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La ripetibilità e la riproducibilità

La ripetibilità dei risultati delle misure eseguite con un dosimetro è un indice della stabilità del sistema di misura. La ripetibilità è valutabile mediante qualsiasi indicatore (come ad esempio lo scarto tipo) che descriva la dispersione dei risultati sperimentali ottenuti mediante misure ripetute da parte di una stessa persona nelle medesime condizioni sperimentali. Il concetto di “ripetibilità” differisce da quello di “riproducibilità”. La riproducibilità descrive, analogamente alla ripetibilità, la dispersione dei risultati sperimentali ma questi risultati riguardano misure che, pur svolte in simili condizioni sperimentali, sono eseguite da persone diverse. Ai fini della caratterizzazione delle proprietà di un sistema dosimetrico interessa preferibilmente conoscere la ripetibilità. Infatti nel concetto di riproducibilità possono intervenire fattori dipendenti non solo dal dosimetro ma anche da chi esegue la misura. Nel dichiarare la ripetibilità delle misure effettuate con un dato dosimetro è necessario specificare il periodo di tempo rispetto al quale la ripetibilità è riferita. Per poter valutare il grado di stabilità di un dosimetro è sufficiente specificare la ripetibilità riferita a: 1) una singola serie di misure (ripetibilità di breve termine), 2) diverse serie di misure ripetute in tempi diversi nell’arco di qualche settimana (ripetibilità di medio termine) e di alcuni mesi (ripetibilità di lungo termine). Minori sono le differenze fra i tre livelli di ripetibilità, maggiore è la qualità

strumentale del sistema dosimetrico. Nella dosimetria in radioprotezione la ripetibilità relativa allo strumento di misura non rappresenta di norma la componente più rilevante rispetto alle numerose altre fonti di incertezza sia di tipo A che di tipo B (cfr. App. A). In particolare nella dosimetria del fondo di radiazione ambientale possono esservi fonti di incertezza molto più elevate rispetto alla ripetibilità del sistema di misura. Tuttavia è sempre opportuno specificare la ripetibilità relativa a ciascun tipo di sistema dosimetrico poiché ciò indica la qualità dell’apparato di misura. Nei sistemi dosimetrici più frequentemente utilizzati in radioprotezione, la ripetibilità può variare da oltre il 10% (dosimetri passivi con rivelatori a pellicola fotografica) a circa lo 0,1% (dosimetri attivi con camere a ionizzazione).

8.3

I principali rivelatori utilizzati nei dosimetri per

radioprotezione

I dosimetri impiegati in radioprotezione (sia per il monitoraggio di area che per il monitoraggio individuale) utilizzano un’ampia tipologia di rivelatori a seconda delle misure per le quali essi sono previsti. In relazione al tipo di radiazioni da rivelare, si possono distinguere tre categorie principali di dosimetri:

a) dosimetri per misure di radiazione x e gamma con energia compresa fra una decina di keV e alcune decine di MeV;

b) dosimetri per misure di radiazione beta con energia fino ad alcuni MeV);

c) dosimetri per misure di neutroni, classificabili ulteriormente in dosimetri per neutroni termici e per neutroni veloci con energie da 0,025 eV fino a qualche decina di MeV.

La misura di radiazioni di diverso tipo può richiedere dosimetri con diversi tipi di rivelatore. Dosimetri diversi, come i dosimetri di area e quelli individuali, possono essere realizzati anche con rivelatori del medesimo tipo ma con diverse dimensioni, sensibilità, forma ecc.

I rivelatori di più comune impiego per la dosimetria in radioprotezione sono i:

▪ rivelatori a gas,

▪ rivelatori a scintillazione, ▪ rivelatori a termoluminescenza, ▪ rivelatori a emulsioni fotografiche, ▪ rivelatori a tracce,

▪ rivelatori a bolle,

▪ rivelatori a semiconduttore, ▪ rivelatori a fotoluminescenza.

