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Il capitale vampiro è il titolo di un’illustrazione del pittore Walter Crane per appoggiare la SDF, la

federazione socialdemocratica di cui nel 1884 prese a far parte. L’influenza dell’opera di Marx è evidente: Crane rappresenta un uomo, l’operaio, a terra attaccato da un pipistrello che si sta nutrendo del suo sangue. Il pipistrello-vampiro è la personificazione del capitalismo, dell’ipocrisia religiosa e della politica. Un arcangelo con un lituo e una fiaccola, simbolo del socialismo, è pronto a combattere contro il mostro.

Il vampiro, da sempre considerato come una sorta di capro espiatorio, è il modo in cui il diverso si manifesta; diverso da un punto di vista sessuale, di genere, religioso e anche sociale. Si è parlato del The Vampire di Polidori e dell’identificazione del suo vampiro con il latifondista che sfrutta i contadini, o con il nobile che minaccia l’ascesa della borghesia. I vampiri, dunque, da mostri del romanzo gotico diventano delle metafore sociali. Questo aspetto era già chiaro, nel momento in cui scoppiò l’epidemia vampirica, a Voltaire e a Rousseau. Entrambi, infatti, sostenevano che fosse impossibile credere alle leggende e alle superstizioni intorno ai vampiri nel diciottesimo secolo. Voltaire scrive a proposito nel Dictionnaire Philosophique:

<<Che? È nel nostro XVIII secolo che vi sono dei vampiri? (…) Questi vampiri sarebbero dei morti che sorgono di notte dalle loro tombe per venire a succhiare il sangue dei vivi? In Polonia? In Ungheria? In Austria? È nella Slesia, in Moravia, nella Lorena che i morti si davano alla bella vita? Non si sente parlare di vampiri né a Londra, né a Parigi. Ammetto che in queste due città vi sono stati trafficanti, speculatori, affaristi, che han succhiato in pieno giorno il sangue del popolo; ma non erano affatto morti, per quanto fossero di certo corrotti. Quei succhiatori veri e propri non abitavano nei cimiteri, ma in palazzi molto confortevoli124>>

Anche Rousseau, di lì a poco, aggiunge che:

<< Prima che vi fossero questa specie di uomini crudeli e brutali che si chiamano padroni (…) prima che vi fossero uomini tanto detestabili da osare di avere il superfluo mentre altri uomini muoiono di fame, prima che una dipendenza reciproca li avesse costretti tutti a diventare subdoli, invidiosi e traditori, vorrei proprio che mi si spiegasse in cosa consistevano quei vizi, quei crimini che si rimproverano con tanta enfasi (…) un miserabile che, per avere del pane, ruba uno scudo ad un uomo insensibile che nuota nell’oro è un cialtrone che si manda al patibolo, mentre cittadini onorati si abbeverano tranquillamente del sangue dell’artigianato e del contadino (…). Così la ricchezza di tutta una nazione fa l’opulenza di alcuni privati a pregiudizio del pubblico, e i tesori dei milionari accrescono la miseria dei cittadini. Infatti in questa inuguaglianza mostruosa e forzata, accade necessariamente che la sensualità dei ricchi divori in delizie la sostanza del popolo, al quale vende a stento un pane secco e nero a peso di sudore e a prezzo di servitù125>>

Dunque, per entrambi i philosophes il vampiro era l’uomo ricco che sfruttava l’uomo povero e, in particolare per Rousseau, questo sfruttamento provocava una reazione a catena perché il vampiro ricco sfruttando il povero innocente lo costringeva a sua volta diventare vampiro.

124 Mario Barzaghi, Il vampiro o il sentimento della modernità, Monteleone, Vibo Valentia 1996, p. 155. 125 Ibid., p. 156.

47 Mark Neocleous nel suo articolo The Political Economy of The Dead: Marx’s Vampires126, indaga

sull’utilizzo che Marx fa ne Il Capitale della metafora del vampiro. Sicuramente una delle fonti marxiane può essere stato il secolo dei Lumi e i suoi pensatori principali ma, secondo Neocleous, questo non spiega il perché Marx sia stato così interessato a questa metafora da usarla in molti dei suoi scritti, anche prima de Il Capitale. A riguardo ci sono diverse teorie. Paul Wolff e Stanley Hyman credono che Marx abbia utilizzato questa associazione vampiro-capitale come artificio retorico essendo la sua opera ricca di riferimenti storici, letterari e filosofici. C’è chi, invece, vede l’utilizzo di questa metafora come un adeguarsi alla moda letteraria del tempo, essendo il gotico il genere del XIX secolo127. Ciò che appare chiaro è che Marx non si riferisce alla diversità - di qualunque tipo –

