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Le camere a ionizzazione

Le camere a ionizzazione impiegate per la dosimetria in radioprotezione sono costituite da rivelatori il cui volume è variabile da qualche decina di centimetri cubi fino ad alcuni decimetri cubi. La necessità di volumi relativamente grandi rispetto ad altri tipi di rivelatori deriva dall’esigenza di avere una sensibilità adeguata anche per le misure di campi di radiazione di bassa intensità, quali quelli derivanti dal fondo ambientale, con cui si ha tipicamente a che fare nell’ambito della radioprotezione. Le camere a ionizzazione hanno infatti una sensibilità intrinseca che è molto bassa rispetto ai rivelatori costituiti da materiali solidi di pari volume, poiché i coefficienti di interazione dei gas (cfr. cap. 3) sono, a parità delle altre condizioni, di circa tre ordini di grandezza

inferiori a quelli dei solidi. Le non piccole dimensioni che in genere caratterizzano i dosimetri per radioprotezione basati su camere a ionizzazione possono limitare la loro maneggevolezza. Questa limitazione è però bilanciata dal vantaggio di avere un rivelatore il cui segnale è molto stabile in quanto poco influenzato dalle variazioni del potenziale di polarizzazione. Ciò risulta evidente dall’analisi della curva in figura 8.7 in corrispondenza del regime operativo di “camera a ionizzazione” nella regione di quasi saturazione dove di norma operano questi rivelatori. Questa circostanza rende possibile l’uso di generatori di tensione (pile o alimentatori) anche non eccessivamente stabili e quindi meno sofisticati e poco costosi. Le camere a ionizzazione per la dosimetria in radioprotezione sono costruite con forme e dimensioni diverse. Due dei più frequenti schemi costruttivi sono mostrati in figura 8.8 e riguardano camere a ionizzazione a geometria sferica e camere con elettrodi piani e paralleli. La misura del segnale prodotto da questo tipo di dosimetri è nella prevalenza dei casi eseguita mediante un circuito integratore di corrente il cui schema di principio è mostrato in figura 8.9. Il circuito integra la corrente I generata dalla camera a ionizzazione e la corrispondente carica q accumulata nel condensatore Cq in un dato

intervallo di tempo compreso fra t₁ e t₂ è data da:   2 1 t t Idt q (8.8)

Figura 8.8 - Schemi di camere a ionizzazione con forme diverse. Nelle camere a

geometria sferica l’elettrodo collettore (un conduttore a forma di barretta cilindrica o filiforme) è situato in posizione centrale entro il volume delimitato dall’elettrodo di forma sferica cui è applicata la tensione di polarizzazione. Nelle camere a elettrodi piani e paralleli il volume sensibile è delimitato dai due elettrodi costituiti da conduttori con superficie piana

Nel circuito schematizzato in figura 8.9 la corrente I genera una tensione d’ingresso Vi e una tensione di uscita Vu. Se il guadagno A

dell’amplificatore è molto elevato – con il rapporto A

1A

prossimo a 1 – se la resistenza intrinseca, Ri, del condensatore Cq è molto elevata e

se la capacità di ingresso Ci del circuito (comprensiva delle capacità

parassite) è trascurabile rispetto alla capacità posta in controreazione, Cq, si può assumere valida la relazione:

q ≈ Cq·Vu (8.9)

In queste ipotesi il segnale di uscita Vu del circuito è proporzionale a q, e

quindi alla fluenza di energia della radiazione incidente sulla camera a ionizzazione. Nei circuiti come quelli di figura 8.9 sono utilizzati amplificatori operazionali con guadagno molto elevato (tipicamente non inferiore a 10⁴) e si ha anche di norma Cq >> Ci. La durata della misura è

fissata dal tempo di apertura, ta, dell’interruttore S che può essere sia

azionato manualmente sia programmato per aperture e chiusure cicliche. In alternativa alla misura di carica, ottenuta tramite la (8.9), il circuito può eseguire una misura di corrente, se ad esso sono associate ulteriori componenti circuitali (ad es. un resistore in controreazione anziché un condensatore) in grado di fornire il rapporto I = q/ta.

Figura 8.9 - Schema di base di un integratore di corrente associato a un rivelatore

che, nel caso considerato, è una camera a ionizzazione (CI). Quando l’interruttore S è chiuso la carica q generata nella camera a ionizzazione (CI) dà luogo a una corrente I e quindi a una tensione Vi e Vu, all’ingresso e all’uscita dell’amplificatore, rispettivamente. Se il guadagno A dell’amplificatore è molto elevato si può assumere che il segnale di uscita Vu sia direttamente proporzionale a q e quindi alla fluenza di energia della radiazione incidente su CI. Se il condensatore in controreazione Cq è sostituito da un resistore, Ri, il segnale di uscita Vu è proporzionale alla corrente anziché alla carica

Gli integratori di corrente utilizzati nei dosimetri per radioprotezione sono di norma forniti di una batteria di condensatori di capacità Cq

variabile. Ciascun condensatore viene automaticamente inserito quando si preseleziona il valore massimo di carica che di volta in volta si deve misurare.

