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Rivista di storia economica. A.06 (1941) n.1, Marzo

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(1)

RIVISTA

DI S T O R I A

ECONOMICA

D I R E T T A DA LUIGI E I N A U D I

G I U L I O E I N A U D I E D I T O R E • T O R I N O v. m M È m É à m i ì B

Anno VI - N . 1 ■ Marzo 1941-XIX Pubblicazione trimestrale Spedizione in abbonamento postale

(2)

OPERE DI LUIGI EINAUDI

Sono in programma per ora quattro serie, i cui volumi compariranno man mano che saranno pronti :

I. - SCRITTI D I ECONOMIA E D I FINANZA

1. Saggi sul risparmio e l'imposta (in corso di stampa). 2. La terra e l'imposta.

3- L’ottima imposta.

4. Miti e paradossi della giustizia tributaria (pubblicato: L. 21). 5-6. Saggi teorici diversi.

II. - SCRITTI STORICI

Saranno raccolti in questa serie scritti, sparsi in riviste e pubblicazioni acca­ demiche, intorno alla storia della scienza e dei fatti economici.

in . - LE CRONACHE ECONOMICHE ITALIANE

Saranno raccolti in questa serie, distribuiti per ordine cronologico di man-, ria, gli articoli pubblicati in riviste e in giornali (principalmente nel «Corriere della Sera », dal 1900 al 1925) su problemi di attualità. Sarà quasi una storia ed un commento giorno per giorno dei principali avvenimenti economici italiani per un lungo tratto di tempo. Non essendo pensabile, a causa della gran mole, una pubblicazione compiuta, saranno esclusi gli articoli di mero riassunto o dove si ripetano cose già dette altrove.

(3)

RIVISTA DI STORIA ECONOMICA

DIRETTA DA LUIGI EINAUDI

Direzione: Via Lamarmora, 60 - Torino. Amministrazione: Giulio Einaudi editore, Via Mario Gioda, 1 - Torino — Abbonamento annuo per l’Italia L. 50. Estero L. 80. Un numero L. 15.

MOMMAKIO ORI, » . 1 - MARZO 1011

G.

Padovan

:

Capiteti e e lavoro nel commercio veneziano dei se­

coli XI e X I I

...Pag.

1 Claudio Marani: Camillo Tarello e gli inizi della scienza agro­

nomica moderna

...

»

25

Note e rassegne.

Benedetto Croce e Luigi Eina udi: Ancora su « Le premesse

del ragionamento economico

» ...

»

43

R. U.

Ferrante

:

Variazioni cicliche e storia economica nel pen­

siero di Joseph A. Schumpeter

...

» 50

In memoriali!.

Luigi Einaudi su Giulio Alessio ed Edoardo Giretti.

Li­

bero Lenti su Francesco C o le tti

...

»

62

Recensioni.

M. T., L. E., F. M.,

su libri di R. G. Hawtrey, L. Firpo, A. H.

Cole (The Kress Library), W . Koch, B. Croce, A. Mautino

»

70

Tra riviste ed archivi.

(4)

N

el primo articolo il

Padovan

discute la tesi secondo la quale nei secoli XI e XII sarebbe esistita una netta separazione fra la classe del ca­ pitalista il quale fornisce il capitale e non si muove dalla città ed il socio d ’opera o mercante, il quale viaggia, fatica ed organizza ed è poi obbligato a lasciare al socio capitalista la parte maggiore dei frutti dell’impresa co- nume. E questa una delle tante tesi artefatte, care al Som bart ed ai suoi imitatori, che furono già sottoposte per

/'

Italia ad accurata analisi critica dal Sapori e dal Luzzatto. Il Padovan profitta di una bella raccolta di do­ cumenti economici veneziani recentemente pubblicata per saggiare nuova­ mente quella tesi alla riprova dei fatti; e coglie l’occasione per mettere in bel risalto la figura suggestiva di Romano Mairano, uomo nuovo salito da modestissime origini a grande fortuna, travolto, non domato dall’av­

versità, sempre operoso sino agli ultimi giorni della vita, imprenditore ti­ pico che impiega nel tèmpo stesso capitali proprii ed altrui ed in sé riunisce qualità di mercante, armatore, capitano marittimo e costruttore di navi.

Claudio Marani

presenta la geniale figura di Camillo Tarello, innova­ tore della scienza agronomica, il quale nel

«

Ricordo di agricoltura

»

prean­ nuncia nel 1567 dottrine divulgate quattro secoli dopo dal Liebig e pro­ pugna pratiche

sopratutto la rinnovazione dei prati stabili

le quali soltanto ora sono riuscite a moltiplicare la produttività delle nostre terre. Il Marani mette efficacemente in luce le ragioni di ambiente, politiche ed economiche, per cui le riforme propugnate dal T. non poterono attecchire nell’ Italia del ’500 ed oggi ancora paiono fresche e nuove.

Benedetto Croce

interviene nella disputa sollevata nei precedenti qua­ dern i della rivista da l Cablati, d a l L am berti, da Spectator, ecc. intorno alle « prèm esse d e l ragionam ento econom ico » ; chiarendo in breve nota il si­ g nificato ed i rapporti fra i concetti d i liberism o, com uniSm o, scienza eco­ nom ica e liberalism o. I l direttore d ella rivista fa seguire alla nota d e l Croce alcune sue considerazioni intorno alla repugnanza che egli sente nel conce­ pire il protezionism o e il com uniSm o com e m e zzi per l’attuazione d e l libe­ ralism o, se questo venga concepito com e elevazione d e ll’utnana creatività.

(5)

R. U. Ferrante

espone il contenuto essenziale della grande opera di Schumpeter sui Business Cycles, opera la quale va annoverata, insieme con quelle dell’ Hicks e di voti Mises, tra i pochissimi contributi notevoli recen­ temente recati all’incremento della scienza economica. Particolare rilievo è dato nel riassunto all’esame dei tre tipi di cicli: secolari ( che lo S., dal nome dello sventurato economista che li investigò più a pondo, chiama Kondratieff), medi decennali-settennali (luglar) e brevi (Kitchin).

Libero Lenti

e

Luigi Einaudi

scrivono alcune parole in ricordo di tre valorosi studiosi ultimamente morti: Giulio Alessio, Francesco Coletti ed Edoardo Giretti. Seguono le consuete rubriche bibliografiche.

N O T I T I E I N A U D I

FRANK THIESS

T S U S H I M A

Il romanzo di una guerra navale. L. 35.

ALDO MAUTINO

LA FORMAZIONE DELLA FILOSOFIA POLITICA

D I B E N E D E T T O C R O C E

Un «Saggio» d'eccezione. L. 15. ★

J. HUIZINGA

E R A S M O

Una biografia quanto mai intelligente sul grande umanista. L. 21.

F. DOSTOJEVSKIJ

I L

G I O C A T O R E

(6)

La Olivetti M. 40 per uiiicio à la macchina che meglio si pre­ sta dove il lavoro à gravoso e continuo corno nei Ministeri, nei Pubblici Uiiici. nelle Banche, negli Oifici Professionali.

P I C A - ELITE - I T A L I C O -ITALICO GRANDE

MEDIO ROMANO-ROMANO G R A N D E -

O R D A T O

lUanO'wyvU.'Lo-

eli te i mperi ale

-

perla

mikron

— IMPERI AL

- STA M PA TELLO P IC C O L O

(7)

CAPITALE E LAVORO NEL COMMERCIO

VENEZIANO DEI SECOLI XI E XII.