Di questi rivelatori sono descritti nel seguito solo le caratteristiche essenziali e gli aspetti di stretta attinenza al loro impiego dosimetrico rinviando, per i dettagli sulle proprietà fisiche e sulle modalità di elaborazione del loro segnale, agli specifici testi sui rivelatori indicati nella bibliografia del capitolo. I rivelatori a semiconduttore sono solo sommariamente descritti in questo capitolo in relazione al loro limitato impiego per scopi strettamente dosimetrici. L’impiego di elezione dei rivelatori a semiconduttore in radioprotezione riguarda le misure di radioattività. I semiconduttori usati a questo scopo saranno descritti nel capitolo sulle misure di attività dei radionuclidi (cfr. cap. 9).

8.3.1 Rivelatori a gas

I rivelatori a gas sono fra i più antichi rivelatori utilizzati per la misura delle radiazioni ionizzanti e sono tuttora largamente utilizzati in dosimetria. Nella sua configurazione di base un rivelatore a gas è costituito da un contenitore riempito con un gas e al cui interno sono disposti due elettrodi (catodo e anodo) fra i quali è applicata una differenza di potenziale (cfr. figura 8.6). Nel volume del rivelatore compreso fra i due elettrodi (il volume attivo del rivelatore) agisce il campo elettrico dovuto alla differenza di potenziale esistente fra catodo e anodo. La radiazione che interagisce con il rivelatore ionizza il gas da cui il rivelatore è costituito con la conseguente formazione di ioni positivi ed elettroni. Le cariche positive e negative così prodotte si muovono nel gas, sotto l’azione del campo elettrico, in direzioni opposte per essere infine raccolte rispettivamente sul catodo e sull’anodo. Un opportuno circuito elettronico elabora il segnale di carica fornito dal rivelatore e fornisce un segnale proporzionale alla ionizzazione e quindi al numero delle particelle ionizzanti che l’hanno prodotta. Se le particelle cedono un’energia E all’interno del volume attivo, il numero di coppie elettrone- ione formate è pari a E/W, dove W è l’energia media necessaria per formare, nel gas considerato, una coppia di ioni (cfr. § 3.3.5). Il segnale, costituito da una corrente o da un numero di impulsi di tensione a seconda del circuito di misura associato al rivelatore, dipende quindi da E/W e può dipendere più o meno sensibilmente, a seconda del tipo di rivelatore, anche dall’intensità del campo elettrico nel rivelatore. L’ampiezza del segnale in un rivelatore a gas in funzione della differenza di potenziale fra i suoi elettrodi varia come mostrato nella figura 8.7 dove è riportata la curva caratteristica di un rivelatore a gas. In questa curva si distinguono i tre principali regimi operativi del rivelatore al variare dell’intensità del campo elettrico applicato: il regime di camera a ionizzazione, il regime di contatore proporzionale e il regime di contatore Geiger-Müller.

molto bassi del campo elettrico, solo una parte delle cariche prodotte per ionizzazione viene raccolta agli elettrodi, poiché prevalgono i processi di ricombinazione tra cariche di segno opposto. Al crescere del campo elettrico la migrazione delle cariche verso i rispettivi elettrodi tende a prevalere sulla ricombinazione con un sensibile aumento della carica raccolta. Al crescere ulteriore del campo elettrico la carica raccolta aumenta leggermente in modo asintotico verso un valore di saturazione. Nel tratto finale del regime di camera a ionizzazione in cui i fenomeni di ricombinazione si possano ritenere trascurabili, la carica prodotta nel rivelatore è pressoché uguale a quella generata nel processo di ionizzazione. Questa carica è proporzionale all’energia depositata dalla radiazione nel rivelatore ed è poco dipendente dal valore del potenziale ad esso applicato.

