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CAMILLO TARELLO E GLI INIZI DELLA SCIENZA AGRONOMICA MODERNA

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1. — Sul cadere del Rinascimento a Lonato bresciano, cittadina sorgente su quell’altipiano morenico, che chiude il Garda verso la pianura, visse un uomo, di cui ben poche notizie son rimaste, e meno ancora dei suoi; si sa soltanto che qui è nato ed è morto nella seconda metà del secolo XVI, e che egli stesso si appellava messer Camillo Tarello da Lonato. Da qualche vaga notizia è apparso che egli era di famiglia agiata e austera, che condusse poderi nei dintorni della città e nella vicina terra di Gavardo sul Chiese, che aveva molta passione per l’agricoltura, che godeva fama di uomo dotto, specie nella letteratura latina (1).

Delle sue opere non si conosce che un libro: Il ricordo di agricoltura che apparve nel 1567 e nello stesso anno fu presentato al Senato veneto: intorno a quella data è il solo momento noto come certo nella vita del nostro.

Come in altri scritti economici del tempo, l’esposizione non appare nè com­ pleta, nè ordinata nella distribuzione della materia; la forma è spesso involuta, pesante, qualche volta anche negletta.

Ciò nonostante gli scrittori georgici, che vengono dopo di lui, ne parlano quasi tutti con alta considerazione : « Io venero quest’uomo grande » ha scritto Filippo Re. — « Per formare un eccellente agronomo bastano Columella e Ta­ rello », così il Caronelli. — Il Marconi, lo chiama il primo e più potente inno­ vatore dei suoi tempi. — Fra i viventi il Serpieri, lo designa propugnatore di fondamentale progresso tecnico; il Peglion, il riformatore dell’agricoltura moderna; il Manvilli, « sommo agronomo, che a giusto diritto deve chiamarsi il padre della moderna agricoltura ».

2. — Il Volpe ha scritto che « l’agricoltura rimane nel ’200 e nel ’300 e rimarrà fino all’800 poco diversa da quella che Columella e Vairone hanno de­ scritto 2000 anni fa, come l’agricoltura del loro tempo » (2).

(1) U. Papa, Camillo Tarello, in «Rassegna nazionale», 1° novembre 1899, pp. 16 e 17.

(2) G. Volpe, Momenti di storia italiana, Firenze, p. 184. 25

Abbiamo avuto, è vero, momenti di floridezza e di depressione agricola, ma ciò è dipeso da maggiore disponibilità di capitali, da trasformazioni sociali ed economiche, per le quali si è avuto maggior afflusso di contadini e proprietari alla terra; si sono introdotte nuove piante, e nuovi allevamenti, conquistate altre terre, rese più fertili, mediante grandi opere di miglioria, sopratutto di irrigazione, vasti territori; ma trattasi di progressi più di estensione che di intensificazione; la tecnica agricola, intesa come applicazione di sistemi di coltivazione, di modi di esecuzione dei lavori agricoli e di fertilizzazione delle terre, è rimasta quella descritta dai georgici latini, e sopratutto del più provetto fra essi, Moderato Columclla, cioè rigidamente tradizionale fino a Liebig.

Rileviamo sopratutto il fatto che ha particolare interesse agli effetti del nostro studio: l'ordinamento culturale dominante da secoli consisteva nell'alter­ nanza delle colture cereali, col riposo della terra, mediante il maggese (3).

I tempi del Tarello ebbero insigni scrittori d’agricoltura; notissimo fra que­ sti, per quanto di due secoli anteriore, Pier De Crescenzi, l'autore del Liber rttralirtm commodorttm, il quale però, benché chiamato la Stimma agricolltirae che poteva stare a pari alla Stimma di San Tommaso, se raccoglie le nozioni allora note in fatto di coltivazioni dei campi, non apporta un reale contributo di idee nuove (4).

Più precisamente nel secolo XVI si ebbero il Venchi di Noto, lo spoletano Crustolo, il cremonese Vita, il Vettori; e, conterraneo e coetaneo del Tarello, Ago­ stino Gallo, scrittore, di cui diremo e che sotto qualche riguardo può stare a pari del nostro; lo supera anzi come scrittore. La Spagna ebbe l'Herrera, le Fiandre il polacco Hiirtlib; la Francia l'Etienne, il Palissy, il Liebault; tutti però, sia pure con adattamenti locali, sostanzialmente si ricollegano ai georgici latini, a Colu- mella specialmente (5).

