IL CAMPO ROM DELLA “BIGATTIERA”
2.2. UNO SGUARDO D’INSIEME: IL PASSATO E IL PRESENTE DELLA “BIGATTIERA”
2.2.1. I CAMPI ROM DI PISA E LA NASCITA DELLA “BIGATTIERA”
Grazie a una piccola cronistoria effettuata dalla Fondazione Michelucci nel rapporto “Case Casette Baracche e Roulotte”124, è possibile ricostruire la parte “storiografica”
della situazione abitativa dei rom a Pisa.
I primi campi sosta a Pisa sorsero a metà degli anni Ottanta. In quel periodo su tutto il territorio comunale, vivevano due tipi di comunità diverse: una sinta e una di rom macedoni, serbi, bosniaci e croati.
La comunità di romanì provenienti dall’Est Europa diede vita al primo insediamento sul territorio di Pisa, più precisamente nella località di “I mortellini”, in via Aurelia. Lo spazio utilizzato per il campo era molto vasto ma mancante di corrente elettrica, acqua e servizi. Nel 1988, grazie alla legge emanata lo stesso anno a tutela delle comunità zingare, il Comune diede l’avvio al trasporto scolastico per i minori del campo, attraverso una convenzione con la Pubblica Assistenza. I disagi interni alla vita del villaggio però non si estinsero, perché a causa del carattere abusivo del campo, gli abitanti erano sottoposti a continui controlli da parte delle forze dell’ordine. Tutto questo portò pian piano allo spostamento di piccoli gruppi rom, verso case abbandonate su terreni comunali o demaniali in aree più periferiche, per rendersi meno visibili. Nel 1989 furono presentati due progetti per la costruzione di altri due campi sosta, uno a sud di Ospedaletto per i sinti italiani e uno a La Vettola per i nomadi dell’Europa orientale.
Un anno più tardi vennero ordinati degli sgomberi a tutti gli insediamenti rom abusivi presenti nel territorio pisano, con eccezione per quello sito a I Mortellini. Sette mesi dopo la Regione Toscana offre un contributo al comune di Pisa per la costruzione di almeno uno dei campi.
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Cfr. Fondazione Michelucci, rapporto, Case, casette, baracche e roulotte. Le politiche per l’abitare dei gruppi Rom e Sinti in Toscana oltre i campi nomadi, Toscana, gennaio 2006.
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Nel frattempo, i cittadini della zona di La Vettola, cominciarono a protestare contro l’apertura del campo e causando la scelta da parte dell’amministrazione comunale, di spostare la costruzione del villaggio in zona Paduletto e a rinunciare all’istituzione di quello a Ospedaletto.
Tra il settembre e novembre del ’91 il campo sito a I Mortellini fu sgomberato in seguito a dopo diverse segnalazioni effettuate dall’USL, sulla precarietà delle condizioni igieniche presenti nell’area. In compenso viene approvata dalla Giunta Municipale la realizzazione del villaggio rom a Tombolo (zona Pauletto), in una zona non visibile dalla via Aurelia. La costruzione di questo campo però ha sollevato diverse critiche da parte dei cittadini gagè che sfociarono in alcuni atti vandalici (scritte provocatorie e svastiche) nell’area in costruzione.
Dei piccoli insediamenti, sorti dagli sgomberi effettuati durante quel periodo, si formarono in diverse zone sparse nel territorio: sotto un tratto autostradale sopraelevato in località “Biscottino”, alle porte di Stagno, all’estrema periferia di Livorno, in prossimità di raccordi autostradali e in altre aree periferiche e distanti dalla città e i suoi servizi.
Sempre durante l’anno 1991 e nell’anno 1992, la Regione toscana ha stanziato diversi contributi al comune di Pisa per la realizzazione o il completamento dei campi rom, tra cui quelli di sola sosta destinati ai giostrai e quello di Coltano.
Tra l’inizio e la metà degli anni Novanta, il numero dei rom a Pisa subì un forte aumento. Ciò accadde soprattutto a causa dello scoppio della guerra nell’Ex Jugoslavia e delle persecuzioni perpetuate nei confronti dei rom su tutto il territorio Balcanico, che condizionarono l’immigrazione di circa 189 sfollati a Pisa.125
I maggiori Paesi di provenienza erano: Slovenia, Croazia, Bosnia e Macedonia. Nel ’94, il dirigente del servizio Anagrafe annunciò di non voler concedere la residenza ai profughi arrivati, in quanto dichiarati tali dalla Questura e non in carico, per legge, al Comune.
