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Vampiri e vampire: significati sociali, di genere, politici di un luogo cruciale dell'immaginario collettivo

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA IN

LINGUA E LETTERATURA ITALIANA

TESI DI LAUREA

Vampiri e vampire: significati sociali, di genere, politici di un luogo

cruciale dell’immaginario collettivo

CANDIDATO

RELATORE

Caterina Troiano

Chiar.mo Prof. Alberto Mario Banti

CORRELATORE

Chiar.mo Prof. Stefano Brugnolo

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INDICE

Introduzione pag. 3

Il gotico pag. 4

1.1. Il revival gotico pag. 4

1.2. Il romanzo gotico: da Otranto ai Carpazi pag. 12

I vampiri pag. 15

2.1. Vrykolakas: il vampiro folclorico pag. 16

2.2. Lord Ruthven e il conte Dracula:

metamorfosi e significati del vampiro letterario e moderno pag. 23 2.3. Un braccio uscì dalla porta e trascinò dentro il figliuolo… pag. 39

2.4. Il capitale vampiro pag. 46

Le vampire pag. 51

3.1. La femme fatale pag. 52

3.2. Carmilla pag. 58

3.3. I fiori del male pag. 67

Conclusione pag. 71

Bibliografia pag. 72

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INTRODUZIONE

Centoventuno anni fa nasceva Dracula, il vampiro creato da Bram Stoker e, indubbiamente, il mostro più inquietante del secolo. Il conte Dracula, però, non è il capostipite di questa immensa famiglia che accompagna l’immaginario collettivo dal 1700. Infatti, le origini della figura del vampiro non vanno ricercate né in Transilvania né nella letteratura inglese, come Dracula ci ha abituato a pensare. Come vedremo, il non-morto che si risveglia dal suo sonno per tormentare i vivi è una figura assai diffusa in Grecia fin dai tempi remoti e conosciuto nella tradizione folklorica come vrykolakas. All’inizio del XVIII secolo l’epidemia vampirica che si diffonde in Europa alimenta la curiosità e l’interesse degli intellettuali e di gran parte dell’opinione pubblica; così, questa figura, oltre che nell’immaginario folklorico inizia a dominare anche quello letterario e sociale. Non è un caso che l’immagine del vampiro arrivi al successo in questo periodo storico. Infatti, i grandi cambiamenti sociali ed economici dati da una politica imperialistica che metteva in contatto l’Europa con un mondo giudicato selvaggio e sconosciuto, la rivoluzione industriale che non influì solo sull’economia del paese ma anche sui rapporti di genere e la presa di coscienza delle donne verso i diritti sociali e politici, fecero sì che l’Europa divenisse territorio fertile per lo sviluppo dei romanzi gotici. Viene a delinearsi, così, un nuovo tipo di eroe grazie alla diffusione del sentimento romantico e alla sua inclinazione verso i lati più oscuri e irrazionali dell’uomo, verso la morte e la mitizzazione del sepolcro. L’eroe romantico, pallido, misterioso, inquietante e satanico - la cui figura raggiunge l’apice con l’esperienza di Lord Byron - sarà il modello perfetto per un nuovo tipo di vampiro che prende le distanze dal vrykolakas per vestire i panni di un nobile e affascinate uomo perfettamente integrato nella società circostante.

Il vampiro, inoltre, è una figura sempre attuale, infatti non si limita soltanto ad essere il protagonista di alcuni romanzi dell’orrore. Come suggerisce Luigi Lunari – soffermandosi principalmente sul Dracula di Stoker – il successo e la diffusione di questa figura sono attribuibili alla sua adattabilità ad ogni tipo di situazione e studio. Il vampiro, come vedremo, diventa un essere

mutante capace di identificarsi con le minoranze sociali e una metafora per le paure più intime

dell’uomo. In questa trattazione, nata dalla lettura del saggio di Mario Praz La carne, la morte e il

diavolo nella letteratura romantica - che ha come oggetto la nuova sensibilità romantica e, in

particolare, i suoi aspetti più malinconici, sensuali e scabrosi - cercherò di inquadrare il momento in cui questa figura, già predominante nella tradizione folklorica, si fa largo anche nella letteratura dando vita all’idea di vampiro che tutti noi oggi conosciamo e alle diverse declinazioni sociali, politiche e di genere a cui è associato.

