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I contatori Geiger-Müller

I contatori Geiger-Müller (G-M) usati per la dosimetria in radioprotezione sono fra i rivelatori a gas quelli utilizzabili anche in dimensioni molto piccole, dell’ordine di qualche centimetro cubo o di volume ancora inferiore. La sensibilità dei contatori G-M è infatti, fra i contatori a gas, la più elevata in quanto i fattori di amplificazione tipici di questi contatori possono raggiungere valori fino a 10¹⁰. Lo schema costruttivo di un contatore G-M è sostanzialmente analogo a quello del contatore proporzionale (cfr. figura 8.11). Essenziale per il suo funzionamento è lo spessore molto sottile (tipicamente 0,1 mm) dell’elettrodo centrale a filo in modo da consentire, anche con differenze di potenziale non molto elevate, di realizzare nelle immediate vicinanze dell’elettrodo campi elettrici sufficienti (cfr. eq. 8.10 e 8.11) ad attivare il processo di moltiplicazione a valanga della carica. Un contatore G-M è strutturalmente simile a un contatore proporzionale differendo da questo soprattutto per il tipo di gas impiegato. Il regime di scarica caratteristico del contatore G-M rende necessari degli accorgimenti nella composizione del gas per evitare che un singolo evento di ionizzazione inneschi una serie successiva di scariche. Tale circostanza avrebbe, fra le varie conseguenze, anche quella di rendere il contatore inattivo per un tempo eccessivamente prolungato rispetto ad altri eventi di ionizzazione successivi al precedente. L’efficienza del contatore nel rivelare le particelle su di esso incidenti verrebbe in tal modo sensibilmente ridotta. La riduzione della successione di scariche è usualmente ottenuta miscelando al gas del rivelatore (come ad es. l’argon) una piccola quantità di gas cosiddetti di “spegnimento”. Questi gas sono costituiti tipicamente da molecole organiche (come ad es. etanolo o butano) o da alogeni (come ad es. cloro o bromo). I gas di spegnimento agiscono attraverso diversi meccanismi fra cui, principalmente, quello di assorbire i fotoni UV che nel contatore G-M fanno propagare la scarica e quello di cedere elettroni che neutralizzano parte degli ioni positivi.

Il segnale di un contatore G-M ha, a differenza di quelli prodotti dagli altri rivelatori a gas, un’ampiezza sufficiente da non richiedere un circuito di amplificazione. Gli impulsi di un contatore G-M, la cui ampiezza può essere anche di qualche volt, sono di norma inviati direttamente a un’unità di conteggio e il circuito di misura risulta quindi essere molto meno elaborato dei circuiti associati ad altri tipi di rivelatori a gas. Ciò rende i dosimetri basati su rivelatori G-M strumenti molto semplici, miniaturizzabili e di costo contenuto.

La semplicità dei dosimetri G-M, unitamente al fatto di poter essere realizzati anche in piccole dimensioni, è alla base della loro utilizzazione sia nel monitoraggio di area sia in quello individuale. A questi vantaggi pratici fa però riscontro una minore versatilità di impiego di questo tipo di rivelatori. Ogni scarica in un contatore G-M genera mediamente la stessa carica totale, indipendentemente dalla quantità di ioni primari prodotti. L’informazione sullo spettro di energia della radiazione incidente viene quindi completamente persa. Inoltre, l’uso dei contatori G-M non è indicato per misure di campi di radiazione molto intensi. La scarica che ha luogo nel contatore ha una durata variabile fra qualche decina e qualche centinaio di microsecondi, durante i quali il rivelatore non risponde al passaggio di ulteriori particelle. Nelle misure di elevati ratei di fluenza il rivelatore può quindi paralizzarsi impedendo la rivelazione di parte della radiazione incidente. Quando il rateo di conteggio raggiunge il migliaio di conteggi al secondo il tempo di paralisi del contatore (il cosiddetto tempo morto del contatore) può diventare abbastanza elevato da pregiudicare la linearità di risposta del sistema di misura. Il contatore G-M presenta d’altra parte il vantaggio di poter essere impiegato in presenza di campi di radiazione caratterizzati da ratei di fluenza molto bassi per i quali altri tipi di rivelatore a gas non hanno sufficiente sensibilità.

I contatori G-M sono usati prevalentemente per misure di radiazione gamma e radiazione beta e a tal riguardo valgono per i contatori G-M considerazioni analoghe a quelle già evidenziate per i contatori proporzionali. È importante, nelle misure di radiazioni beta e di fotoni di bassa energia, verificare l’esistenza e l’adeguatezza della “finestra” del contatore. Finestre di mica con spessore di circa 0,01 mm, o di altro materiale con spessore di 1-2 mg cm⁻², sono usate per poter rivelare particelle alfa e beta o radiazione gamma di bassa energia dell’ordine di una decina di keV. Ugualmente importante è tener conto, nelle misure di radiazione x e gamma, della risposta in funzione dell’energia, RE,G, che

per i contatori G-M può essere ancor più pronunciata (a causa dei materiali costruttivi tipicamente ad alto Z) di quella dei contatori proporzionali.

più semplici rispetto alle camere a ionizzazione e ai contatori proporzionali, sono tuttavia utilmente impiegati per svariate esigenze di monitoraggio ambientale e individuale.