1. — Nella ormai lunga serie d'indagini, sempre geniali ed acute, sebbene un po' affrettate e monocordi, che André E. Sayous dedica da un ventennio alla tecnica del commercio internazionale nelle principali città del mediterraneo, del­ l'Atlantico e del mare del Nord, tra 1’ XI ed il XVI secolo (1), anche Venezia ha avuto la sua parte, rappresentata da un breve saggio su « La funzione del capitale nella vita cittadina e nel commercio esterno fra il 1050 e il 1150 » (2). In questo studio, fondato, oltreché sul poco materiale già noto e su 17 atti notarili, quasi tutti inediti, che egli pubblica in appendice (3), il S. esamina i caratteri distintivi e l'importanza economica dei vari contratti, coi quali i mercanti veneziani riuscivano a procurarsi il capitale necessario per una singola impresa commerciale o per un certo periodo di tempo; si sofferma particolarmente sul contratto di colleganlia, che, simile quasi in tutto alla commenda delle città del Mediterraneo occidentale, diventa nel XII e nel XIII secolo il contratto tipico per tali associazioni di capitale; e arriva alla conclusione che a Venezia, assai più che a Genova a Marsiglia ed a

(1) Fra i molti saggi che il Sayous ha dedicato a questo argomento citiamo soltanto i principali : Le commerce des Européens à Tunis depuis le X I I siècle jusqu’à fin du XVI, Paris, 1929; Les transformations des méthodes commerciales dans l'Italie médiévale (in «Annales d'histoire économique et sociale», 1929): Le commerce terrestre de Marseille au

XIII siècle (in «Revue Historique», janv.-fev. 1930); L’êssor économique d’une ville de ¡'intérieur de terres de l'Italie médiévale: Sienne de 1121 à 1229 (in «Annales d'hist. écon.

et soc.» 1930); Der Moderne Kapitalismus de W. Sombart et Gênes aux X II et XIII siècles (in «Revue d’hist. écon. et soc.», 1931);- L'Histoire universelle du droit commerciale de

L. Goldschmidt et les méthodes commerciales des pays chrétiens de la Mediterranée aux X II et XIII siècles (in «Annales d'hist. écon. et soc.», 1931); Les opérations du capitaliste et commerçant marseillais Etienne Manduel entre 1200 et 1230 (in «Revue de Questions histo­

riques», 1930); Les méthodes commerciales de Barcelone au XIII siècle d'après des docu­

ments inédits des archives de sa cathédrale (in « Estudis Universitaria Catalans», 1931); Les origines de la commandite (in «Annales de droit commercial», 1935).

(2) A. E. Sayous, Le rôle du capital dans la vie locale et le commerce extérieur de Venise entre 1050 et 1150 (in «Revue belge de philologie et d'histoire», 1934).

(3) I documenti pubblicati in appendice sono scelti fra una settantina che aveva trascritti per il Sayous un modesto ma esperto conoscitore degli archivi veneziani, il com­ pianto Gilberto Mioni.

1. I.

(8)

Barcellona, questi contratti rivelano una netta separazione fra il capitalista (socitts Hans), che non si muove dalla sua città, ed il procertans, laborator o Iraclalor, il mercante cioè, che, sprovvisto di capitali o fornito di capitali insufficienti, dedica agli affari comuni tutta la sua attività e la sua intelligenza cd è poi costretto ad assegnare al socio capitalista la parte maggiore dei profitti (4).

Questa tesi, che già il S. aveva ripetutamente affacciata per altre città, acqui­ sterebbe per Venezia il carattere di una vera differenziazione sociale, fra un gruppo di capitalisti, che avrebbero limitato la loro attività commerciale a quelle forme di anticipazione di capitali, ed una classe assai più numerosa di mercanti di pro­ fessione, che avrebbero passato gran parte della loro vita in viaggio o nelle città d'oltremare.

La questione in tal modo si allarga. Se infatti si ammette che i finanziatori e i profittatori del grande commercio non siano e non siano forse mai stati dei com­ mercianti, si ritorna, senza volerlo, alla tesi del Sombart, così vivacemente combattuta, fra tanti altri, dallo stesso Sayous, che cioè, anche nelle grandi città mercantili, i maggiori patrimoni e tutto quel che esisteva di capitale mobile, disponibile per le più ardite imprese commerciali, fosse in mano dei grandi proprietari di terre e di case e fosse il frutto del rapido aumento della rendita immobiliare £ in fondo tutto il problema del carattere dell'economia cittadina nella fase della sua massima espansione che si ricollega al problema, in apparenza secondario, dei rapporti so­ ciali fra le parti che stipulano i contratti per l'associazione di capitali.

2. — Sebbene per Venezia le obiezioni alla tesi del Sayous si presentassero numerose alla mente di chi ha qualche conoscenza della sua storia economica, non era tuttavia possibile tentarne una seria confutazione fondata su documenti, perché, per il periodo da lui esaminato, il materiale a disposizione dello studioso si ridu­ ceva a poche diecine di atti notarili, pubblicati, mezzo secolo fa, dal Baracchi (5) e dal Sacerdoti (6), e ad alcuni transunti delle più antiche pergamene di S. Zaccaria, inseriti in due studi del Besta (7) e del Hcynen (8). Oggi per fortuna questo ma­ teriale è insperatamente arricchito dall’opera benemerita di due giovani e intelligenti archivisti, il Morozzo della Rocca e il Lombardo, che aderendo all'invito del Pa- tetta e del Chiaudano, hanno raccolto dai diversi fondi dell’Archivio di stato di Venezia, fra cui — in primissima linea — dalle pergamene del monastero di

(4) Tutti gli studiosi, i quali, come il S., vedono nella ripartizione degli utili uno sfruttamento dello stans a danno del procertans, dimenticano che il primo si assume pure la parte maggiore dei rischi e — quel che più importa — che il procertans, intraprendendo un viaggio stipula non uno, ma numerosi contratti di colleganza e nello stesso tempo tralhca pure per conto proprio; e in tal modo i suoi utili salgono a cifre ben più alte di quella del singolo che gli ha affidato una certa somma o una certa quantità di merce.

(5) A. Baracchi, Le carte del Mille e del Millecenfo dell'Archivio notarile di Ve­ nezia, in « Archivio Veneto», voi. VI, 1873.

(6) A. Sacerdoti, Le colleganze nella pratica degli affari e nella legislazione tenetJ

(in «A tti del R. Istituto veneto di se. lett. ed a .» , 1899-1900, T. LIX, Parte II).

(7) E. Besta, Il diritto e le leggi civili di Venezia fino al dogado. dì Enrico Dandolo

(Venezia, 1900)

(8) R. Heinen, Zur Entstehung des Kapitalismus in Venedig, Stuttgart, 1905 (« Mün­

(9)

CAPITALE E LAVORO NEL COMMERCIO VENEZIANO DEI SECOLI X I E XII 3

S. Zaccaria, tutti gli atti privati di materia commerciale dei secoli XI-XIII (9). Non era possibile sperare che i risultati di queste ricerche, condotte attraverso materiali frammentari e conservatesi casualmente, potessero eliminare la situazione di infe­ riorità in cui, per ciò che riguarda gli atti notarili, la storia economica di Venezia si trova, di fronte a quella di Genova, dove il solo registro più antico, di Giovanni Scriba, ci ha conservato, per il decennio 1159-1168, tutte le imbreviature — in nu­ mero di 2000 — degli atti da lui rogati, e quasi esclusivamente di materia com­ merciale. Ma nonostante questa inferiorità insuperabile, i risultati ottenuti sono di una ricchezza insperata, perché ai due editori è riuscito di raccogliere nel solo primo volume, finora pubblicato, per il periodo compreso fra il 1021 e il 1204, una serie di 466 documenti, che essi, molto opportunamente, riproducono, con grandis­ sima cura, nel loro testo integrale. Assai meschina per tutto il secolo XI (27 do­ cumenti); ancora modesta per la prima metà del XII (72), la raccolta diviene vera­ mente ricca per il periodo 1151-1204, per il quale essa comprende non meno di 367 documenti, molti dei quali si riferiscono per fortuna ad un gruppo ristretto di persone o di imprese commerciali, sul carattere delle quali permettono di arrivare a conclusioni assai più sicure di quelle che fossero possibili finora.

3. — I documenti veneziani non riguardano che eccezionalmente affari di compra-vendita commerciale, per i quali era ben raro che si ricorresse all’opera del notaio; nella loro grande maggioranza essi si riferiscono alla stipulazione od alla liquidazione di affari di credito o, più raramente, di società, che avevano per ¡scopo o per occasione un affare di commercio. Questa natura dei documenti spiega il loro silenzio quasi totale sul commercio di piazza e la grande scarsità degli accenni al commercio terrestre, per i quali la necessità di ricorrere al credito doveva essere assai meno sentita, anche perché, a mano a mano che si intensificava e si ampliava il commercio di Levante, si manifestava sempre più netta la tendenza degli impor­ tatori veneziani a considerare esaurita la loro attività quand’essi avevano scaricate

le merci nei loro magazzini di Rialto, attendendo che i mercanti del retroterra ve­ nissero personalmente ad acquistarle.

A ragioni non molto diverse si deve forse attribuire il silenzio dei nostri do­ cumenti intorno ai porti dell’alto e medio Adriatico. Non vi ha dubbio infatti che fra questi e Venezia esisteva fin dal IX secolo un traffico molto intenso, quasi quotidiano, ma erano per lo più mercanti o piccoli armatori delle cittadine di Ro­ magna, delle Marche, dell’Istria, della Dalmazia, che portavano a Venezia il grano, il vino, l'olio, la legna, di cui essa abbisognava per il consumo interno e, talvolta, anche per l’esportazione (10).