Intanto, nell’aprile dell’anno successivo, la Regione Toscana approva la Legge Regionale n. 73, con cui viene proposta l’istituzione di un’accoglienza per i rom, che
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Il numero dichiarato, è frutto dei censimenti fatti durante quegli anni, ma è incerto in quanto, si sono riscontrate diverse difficoltà nell’effettuare le stime.
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ipotizza anche vere e proprie soluzioni residenziali, attraverso interventi di recupero abitativo e di ristrutturazione di edifici pubblici e privati.126
Allo stesso tempo, viene ufficialmente aperto l’unico campo autorizzato del periodo, ancora oggi identificato come il “campo di Coltano” e finanziato con i fondi della Legge dell’88, ormai superata.127
La legge in questione raccomandava ai Comuni di realizzare dei campi rom in aree non isolate, e che non fossero situate a diretto contatto con arterie di grande traffico, ma si può osservare come il campo non risponda a questa caratteristica perché si trova presso un crocevia di strade di grande comunicazione, molto lontano dal centro urbano e dai servizi.128
Nel frattempo cominciarono anche le attività di sgomberi di tutti gli altri insediamenti dichiarati abusivi, attuate attraverso l’emissione da parte del Comune, di diverse ordinanze per la tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico del territorio.
Negli anni compresi tra il ’95 e il ’98 furono effettuati interventi e controlli in tutti i villaggi o nelle aree in cui venivano segnalati postazioni di camper o roulotte: nel campo abusivo di Tombolo, nell’area ex Genovali (presenza di nomadi non autorizzata), a Ospedaletto (presenza di nomadi in area non autorizzata), in Via Maggiore (insediamento non autorizzato), in Via Emilia (segnalazione roulotte), in Via Meucci (segnalazione roulotte e camper), a La Tabaccaia (segnalazione roulotte), a Paduletto (campo abusivo) e a Pian degli Ontani (campo abusivo).129
Data la situazione molto precaria dei rom e sinti già presenti sul territorio pisano in quel periodo, il Comune ha preso la decisione di procedere anche con la politica del “numero chiuso” con cui si stabilisce un tetto massimo di presenze rom considerate “tollerabili” per il territorio.
Gli sgomberi dei vari campi costrinsero coloro che li subirono a trasferirsi negli altri campi siti nel territorio, andando a causare situazioni di sovraffollamento.
Uno degli sgomberi più incisivi fu stato quello di Pian degli Ontani, i cui abitanti (circa un centinaio) andarono a rifugiarsi da parenti e amici stabilizzatisi nel campo di
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Manca C., Il paese dei campi. La presenza rom a Pisa e il progetto “Città sottili”, tesi di laurea, Facoltà di Scienze per la Pace, Pisa, 2012-2013, p. 57.
127 Ibidem. 128
Ivi, p. 58. 129
Fondazione Michelucci, rapporto, Case, casette, baracche e roulotte. Le politiche per l’abitare dei gruppi Rom e Sinti in Toscana oltre i campi nomadi, Toscana, gennaio 2006, p. 16.
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Coltano. Il degrado del sovraffollamento in questo campo, determinò una successiva presa di decisione da parte del Comune nel 1999, che decise di ordinare lo sgombero anche in questo luogo. Ne seguono manifestazioni e opposizioni da parte dei rom che vi abitano e che, grazie alle loro proteste, riuscirono a far sospendere l’ordinanza.