3. — Gavardo, la terra, ove Camillo Tarello fu agricoltore, sorge sulla de­ stra del Chiese e degrada verso mezzogiorno dalle alture formate dalla morena frontale e sud occidentale del Garda; è favorita da scarsi doni spontanei naturali per condurvi un'agricoltura fiorente, poiché la caratterizzano terre cretose, di color ferrigno, con scarso calcare, elevato il tenore di argilla, profonde, tenaci, assai difficili a lasciarsi attraversare dalle acque (6).

Nelle relazioni dei podestà, capitani, rettori veneti, mandati dalla Serenis­ sima a reggere Brescia ed il suo territorio, si hanno preziosi documenti sulle con­ dizioni morali e sopratutto economiche, in cui si rivela la pronta conoscenza dei fatti e l'acutezza nell'interpretarli degli uomini ai quali la Serenissima affidava la propria rappresentanza nei suoi vari possedimenti. Le relazioni riguardanti Brescia hanno un particolare valore e sono oggetto di diligenti studi (7).

(3) A. Serpieri, Lezioni di economia e politica agraria, Firenze, Barbèra, p. 113.

(4) G. Rosa, Storia dell'agricoltura, in « Enciclopedia agraria italiana », U.T.E.T.,

1880-82, Parte I, p 76.

(5) G. Rosa, op. cìt., p. 84 e segg.

(6) Consorzio antifillosserico bresciano. Studio geologico-viticolo, Brescia, Longhi, 1910, p. 36.

(7) A. Zanelli, La devozione dì Brescia a Venezia, in « Archivio storico lombardo »,

Serie IV, voi. XII, anno XXIX, 1912, p. 25 e segg.; C. Pasero, Relazioni di Rettori veneti a Brescia durante il sec. X V I , Toscolano, Stamperia Giovanelli, 1939.

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K uno dei momenti più critici nella storia veneta c dei più interessanti per riconoscere gli stretti rapporti di causa ad effetto che intercorrono tra fatti politici e fatti economici.

Venezia sta perdendo i possedimenti ed i mercati orientali, dopo che Co­ lombo ha aperto ai traffici europei le nuove vie per le Indie e mentre il Turco, impadronitosi di Costantinopoli, va estendendo le sue conquiste e paurosamente risale l'Adriatico. Venezia sente il bisogno di far prosperare il suo stato conti­ nentale, sia pel mantenimento della sua potenza e del suo prestigio, sia per prov­ vedere all'alimentazione delle sue popolazioni per la quale fino allora aveva at­ tinto coi suoi traffici ai mercati orientali. Mentre si destreggia con mirabile abilità nelle competizioni fra gli stati italiani e stranieri, che si contendevano il primato nella penisola, Venezia è costretta ad una politica economica, la quale, dall’aspetto agricolo, se fu benefica per le grandi opere di conquista delle terre occupate dalle acque, fu invece pregiudizievole per la soverchia richiesta di cereali, la quale portò ad un’eccessiva estensione di queste culture a detrimento di quelle foraggere, quindi ad una progressiva diminuzione della capacità produttiva delle terre; aggiun­ g a c i poi i danni causati dalle guerre, che vennero combattute sul suo territorio, tra cui quello, che più ebbe a risentirne, fu proprio il territorio bresciano, teatro delle più aspre lotte sostenute dalla Serenissima, specie nella lunga e aspra guerra di Cambrai : rapine e devastazioni, contribuzione di uomini, di danaro e sopratutto di biade, anche quando la decisione delle armi si disputava altrove (8).

Il Tarello dunque si trovò a coltivare i suoi campi su terre ingrate ed in periodo assai difficile, fra popolazioni misere, sofferenti, stremate di forze; e qui esercitò l’arte dei campi al lume delle cognizioni allora note, che egli attinse alla sapienza la­ tina, riconoscendone l’intrinseca bontà, comprovata attraverso ad una multisecolare esperienza, ed apportandovi il contributo del suo spirito di osservazione assiduo e penetrante.

4. — L’opera, cui Tarello deve la sua fama e per la quale egli è ancora una figura viva e luminosa, è il Ricordo di agricoltura. Venne pubblicato a Venezia nel 1567 e dedicato al Doge Gerolamo Priuli.

Il libro ebbe grande diffusione, tanto che se ne fecero parecchie edizioni : tre a Venezia; quattro a Mantova; due a Treviso, una a Bergamo, l’ultima, uscita a Milano nel 1816 (9).

Il Ricordo è definito dallo stesso autore una raccolta di « pochi precetti necessari sapersi da chi vuol esser buon agricoltore» (10).

« Drizzi il Signore Iddio — cosi egli comincia — le mie parole nelle vie delle verità acciocché questo Ricordo diverso dal solito in materia di agricoltura ch’io do a V. Serenità benché io non porti qui alla sua presenza l’esperienza che

(8) ZANHI.LI, op. ci/., pp. 26-27.