Tolto un solo accenno ad Ancona son ricordati soltanto i porti adriatici dal Gargano in giù, sia che vi si parli in generale di un viaggio de Aprtlia, sia che si

(9) R. Morozzo della Rocca-A. Lombardo, / documenti del commercio veneziano

nei secoli XI-XIII. - I. Torino, 1940 (in «Documenti e Studi per la storia del commercio

e del diritto commerciale italiano », pubblicati sotto la direzione di F. Patetta e M. Chiau- dano, XIX).

(10) Cfr. W . Lenel, Die Enstehung der Vorherrschajt Venedigs an der Adria. Strass-

(10)

accenni esplicitamente a Siponto (Manfredonia), a Bari (designata col nome di Lom­ bardia nel periodo in cui fu soggetta ai Longobardi di Benevento), a Brindisi, ad Otranto. Con le Puglie infatti si entra già nel campo del grande commercio nel mare di Levante, per il quale quella regione esercitava fin da quei secoli la duplice fun­ zione di mercato di esportazione di derrate alimentari ( vi et itali a), in prima linea fru­ mento, e di base di rifornimento e di sosta per le navi che uscivano dal golfo per un più lungo viaggio (11).

Della costa orientale dell'Adriatico si trova ricordata in forma generica la Schiavonia (Dalmazia settentrionale) ed in forma specifica il solo porto di Durazzo, che doveva servire come accesso alla via di terra verso la Tessaglia, Salonicco e Costantinopoli, nei periodi abbastanza frequenti in cui la via marittima era giu­ dicata troppo pericolosa (12).

Oltrepassato il canale di Otranto, le navi isolate ed i convogli di navi, o mudi/ae, che si effettuano con frequenza crescente per molte destinazioni e per lo più due volte l'anno, preferiscono di regola la via del Levante. Verso occidente si fa rotta talvolta per la Sicilia, anzi si parla in vari casi di un viaggio di Sicilia (13); ma bisogna scendere alla fine del secolo XII perché una sola impresa mercantile si spinga con le sue navi fino a Bugia ed a Ceuta sulle coste di Barberia (14).

Si può dire clic i nove decimi dei documenti, di cui ci occupiamo, si rife­ riscono direttamente o indirettamente al commercio di Levante, il quale domina tutto il quadro e dà l’intonazione alla vita economica veneziana. Fra i centri di questo commercio, Costantinopoli primeggia a grande distanza da tutti gli altri : essa non è soltanto la meta preferita delle navi veneziane, ma è diventata la sede stabile di un grande numero di mercanti ed armatori, i quali ne fanno la loro base per tutta una rete di affari, esercitati spesso con navi proprie che, partite dal Bosforo, si spin­ gono lungo le coste dell'Egeo, dell’Ionio, del mar di Levante, per far poi ritorno alla stessa Costantinopoli. Gli scali preferiti sono quelli della penisola balcanica, c fra essi sono più frequentemente ricordati Arta, Corinto, Sparta, Tebe, Almiro,

Sa-(11) Per esempio nel 1809 Domenico Mastroscoli doveva portare una colleganza in

taxegio (viaggio) de Lombardia et inde in Comtanlinopoli (doc. n. 19); nel 1014 Giovanni

Baro doveva portare un’altra colleganza in taxegio de Odrento ad caricandum de vìctualiis et

inde in Antiochia, con la stessa nave (n. 31).

(12) Doc. 349, ag. 1184; doc. 353, febbr. 1185. Vedi anche il n. 2o (febbr. 1098), dove si noleggia un'ancora « in taxegio de Durachio ».

(13) Ad esempio nel gennaio 1183 si liquida una colleganza stipulata per Messina ed oltre, usque ad muduam Natalis Domini (die. 337). Il 31 agosto 1131 Viviano de Mo­ lino riceve in colleganza 200 lire ven. che deve portare in taxeio de l’Aria.... linde in temput

cum illa mudua de navibus quae a primo tempore (primavera) in Venecia venire debei (doc. 61).

Nell’agosto 1147, Ottone Falier parte per Costantinopoli in ina mudua (doc. 91). Nel die. 1158 Pietro Corner, ricevendo un prestito marittimo da Sebastiano Ziani, s'impegna a ritornare a Venezia cum mudua navium de Conslanlinopoll aut de Alexandria (doc. 153). Nel marzo 1179 Filippo de Molin parte per Alessandria con la nave in qua nauclerut ire debebat Carismi

Dondolino. Deinde vero cum eadem nave vel cum alia cum mudua ipsius estatis aut cum mudua primi venturi yberni in Venetia redire debet aut in Missina, et deinde cum iamdtcta mudua ipsius yberni in Venecia redire (doc. 299); nel luglio 1179 Romano Mairano contrae,

un prestito marittimo con Filippo Falier per il viaggio di Acri e di Alessandria, impegnan­ dosi di ritornare in Puglia e a Venezia ad ipsam muduam istilli primi yberni vel ad muduam

jstius primi temporis (doc. 306).

(14) Docc. 293, 294, 297. , )

/ I

(11)

CAPITALE E LAVORO NEL COMMERCIO VENEZIANO DEI SECOLI X I E X II 5

lonicco, che son già sedi di colonie veneziane, fra cui le più importanti sembrano, oltre a Corinto, i due centri, condannati poi a rapida decadenza, di Sparta, (Lake- demon) e di Tebe (Stives), che attiravano i mercanti veneti per l'esportazione che se ne faceva di olio e di formaggi.

Nel mar di Levante le navi e i mercanti di Venezia si incontrano con qualche frequenza già prima delle Crociate ad Antiochia, a Tripoli, ad Alessandria.

4. — Ma se l’attività dei mercanti veneziani era abbastanza considerevole anche sulle coste della Siria e dell’Egitto già prima del 1096, risulta tuttavia evi­ dente, anche da questo modesto gruppo di documenti privati, che le Crociate die­ dero a questa, come a tutta l’attività commerciale e marittima veneziana, un impulso fortissimo. Indici indiretti, ma molto significativi, dalla trasformazione che si viene operando nella struttura economica della società veneziana li possiamo anche rica­ vare dal confronto fra gli scarsi documenti anteriori al terzo o quarto decennio del XII secolo, e quelli assai più numerosi del sessantennio successivo.

Nel primo periodo ci imbattiamo con relativa frequenza in un tipo di con­ tratto, che ha attirato, sotto vari aspetti, l’attenzione degli studiosi, e che a noi in­ teressa sotto l’aspetto economico in quanto esso non serve davvero a dare un’idea molto elevata della potenzialità finanziaria degli armatori veneziani. Si tratta di contratti per cui, al momento di intraprendere un viaggio di una certa durata, il proprietario singolo o la compagnia costituitasi per l’armamento di una nave pren­ dono a nolo un’ancora per tutta la durata del viaggio. Il nolo varia a seconda del peso dell’ancora (da 120 a 280 libre) e della distanza, ed è diviso spesso fra 5 ed anche 6 consorti. Esso raggiunge al massimo, per un’ancora di 280 libre, noleggiata per il viaggio di Antiochia, la cifra di 5 bizanti (un biz. per ogni sors.). Invece per un viaggio assai più breve, limitato a Durazzo, e per un peso di 230 libre, il no­ leggio è di un denaro per libra; in tutto dunque meno di una lira di denari vene­ ziani (15). Eppure, nonostante la modestia di queste cifre, la proprietà di un’ancora rappresenta un elemento considerevole nel patrimonio privato, ed ha un posto d'onore in qualche atto di costituzione di dote (16).

Se dunque, dopo il 1120, questo tipo di contratto scompare completamente, se ne può dedurre con relativa sicurezza un notevole elevamento nella situazione eco­ nomica della classe armatoriale.

