2. Riflessioni teoriche preliminari: frontiere, solidarietà, neoruralità
2.2. Il campo, le resistenze e la solidarietà ai migranti
Un concetto classico alla base della concezione del presente lavoro è quello di “campo”; nella definizione di Pierre Bourdieu (1992) si tratta di:
un campo di forze che si impone con la sua necessità agli agenti che vi operano, e insieme campo di lotte al cui interno gli agenti si affrontano, con mezzi e fini differenziati a seconda della loro posizione nella struttura del campo di forze, contribuendo così a conservarne o a trasformarne la struttura (Bourdieu, 1994: 46-47).
Come riassume efficacemente Marco Romito (2016):
Secondo Bourdieu, ogni campo è definito da almeno tre elementi:
1) da una struttura, cioè da uno stato delle relazioni di potere tra gli agenti o le istituzioni che si trovano all’interno del campo. Detto in altri termini, dalla distribuzione delle specifiche forme di capitale che possono essere visti come gli assets nelle mani degli attori in gioco nel campo;
2) da profitti specifici, una “posta in gioco”, oggetto della competizione tra gli attori che possono essere sia le diverse forme di potere o capitale in palio, sia le regole del gioco, cioè i criteri in base a cui si definiscono le relazioni di potere nel campo;
3) da agenti, individui, istituzioni, gruppi sociali, che vi prendono parte, che riconoscano le poste in gioco e i principi di funzionamento del campo (Romito, 2016: 63).
Per Bourdieu (1983) la posizione sociale di un individuo è determinata dalla combinazione di tre variabili, espresse in termini di capitali di gruppo: il capitale economico, legato al reddito e alla professione, oltreché ai possedimenti già esistenti; il capitale culturale, riferito al titolo di studio e alle conoscenze acquisite; il capitale sociale, ossia le relazioni che gli individui hanno e che servono per migliorare la propria condizione. Nel caso di questa ricerca, se la struttura e i gruppi sociali del campo sono descritti nel terzo capitolo – in cui si entra nello specifico della valle e dei suoi abitanti –, la principale posta in gioco è il modello di territorio auspicato dalle diverse popolazioni che lo abitano, viene trattato nella prima parte del quarto capitolo. La questione migratoria e la risposta alla frontiera, come vedremo nella seconda parte dello stesso capitolo, si inseriscono nel campo già esistente e lo modificano attraverso l’inscenarsi di ciò che, con Victor Turner (1986) – che prende spunto dalle teorie di Arnold Van Gennep (1981) sui riti di passaggio – abbiamo definito “dramma sociale”. Ciò che accade all’interno del “dramma sociale”, che analizziamo più avanti nel dettaglio, genera delle conseguenze e delle trasformazioni sul campo; anche nella teoria di Bourdieu, il campo non è chiuso, ma aperto e flessibile, in continua trasformazione in relazione agli eventi, alle forme del contingente e alle risposte degli attori sociali, trattandosi, in effetti, di un:
sistema di disposizioni aperto, messo incessantemente a confronto con esperienze nuove e quindi da queste incessantemente modificato (…) In altri termini, gli agenti sociali determinano attivamente, attraverso categorie di percezione e di valutazione socialmente e storicamente determinate, la situazione che li determina. Si può anche dire che gli agenti sociali sono determinati, solo nella misura in cui si determinano (Bourdieu, 1992: 100-102).
Il campo che prende forma in risposta alla crisi territoriale dovuta alla questione migratoria, seguendo Ambrosini (2018) è stato qui definito un“battleground” – un “campo di battaglia” –
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concetto pensato in riferimento alla governance locale delle migrazioni in epoca contemporanea.