Le correnti I dovute alla carica generata da camere a ionizzazione esposte a radiazione ambientale sono in genere molto basse. Nei campi di radiazione meno intensi e per camere di volume non molto elevato queste correnti possono essere particolarmente piccole, anche dell’ordine di 10⁻¹⁴ A. Per queste misure può essere critico il rumore di fondo del sistema rivelatore-circuito di misura.

Come molti altri rivelatori, la camera a ionizzazione può essere utilizzata anche in modalità per misure di impulsi. In questa modalità, a differenza di quanto avviene in un circuito integratore di corrente, ogni singola interazione della radiazione incidente sul rivelatore dà luogo a un impulso la cui ampiezza è proporzionale all’energia della particella che ha generato l’evento. In figura 8.10 è mostrato il circuito equivalente del primo stadio di elaborazione del segnale di una camera a ionizzazione che opera in regime impulsivo. A questo primo stadio sono poi connessi i circuiti (non mostrati in figura) dedicati al conteggio degli impulsi ed eventualmente alla misura della loro ampiezza. Il segnale del rivelatore è misurato dalle variazioni di differenza di potenziale, VR, ai capi della

resistenza R. In assenza di cariche di ionizzazione all’interno della camera, ai capi della resistenza R, si misura la tensione di polarizzazione V₀. Quando una particella carica passa attraverso la camera, le coppie di ioni che si formano si spostano sotto l’influenza del campo elettrico verso gli elettrodi della camera, riducendo la tensione rispetto al valore iniziale V₀.

Figura 8.10 - Circuito equivalente per la rivelazione dei singoli impulsi di tensione

dovuti alla carica prodotta in una camera a ionizzazione (CI) a seguito di ciascuna interazione della radiazione incidente sul rivelatore. La forma e la durata degli impulsi dipendono dal tempo di raccolta delle cariche e dalla costante RC del circuito, mentre la loro ampiezza dipende dalla quantità di carica prodotta a seguito di ciascuna interazione e quindi dall’energia della particella che ha interagito. Non sono mostrati nello schema i moduli elettronici necessari all’amplificazione e al conteggio degli impulsi

Il segnale del rivelatore è costituito dalla differenza di potenziale ai capi della resistenza R e cresce in funzione della carica raccolta agli elettrodi della camera. L’ampiezza di questo impulso di tensione si riporta quindi a zero con un tempo determinato dalla costante di tempo RC del circuito. Se la costante RC è sufficientemente grande rispetto al tempo di raccolta delle cariche, si ha un impulso la cui ampiezza è proporzionale alla quantità di carica prodotta all’interno della camera. Tipici tempi di raccolta degli elettroni sono dell’ordine dei microsecondi, mentre per gli ioni sia positivi che negativi, essi sono dell’ordine dei millisecondi. Come sarà illustrato più avanti, i portatori di carica nelle camere a ionizzazione di uso più frequente (il cui gas è l’aria) sono essenzialmente ioni, anziché ioni ed elettroni. Per avere quindi un segnale che rappresenti tutta la carica prodotta, la costante di tempo del circuito deve essere dell’ordine di qualche millisecondo. Questa circostanza costituisce una limitazione nell’impiego delle camere operanti in regime impulsivo poiché in queste condizioni la camera a ionizzazione può essere usata solo con bassi ratei di fluenza. In compenso questa modalità di misura permette di fare della spettrometria, cioè di determinare anche l’energia delle particelle incidenti. Tale possibilità si ha tuttavia solo se la radiazione incidente perde tutta la sua energia nel rivelatore. Le misure spettrometriche con camere a ionizzazione a impulsi sono perciò possibili con particelle alfa e comunque con radiazioni di energia sufficientemente bassa da essere completamente arrestate nel volume di gas del rivelatore. Va comunque tenuto presente che per le misure spettrometriche con rivelatori a gas altri tipi di rivelatori, come i contatori proporzionali (vedi oltre), sono di norma preferibili.