Un altro indice indiretto, non più limitato ad un gruppo delle persone che vivono del commercio marittimo, ma esteso a tutta la popolazione che ha una parte attiva nella vita economica della città, è quello, rilevato già dal Heynen, della

(15) Doc. (1030); doc. 20 (maggio 1092: noleggio di una su tre sortes di un'an­ cora del peso totale di 120 libre, per il viaggio di Corinto. Prezzo del nolo per una sors un bizanzio michelato); doc. 21 (aprile 1095: noleggio di un sesto di ancora da impiegarsi nel viaggio del golfo. Prezzo: 5 denari mancosi); doc. 24 (luglio 1095: noleggio di una su 5 sortes di un'ancora di 280 libre per il viaggio da Costantinopoli ad Antiochia prezzo: un bizanzio michelato); doc. 26 (febbr. 1098: noleggio di un'ancora di 230 libre per il viaggio da Venezia a Durazzo e ritorno. Prezzo: un denaro per libra); doc. 42 (febbr. 1119: il noleggio di un'ancora del peso di 270 libre, stipulato a Bari, per il viaggio a Damietta e Costantinopoli, è diviso in quattro parti, di cui 2 a Giovanni Morosini, 2 a Vitale Navigaioso, nocchiero della nave, e mezza per uno a Viviano da Molin e Matteo Mastroscoli).

(16) Doc. 22 (maggio 1095).

(12)

crescente immigrazione di mercanti, padroni di navi e nocchieri, dall'ima o dall'altra isola dell’estuario veneto, ed anche, sebbene con minore frequenza, da qualche città della terraferma, della costa romagnola, marchigiana ed istriana (17): segno dunque che lo sviluppo degli affari aveva assunto a Venezia un ritmo tale da eser­ citare una forte attrazione sulle popolazioni che avevano con essa più frequenti contatti.

Il sensibile aumento di contratti di prestito marittimo, di cui più di una set­ tantina, e spesso per somme rilevanti, appartengono alla seconda metà del XII se­ colo, mentre non se ne incontra alcuno per il periodo anteriore al 1127, può in­ dubbiamente dipendere dal fatto puramente accidentale della conservazione dei do­ cumenti, ma può anche essere l’indice di una maggiore attività degli affari commer­ ciali e di un più largo impiego di capitali.

Le Crociate infatti hanno determinato, fin dalla prima, un forte aumento nel numero dei porti frequentati dai veneziani sulle coste dell’Egitto e, più che in queste, su quelle della Siria e della Palestina, nelle isole di Cipro e di Creta, a Smirne e in altri porti dell'Asia minore. Accanto ad Alessandria, i nostri documenti ci mo­ strano i mercanti veneziani molto spesso a Damietta, oltre che ad Antiochia ed a Tripoli, a Tiro, a Damasco e principalmente ad Acri, che diventa, dopo Costanti­ nopoli, una delle basi principali della loro attività.

5. — Gli accenni alle merci, che formavano oggetto del commercio di Levante, sono più rari e, in generale, meno espliciti che gli accenni alle località (18). Per lo più infatti il documento, che attesta la stipulazione o la liquidazione di un affare di investimento di capitali, si limita a dichiarare che lo scopo del contratto è l’eser­ cizio del commercio con una determinata piazza, e, molto spesso, entro una cerchia assai più vasta e indeterminata al di là di quella piazza. Solo eccezionalmente si specificano le merci che si trasportano per via di mare. Fra le merci importate è ricordato con maggiore frequenza il pepe, che in quest'epoca vien caricato sempre in Alessandria, in quantità abbastanza rilevanti e per un valore altissimo (19).

Abbastanza frequenti son pure i ricordi dell’allume che i veneziani importa­ vano a quell’epoca non dal massimo centro di produzione, che faceva capo a

(17) £ frequentissimo il caso di mercanti o nocchieri dei quali si precisa la prove­ nienza da Torcelio, da Ammiano, da Caorle, da Vicenza, da Fano c cosi via, aggiungendo

poi che sono ora abitanti in Venezia in una determinata parrocchia.

(18) Sempre fondamentale su questo argomento è G. Heyd, Storia del commercio del

Levante nel Medio Evo (in Bibl. dell'economista, serie V, voi. X), il quale nell'appendice I

(articoli di scambio fra l'Oriente e l'Occidente) pp. 1121-127), dà una descrizione minuta e densa di notizie preziose su un grandissimo numero di merci. Mentre però il H. estende la sua ricerca lino al secolo XVI, e si fonda soprattutto sulle relazioni di viaggi e sui trat­ tati pratici di commercio del trecento e quattrocento, qui ci limitiamo a raccogliere i pochi dati che ci sono offerti dai documenti veneziani dei secc. XI e XII.

(19) Doc. 262, ott. 1174 (Pietro Ziani anticipa a Romano Mairano 1000 lire vero­ nesi, che questi porta in Alessandria, impegnandosi a consegnarli 25 carichi (10.000 libre veneziane) di pepe); doc. 263, genn. 1175 (Angelo Pino rilascia quietanza allo stesso M. di 8 carichi di pepe); doc. 359, die. 1185 (per un prestito ricevuto l'8 agosto 1184, Romano Mairano si era impegnato a consegnare a Pietro Corner 24 centinaia (di libre) di pepe, e gli aveva dato in pegno la metà di una sua nave, di nuovissima costruzione). V. anche doc. 358, agosto 1188.

(13)

CAPITALE E LAVORO NEL COMMERCIO VENEZIANO DEI SECOLI X I E XII 7

Focea (20), in mano dei genovesi, ma da Alessandria, e che proveniva probabi! mente dall'alto Egitto o dalla Nubia (21).

Due soli documenti accennano al commercio del cotone, che proveniva probabilmente dalla Siria, ma non formava ancora, come nei secoli successivi, oggetto di speciali trasporti diretti, ma — almeno in uno dei casi contemplati — faceva capo a Corinto, dove i mercanti veneziani andavano a caricarlo (22). In uno solo si parla di sciamiti (stoffe di seta pesanti, assai costose) e di croco (zaffe­ rano) (23). Finalmente fra le merci acquistate in Siria figurano in un caso solo gli schiavi saraceni (24).

L'olio ed il formaggio, più che per l'importazione a Venezia, son presi in considerazione come oggetto di commercio fra regione e regione dell'impero d’Orientc, specialmente della Morea a Costantinopoli, di dove poi, in qualche caso, si riespor­ tavano ad Alessandria (25).

Fra le merci esportate troviamo ricordato il rame, che mercanti veneziani ac­ quistano a Venezia, probabilmente da tedeschi, in quantità piuttosto modeste, per esportarlo una volta a Costantinopoli ed un’altra a Corfù (26); il ferro di cui i fratelli Romano e Samuele Mairano si impegnano, nell'aprile 1162, mentre si trovano in Acri, a fornire una quantità per quei tempi assai rilevante (50 migliaia di libre) ai Templari (27), il lino, che però non sappiamo se fosse di provenienza greca o italiana (28), il grano che si acquistava in Puglia per portarlo a Costantinopoli (29);

forse già qualche panno (30), e finalmente il legname da costruzione, di cui fin da quell'epoca, come ai giorni nostri, Alessandria era tributaria verso le foreste delle Alpi e Prealpi venete (31).

(20) SuH’allume di Focea e sull'importanza che esso ebbe per l'economia genovese, cfr. R. Lopez, Genova marinara nel duecento. Benedetto Zaccaria, ammiraglio e mercante.

Messina-Milano, 1933, pp. 23 segg.

(21) Doc. 10, apr. 1072; doc. 266, maggio 1175; doc. 345, febbr. 1184.

(22) Doc. 47, se». 1125 (Vitale Jorzani aveva dato in commenda [deposito regolarci a Venerando Serzi, perché lo tenesse in un suo magazzino, una certa quantità di bambace. La vedova ne ottiene la riconsegna); doc. 162, genn. 1162 (Guidetto Gradenigo aveva pre­ stato nel 1167 a Pietro da Molino 64 iperperi d'oro per un anno, dopo il quale il D. M. doveva consegnarli a Corinto 4 miliario de bono bombaci ad pe.iam subtilem).

(23) Doc. 208, luglio 1168. (24) Doc. 411, nov. 1192.

(25) Doc. 2, marzo 1022? (Leo da Molin riceve in rogadia dal greco Andreas An- dreadi 3000 libre di cacio e le vende assieme a 3000 di sua proprietà, consegnando dopo la morte dell’Andreadi ai suoi esecutori testamentari l'intero prezzo della sua parte); doc. 65, apr. 1135 e doc. 67, nov. 1135 (trasporti d’olio da Sparta e da Corinto ad Alessandria, fatti da veneziani per venderli); doc. 316, giugno 1180, e doc. 320, luglio 1180 ( Mercatum di

105.000 libre d'olio, fatto a Sparta fra due compagnie di veneziani). (26) Doc. 329, dicembre 1181; doc. 401, ott. 1191.

(27) Doc. 158, aprile 1162.