La presente ricerca – nell’analisi dei rapporti sociali della popolazione della valle, delle proprie scelte di vita e delle mobilitazioni in atto, in particolare quella in favore dei migranti – individua modalità di agire che, con Pietro Saitta (2015), possiamo definire pratiche di resistenza:
forme individuali, quotidiane, estemporanee o sistematiche di opposizione, aggiramento ed evasione dai poteri: il potere visibile e manifesto dello Stato nel quotidiano della cittadinanza e quello disperso e apparentemente minimo della famiglia, dei luoghi di lavoro, del capitalismo e degli altri mondi della vita in cui le asimmetrie e le differenti risorse a disposizione degli individui producono “attrito” (…) “Resistenza”, in altri termini, è l’espressione ambivalente, vaga e bisognosa di continue specificazioni che, tuttavia, mira a definire quegli scontri che hanno per oggetto poste di differente natura, materiali e immateriali, legate a interessi evidenti a fare o a possedere qualcosa, così come ad affermare una piena e libera soggettività affrancata dagli status ascritti. Le resistenze appaiono così come dei (contro-)discorsi praticati, ancora prima che “parlati”, dagli osservatori e dagli attori in campo. Esse sono cioè un insieme variegato di pratiche e discorsi entro un terreno scivolosissimo, in cui pochi rivestono sempre e soltanto il ruolo di parte più debole e in cui l’oppresso è spesso a sua volta oppressore, dando così vita a un gioco di posizionamento e costanti risignificazioni che rendono le analisi e le rivendicazioni fragili ed esposte a critiche (Saitta, 2015: 7, 15).
Le pratiche che nei prossimi capitoli vengono cartografate rientrano nella definizione di Saitta, probabilmente a partire dalla scelta neorurale, esistenziale ed ideologica, guidata da valori e visioni di società. Le mobilitazioni per un modello di valle in linea con tale scelta costituiscono, inoltre, un importante repertorio per le pratiche di resistenza, che trovano forse il loro apice – in termini di radicalità – con le azioni di “disobbedienza civile” (Thoreau, 2011) legate alla solidarietà ai migranti e sanzionate all’interno dei cosiddetti “reati di solidarietà”.
Saitta, analizzando le “resistenze” in quanto “invisibili politiche del quotidiano” – che include quindi le scelte di vita a lungo termine come può essere quella di un percorso neorurale –
evidenzia un aspetto problematico di questo concetto; in effetti, a livello etimologico la nozione di “resistenza” implica l’idea di “restare fermo e saldo”. La connotazione del concetto – tanto in lingua italiana, come in lingua inglese o francese – si propone quindi più in chiave statica che dinamica, quando i processi resistenziali analizzati sembrerebbero invece tesi “ad andare avanti” e a generare alternative e trasformazioni sociali. Contro l’idea di “restare fermi”, Saitta suggerisce di poter parlare di “evasione” o “fuga” da un ordine.
All’interno di questo campo di analisi concettuale, Federico Rahola (2015) riprende la nozione di “controcondotte”, abbozzata da Michel Foucault durante il celebre corso al Collège de France del 1978. Si tratta di una nozione che riflette su una “galassia infraordinaria di pratiche di lotta autonome e collettive in cui decidere insieme come condursi e creare insieme nuovi spazi da abitare, tempi da vivere, soggetti da divenire” (Rahola, 2015: 14); queste ultime tre dimensioni citate da Rahola sono particolarmente importanti per le disamine del presente lavoro di ricerca. Il concetto di controcondotte, a differenza di resistenza che è un concetto passivo, ha il vantaggio di potersi declinare in modalità attiva:
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senz’altro una parola costruita male, ma che ha il vantaggio di permettere il riferimento al senso
attivo del termine “condotta”. Controcondotta nel senso di lotta contro i procedimenti impiegati
per condurre gli uomini (…) La parola controcondotta dà la possibilità di analizzare – senza dover necessariamente sacralizzare qualcuno come dissidente – le componenti del modo di agire effettivo nel campo generale della politica o dei rapporti di potere… (Foucault, 2005: 151).
Le mobilitazioni collettive analizzate nella presente ricerca – legate all’uno o all’altro universo culturale – sono spesso compiute all’insegna della “difesa del territorio”. Tale nozione, che diviene ambigua perché reclamata con punti di vista contrari, è, in ogni caso, un contenitore vuoto che si riempie di pratiche e di contenuti di riferimento, anche opposti tra di loro, dipendendo da chi la pronuncia e dal contesto in cui la rivendicazione prende forma. Pietro Saitta, in questo senso, evidenzia con lucidità che:
In questa cornice stabilire chi stia resistendo e a cosa appare un’impresa ardua, il cui discernimento ha meno di scientifico e molto di ideologico. Come osservato poco sopra, in molti dei casi rinvenibili nella realtà a dirimere i dilemmi può essere soltanto l’ideologia di chi osserva, oltre di chi è direttamente impegnato nel particolare tipo di dialettica che si dipana nel campo (anche se per confliggere non è necessaria un’ideologia in senso stretto; è sufficiente avere una chiara idea circa ciò che è in ballo). Gli scontri, manifesti o invisibili, sorti intorno a istanze consapevoli o a pratiche spontanee, che si svolgono nella città o nella campagna, nei luoghi di lavoro e nello spazio pubblico, sono prima di tutto delle guerre dei discorsi e delle evidenze, aventi per oggetto sia poste materiali che impalpabili (Saitta, 2015: 10-11).