(9) U. Papa, op. r.V., p. 17. A Casali, Messer Camillo Tarello, Bologna, Zanichelli,

1901, pp. 79 e segg.

(10) Messer Camillo Tarello, Ricordo di agricoltura con note del Padre G. F. Sco­

del detto ho fatto, e veduto, sia creduto», volendo [io] «giovare agli uomini se­ condo i precetti di lui » (p. 37) (11).

Sebbene egli subito aggiunga che il suo libro sarà « diverso dal solito », ci soffermeremo prima su quanto ha detto di cose note, per intrattenerci poscia più diffusamente su quanto ha esposto di nuovo.

Il Tarello le cognizioni allora note le attinge alla pura fonte della sapienza antica, onde quasi ad oghi passo cita Virgilio, Columella, Plinio, Palladio ed anche i successivi, i geoponici, fra cui Costantino Imperatore, e pure, sebbene assai meno frequentemente, l’autore del Liber ruralium commodorum, Crescenzio; ma anche il Petrarca, il Boccaccio, il Bembo.

« Abbruciar si debbono le stoppie in campo, perché giova molto alla terra. Teste Virgilio nel libro I della Georgica, e Plinio nel Libro XVIII, Cap. 30 » (p. 56).

Ecco un esempio delle locuzioni frequenti che si trovano nel Ricordo: l'espo­ sizione di una norma, con la citazione della fonte.

Altro esempio :

« Arare, dice Columella nel libro II, pag. 2, non è altro che dissolvere e fermentare la terra, e farla idonea e esatta a render frutto I.a terra che sarà cotta dal freddo e dal caldo, produrrà grandissima copia di biade, scrive Virgilio nel primo della georgica con questi versi :

Ma seges demum volis respondet avari agrfcolae

c quel che segue » (p. 62).

Sempre sull’azione benefica del freddo, il Tarello va anche oltre i latini :

€ Laonde Salomone, Re della Sapienza, dice nel XX capitolo dei suoi proverbi : Propter frigus, piger arare noluit, mendicabit ergo estate, O non dabitur illi. Cioè: per il freddo il pigro non vuol arare, esso adunque mendicherà la state e non gli sarà dato » (p. 63).

Sotto questo riguardo il Ricordo, più che un trattato, sembra un manuale, perchè in gran parte di esso le norme agricole vengono esposte secondo un certo ordire alfabetico. Così alla lettera A, si dice delle abbrucciature delle stoppie, delle arature e con esse dei lavori in genere del terreno da semina; alla B, si tratta della pratica di bagnare i semi; alla I, si parla degli innesti; alla P, si tratta del panico, del miglio, e dei modi di piantare gli alberi e le viti; alla S, come segare e tagliare i fieni e le erbe; alla V, si dice della veccia, della cultura delle vigne vecchie, dell’arte di fare i vini, ecc.

Nella esposizione il Tarello non si discosta dai georgici antichi; aggiunge però i risultati della esperienza sua e di altri c dà spiegazioni chiare e denuncia principi sicuri. Notevole la teoria delle nubi artificiali per impedire i danni delle brine, onde consiglia al contadino di accendere nel suo campo fuochi con rama­ glie e foglie ed erbe vecchie, durante le notti fredde e serene.

Inspirandosi ai concetti del tornaconto, egli ammonisce di « far raddoppiare le entrate con minor fatica e spesa del solito » ; ed ha parole severe contro quei

(11) Le citazioni fra parentesi nel testo si riferiscono all'edizione di Venezia del 177£.

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metodi irrazionali e grotteschi che facevano sprecare tempo, fatica e mezzi. Ri­ corda al riguardo un suo massaro che seguiva la condannatissima pratica di la­ sciar sulle viti un eccessivo numero di tralci, credendo di cavarne più uva, e Messer Camillo con garbato umorismo lo rassomiglia a colui che « a Firenze si propo­ neva di raddoppiare il reddito delle gabelle, raddoppiando il numero delle porte della città ».

Il Ricordo non è scevro di pregiudizi; dimostrando di credere ancora alle tante fiabe che si trovano nei libri antichi, pare avvalorarle con la sua esperienza: crede al rospo sotterrato in mezzo al campo, che dovrebbe scongiurare la gran­ dine, alla donna mestruata che passeggiando scalza discinta e scarmigliata per gli orti riesce a purgarli dagli insetti nocivi....