(28) Doc. 68, aprile 1186 (partita di lino venduta a Corinto da veneziani a vene­ ziani); doc. 368, agosto 1188 (cantari 28 di lino consegnati a Costantinopoli da Giovanni Gradenigo, esecutore testamentario di Giovanni Della Rodea, morto in Alessandria, a Gia­ como Regini mandatario di Leonardo Semitecolo).

(29) V. sopra nota 11.

(30) Doc. 7, luglio 1035? (4 panni mandati a Costantinopoli in commenda da Al­ berto Gausoni a Leone da Molin).

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Più importante di questi accenni isolati è l'inventario, purtroppo parziale, del carico di una nave veneziana che, viaggiando, dopo aver caricato nel mezzogiorno d’Italia, verso Costantinopoli o verso un altro porto greco nel 1182, quando si minacciavano nuove violenze contro le colonie latine, poté essere indirizzata ad Ales­ sandria soltanto dopoché si promise all'equipaggio renitente una parte delle merci, e cioè 76 migliaia di olio, tutto il rame, alcuni drappi di lino, 6 usberghi e 4 gam­ bali, sapone, mandorle, uva passa, cera, grana e olive (32).

6. — Le forme principali dei contratti per investimento di capitali, che rap­ presentano, come si è detto, la quasi totalità degli atti privati salvati dalla disper­ sione per i due secoli precedenti la IV Crociata, sono il mutuo puro e semplice, il prestilo marittimo, la colleganza, la compagnia.

Il mutuo puro e semplice (33) è concesso sia per bisogni indeterminati, sia pure per ¡scopi commerciali e in qualche caso anche per imprese marittime (34). Solo in pochissimi casi esso è concesso, o si fa apparire che sia concesso, gratuita­ mente, per un anno, oppure — più spesso — per un periodo assai più breve

(anche un mese), trascorso il quale esso deve fruttare l'interesse del 20 per cento all'anno, che in tutto questo periodo figura regolarmente come interesse legale, e che anzi, nella maggior parte dei mutui, decorre fin dal primo giorno della con­ cessione (35). L'elevatezza del tasso di interesse legale « secundum usum palriae no- strae » risulta tanto più grave quando si osservi che il mutuo era quasi sempre garantito da pegno, per lo più immobiliare, ed in misura tale che dimostra non tanto l'alto valore di acquisto della moneta, quanto la difficoltà che si incontrava per ot­ tenere un modesto credito (ad es. un mutuo di 20 lire veneziane, concesso, si noti, da un cappellano di S. Marco, era garantito da pegno sopra un pezzo di terra e sopra una casa nel centro della città) (36), e che, d'altra parte, in caso di mora, era comminata al debitore la consueta penalità del doppio del capitale c degli inte­ ressi (37).

(32) Doc. 331, giugno 1182. Su questo importante documento v. anche E. Besta, Il

diritto e le leggi civili cit., pagg. 152 e segg.

(33) Del mutuo a Venezia nei sec. XI e XII v. brevi cenni in Besta, op. cit. (34) Sono abbastanza numerosi i mutui, che rivestono molte delle caratteristiche del prestito marittimo, ma invece della clausola del rischio di mare et gcntium a carico del pre­ statore, recano la clausola « sine omni pericolo », oppure non parlano affatto del rischio, e fissano l'interesse de quinque sex (20 per cento), che è l’interesse legale del mutuo semplice. Cfr. doc. 50, sett. 1127; doc. 51, giugno 1128; doc. 69, sett. 1136; doc. 90, maggio 1147.

(35) Doc. 458, nov. 1201 ; Matteo Sten« fa quietanza a Romano Mairano di un mutuo di 50 lire veneziane che gli aveva fatto prò amore nell'ottobre 1200 per un anno completo; ma dice di essere stato pienamente soddisfatto de capite et prode. Nel settembre 1100 (doc. 27), Venerando Serzi, uno dei mercanti di cui il nome ricorre più frequentemente in questi documenti, per avere un prestito, apparentemente gratuito, di 20 lire veronesi, non solo deve trovare un fideiussore, ma si impegna, se non l'avrà restituito entro otto giorni, a pagare il doppio della somma avuta; e infatti la quietanza gli è rilasciata de capite et duplo. Nel gennaio 1153 Sebastiano Ziani presta ad Enrico Serzi 1200 libre di pepe causa amoris

in suis necessitatibus peragendis ; ma dopo il primo giugno dovrà pagargli il doppio (doc. 102).

(36) Doc. 36, agosto 1173.

(37) La formula spesso usata per la determinazione dell'interesse è questa: « Prode

vero inde libi dare promitto de quinque sex sicut per rationem anni venerit secundum usum palriae nostrae ». La penalità in caso di mora è sempre del doppio di capitale e interessi. N$ si

•t

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CAPITALE E LAVORO NEL COMMERCIO VENEZIANO DEI SECOLI X I E X II 9

Accanto al mutuo semplice compaiono già i cosidetti inumi ad negoliandum, destinati ad acquistare, sebbene con carattere diverso, cosi larga diffusione nel se­ colo XIV (38). Un documento del 1140, interessante anche sotto altri rispetti, si riferisce ad un mutuo di 300 lire veneziane che fin dal 1132 Domenico Basedello aveva concesso a Dobramiro Dalmatico, ad Iaborandi/in cu in illis, e trattenerle per due anni, verso un interesse annuo del 25 % , dando in pegno una terra e una casa, di cui, dopo otto anni, il creditore ottiene gli sia riconosciuta la proprietà, tacitando però il notaio Romano, cappellano di S. Marco, che sulla stessa casa aveva anch’egli ipoteca per un mutuo di 100 lire fatto nel 1128 allo stesso Dobramiro (39).

Nel settembre 1179 Pasquale e Zaccaria Stagnario avevano ricevuto da Pietro Ziani, figlio del doge Sebastiano e futuro doge egli stesso, giudicato il più ricco cit­ tadino di Venezia, la somma di 800 lire veronesi, ch’cssi avrebbero dovuto tratte­ nere fino a Natale dell'anno successivo, e con le quali il figlio Zaccaria avrebbe dovuto laborare et negotiari tnelius quatti potuisset bic in Veneciis dividendo il prò a metà con lo Ziani (40). Lo stesso Zaccaria Stagnario contraeva nel giugno 1191, col consenso del padre un mutuo di 1000 lire ven. con Vigliota vedova di Giovanni Gisi, per impiegarle nella sua bottega di Rialto et laborare et negociari bic in Rialto per un anno ed oltre, finché le due parti fossero di accordo. Anche in questi casi i profitti avrebbero dovuto essere divisi a metà (41). Intanto però egli non aveva ancora restituito allo Ziani il mutuo contratto nel 1179, sul quale soltanto nel 1191 egli pagava un primo acconto di 100 lire (42).

Ci troviamo dunque di fronte a crediti a lunga scadenza per l'esercizio del commercio di piazza, per cui il commerciante trova più di un finanziatore, che lo sovvenzionano in una forma che ha molte analogie con la moderna associazione in partecipazione. A quell'epoca questi finanziatori esigono la metà dei profitti che si otterranno dall'impiego dei loro capitali; più tardi invece essi pretenderanno, al­ meno in molti casi, che questo profitto non sia lasciato all'alea del mercato e del­ l'abilità e buona volontà del mercante sovvenzionato, ma sia fissato secondo la misura dei profitti che darà una determinata bottega molto accreditata, che viene nominal­ mente designata nel contratto stesso (43).

7. — Assai più frequenti dei mutui compaiono i prestiti marittimi, i quali anzi assumono, specialmente nella seconda metà del XII secolo, il predominio su tutti

trattava di una semplice formula: ad esempio, il 25 gennaio 1167, per un mutuo di 50 lire veronesi a 30 giorni, non soddisfatto entro il termine stabilito, il mutuatario lascia in piena proprietà al creditore, per il capitale e per il doppio, una sua terra e casa dategli in pegno

(doc. 176).

(38) Su questi mutui ad negoliandum cfr. A. Arcangeli, La commenda a Venezia specialmente nel secolo X IV (in «Rivista italiana p. le scienze giuridiche», 1901); R. Ce s s i,

Note per la storia delle società commerciali cit. ; G. Luzzatto, La commenda nella vita eco­ nomica dei secoli XIII e X I V con particolare riguardo a Venezia (in «A tti delle manifesta­

zioni culturali prò tabula d'Amalpha », voi. V), Napoli, 1934. (39) Doc. 51.