quando parla dei vampiri. Come Voltaire e Rousseau anche lui sostiene che il vampiro è l’oppressore, non aiuta i capi ma sono i capi stessi ad essere vampiri. Il vampiro diventa metafora del capitale, poiché come i vampiri succhiano il sangue delle vittime togliendo l’energia vitale anche il capitale agisce in questo modo nei confronti dei lavoratori. Neocleous cerca di spiegare il lavoro di Marx partendo da un saggio di Franco Moretti sulla dialettica della paura. Franco Moretti, focalizzandosi prevalentemente su Dracula, abbandona la visione classica in cui il vampiro rappresentava l’aristocrazia vedendolo più vicino alla classe borghese. Il conte Dracula, infatti, non aveva tutti quei privilegi tipici dei nobili, non aveva servitù a disposizione, ma guidava la sua carrozza da solo, non aveva bisogno di cucinare e da solo manteneva un intero castello. Il conte non spende il suo denaro anzi il suo principale interesse è quello di accumularne sempre di più128. Moretti scrive che:

<< Come il capitale, Dracula è spinto verso una continua crescita, un’espansione smisurata dei suoi domini: l’accumulazione fa parte della sua natura129 >>

La tesi di Moretti è diventata la lettura tradizionale del ruolo della metafora vampiresca nell’opera di Marx, ma anche se l’associazione tra capitale e vampiro è chiara, Neocleous ci porta ancora più a fondo del perché abbia scelto proprio questa figura. Secondo lui bisogna pensare meno al vampiro come leitmotiv della cultura del periodo e associarlo al timore di Marx per la morte. Marx afferma che la rivoluzione sociale lascia che i morti seppelliscano i morti, quindi bisogna chiudere con il passato e con tutte le superstizioni che questo comporta. I morti giocano un ruolo importante nell’opera di Marx, poiché le mort saisit le vif.130

126 Mark Neocleous, The Political Economy of The Dead: Marx’s Vampires, in «History of Political Thought», Vol. XXIV,

No. 4, Winter 2003.

127 Ibid., pp. 672-3. 128 Ibid., p. 678. 129 Ivi.

48 Fondamentale per la critica di Marx è il carattere dualistico del lavoro. Abbiamo due tipi di lavoro: il lavoro vivo e il lavoro morto. Il capitale rappresenta il lavoro morto (o lavoro accumulato) mentre il lavoro per sé rappresenta il lavoro vivo. Con la crescita del capitale, e quindi del lavoro accumulato, crescerà sempre di più il lavoro morto rispetto a quello vivo. Il capitale non consiste nel lavoro accumulato al servizio del lavoro vivo per una nuova produzione ma, al contrario, è il lavoro vivo che serve a quello morto per mantenere e accumulare potere131. Quindi il dominio del capitalista

sull’operaio altro non è che il dominio del lavoro sull’operaio. L’uomo perde la sua anima che è dedita soltanto a soddisfare il lavoro morto. Il capitale succhia la linfa vitale degli operai provocando il deterioramento della forza lavoro privandola delle capacità morali e fisiche. A questo proposito un punto importante dell’analisi di Marx è la lunghezza della giornata lavorativa; le tre metafore vampiresche presenti ne il Capitale compaiono nel capitolo dedicato a questo argomento132. Marx

apre la sezione descrivendo il capitale in termini di lavoro morto che << come un vampiro, vive solo nutrendosi del lavoro vivo >>, successivamente scrive che << la sete del sangue vivo del lavoro provata dal vampiro >> prolunga la giornata lavorativa fino a notte e termina il capitolo insistendo << sull’incapacità del vampiro di desistere fin quando c’è ancora un muscolo, un nervo, o una goccia di sangue da sfruttare >>. Dunque, il capitalismo provoca anche alienazione, un altro concetto importante nella sua critica. L’uomo di base è una creatura senziente e passionale, ha la capacità di sentire, di soffrire e di lasciarsi coinvolgersi dalle passioni. La natura vampiresca del capitalismo, però, toglie tutte queste possibilità all’uomo, lo aliena, lo sottomette al lavoro privandolo della vera sensibilità. Il capitalismo porta all’alienazione perché contrasta in qualche modo la vita sociale: <<Quanto meno mangi, bevi, compri libri, vai a teatro, al ballo e all’osteria, quanto meno pensi, ami, fai teorie, canti dipingi, verseggi, ecc., tanto più risparmi, tanto più grande diventa il tuo tesoro, il tuo capitale133>>

Ma tutto ciò che il capitale ti porta via, il capitalista è in grado di restituire; infatti attraverso il potere del capitale stesso è in grado di recuperare l’alienata sensibilità. Tutto questo avviene sotto forma di denaro:

<< Esso (il denaro) può mangiare, bere, andare a teatro e al ballo, se la intende con l’arte, con la cultura, con le curiosità storiche, col potere politico, può viaggiare; può insomma impadronirsi per te di tutto quanto 134>>

In questa prospettiva sia il capitale che il capitalista sono immagini del morto vivente e in particolare il capitale viene visto come uno spettro che si aggira consumando i piaceri del suo padrone mentre

131 Ibid., p. 680. 132 Ibid., p. 681. 133 Ibid., p. 682. 134 Ibid., p. 683.

49 dorme135. Poiché il capitale è lavoro morto il desiderio di vivere la vita attraverso le merci diventa il

desiderio di vivere la vita attraverso ciò che è morto. Questo è il senso che Neocleous dà alla metafora del vampiro: il vampiro è un morto che riesce a mantenersi in vita grazie alla sensibilità dei vivi. Per Marx la soluzione al capitale-vampiro è il comunismo, l’unico modo in cui la sensibilità e la vitalità, che sono alla base della vita, possono svilupparsi liberamente.

Questa metafora prende spunto sicuramente dalle credenze dell’epoca, non è assolutamente da considerare un semplice artificio retorico poiché attraverso la figura del vampiro Marx tenta di spiegare uno degli aspetti più interessanti e orribili del capitalismo. Per fare ciò prende spunto dalle credenze popolari del tempo, perché lui scrive per lettori immersi in quel tipo di superstizioni e tradizioni. Per questo motivo utilizza una delle metafore più potenti della tradizione folclorica, proprio per far capire la natura spaventosa del capitalismo e il suo legame con la morte.

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51 3. LE VAMPIRE

<<Nella sua ostinata ribellione ad una qualsiasi forma di soggezione ad Adamo, nel suo rifiuto di giacere supina sotto di lui durante l’amplesso, nella sua decisa asserzione della propria libera volontà e sessualità e nella sua coraggiosa sfida a Dio e al mondo da lui creato, la mitica Lilith, pronta a servirsi senza esitazione alcuna del nefasto potere della sua seduzione, si configura come una sorta di nemica archetipica della figura maschile e della sua logocentrica patriarcalità, ad un tempo quindi la prima lamia e la prima femme fatale, a conferma dello stretto legame che si può istituire tra la donna-vampiro e la donna fatale.>>136

Con queste parole Sandro Melani descrive Lilith, la donna che Dio, secondo la tradizione rabbinica, creò prima di Eva. Lilith non è nata dalla costola di Adamo ma, come lui, dalla creta; per questo motivo è una sua pari e non vuole essere sottomessa né a livello sociale né a livello sessuale. La

notturna – questo il suo nome in ebraico – si ribella all’uomo e a Dio diventando un demone o una

strega. Nella descrizione data da Melani viene associata ad altre figure femminili: lamia e femme

fatale. La prima fa parte di un passato mitologico che dava alla figura femminile una duplice valenza,

da un lato come sinonimo di fertilità e dall’altro di morte (lamia); la seconda, invece, appartiene all’immaginario letterario che, proprio partendo da Lilith, delinea la donna di fine secolo. Entrambe queste figure rappresentano le altre donne, quelle che fanno parte del lato oscuro, immorale e maligno. Alla fine del secolo XIX da casto angelo del focolare la donna comincia ad assumere aspetti sempre più seducenti e temibili tanto che da una bellezza mortale si passa ad una bellezza mortifera. La donna fatale non nasce in questi anni, basta pensare a Cleopatra, a Salomè o a Medea e, prima ancora alle Arpie, alle Sirene e alla Sfinge; la caccia alle streghe prima e la società borghese poi hanno provato a rinnegarle, reprimerle e nasconderle ma negli anni di Baudelaire e di Swinburne queste figure riemergono e dominano il panorama artistico e letterario europeo.

La donna-vampiro fa la sua prima comparsa come tale proprio in questa atmosfera e rappresenta il lato estremo della femme fatale. Erotica, misteriosa e maledetta seduce la sua vittima, uomo o donna che sia, portandola alla morte. Carmilla, la donna-vampiro per eccellenza, non ha nulla a che fare con la Lucy di Stoker. Lei non si aggira di notte come un fantasma per i cimiteri, come se fosse sotto stato di ipnosi. Al contrario, pur essendo una morta, Carmilla è più viva che mai e vive alla luce del sole – in senso metaforico ovviamente – il suo sentimento per Laura. Dunque, da oggetto la vampira diventa soggetto; ma come si è arrivati a tale cambiamento? E perché la donna fatale e vampirica entra nell’immaginario letterario e artistico proprio in questi anni?

136 Sandro Melani, L’eclissi del consueto. Angeli, demoni e vampiri nell’immaginario vittoriano, Liguori Editore, Napoli

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