8.3.2 I rivelatori a scintillazione

Diversi tipi di dosimetri per misure ambientali sono basati sui rivelatori a scintillazione. I rivelatori a scintillazione sfruttano la proprietà di alcuni materiali (materiali scintillanti), solidi o liquidi, di emettere luce quando sono attraversati da radiazione ionizzante. La quantità di luce emessa è proporzionale alla fluenza di energia della radiazione incidente sul rivelatore. Tale luce viene poi convertita in un segnale elettrico tramite fotomoltiplicatori o fotodiodi. Affinché un materiale scintillante possa essere utilizzato come rivelatore, è necessario che esso sia trasparente alla luce emessa. La lunghezza d’onda di questa luce deve inoltre essere compatibile con la risposta spettrale del fototubo utilizzato.

L’evoluzione temporale dell’emissione luminosa di uno scintillatore è descritta dalla relazione:

 

f τs t τ t Be Ae t N     (8.12)

dove N

 

t è il numero di fotoni visibili emessi, A e B sono coefficienti dipendenti dalla composizione del materiale scintillante e dalla natura ed energia della radiazione incidente, mentre τf e τs sono tempi

caratteristici dipendenti dalla composizione dello scintillatore. In questo modello il tempo di salita del segnale è trascurato, in quanto nella maggior parte dei casi esso è molto inferiore ai tempi caratteristici τf e τs.

Nella (8.12), la componente di N

 

t con tempo di decadimento τf è la

componente veloce (o di fluorescenza), mentre quella con tempo di decadimento τs > τf è la componente lenta (o di fosforescenza). Per avere

segnali di più breve durata è quindi conveniente considerare solo quegli scintillatori in cui la componente di fosforescenza sia trascurabile rispetto a quella di fluorescenza ovvero avere B << A. In alcune situazioni sperimentali, la dipendenza dei coefficienti A e B dal tipo di radiazione incidente (in particolare, dal LET) viene sfruttata per poter discriminare le varie particelle in base alla forma dell’impulso luminoso. Gli scintillatori possono essere realizzati con materiali sia allo stato solido che liquido e hanno il vantaggio di poter essere costruiti con forme diverse e in un ampio intervallo di dimensioni: da pochi millimetri cubi ad alcuni decimetri cubi. Questa circostanza li rende utilizzabili per misure in campi di radiazione più o meno intensi dove possono essere richieste efficienze di rivelazione fra loro molto diverse.

della loro risposta, RE,G, dall’energia dei fotoni a seconda del loro numero

atomico medio e del materiale entro cui possono essere sigillati. La loro variabile configurazione fisica, unitamente al fatto che i loro involucri protettivi possono avere uno spessore non costante, può rendere consistente anche la variabilità della loro risposta angolare.

La quantità di luce emessa in uno scintillatore e quindi l’ampiezza di ciascun segnale fornito dal rivelatore a seguito di un singolo evento di ionizzazione di una particella è proporzionale all’energia che la particella ha perso nel rivelatore in quell’evento. I rivelatori a scintillazione consentono perciò di effettuare anche misure spettrometriche della radiazione su di essi incidente. A tal riguardo gli scintillatori non hanno le limitazioni tipiche dei rivelatori a gas come le camere a ionizzazione o i contatori proporzionali. Con i rivelatori a gas infatti, la spettrometria è possibile solo con quella radiazione che può essere totalmente assorbita nel volume del gas del contatore, come ad esempio la radiazione x e gamma di bassissima energia. La densità molto più elevata degli scintillatori, rispetto a quella dei contatori a gas, rende invece possibile con gli scintillatori misure spettrometriche anche per fotoni con energia di alcuni MeV.

Il segnale di luce fornito da uno scintillatore può essere convertito in un segnale e quindi in un impulso di tensione mediante un fotomoltiplicatore. Lo schema tipico di un fotomoltiplicatore è raffigurato in figura 8.13. Il fotocatodo assorbe i fotoni di scintillazione su di esso incidenti ed emette, per effetto fotoelettrico, gli elettroni che vengono successivamente accelerati da un campo elettrico. Il rapporto tra numero di fotoelettroni emessi dal fotocatodo e i fotoni incidenti rappresenta l’efficienza quantica del fotocatodo:

 

λ onda d lunghezza con incidenti fotoni di numero emessi oni fotoelettr di numero λ η '  (8.13)

L’efficienza quantica è fortemente dipendente dalla lunghezza d’onda della luce emessa dallo scintillatore e anche dal materiale utilizzato come fotocatodo. Per questo motivo, è sempre necessario valutare con attenzione, per ciascun tipo di scintillatore (caratterizzato da una data lunghezza d’onda della luce da esso emessa) l’accoppiamento scintillatore-fotocatodo. Tipici valori di η sono dell’ordine del 20-30%. Gli elettroni con energia sufficiente a fuoriuscire dal fotocatodo vengono accelerati da un campo elettrico e focalizzati verso una serie di dinodi, i quali danno luogo a un processo di moltiplicazione del numero degli elettroni su di essi incidenti. Un partitore di tensione permette di avere una differenza di potenziale (d.d.p.) costante tra le coppie di dinodi consecutivi. Questa d.d.p. fornisce agli elettroni energia sufficiente a innescare un processo di emissione di elettroni secondari a seguito della