5. — Tarello è l’anticipatore di Liebig, il divinatore della dottrina della nutrizione minerale delle piante. La questione è stata molto discussa. Sostenitori della risposta affermativa, ci troviamo in contrasto con scienziati italiani di assai chiaro nome: il Soave, il Sestini e sopratutto il Menozzi (12).

Il merito, o diciam meglio, la gloria di aver avuto una tale intuizione è riconosciuta per lo più dagli studiosi a Bernardo Palissy, personalità indubbiamente geniale di studioso francese, vissuto nel secolo XVI, il quale peraltro è più noto per artistiche lavorazioni della terra cotta.

Del Tarello nessuno parla e gli scienziati stranieri e quelli italiani ricordati, ad eccezione del Peglion (13), che però lo associa al francese, concordi designano que­ sto, come il primo il quale gittò il lampo chiarificatore sugli ardui fenomeni non an­ cora completamente noti della nutrizione vegetale. È titolo di benemerenza di Adolfo Casali (14) l'aver rivendicato all'italiano un cosi alto merito.

Poniamo nei suoi termini la questione; e sentiamo cosa dice il Palissy nel suo Traile des sels et de Tagricolture, apparso nel 1563; è quindi un contempo­ raneo del nostro:

« Le ceneri lasciate dalle piante abbruciate provengono dal suolo e per mantenerne la fertilità è d'uopo restituirgli i sali che le piante gli hanno tolto» (15).

Ora v’ha un equivoco ed anche non lieve e stupisce che vi sian caduti scienziati di indubbio valore; e l'equivoco sta nel significato della parola sale, la quale nella sua odierna significazione scientifica, cioè di sostanza che risulta dalla combinazione di due altre sostanze, l’una basica e l'altra acida, esprime un con­ cetto eminentemente moderno; sorge difatti con la chimica, cioè col Lavoisier e precisamente ne’ primi anni del sec. XIX, due secoli e mezzo dopo Palissy, quando per opera di Bonnet, de Saussure, Liebig, di questa scienza venne preci­ sata la nomenclatura. Allorché quest’ultimo affermò essere i sali minerali,, quelli

(12) Soave, Chimica vegetale e agraria, U. T. E. T., Voi. I, pp. 15 e 328.

(13) A. Menozzi e U. Pratolongo, Chimica agraria, Voi. I, p. 487. V. Peglion, Bio­ logia agraria, Bologna, Cappelli, p. 99.

(14) A. Casali, op. cit., p. 34.

cioè precisati col concetto suesposto, le sostanze nutritive delle piante, il con­ cetto apparve completamente nuovo e venne molto contrastato.

Ai tempi del Palissy invece per sale si intendevano le più varie sostanze, anche quelle organiche cristalline: gli zuccheri, ad esempio; sicché la sua asser­ zione perde ogni valore, tanto più che il concetto di nutrizione minerale delle piante, pur nei termini vaghi con cui l'ha formulata lo studioso francese, è di parecchi secoli antecedente a lui.

Della somministrazione ai terreni di quelli che allora si chiamavano gene­ ricamente sali, come materie concimanti, si hanno notizie che si perdono nella notte dei tempi; tale pratica era nota presso i Caldei; ed i Nabatei, i popoli della Mesopotamia, che ne ereditarono il vasto sapere, seguivano largamente la pratica. Se ne hanno precise notizie in un libro famoso: L ’agricoltura nabatea scritto da Kuthàmi nel VI secolo a. C. e tradotto molto più tardi dagli arabi. In alcuni autori babilonesi vengono espresse idee sulla nutrizione delle piante ben più im­ pressionanti di quelle dette dal Palissy, perchè parlando delle ceneri essi asseri­ scono che tali materie formano con l'acqua la nutrizione dei vegetali. Aristotile stesso ha nozioni precise sulla nutrizione delle piante, quando dice che sono le radici che traggono gli alimenti dal suolo e che le piante devono assorbire le so­ stanze approntate dalla terra : dice anche che la putrefazione risolve gli alberi nel loro principio primitivo, che è la terra (16). Concetti simili troviamo negli autori latini, massime in Columella.

Quindi Palissy non ha detto una novità e per l'erronea interpretazione data alle sue parole gli si son fatte dire cose che egli certo non pensava.

Vediamo invece quanto ha scritto Tarello.

Egli ha intuito col suo chiaro spirito di osservazione che le piante assorbono con le radici dal terreno sostanze minerali, che secondo le moderne conoscenze sono i nitrati, i solfati, i fosfati e che per lui invece erano le ceneri dei vegetali, i rovinazzi polverizzati, la polvere delle strade, che chiama l'ingrasso migliore delle terre : « manifestissimamente si conosce, dice testualmente Messer Camillo, che la polvere, che la state si trova per le strade, essendo data agli orti, ai prati ed ai campi, lor giova come se fosse letame» (p. 80; cfr. anche pp. 36, 37, 74, 179, 57, 175, 176).