A parità di fluenza di energia della radiazione incidente il segnale fornito da una camera a ionizzazione dipende dal gas e dal materiale delle pareti del rivelatore. L’ampiezza del segnale dipende dal numero (e dall’energia) delle particelle cariche che ionizzano il gas del rivelatore. Quando la radiazione è costituita da fotoni, l’ampiezza del segnale cresce all’aumentare del numero atomico, Z, del gas e delle pareti. In camere a ionizzazione di volume non molto grande il valore dello Z del materiale delle pareti del rivelatore può avere un ruolo prevalente rispetto a quello del gas. Poiché il materiale delle pareti è un solido, il numero di interazioni con cui i fotoni producono gli elettroni che successivamente ionizzano il gas, può essere maggiore nelle pareti che nel gas del rivelatore. La dipendenza della risposta, RE,G (cfr. eq. 8.5), di una camera

a ionizzazione dall’energia dei fotoni può essere perciò sensibilmente modificata a seconda del materiale usato come parete della camera. Se la grandezza dosimetrica G è riferita a un materiale tessuto equivalente (cfr. cap. 7), sarà quindi necessario utilizzare per le pareti della camera

(e anche per il gas) un materiale con uno Z possibilmente non molto dissimile da quello del tessuto, affinché si possa avere una trascurabile dipendenza di RE,G dall’energia dei fotoni.

Nelle camere a ionizzazione il regime di completa saturazione nella raccolta della carica (cfr. fig. 8.7) in pratica non è mai raggiunto. L’incompleta raccolta delle cariche si riscontra prevalentemente nelle camere a ionizzazione, rispetto ad altri tipi di rivelatori, poiché il gas prevalentemente usato nelle camere a ionizzazione è l’aria. La presenza nell’aria di un gas elettronegativo come l’ossigeno fa sì che gran parte degli elettroni liberati dalle ionizzazioni si “attacchino” (ancor prima di raggiungere l’anodo) alle molecole di ossigeno formando così ioni negativi. Questi ultimi hanno, non appena formati, un’elevata probabilità di interagire con gli ioni positivi originariamente prodotti dalla ionizzazione. Ioni di segno opposto possono perciò neutralizzarsi (ricombinazione ionica) causando una riduzione del segnale.

Il fenomeno della ricombinazione ionica nelle camere a ionizzazione con aria è sempre presente anche per tensioni di polarizzazione relativamente alte. Come sarà descritto più in dettaglio nel capitolo 15, l’entità della ricombinazione dipende dalle caratteristiche del campo di radiazione oltreché da quelle della camera. Tuttavia per i campi di radiazione cui si è più usualmente interessati in radioprotezione, in particolare nella dosimetria della radioattività ambientale, la correzione per l’effetto della ricombinazione ionica si può ritenere generalmente trascurabile.

Gli effetti di ricombinazione della carica sono praticamente sempre trascurabili se il gas di riempimento delle camere a ionizzazione è costituito da gas nobili e in generale da gas non elettronegativi. Non sempre l’uso di questi gas è tuttavia possibile poiché la scelta del gas influenza, in relazione al suo numero atomico Z, la risposta del rivelatore sia rispetto al tipo che all’energia della radiazione che s’intende misurare. D’altra parte l’uso dell’aria come gas di riempimento rende la costruzione e l’impiego di una camera a ionizzazione molto più semplice ed economico rispetto all’uso di qualsiasi altro gas.

Le camere a ionizzazione possono essere di tipo sigillato o non sigillato a seconda che il volume che contiene il gas di riempimento sia o meno a tenuta. Le camere di tipo non sigillato sono costruttivamente più semplici e il gas (di norma l’aria) è sempre in equilibrio con l’aria dell’ambiente esterno. Questa circostanza rende d’altra parte il segnale della camera dipendente, a parità di tutte le altre condizioni, dalla temperatura e dalla pressione atmosferica. La massa d’aria (interna al rivelatore) in equilibrio con l’aria esterna varia infatti in funzione della temperatura e della pressione atmosferica. Questa dipendenza richiede una correzione del segnale che può variare da qualche percento a

qualche frazione di percento. Tale correzione deve quindi essere sempre determinata ogni qualvolta si richieda un’incertezza sulla misura non superiore a qualche percento. Per il calcolo di questa correzione si rinvia al capitolo 15 con specifico riferimento alla dosimetria in radioterapia con camere a ionizzazione. Le camere a ionizzazione possono rivelare qualsiasi tipo di radiazione ma con una sensibilità molto variabile in funzione del gas e del materiale delle pareti utilizzate. Le camere a ionizzazione ad aria, che per la loro semplicità costruttiva costituiscono la componente maggioritaria di questi rivelatori, sono usate prevalentemente per la dosimetria di radiazione x e gamma. L’efficienza delle camere a ionizzazione ad aria alla radiazione gamma è piuttosto modesta, ma questa limitazione è compensata dal fatto che la gran parte dei dosimetri con camere a ionizzazione ha una dipendenza poco pronunciata dall’energia dei fotoni per tutte le grandezze dosimetriche G di maggiore interesse.