da norme, convenzioni o consuetudini.

- Varietà degli usi discorsivi: affermazioni, ordini, domande, minacce.

5 IL TURPILOQUIO

Tra i tratti che più caratterizzano i film in lingua originale, doppiati o sottotitolati, bisogna includere i termini volgari e irriverenti, dall’imprecazione più contenuta all’espressione più offensiva per l’audience. Sono elementi tipici del parlato, correlati al registro informale e all’uso dello slang, che rappresentano per il traduttore un problema ricorrente. I campi colpiti dalla “proibizione” linguistica o tabù lessicale comprendono diversi oggetti come le divinità, la sfera sessuale, la dannazione e i fluidi corporei.

Il turpiloquio è spesso presente in film le cui vicende coinvolgono personaggi che hanno a che fare con la droga e la mafia. Inoltre, dall’analisi di numerose pellicole cinematografiche, si è evinto che il turpiloquio è tipico del linguaggio giovanile e degli uomini rispetto alle donne. Dal punto di vista dell’accettabilità sociale, i prodotti audiovisivi sono spesso sottoposti a censura, processo attraverso cui si elimina tutto ciò che potrebbe considerarsi offensivo nella cultura di arrivo. Tra i fattori che influenzano le rese traduttive bisogna tenere in considerazione:

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- la corrispondenza o non corrispondenza semantica tra lingua di partenza e lingua di arrivo;

- la restrizione del mezzo (doppiaggio o sottotitolazione); - il permesso di usare fantasia/creatività nella resa traduttiva.

Quale problema si pone nel tradurre “le parolacce” da una lingua all’altra? Quanto si è fedeli alla colonna sonora originale?

Nel doppiaggio si assiste ad un’eliminazione voluta (o imposta) del turpiloquio superiore del 50% rispetto alla sottotitolazione. Non si tratta solo di problemi di censura, ma di competenza linguistica che in molti casi sfocia in rese traduttive infedeli, inadeguate e sbagliate.

Il turpiloquio è spesso un atto linguistico nel senso che agisce a commento di una parola o di un’espressione causata da stati d’animo come contrarietà, rabbia, sorpresa, imprecazione e per tale motivo di poco rilievo nell’avanzamento della trama. Di conseguenza, non si chiede esplicitamente al traduttore di essere il più aderente possibile all’originale. Nel caso degli insulti, il campo semantico perde di significato, in quanto portatori di un messaggio evocativo che non necessita di una traduzione letterale, ma di una più fedele all’espressività della battuta originale. È evidente che non tutte le espressioni volgari presenti nei film tradotti si riscontrino nei film originali e viceversa. Questo perché la censura del turpiloquio nella sottotitolazione si attua in due modi: con la trasformazione del linguaggio e con l’eliminazione di elementi ambigui o osceni. La difficoltà della resa traduttiva del turpiloquio sta nel non perdere di vistala battuta originale, poiché è ovviamente udibile e l’incongruenza della traduzione risulterebbe evidente. La natura del sottotitolo è privilegiante da questo punto di vista, in quanto a differenza del doppiaggio non è sottoposta a controlli pressanti da parte della censura. Nella traduzione di un registro volgare, ad esempio nel sottotitolaggio, è possibile ammorbidire i toni facendo attenzione a non stravolgere le battute originali con l’uso di eufemismi.

A questo proposito, secondo i linguisti australiani K. Allan e K. Burridge, il concetto di tabù lessicale è legato a tre fenomeni: eufemismo, disfemismo e ortofemismo.

- Eufemismo: ricorso a tecniche di autocensura di termini dal forte impatto emotivo e/o volgari con la sostituzione di espressioni più miti.

- Disfemismo: ricorso a termini che denigrano e umiliano volutamente l’interlocutore come le imprecazioni, le maledizioni, le offese oppure parolacce esclamative usate per liberarsi di rabbia e frustrazione.

- Ortofemismo: ricorso a termini che evocano espressioni maggiormente volgari. 36

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CAPITOLO II

6 SOROMON NO GISHŌ – ZENPEN JIKEN

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