(40) Doc. 415. (41) Doc. 421. (42) Doc. 415.

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gli altri tipi di contratti, con cui il semplice mercante, oppure il mercante armatore, che intraprende un viaggio di mare a scopo commerciale, riesce ad aumentare la mole degli affari e, nello stesso tempo, a diminuire il proprio rischio nell'impresa, facendone sostenere la parte principale se non totale, a capitalisti che non hanno in essa un interesse ed un'ingerenza diretta (44).

II tipo del contratto, col suo formulario quasi sempre uniforme, è per lo più tale da non lasciar dubbi sulla sua natura : in generale è il mercante o il nanclerus, che prima di partire ottiene da un capitalista una certa somma che egli si impegna a trasportare con una nave determinata ad un certo porto. In alcuni casi, meno fre­ quenti, il contratto si perfeziona in quest'unico porto di destinazione, dove il mutua­ tario si impegna a restituire la somma mutuata entro venti o*trenta giorni dall'ap­ prodo, al mutuante o ad un suo rappresentante (45). In altri casi invece il contratto si perfeziona dopo il ritorno della nave al porto di partenza (46); in altri infine il vincolo della rotta, della data e della nave è limitato al solo primo porto di scalo, dopo il quale il mutuatario è libero di proseguire il viaggio per qualunque desti­ nazione e con qualsiasi nave egli voglia, obbligandosi soltanto al ritorno ed alla restituzione entro un determinato termine (74). Quale sia la ragione di questo contrasto fra le restrizioni imposte per il periodo iniziale del viaggio, e la libertà lasciata per la sua prosecuzione, non risulta, nemmeno implicitamente, da alcuna clausola dei numerosi contratti rimastici; ma non è improbabile ch'essa risalga alla volontà d’impedire che questa forma di prestito, destinata esclusivamente a soddi­ sfare le necessità del commercio marittimo, minacciato dai rischi dei naufragi c della pirateria, dovesse invece essere utilizzata per altri scopi non confessati. Non solo infatti tutti questi contratti comprendono la formula stereotipa et hoc tol/im babere debel esse in tali periculo tnaris et gentium (¡naie eril ipsa tiavis cum loto suo babere-, ma in generale l'interesse preteso dal mutuante è assai più elevato di quello che si esigeva nei semplici mutui.

Questa maggiore altezza del tasso di interesse non appare ad una lettura af­ frettata dei documenti, nei quali esso è fissato, nei casi più frequenti, nella misura del 25 %, e in parecchi altri in quella del 20 % e talvolta anche meno. Ma la differenza risulta evidente quando si rifletta che questi interessi non sono, come nei

(44) Sul prestito marittimo a Venezia, oltre al Goldschmidt (Universalgeschichte dei Handelsrecht) v. gli studi citati del Besta, del Sacerdoti e del Ce s s i.

(45) Così ad esempio i docc. 53, apr. 1129; 81, luglio 1142; 91, agosto 1147, sta­ biliscono la restituzione della somma prestata a pochi giorni di distanza dall'arrivo al porto

prestabilito.

(46) In un prestito marittimo stipulato a Venezia nell'agosto 1131 per il viaggio di Arta, la restituzione dev'essere fatta al ritorno delle navi a Venezia (doc. 61); così pure in altro prestito del febbraio 1134 per Bari e ritorno (doc. 63). V. anche doc. 299 (marzo 1179) e doc. 301 (marzo 1199).

(47) Nel luglio 1144, Domenico Barbo Gabriele presta a Marino Michiel 200 lire al 25 % all'anno per due anni ad portandum in taxegio de Acres.... et inde in antea ire debebat

cum ¡sto babere in omnibui partibus ut sibi bonum visum fuisset. Alla fine dei due anni, du­

rante i quali la somma restava a rischio del prestatore, ij mutuatario doveva restituirla a Venezia col prò stabilito (doc. 204). Le stesse condizioni press'a poco nel doc. 80 (giugno 1142), e nel doc. 97 (maggio 1150). In altri casi la formula è assai più elastica, perché il prestito è fatto ad negotiandum ubìcumque libi bonum videbitur in meo periculo usque ad

unum annum.. Doc. 109 (novembre 1154). \

e

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CAPITALE E LAVORO NEL COMMERCIO VENEZIANO DEI SECOLI X I E X II II

mutui, stabiliti ad anno, od in ratione anni, ma per la sola durata del viaggio, che spesso dev’essere brevissima, come quando si tratta di prestiti concessi per il viaggio da Venezia a Durazzo, ad Arta, a Corinto; da Costantinopoli a Smirne; da Acri ad Alessandria e cosi via. Tant’è vero che in contratti in cui la durata del prestito è estesa a due anni, si stabilisce spesso l’interesse nella misura del 33 '% all’anno; mentre nel 1167 per un vaggio non molto lungo, ma estremamente rischioso, si paga un interesse del 50 % (48).

In due casi poi il formulario dei contratti rende assai difficile o addirittura im­ possibile la determinazione dell’interesse : in quelli cioè che assumono la forma genuina del prestito a cambio marittimo, per cui la restituzione dev’essere fatta in monete diverse da quelle consegnate dal mutuante; e negli altri che diventano assai fre­ quenti dopo il 1170, in cui si dice che il prestatore ha dato tantum de suo babere, per il quale, a viaggio ultimato, dovrà essergli restituita una somma determinata. Un indice tuttavia dell’elevatezza dell’interesse che si nascondeva sotto queste for­ mule un po’ oscure, lo possiamo vedere in una quietanza rilasciata, nel luglio 1175 da Piero Foscarini a Romano Mairano, per l'obbligazione da questi assunta nel­ l’aprile 1170 « prò tanto de babere meo quod de me recepisti quod tecum portare debebas curii nave tua in Constantinopoli ad prima»i muduam mensis seplembris, undem ibidem dare »libi debebas bizancios perperos bonos pensantes 450, et si Venecia esse! ita districta quod tu non posses exire cum suprascripla nave (per le gravi ostilità con l’impero d’ Oriente), lune inde usqne ad unum annum dare mibi debebas in Venecia bizancios perperos bonos veteres pensantes 3S5, siati in ea le- gitur » (49). Se dunque, come si può logicamente pensare, l’interesse preteso, per il caso in cui la sua nave non potesse uscire da Venezia, doveva essere quello legale del 20 %, la somma prestata doveva essere stata di circa 320 biz., per i quali ii mutuatario, al suo arrivo in Costantinopoli, avrebbe dovuto pagarne 450, cioè — in un periodo di pochi mesi — un interesse del 40 % (50).

Le persone dei mutuanti sono assai varie: dalla personalità più alta del mondo degli affari c della politica veneziana, Sebastiano Ziani, e da suo figlio Piero, da alcuni altri membri delle prime famiglie della città, come un Dandolo, un Bollani, un Falier, un Barbarigo, un Foscarini, si passa ad un grande numero di popolani, molti dei quali son di recente immigrati a Venezia da paesi e città vicine.

Fra i mutuatari la varietà risulta minore: talvolta essi sono designati come nocchieri della nave su cui viaggiano colle loro merci; più spesso sono soltanto mercanti, e in tal caso appartengono di preferenza alle famiglie dell’aristocrazia: due Falier, un Da Molin, un Corner, un Michiel, un Doria. Spesso la stessa

(48) Doc. 183, luglio 1167; doc. 188, nov. 1167, doc. 189, nov. 1167; doc. 190 nov. 1167; doc. 196, febbr. 1168; doc. 201, marzo 1168.

(49) Doc. 267.

(50) Un caso infine che meriterebbe di esser preso in maggior considerazione per quel che riguarda i rapporti fra la colleganza ed il prestito marittimo, è quello che ci presenta un contratto dell’agosto 1199 (doc. 440), il quale contiene tutte le clausole del prestito, ma invece di determinare l'interesse, stabilisce che il mutuatario, entro 30 giorni dal suo ri­ torno a Venezia, renda i conti e restituisca il capitale « cum tribus parlibus de prode quod

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persona figura come mutuatario in due, tre e anche più contratti; e del tutto tipico in questo senso è il caso di Romano Mairano, del quale, in un solo mese, luglio 1167, e per un solo viaggio, da Costantinopoli ad Alessandria e ritorno, si son conservati otto contratti di prestito marittimo, stipulati con persone diverse, per un totale di 1106 iperperi d'oro, con interessi che variano dal 40 al 50 per cento (51). Tre anni dopo, tra il marzo e l'agosto 1170, lo stesso Mairano stipula a Venezia altri 6 contratti di prestito marittimo, per un totale di 1575 iperperi per il viaggio di Costantinopoli (52).