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4 1. IL GOTICO

È inevitabile, quando si parla di gotico, associare questo termine all’immagine di paesaggi sospesi in un’atmosfera soffusa e inquieta, a castelli in rovina e ruderi, a croci conficcate a terra e rami spogli o a uomini piccoli e incappucciati dispersi nella nebbia. Un contributo essenziale alla diffusione di questo immaginario ci è stato offerto da Salvator Rosa e Pieter van Lear, che vedono in tale ambientazione la protagonista dei loro quadri.

Dalla seconda metà del XVIII secolo una nuova sensibilità si sviluppa in Europa, sensibilità che si distacca dal razionalismo e dalla regolarità delle opere artistiche e letterarie del Neoclassicismo per avvicinarsi alla parte più oscura dell’animo umano. Quasi come una reazione all’Illuminismo e alla sua indifferenza verso i valori del sentimento e dell’irragionevole, l’intellettuale europeo indirizza la sua inquietudine verso l’oscuro, l’irrazionale e l’indefinito. Così la letteratura del periodo è affascinata dall’aldilà, dal mondo della notte e dal sepolcro. In particolare, in Inghilterra si diffondono, tra il XVIII e il XIX secolo, una serie di romanzi legati al gusto del macabro e degli incubi notturni, che hanno da sfondo fantasmi e ambientazioni fosche e crudeli. Questo tipo di romanzo del terrore prende il nome di romanzo gotico.

1.1. IL REVIVAL GOTICO

Intorno alla metà del XVIII secolo il termine Gothic non indica affatto un sinonimo di teutonico o germanico, in relazione alle tribù barbare dei Goti, ma significa genericamente medievale e riguarda tutto ciò che non è classico. Tale corrente si sviluppa parallelamente su due piani, quello architettonico e quello letterario, entrambi legati ad epoche ormai lontane. Infatti, se con l’architettura assistiamo al recupero di forme e di modelli medievali, con la letteratura abbiamo un ritorno a immagini del passato ricordate con malinconia, angoscia e inquietudine. Questa nuova corrente artistica contrassegna quel periodo che nella cultura inglese è conosciuto come gothic

revival1.

Il gotico, in un primo momento, riguarda solo un certo tipo di architettura che si distacca completamente dai canoni classici; è gotico tutto ciò che è irregolare, ossia che non rispetta le regole della matematica, che è carico di ornamenti inutili e quindi innaturale. Appare chiaro, dunque, il perché nel secolo dei lumi, che vede come massima espressione dell’arte e della natura la chiarezza e la linearità, questo termine assume una connotazione negativa. Gotico diventa tutto ciò che è in

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5 contrapposizione al classico ed è associato al concetto di pittoresco, eccessivo e romantico2.

Mirella Billi nota, nel suo saggio sul gotico inglese3, come gli intellettuali del periodo cercassero

invano di trovare un equilibrio tra forze contrastanti, in particolare tra l’idea di una società primitivistica basata sull’impulso e sulla libertà individuale e quella di una società ordinata e razionale. Questo contrasto vede, alla fine del XVIII secolo, il trionfo della prima idea, ossia di una natura che si distacca dai canoni dell’arte classica per diventare selvaggia e irregolare; così il gotico, con la sua varietà e mescolanza di stili, è considerato più adatto per imitarla4. Dunque, viene

completamente stravolta la percezione dell’irregolarità legata all’arte gotica; irregolarità che, considerata per diverso tempo innaturale, viene rivalutata dagli artisti preromantici che colgono in essa l’essenza stessa della natura. I nuovi occhi con i quali l’intellettuale percepisce il mondo, vedono proprio in questa irregolarità il nesso tra gotico e natura. Horace Walpole, autore del primo romanzo gotico, Il castello di Otranto, scrive in Anecdotes of Painting:

“Bisogna avere gusto per essere sensibili alle bellezze dell’architettura greca; bastano le passioni per essere sensibili a quella gotica5”.