Con l’aumentare del campo elettrico inizia il regime cosiddetto di “contatore proporzionale” in cui gli ioni acquistano, durante la loro migrazione, energia sufficiente a ionizzare ulteriormente il gas. Si innesca così un processo di moltiplicazione in cascata, in cui la quantità di

Figura 8.6 - Schema di base di un rivelatore a gas. La forma del contenitore entro

cui è contenuto il gas è generica. Anche gli elettrodi fra cui è applicata una differenza di potenziale V₀, possono avere, a seconda del tipo di rivelatore, configurazioni diverse. Il circuito di misura, M, schematizzato in figura come circuito di misura di un segnale di corrente, può essere realizzato anche in modo da misurare il numero di impulsi di tensione

carica raccolta sugli elettrodi aumenta esponenzialmente con la tensione applicata. Come nel regime di “camera a ionizzazione”, l’ampiezza del segnale prodotto dal rivelatore è sempre proporzionale all’energia depositata nel gas dalla radiazione ionizzante. Nel regime “proporzionale”, a differenza di quello di “camera a ionizzazione”, l’ampiezza del segnale prodotto dal rivelatore varia però con il potenziale applicato. Nel regime “proporzionale” si ha infatti una moltiplicazione della carica iniziale prodotta dalla ionizzazione, al crescere della tensione applicata, V. Il fattore di moltiplicazione è molto elevato e può raggiungere, all’aumentare di V, valori fino a 10⁶. Alla regione di proporzionalità segue, all’aumentare di V, una regione cosiddetta di “proporzionalità limitata”. In questa regione di funzionamento la proporzionalità tende infatti a venir sempre meno poiché il processo di moltiplicazione della carica è talmente ampio

Figura 8.7 - Andamento della curva caratteristica tensione-corrente (V-I) di un

rivelatore a gas. Le regioni di ricombinazione (a) e di (quasi) saturazione (b) corrispondono al regime operativo di “camera a ionizzazione”. Le regioni di proporzionalità (c) e di scarica (e), separate dalla regione intermedia (d), corrispondono rispettivamente ai regimi operativi di “contatore proporzionale” e di “contatore Geiger-Müller”. Per semplicità non è evidenziata nel grafico la cosiddetta regione di proporzionalità limitata compresa fra la regione di proporzionalità e quella di scarica

da dar luogo alla formazione di carica spaziale e quindi a una distorsione del campo elettrico all’interno del rivelatore.

Aumentando ulteriormente l’intensità del campo elettrico inizia il regime cosiddetto di “contatore Geiger-Müller”. In questa regione di funzionamento del rivelatore i fenomeni di ionizzazione sono caratterizzati da effetti non lineari causati da processi di ionizzazione a valanga che, a partire dal punto in cui ha luogo la ionizzazione iniziale, si diffondono all’interno del rivelatore. Questi molteplici processi a valanga sono innescati dai fotoni ultravioletti di diseccitazione di alcuni tipi di molecole contenute nel gas. Questi fotoni UV nell’attraversare il gas, producono ionizzazioni in diversi punti all’interno del rivelatore, dando luogo a un fenomeno di scarica lungo tutto il suo volume. A seguito di questi effetti la proporzionalità del segnale all’energia depositata nel gas dalla radiazione ionizzante scompare gradualmente. Il passaggio di ogni particella provoca infatti la cosiddetta “scarica Geiger” che satura il segnale. Nella regione di scarica l’ampiezza del segnale è perciò praticamente costante e quindi indipendente dalla quantità di ioni iniziali direttamente prodotti dalla particella incidente sul rivelatore.

I rivelatori a gas che operano in ciascuno dei tre regimi descritti sono rispettivamente le camere a ionizzazione, i contatori proporzionali e i contatori Geiger-Müller. A seconda delle esigenze di misura, ciascuno di questi rivelatori ha delle specificità che ne rendono preferenziale l’impiego in condizioni diverse nella dosimetria in radioprotezione. In pratica nessun rivelatore è costruito per operare in tutti i tre regimi operativi. Il funzionamento ottimale del rivelatore esige infatti, per ciascun regime operativo, l’impiego non solo di gas specifici ma anche di specifiche forme e dimensioni del rivelatore. Nel seguito sono descritte le caratteristiche principali dei tre tipi di rivelatore a gas e le loro applicazioni più usuali nella dosimetria in radioprotezione.