Questo mercante, di cui seguiremo fra breve la rapida ascesa, dà allora un'assoluta preferenza ai prestiti marittimi su tutti gli altri mezzi di cui potrebbe valersi per ottenere un largo finanziamento delle sue imprese; e questa prefe­ renza, nonostante gli interessi assai elevati ch'egli s'impegna a pagare, si spiega forse col fatto che egli non vuole ingerenze estranee nei proprii affari, e non vuol essere obbligato, come vedremo avvenire nei contratti di colleganza, a ren­ dere un conto particolareggiato dell'impiego ch'egli ha fatto dei denari o delle merci che gli sono stati affidati.

Afa, comunque, è indubitato che il prestito marittimo sembra essere diven­ tato nella seconda metà del XII secolo uno degli strumenti più utili e più ap­ prezzati della espansione commerciale veneziana.

8. — Sulla natura giuridica della colleganza, sulle sue origini, sui suoi rap­ porti con la commenda possediamo ormai, dal vecchio studio del Lästig, da quello fondamentale del Sacerdoti fino al recentissimo saggio del Condanari-Michler, una ben nutrita serie di ottimi studi, molti dei quali, essendosi fondati sugli stessi materiali d'archivio che sono ora pubblicati da Lombardo e Morozzo della Rocca, non permettono di valersi di questi per un riesame della questione (53). I docu­ menti sulla colleganza che ora per la prima volta ci sono offerti nella loro in­ tegrità e in unica raccolta ci permettono soltanto di precisar meglio alcuni punti che riguardano la funzione economica della colleganza ed in particolare di discu­ tere la tesi del Sayous, a cui si è accennato da principio.

Come elemento caratteristico della coUegantia veneziana, che la avvicinerebbe alla societas maris genovese, distinguendola dalla commenda, si è generalmente considerata la sua bilateralità, per cui, nella maggior parte degli esempi che ce ne sono rimasti per i secc. XI e XII, il conferimento di capitale sarebbe stato fatto tanto dallo stans che dal procertans nella proporzione di 2:1, con la formula solita: «ego jactavi adverstts te librcis 100, et tu jaclavìsti adverstts me libras 50 ».

(51) Docc. 183, 187, 188, 189, 190, 193, 194, 196, 201, 203. (52) Docc. 218 225, 227, 228, 231, 237.

(53) Sulla colleganza oltre agli studi più volte citati del Besta, del Sacerdoti, del-I'Arcangeli, del Ce s s i, del Luzzatto, cfr. G. H. F. Lästig, De comanda et coUegantia, Dis­

sertazione di laurea, 1870; W. Silberschmidt, Die commenda in ihrer jrnhesten Entwicklung,

1884; Schaube, Storia del commercio dei popoli Ialini del Mediterraneo fino a! termine delle Crociate, in « Biblioteca dell’economista », serie V, voi. XI ; G. Ast u t i, Origini e sviluppo economico della commenda fino al secolo XIII, Casale Monferrato, 1933; Condanari- Michler, Zur frühvenezianischen CoUegantia, München, 1937 (Münchener Beiträge zur Pa­ pyrusforschung und antiken Rechlsgeschichte, Heft 25). \

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Già 1’ Astuti, nel suo ottimo studio sulla commenda, aveva espresso i suoi dubbi sulla pretesa diversità dei due istituti, dimostrando che una commenda bilaterale, in cui il procertam conferisca un terzo del capitale complessivo e percepisca metà degli utili, si può identificare nei suoi risultati economici con una commenda pura e semplice in cui egli non apporti alcuna quota di capitale, e riceva soltanto un quarto degli utili (54). Ma fra i documenti veneziani, di cui ora possiamo di­ sporre, ve n’è uno, del luglio 1132, il quale può avvalorare il dubbio che il conferimento di capitale da parte del procertans fosse una pura finzione. Nel mag­ gio 1131 Colomanno Bembo aveva stipulato a Suro (Tiro) con Marino Michicl « una collegancia ubi ego jactavi bizancios dureos 30 et cantarium I de canella.... Et ipsos bizancios cum predirla canella tecurn portasti in laxedio (viaggio) de Co­ stantinopoli, et supra ipsos 30 bizancios et quantos bizancios tu venundasses ipsa ca­ nella de tuis bizanciis debuistì jactare adversum me in ipsa collegantia terciam parlem sicut per racionem evenisse!, et cum loto isto predo laborare et procertare de- bnisti.... Nane antem postquam in Venecia reversus fuìsti de tota ipsa collegancia inibì.... racionem fecisti tatti de capite quatti de prode cum tota sua investicione per omnia me apagasti » (55).

Lo stesso dubbio è rafforzato dal testo della glossa allo statuto che tratta della colleganza (Libro III, cap. I), dove, parlando della resa dei conti si dice: « Qnilibet qui alicuins bona receperit.... in collegantia suo creditori seriatim exprimat qualiter investiverit et vendiderit et qnaliler egeril de hoc quod babnit in colle-, gancia.... et si minus capitale dederit, dicat quare minus dal », dimostrando così esplicitamente che non si pensa affatto alla liquidazione di un affare sociale, ma di un resoconto degli investimenti fatti dal procertans col denaro e le merci affida­ tegli dallo stans (56).

La spiegazione di questa supposta finzione, per cui un terzo di questa somma si farebbe figurare come conferita dal procertans, non si deve probabilmente trovare né in norme di legge, né nella opportunità di sottrarsi ai divieti dell’usura, ma piuttosto in una giustificazione della ripartizione dei rischi, come degli utili, che è la principale caratteristica differenziale fra il prestito marittimo e la colleganza. Nel noto contratto di colleganza bilaterale dell’agosto 1073, nel quale le varie clausole sono elencate nella forma più completa, si dice infatti : « Si a mare vel a gente totum istud babere perdilutn juerit, nichil inde pars parti itiquirere debeamus. Si autem aliquid inde remanserit, sicut jactavimus ita parlicipemus » (57). Il pro­ certans, che impiega il proprio lavoro e si finge che conferisca un terzo del capi­ tale, parteciperebbe per metà al profitto totale, e per un terzo ai rischi di man; e di guerra.

Se in tal modo può sembrare che si venga ad avvalorare la tesi che vede nello stans il puro capitalista, e nel procertans un semplice prestatore d'opera, remu­ nerato con una quarta parte del profitto, in realtà un’analisi più accurata dei

con-(54) Cfr., Ast u t i, Origini e svolgimento cit., pp. 33 e segg.

(55) Doc. 62.

(56) Cfr. R. Ce s s i, Gli statuti veneziani di Jacopo Tiepolo del 1242 e le loro glosse,

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tratti riesce a confermarci nell'opinione contraria. In alcuni casi vediamo che le stesse persone, le quali più frequentemente figurano come procertantes, dànno alla loro volta in colleganza una somma di denaro o le quote che esse possiedono nella proprietà di una nave; e se questi casi sono assai rari, lo dobbiamo probabil­ mente al fatto che la maggior parte dei documenti che si son conservati proven­ gono dall'archivio di un grande monastero, al quale le famiglie avevano interesse d'affidare la documentazione dei pagamenti da esse effettuati, e non quello delle riscossioni. D'altra parte in questi contratti come nei prestiti marittimi, sono ab­ bastanza frequenti i casi di un mercante che, preparandosi a partire per un viag­ gio, riceve da varie persone una somma in colleganza, mentre sono assai rari i casi di un capitalista il quale, nello stesso tempo, stipuli con vari mercanti dei contratti di colleganza. Ma soprattutto significative ci sembrano le caratteri­ stiche sociali di chi assume questa pretesa figura di capitalista e le località dov'essi si trovano quando stipulano un contratto di colleganza. Stentiamo infatti a considerare come capitalisti un Domenico Zofolo, che nel 1072 aveva dato in colleganza 50 lire ad un Barozzi per commerciare a Tebe (58), un Valfredo Gau- soni da Torcello che nel 1155 impiega in una colleganza la quarta parte, da lui posseduta, di una nave, e ne riscuote poi il nolo dallo stesso procertans (59); un Domenico Maciacavallo, anch'egli da Torcello, che nel 1159 aveva dato in col­ leganza un terzo di una nave per il valore di 33 iperperi (60); un Pietro da Muggia che nel 1184 impiega 32 lire veronesi (61); un Domenico da Albiolo che nel 1199 investe 50 lire veneziane (62). Tutta gente, si noti, il cui nome non ricompare in alcun altra forma di attività mercantile.