Tali parole suggeriscono quanto il legame con il passato si basi sui sentimenti e sulle passioni di colui che crea e di colui che guarda. L’arte gotica ha in potenza l’essenza di quello che poi sarà lo spirito romantico. Mario Praz dirà:

“romantic non descrive solo la scena, ma la particolare emozione suscitata in chi la contempla” aggiungendo che:

“in questa accezione, romantic assume un carattere soggettivo, come interesting, charming, exciting, che descrivono non tanto le proprietà degli oggetti, quanto le nostre reazioni ad essi, gli effetti che essi suscitano nell’impressionabile spettatore”6.

Quindi, tutti quei particolari che in un primo momento caratterizzavano in maniera negativa l’arte gotica cominciano ad essere apprezzati e ne diventano il fulcro. Citando le parole di William Warburton7:

“nessuno provvisto di capacità di osservazione vide mai un viale di alberi i cui rami si intrecciavano in alto, senza che tale spettacolo gli facesse venire in mente la lunga fuga prospettica di una cattedrale gotica”8.

Un elemento su cui porre attenzione è la correlazione tra le due forme d’arte citate prima, l’architettura e la letteratura. Basta pensare che quasi tutti i romanzi gotici hanno nel titolo la parola

2 Riccardo Reim (a cura di), I grandi romanzi gotici, Newton Compton, Ariccia (Roma) 2013, p. 7. 3 Vedi nota 1.

4 Mirella Billi (a cura di), Il gotico inglese. Il romanzo del terrore 1764-1820, p. 143-144. 5 Ibid., p. 135.

6 Mario Praz, La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica, Sansone, Milano 1999, pp.23-24. 7 https://it.wikipedia.org/wiki/William_Warburton

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6 <<castello>>, il luogo emblematico del medioevo in quanto allegoria dell’ordine sociale gerarchizzato. Il castello, posto in uno spazio desueto e arcaico, è anche simbolo delle inquietudini del passato9 e diventa il vero protagonista del romanzo gotico. Mirella Billi dirà:

“Il castello del romanzo gotico, luogo privilegiato e immancabile, sempre feudale, imponente, impenetrabile, appare il prodotto del suolo da cui emerge come la testa di un gigantesco corpo naturale al quale è legato da radici profonde, tentacolari, simili a quelle di un albero immane 10”.

Così davanti al lettore si presentano corridoi stretti e bui, passaggi segreti e lugubri sotterranei che collegano un luogo all’altro. L’eroina gotica, che fugge dal pericolo, è costretta ad addentrarsi nelle viscere di questa costruzione per cercare incessantemente una via d’uscita che, come nel caso de Il

castello di Otranto, porterà al mare, luogo naturale e incontaminato. Il castello, infatti, non

rappresenta un posto in cui si vive bene, al contrario è minaccioso perché pieno di pericoli e misteri. Proprio la sua posizione isolata, la sua separatezza dal mondo e la sua mancanza di regole, se non dettate dal suo padrone, lo rendono il luogo ideale per ambientare i romanzi del terrore; il castello diventa quasi un luogo onirico, un posto talmente lontano da noi da poterci rappresentare qualsiasi tipo di incubo11.