Nell’anno 2000, la Regione Toscana ha approvato la Legge regionale n. 2 “Interventi popoli rom e sinti” che si propone di trovare soluzioni abitative stabili. Gli interventi da attuare per riformare la situazione alloggiativa dei rom sono:
«a) aree attrezzate per la residenza con i requisiti indicati agli artt. 3 e 4; b) interventi di recupero abitativo di edifici pubblici e privati previsti dall'art. 5; c) l'utilizzo degli alloggi sociali come previsti dalla Legge 6 marzo 1998, n. 40 "Disciplina dell'Immigrazione e norme sulla condizione dello straniero";
d) il sostegno per la messa a norma e/o la manutenzione straordinaria di strutture abitative autonomamente reperite o realizzate da rom e sinti;
e) la realizzazione di spazi di servizio ad attività lavorative di carattere artigianale.».130
L’art 3. della legge indica alcune condizioni da attuare sui nuovi sistemi abitativi:
«[…] b) collocazione delle aree attrezzate, preferibilmente su terreni di proprietà comunale o di altri enti pubblici, al fine di contenere i costi e accelerare la realizzazione delle opere;
c) la localizzazione deve garantire l'inserimento in contesti di vita attiva dotati degli elementi essenziali per rendere l'esistenza quotidiana degli abitanti organizzata e interrelata con il tessuto abitativo e sociale circostante, con l'organizzazione dei servizi socio-sanitari di zona e con la rete degli istituti scolastici.
3. Le aree attrezzate per la residenza, in ragione delle famiglie destinatarie, del loro stile di vita, delle risorse disponibili, del contesto urbano, possono essere composte da strutture abitative integrate in uno spazio comune o da attrezzature fisse di servizio a roulotte, case mobili o strutture prefabbricate.
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6. Le aree attrezzate per la residenza possono essere ricomprese nei piani di zona per l'edilizia economica popolare di cui alla legge 18 aprile 1962, n. 167 "Disposizioni per favorire l'acquisizione di aree fabbricabili per l'edilizia economica e popolare". […].».131
Per attuare la normativa, nello stesso anno e con il finanziamento della Regione, il Comune diede l’avvio all’ambizioso progetto di “Città Sottili”. Il progetto prese vita definitivamente nel 2002 ed era destinato ai rom censiti “in quanto presenti” nella Provincia di Pisa. Lo scopo principale del progetto consisteva nel superamento delle precarie condizioni d’abitazione nei campi e la ricerca d’inserimento dei rom in soluzioni abitative alternative. Quattro anni dopo l’avvio del progetto, un dossier di “Africa Insieme” rileva che:
«circa un quinto delle persone censite nei campi nomadi nel 2002 è stata alloggiata in casa: si tratta di un risultato non trascurabile, che ha consentito, per esempio, di smantellare il campo nomadi di Via S. Biagio, di sottrarre alla baraccopoli di Coltano quasi la metà dei suoi abitanti, e di ridurre del 20% le presenze nell’insediamento di Calambrone. Certo, sono passati quattro anni ed era forse lecito aspettarsi qualcosa di più: eppure, chi conosce le enormi difficoltà di accesso al mercato abitativo per i Rom sa che si tratta di risultati non scontati. Oggi, più di 40 famiglie dei campi hanno trovato una casa, pagano un affitto e possono legittimamente sperare di inserirsi nel mercato del lavoro».132
In effetti, il progetto “Città sottili” ha colto nelle sue fasi iniziali, il carattere innovativo della Legge regionale che ha sottolineato alcune caratteristiche importanti che le aree attrezzate devono possedere. Una delle innovazioni più importanti che vennero attuate, fu quella di decidere di porre gli alloggi rom in prossimità dei centri abitati, al fine di rendere l’esistenza quotidiana delle comunità romanì con il tessuto abitativo e sociale circostante, correlata con l’organizzazione dei servizi socio-sanitari di zona e con la rete degli istituti scolastici.
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Ivi, art. 3. punto 2. 132
Associazione Africa Insieme, Vite di scarto. Marginalità sociale e marginalità abitativa dei migranti a Pisa, Bozza, 4 giugno 2006, p. 25.
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Quando il progetto è cominciato, il campo della Bigattiera ancora non esisteva. La sua nascita avvenne nel dicembre del 2004 a causa degli spostamenti delle famiglie sgomberate dagli insediamenti di Calambrone e San Biagio. In tali località abitavano diverse persone che avevano ottenuto la casa dal Comune intorno al 2000. Nelle abitazioni composte da ex colonie italiane, si contavano circa una cinquantina di persone e 15 famiglie. Questa gente è poi stata spostata al campo, dove il numero è progressivamente aumentato133.
La Bigattiera nacque in quel preciso momento, con lo scopo di divenire una semplice area di transizione. La chiusura di “Città Sottili” ha però condizionato la sua principale caratteristica transitoria, rendendola una soluzione definitiva.
2.2.2. VERSO LA CHIUSURA DELLA BIGATTIERA. CRONACA DI UN CONFLITTO