A giustificazione di tutto ciò riporta un’osservazione tutta sua e che riferita a quei tempi rivela un'acutezza di mente invero mirabile:

« Noi tocchiamo con mano che le pietre che sono sterilissime, essendo cotte e ridotte in calcina, diventano fertilissime, come dimostrano non solo l'erbe, ma arbuscelli, che sono nati e vivono nelle commessure dei muri per causa di quello » (p. 74).

Ebbene, Giusto Liebig a giustificazione della sua teoria della nutrizione mi­ nerale delle piante, la quale, quando venne enunciata, incontrò tanta opposizione, adduce le stesse ragioni, quasi con le stesse parole e ciò circa tre secoli dopo.

Onde il Tarello insiste tanto sulle energiche e laboriose lavorazioni dei fer­

ii 6) M. Longlen, L empio/ Jes en gruís a travers les ages, in « Chimie et Industrie»,

settembre 1931, p. 717 e segg. \

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reni; arature profonde, triturazione, polverizzazione per esporre le più intime particelle all’azione benefica del sole, affinchè, riscaldate per quanto è possibile, possano trasformarsi in sostanze direttamente assimilabili dalle radici : « la forza del sole, son sue parole, aumenta la fertilità a misura della mobilità del suolo ».

Ora questo è un concetto che la scienza moderna ha meglio definito c più chiaramente dimostrato, al lume delle scoperte della chimica e della microbiolo­ gia; ma è merito altissimo del Tarello l’averlo fin d’allora intravveduto. N é si obietti che gli antichi avevano nozioni di concimazione minerale, perché usavano ceneri, marna e calce, in quanto a tali sostanze si riconosceva più la funzione di correttivi od azioni terapeutiche, che funzioni nutritive vere e proprie. Colu- mella ricorda che un suo zio, valente agricoltore, aveva ottenuto abbondanti rac­ colti di frumento ed anche di uva correggendo il terreno cretaceo con sabbia, c quello sabbioso con spargimento di creta (17). La calce viene indicata come rime­ dio contro la malattia degli alberi o come stimolatrice della fruttificazione (18).

Plinio difatti ricorda che la calce sparsa sulle radici di un albero di ciliegio lo rende precoce e favorisce la maturazione (19).

Ma tutto questo non riguarda quanto ha detto il Tarello, che è divina­ zione di fenomeni che le moderne conoscenze dovevano riconoscere e illustrare. Tarello adunque è l’anticipatore di Liebig; non il Palissy, che non ha detto nulla né di nuovo, né di consimile a quanto ha precisato il Tarello.

6. — Tre secoli e mezzo avanti Hellriegel e Wilfarth il Tarello intuisce la ragione per la quale le leguminose compiono una funzione concimante di tanto rilievo nel terreno.

La pratica degli ingrassi verdi, mediante il sovescio, la nozione che le piante leguminose sono miglioratrici del terreno, mentre che quelle non leguminose, spe­ cie le cereali, ne sono spossanti; e la illazione di far precedere quelle a queste sono, è vero, antichissime, rintracciandosene precise indicazioni presso tutti i geor- gici dell’antichità, segnatamente i Romani. L’originalità del Tarello sta nell’avere intuita la ragione delle funzioni che le leguminose esercitano nella pratica delle coltivazioni e di averle assunte a fondamento di un sistema agrario.

Citiamo alcune delle sue asserzioni.

« La fava è meglio segarla che cavarla, perché le radici rivolte sotto l’aratro sono un letame alla terra » ; « il lupino ingrassa la terra sopra ogni altro letame » ; « le radici del trifoglio giovano non meno alla terra ingrassandola che, giovi il fieno al bestiame nutrendolo »

e con un lampo di mente invero luminosissimo aggiunge:

«dacché queste piante non solo cavano dalla terra, ma attraggono più ancora dall'aria ; inoltre rendono soffice il terreno ».

L’intuizione avuta dal Tarello intorno al 1560 venne precisata nel 1886 colla scoperta di Hellriegel e poco dopo illustrata dallo stesso in collaborazione con

(17) Coi.umella, De re rustica, Libro II, cap. XVI.

(18) G. Curcio, La primitiva civiltà latina agricola, Vallecchi, Firenze, p. 81. (19) Plinio, Historia Mundi, Libro XVII, cap. 47.

Wilfarth, a seguito di esperienze, per le quali venne scoperto che l'attitudine conci­

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