1.2. IL ROMANZO GOTICO: DA OTRANTO AI CARPAZI

Il romanzo gotico ha avuto un immediato successo presso il pubblico dell’epoca. Questo appare chiaro sia dal numero sempre crescente di autori e di romanzi gotici, anche minori, sia dal fatto che questi romanzi siano citati anche in autori dediti a tutt’altro genere. Nel 1803 circa a Bath, una cittadina del Regno Unito, la signorina Catherine Morland, appena uscita dal bocciolo dell’infanzia, viene a contatto con il mondo reale, quello fatto di balli, saloni e negozi. Tutto molto affascinante per una ragazzina di campagna non abituata a tali divertimenti. Incontrerà nuovi amici, si innamorerà di un giovane elegante e gentile ma sentirà comunque la mancanza di qualcosa, je ne

sais quoi12 direbbe Rousseau. Questa mancanza è dovuta al suo libro preferito che si dimostra molto

più eccitante della vita reale; il libro in questione è I misteri di Udolpho di Ann Radcliffe del 1794. Per tutto il romanzo di Jane Austen, Northanger Abbey13, il libro della Radcliffe è una costante. Tanto

9 Ibid., p. 29. 10 Ivi.

11 Ibid., pp.29-30.

12 Mario Praz, La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica, p. 24.

13 Jane Austen, Nortangher Abbey, in Austen tutti i romanzi, (a cura di) Ornella De Zordo, Newton Compton Editori,

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7 che la sua anti-eroina, durante un soggiorno all’abbazia di Nortangher, influenzata dai misteri e dall’atmosfera macabra e paurosa di Udolpho, crede di vivere in un vero e proprio romanzo gotico e di essere l’eroina prescelta per scoprire sconvolgenti misteri. Questo porterà a fraintendimenti e situazioni molto divertenti. Quello che però risulta essere interessante sono alcuni dei dialoghi che Catherine intrattiene con gli altri personaggi del romanzo:

“(…) sei andata avanti con Udolpho?”

“Sì, ho letto da quando mi sono svegliata, e sono arrivata fino al velo nero”

“Davvero? Che meraviglia! Non ti direi per nulla al mondo cosa c’è dietro il velo nero! non muori dalla voglia di saperlo?” “Sì, certo. Che mai può esserci?... non me lo dire però… non voglio che tu mi dica niente. So che deve essere uno scheletro, sono certa che è lo scheletro di Laurentina. Oh! quanto mi piace quel libro! ci passerei la vita a leggerlo.(…)” “(…) E quando avrai finito Udolpho leggeremo insieme The Italian. Ho fatto per te una lista di dieci o dodici altri libri dello stesso tipo. (…) Ho i titoli qui, annotati sul mio taccuino. Ecco: Castle of Wolfenbach, Clermont, Mysterious

Warnings, Necromancer of Black Forest, Midnight Bell, Orphan of the Rhine e Horrid Mysteries. Questi ci dureranno per

qualche tempo.”

“Sì, bene, ma sono tutti paurosi? Sei certa che siano tutti paurosi?”14

Oppure:

“I romanzi sono tutti pieni di sciocchezze e di assurdità, non ne è uscito uno tollerabilmente bello dopo Tom Jones, eccetto The Monk. L’ho letto l’altro giorno, ma quanto agli altri, sono le cose più stupide del creato. (…) se proprio debbo leggerne qualcuno leggerei un libro della signora Radcliffe, i suoi romanzi sono abbastanza divertenti e vale la pena di leggerli perché in essi almeno c’è dello spirito e un po’ di verità.”15

Leggendo l’intero romanzo si percepisce quale sia il pensiero della Austen riguardo il successo sempre maggiore di questo genere letterario; ciò che importa qui, però, è capire il perché questo tipo di letture attrae un pubblico numeroso e assai giovane. Il senso di mistero e la paura, lo spavento e, quindi, l’eccitazione che ne sussegue sono sicuramente alla base di questa fortuna. Leggere un romanzo gotico significa mettersi nei panni dei protagonisti, trovarsi con loro di fronte a situazioni di terrore, correre con loro per i sotterranei di castelli e conventi, scoprire scheletri, corpi morti, cimiteri nascosti e verità sconvolgenti. Questo tipo di emozioni, ovviamente, affascinano il lettore che si ritrova in situazioni mai vissute prima. La letteratura, in particolare i romanzi, sono quasi sempre lo specchio di un’epoca e il romanzo gotico rispecchia da un lato le inquietudini dell’uomo preromantico, dall’altro l’attrazione per l’orrifico e il macabro. La nuova propensione verso l’oscuro, il magico e il superstizioso diventa così l’ispirazione maggiore per gli autori gotici. Anche la morte, che come ogni avvenimento terribile affascina e spaventa, è accompagnata da azioni sempre più inquietanti. Il figlicidio, ad esempio, era già conosciuto e trattato a livello letterario o teatrale, basti pensare alla storia di Virginia16 uccisa dal padre per

salvaguardarne la virtù; nel gotico, però, di virtuoso non c’è nulla, anzi nel romanzo di Walpole