L’analisi delle pratiche di solidarietà ai migranti in transito alla frontiera franco-italiana – che rientrano nel discorso delle resistenze a partire dalla criminalizzazione, e che in un contesto come la Val Roja sono legate alla dimensione neorurale, endogena al territorio (Giliberti, 2020a) – è uno degli elementi chiave del presente lavoro di ricerca. Definiamo solidarietà l’insieme variegato di azioni al sostegno dei migranti, con alla base diverse motivazioni, registri e pratiche di riferimento, che non preveda in alcun caso alcuna contropartita economica e sia estraneo al sistema formale di accoglienza (Giliberti e Queirolo Palmas, 2020). I solidali possono essere persone singole, organizzarsi in gruppi informali o in associazioni, e situarsi tra i poli di una dimensione umanitaria e politica; detto in altri termini, un approccio più assistenziale legato a risolvere mancanze delle politiche istituzionali, o un approccio più contestatario e con una visione di società di fondo, che pratica supporto al transito come forma di agire politico e attacca esplicitamente la gestione migratoria e il regime di frontiera contemporanei. Alcuni autori, per fare riferimento alla solidarietà e alla sua eterogeneità, propongono l’espressione “umbrella notion”, perché copre – come un ombrello – un ampio spettro di registri d’azione, di attori e di pratiche (Birey et al., 2019).
Il concetto di solidarietà, come nota Kymlicka (2015), è stato finora utilizzato soprattutto per riferirsi ad attori prossimi, normalmente all’interno delle “comunità immaginate”, come i gruppi nazionali (Anderson, 1996). L’uso che si fa di questo concetto in relazione alla contemporanea “crisi dell’accoglienza” (Lendaro, Rodier e Vertongen, 2019) si estende invece a coloro i quali, come i migranti in transito, sono rappresentati in quanto outsiders nel discorso dominante nei Paesi europei. L’eterogenea piattaforma della solidarietà include pratiche che tengono insieme la dimensione dell’azione politica con il sostegno umanitario; elementi, questi,
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che sono, come vedremo, sempre più interconnessi, con sempre maggiori spazi di ibridazione, dove la direzione di fondo è quella di un umanitario che si politicizza e viceversa (Gerbier- Aublanc, 2018). Tali pratiche contribuiscono a costruire una contro-mappa dell’Europa che sfida il proibizionismo migratorio interno ai confini dell’Unione, aprendo rifugi e rotte invisibili per favorire il diritto alla libera circolazione.
Se il concetto di accoglienza – o di mancata accoglienza – fa riferimento ad una dimensione istituzionale, il concetto di ospitalità, che rientra nell’azione solidale – analizzata in profondità nel quinto capitolo del lavoro – fa maggiore riferimento ad una dimensione dal basso, che si connota tra l’intimo e il politico (Babels, 2019).
Parlare di ospitalità significa quindi indicare una mancanza, fare una critica alle politiche pubbliche inospitali su migrazione e accoglienza, e chiedersi come sarebbe, al contrario, possibile (...) Ci poniamo come prerequisito che , da un lato, "accoglienza" si riferisce a politiche e istituzioni pubbliche che mettono in atto (o meno) modalità di accoglienza dei migranti, richiedenti asilo e rifugiati e che, dall'altro, "ospitalità" si riferisce innanzitutto al fatto di ricevere persone straniere, offrire cibo e alloggio in casa propria (ospitalità casalinga) o nella propria comunità, e più in generale aiutare una persona straniera all’interno di una relazione inter-individuale (Babels, 2019: 10, 14).