Ma soprattutto la partecipazione viva ed attuale di molti di questi « capita­ listi » all’attività marittima e commerciale risulta dal fatto che, nel momento in cui essi stipulavano, come slantes, un contratto di colleganza, essi, pur avendo il domicilio e la famiglia a Venezia, non si trovavano nella loro città ma a Costan­ tinopoli od a Corinto, a Tebe, a Tiro, ad Acri, ad Alessandria; oppure, sebbene stipulassero il contratto a Venezia, ponevano come condizione che la colleganza fo:se liquidata in Antiochia, se, all’arrivo della nave da Otranto, dov'cra andata a caricare grano, « ego in Antiochia juissem et ¡stani collegantiam ibi recipere voluissem » (63); oppure all’arrivo in terrain Jervsalem, n e t Urne inibi vel vieo tnisso istam collegantiam cutn vera racione dare deb visti » (64). Dunque nel tempo stesso in cui il procertans compiva il viaggio pattuito, anche lo stans non se ne stava affatto a riposare a Venezia, ma si spingeva anch’egli per altra via alla stessa destinazione d'oltre mare. D’altra parte un documento, su cui ritorneremo fra poco, ci mostra una compagnia, costituita in Sparta nel maggio 1159 fra tre cittadini veneziani, di cui ciascuno apporta una quota eguale di 830 iperperi, coi

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CAPITALE E LAVORO NEL COMMERCIO VENEZIANO DEI SECOU X I E X l l 15

quali dovevano negoziare per terra e per mare, e darli ad altri « ad nostrum co- wunem proficuum et periculum » (65).

Risulta così evidente che il preteso distacco fra capitalista — se può usarsi una tale espressione — e mercante di professione può forse — e non sempre — rispondere a verità caso per caso, per un singolo viaggio, ma non sussiste affatto in tesi generale, quando si voglia estendere la divisione delle parti, che appare occasionalmente in un singolo contratto di colleganza, a tutto il mondo veneziano degli affari.

9. — Più recente infine del prestito marittimo e della colleganza compare con una certa frequenza nei documenti del XII secolo anche il contratto di com­ pagnia (66). Nella notissima formula infatti che per la prima volta s'incontra in un testamento del 976, ma che è indubbiamente più antica, si elencano fra i beni mobili, la colleganza, la rogadia, la commenda (67), i prestiti ed i « negotia », ma non vi si fa parola della compagnia ; e la stessa formula è ripetuta, senza aggiunte, in atti di divisione familiare del 1030 e del 1507 (68). Invece in un documento dell'agosto 1109, che è poi appunto una divisione di compagnia fra Marco Mali- piero e Faliero Falier, (69), la formula si trova, com'è logico, ampliata; essa com­ prende, con le colleganze, rogadie, prestiti, negozi e commende, anche le com­ pagnie, e dopo di allora si mantiene immutata. Evidentemente dunque la compagnia era entrata nell’uso, come negozio commerciale, dopo il 1057.

Dopo il 1109 gli accenni all’esistenza, alla liquidazione e divisione di com­ pagnie mercantili si fanno relativamente frequenti, e non mancano per fortuna alcuni atti di costituzione od altri documenti che permettono di determinare la natura di tali contratti. Cosi in una carta del luglio 1129, rogata a Costantinopoli, Vitale Luparini da Murano e Pietro Foscari da Malamocco si dividono dalla com­ pagnia che essi avevano formata e più tardi rinnovata con Nicola Damiano abitante ad Armiro; « in qua compagnia tu (Damiano) contra nos jaclasti et dedisti nobis duas partes de una tua navi per bizancios auri perperos 60\ nos vero ambo jacla- vimus et dedimtts adversus te in jam dieta compagnia bizantios c. s. 60. Tu vero solus babuistì de ipsa compagnia totos ipsos bizantios 60, et cutn totos illos am­ bulasti usque bodie per coeteris partibus Romaniae et Suriae, ubicumque te Do- minus conduxit, laborastì et procertasti ut melius potuisti, et nos simililer cu ni praediclas duas partes de nave et de eius pretio usque bodie laboravimus et

pro-(65) Doc. 135.

(66) . E questo, della « compagnie » nella storia economica e giuridica di Venezia nel secolo XII, un argomento che meriterebbe di esser meglio approfondito. Brevi cenni se ne

possono trovare nel volumetto già citato dal Besta. e nelle Note del Ce s s i.

(67) Non ci siamo occupati della rogadia e della commenda veneziane, perché esse non hanno affatto il carattere di contratti per l'investimento o l'associazione di capitali. Mentre la

commenda è il deposito regolare e infruttifero di una somma di denaro, di una merce, di una

carta in luogo sicuro (per lo più presso i monasteri o presso l'Opera di San Marco) per garan­ tirne la conservazione, la rogadia è il contratto per cui il mercante che parte per un viaggio si assume di trasportare e di vendere la merce di chi lo ha pregato (rogato) di questo servizio, senza ricavarne alcun profitto diretto.

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cerlavitntts ubicumque melila poluimus » (70). Nell’ottobre 1139, a Damiata, si stipula la divisione di una compagnia fatta in Nimisso fra due veneti dell’estuario, Domenico Rossani e Angelo Agnello « ubi per unumquemque nostrum jaclavimtts bizantios saracenatos 23, quod fueront in loto 46, et nos entri loto ¡sto babere ambulare debemus Damiates cum nave in quo est nauclerus Marco Marcello, la- barando etc. » (71). Altra divisione viene decisa a Costantinopoli nel marzo 1150, per sentenza di Sebastiano Ziani, legato del doge, di una compagnia, costituita a Les Fornies (le Formiche?) in cui Enrico Zulian avea posto 758 iperperi e Raimondino Dotto 508 « cum quibus omnibus debebant negotiarì in omnibus partibus siati eis bonum videretur et in ìllorum comuni pericnlo, et qtticquid Domimis eis dare! debent dividi ìnter eos secundttm bizantios » (72). Nel maggio 1159 si procede, a Sparta, alla divisione della compagnia ricordata, che Enrico Foscarini, Viviano e Giovanni Falier avevano stretto fra loro nell’aprile 1158 ponendovi ciascuno 830 iperperi, qui fueront inter orniles 2490 iperperi aurei, coi quali dovevano negoziare per terra e per mare e darli ad altri, come si è detto (73).

Di una sola compagnia per il commercio di piazza, a condizioni alquanto diverse, ci ha conservato il ricordo un documento del 1174, da cui risulta che il defunto Pietro Memo aveva stipulato nel maggio 1160 un contratto di compa­ gnia con Enrico Serzi, del fu Venerando, spesso ricordati in questi documenti per la loro attività commerciale; e gli avea dato 300 lire veronesi «ad laborandum et procertandum cum ipsis in compagnia » dividendo il profitto a metà « et nude- antique aliquid acqnirere potuisses tam cum ipso babere qttam cum alio babere.... totum in ipsa compagnia jactare debebas et nnllum sodimi de suprascripto babere libi mittere debebas, et suprascrìptum babere in domo eiusdem (Petri) tenere, et foris Venecia suprascriptum babere nec mittere nec portare debebas nisi usque ad mercatino Ferarie ». Doveva rendere i conti tre volte l’anno. « Qua compagnia inter vos esse debebat inde in antea usque dttm suprascripto (Petro) placuisset », e durò infatti fino alla sua morte c fu liquidata dai figli (74).

Più particolareggiate sono le clausole di un contratto di compagnia costituitasi in Romania fra Domenico Sisinulo e il nipote Vitale Voltano : « in qua misìmtts per unumquemque, secundttm quod recordamur, atti libras de perperis attri septem aut perperos attri 500, et si plus de nostro babere baberemus, ili ad in eadem com­ pagnia mittere debebamtts. Vemulameli prode inde toliere debebamns perperttm unum prò ttnoquoque mense ad rationem de una quaque libra. Ego vero (Dominicus Sisinulo) permanere debebam in Costantinopoli et tu in Stives (Tebe).... Et potestatem babere debebamtts Ioliere de babere alterius ad notnen et proficttttm alque pericttlttm islitts compagnie, ita quod nos ambo de ipso debito coèquales esse debeamtts ». La compagnia che nella carta dell’agosto 1179 si dice costituita retro tempore (e indubbiamente prima della cattura dei veneziani nel 1171), doveva avere la durata di un anno, prorogabile senza limiti a volontà delle due parti.... « linde promitto

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