14 Ibid., p.37 15 Ibid., p. 42.

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8 Manfredi uccide la figlia Matilda scambiandola per Isabella, la pura fanciulla di cui lui vuole abusare. Situazioni del genere sono molto frequenti nei romanzi gotici: il cattivo riesce sempre a corrompere il buono e il lieto fine non è garantito.

Ma di cosa parlano e in quale contesto letterario nascono i romanzi gotici?

“Vous prenez, môsieur, par exemple, une jeune femme, malheureuse et persécutée. Vous lui adjoignez un tyran sanguinaire et brutal, un page sensible et verteux, un confident sournois et perfide. Quand vous tenez en main tous ces personages, vous les mêlez ensemble, vivement, en six, huit, dix feuilletons, et vous servez chaud17”.

Così scrive in maniera parodistica Louis Reybaud nel 1842, ironizzando sul tema della fanciulla perseguitata, tema da sempre caro alla letteratura. La donna casta e pura minacciata costantemente dal desiderio del libertino è un argomento assai trattato nell’Europa sette-ottocentesca; è il caso questo di romanzi come Pamela (1740) e Clarissa (1748) di Richardson o delle Liaisons dangereuses (1782) di de Laclos, pubblicati rispettivamente in Inghilterra e in Francia a distanza di 34 anni. Clarissa Harlowe, protagonista dell’omonimo romanzo, è l'icona della fanciulla virtuosa: rapita e violata, dopo essere stata narcotizzata dal perfido Lovelace, non riuscirà a sopportare la perdita della sua virtù e, dopo un decorso psicologico che la porterà ad una malattia fisica, morirà. L'intento di Richardson è moralistico: invogliare le fanciulle a comportarsi come Clarissa perché la virtù, perseguitata sulla terra, sarà vincitrice in cielo. Il romanzo si conclude con il terribile sogno di Lovelace che vedrà Clarissa salire con gli angeli verso il paradiso, mentre lui sprofonderà negli abissi infernali. Lo stesso filo conduttore è presente anche nell’opera di de Laclos, definita da Mario Praz la Clarissa francese18. Il romanzo vede protagoniste due donne, la Présidente de Tourvel e la giovane

Cecile, che cadono sotto le grinfie di due malvagi libertini, la marchesa di Merteuil e il libertino Valmont. Entrambe vengono sedotte e anche qui il vizio sembra soccombere di fronte la virtù: Valmont morirà in duello mentre la marchesa sarà emarginata per la sua terribile fama e il vaiolo rovinerà la sua bellezza.

Ad una prima lettura sembrerebbe dunque che le due opere trattino la stessa tematica, quella della fanciulla perseguitata dal libertino; però mentre l’opera di Richardson fu molto apprezzata dai contemporanei, quella di de Laclos fu proibita e criticata. Ciò avviene perché nelle Liaisons il vizio trionfa per tre quarti dell'opera19, dedicata alle trame crudeli e perverse dei due libertini; le donne

saranno sedotte con cognizione di causa e in particolare Cecile, senza alcuna remora, farà tutto quello che Valmont le suggerisce e non rimarrà più nulla in lei, nonostante la decisione finale di

17 Louis Reybaud, Jérome Paturot à la recherche d’une position sociale, vol. I, p. 149, in Mario Praz, La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica, p. 85.

18 Mario Praz, La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica, p. 91. 19 Ibid., p. 92.

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9 chiudersi in convento, della fanciulla pura e virtuosa. L'unico personaggio positivo sarà quello della Présidente che, sopraffatta dalla vergogna e dal dolore, morirà; proprio come è morta Clarissa. Le donne di de Laclos nel momento in cui cedono alla passione ne sono completamente consapevoli e questo non è accettabile per l’élite culturale del tempo. Inoltre bisogna aggiungere che, a differenza di Richardson, l’opera di de Laclos non ha un fine moralistico ma politico. Ci troviamo, infatti, alle soglie della Rivoluzione francese e la sua è una critica alla nobiltà sempre più spregiudicata e immorale. Se da una parte, però, i libertini delle Liaisons sono criticati da un certo pubblico poiché si dedicano esclusivamente al vizio, dall’altra affascinano gli autori preromantici proprio per lo stesso motivo. In particolare Baudelaire, quel poeta in cui la musa romantica distillò i più squisiti

veleni20, si sentirà molto vicino ad entrambi proprio per il loro lato oscuro e vizioso. Con il senno di

poi <<Valmont Satan, rival de Dieu21>> risulterà essere una profezia piuttosto che un paragone.

Il motivo della perseguitata, dunque, è una costante in letteratura. I francesi nel Settecento ne abusano molto tanto che ad un certo punto l’intento morale di Richardson viene meno. La fanciulla ingenua diventa solo il pretesto per affrontare tematiche più scabrose. Il marchese de Sade scardinò completamente l’opera del collega inglese e il suo romanzo diventa l’anti-Clarissa: Dio è il male e quest’ultimo trionferà a discapito della virtù. I personaggi di Sade sono i degni eredi di Lovelace e di Valmont ma, a differenza loro, vedranno tutti i loro piani e le loro perverse passioni realizzarsi. In Sade non è presente, però, alcuna psicologia dei personaggi; tutti si muovono intorno al male che regola il mondo e il bene esiste solo in relazione ad esso. Justine, la protagonista di

Justine o le disavventure della virtù, è sottoposta alle peggiori violenze fisiche e sessuali narrate con

tale freddezza da sembrare una sorta di elenco di perversioni22. Questo tipo di tematiche unite al

motivo della perseguitata saranno rielaborate anche dagli autori dei romanzi gotici del settecento inglese. Nel 1764, a meno di 20 anni da Clarissa, viene pubblicato Il castello di Otranto di Horace Walpole considerato il primo romanzo della letteratura gotica. In Walpole molto forte è, come abbiamo visto precedentemente, il legame con il medioevo sia da un punto di vista scenografico e architettonico che letterario; infatti la trama e i dialoghi sono tipici del romance cavalleresco. Qui i panni della giovane perseguitata sono indossati da Isabella, promessa sposa del figlio di Manfredi, re di Otranto. Il romanzo, ambientato nel XII secolo, non può essere considerato un vero e proprio romanzo nero e anche le scene di terrore risultano più assurde che spaventose. Nel giorno delle nozze tra Isabella e Corrado quest’ultimo morirà schiacciato da un elmo gigante e piumato. L’evento,

20 Ibid., p. 48. Mario Praz si riferisce al poeta romantico Charles Baudelaire. 21 Ibid., p. 92.

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10 sovrannaturale e sinistro, è collegato ad una profezia, secondo la quale il castello di Otranto e il titolo di principe passeranno al vero proprietario quando questi diverrà troppo grande per abitarlo. Da questo momento cominceranno i mali di Isabella, costretta a fuggire per evitare le insistenze di Manfredi che, invece di piangere la morte del figlio, vorrebbe da lei un erede maschio. Isabella attraverserà corridoi bui, sotterranei e passaggi segreti finché, con l’aiuto del contadino Theodore, accusato e arrestato da Manfredi per la morte del figlio, attraverso una botola segreta riuscirà ad arrivare all’abbazia contigua al castello. Il giovane Theodore sta per essere giustiziato ma il sacerdote Jerome, che nasconde Isabella, riconosce in lui suo figlio, il quale sarà risparmiato. Intanto sia Isabella che Matilda, figlia di Manfredi, s’innamoreranno del contadino che presenta una inspiegabile somiglianza con Alfonso il Buono, antico re del castello. Ad Otranto giungerà anche il padre di Isabella, marchese di Vicenza, che sarà ferito per sbaglio da Theodore nella foresta. Anche l’incontro segreto tra Matilda e Theodore finirà in tragedia, infatti Manfredi scambiando sua figlia per Isabella la ucciderà. Il finale dell’opera appare assurdo come l’inizio: il castello di Otranto crolla e dalle macerie ne esce intatto il corpo gigante di Alfonso il Buono. Manfredi, per il senso di colpa, si rinchiuderà in monastero e Theodore, discendente diretto di Alfonso, sposerà Isabella e sarà il nuovo re di Otranto.

Il tema della perseguitata qui è accompagnato da altre azioni terribili quali il figlicidio, la presenza di fantasmi e avvenimenti sovrannaturali; più che per questi aspetti però, l’importanza dell’opera di Walpole è data dall’ambientazione del romanzo, dal castello che prende vita così come tutti i luoghi toccati dai personaggi, quasi a fare in modo che la scenografia ne diventi la parte fondamentale. Il

castello di Otranto, quindi, pur non rappresentando a fondo tutte le caratteristiche del genere,

indica la strada a tutta la produzione gotica successiva, da Ann Radcliffe a Matthew Gregory Lewis. Nei romanzi di mrs. Radcliffe la storia della fanciulla perseguitata è una costante. Nel già citato

Udolpho (1794), ambientato in Francia nel 1584, a svolgere questo ruolo è Emily St. Aubert. La

fanciulla, molto sensibile e orfana di madre, durante un viaggio con l’adorato padre incontra e si innamora del giovane Valancourt. La morte inaspettata del padre, però, cambierà le sorti di Emily che andrà a vivere con la zia e il marito di questa, il nobile italiano Montoni. Entrambi gli dimostrano da subito poco affetto e la situazione peggiora quando lo zio, che si scoprirà essere un perfido approfittatore, rinchiuderà entrambe nel castello di Udolpho, città che dà il titolo al libro. All’interno del castello Emily si ritrova in un’atmosfera tipicamente gotica con corridoi immensi, bui e desolati, stanze ormai abbandonate dove sopravvivono solo memorie di dolori e di innominabili peccati. La zia di Emily pagherà a carissimo prezzo la propria stoltezza e l’eroina dovrà fare appello a tutto il suo

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11 coraggio per resistere alla brutale tirannia di Montoni e potersi ricongiungere all’amato Valancourt. Nella storia di Emily St. Aubert ci saranno scene truci e spaventose, quasi sovrannaturali, che nella parte finale verranno svelate dall’autrice: i rumori degli spettri altro non sono che banali rumori di prigionieri rinchiusi nelle stanze del castello, il cadavere in decomposizione in realtà è un quadro con un disegno assai macabro e le macchie di sangue trovate sulle scale sono effettivamente il sangue di un soldato ferito23. Quindi tutto ciò che poteva essere visto come sovrannaturale avrà la

sua degna spiegazione e il mondo del male sarà combattuto e sconfitto. Il capolavoro di mrs. Radcliffe però è L’Italiano o il confessionale dei penitenti neri (1797). Il romanzo è ambientato nel

1764 a Napoli, e la giovane da salvare è Elena di Rosalba che ha molti tratti in comune con Emily di

Udolpho. Elena, che vive con la zia, si innamorerà di Vincenzo di Vivaldi, un uomo gentile, impulsivo

e ricco; i due sono intenzionati a sposarsi ma la madre di Vincenzo, a causa delle umili origini di Elena, non approverà l’unione. A questo punto entrerà in scena il monaco Schedoni, l’antagonista più riuscito della Radcliffe, che rapirà Elena. Il monaco italiano - da qui il titolo dell’opera - rinchiude la donna in un convento, Vincenzo riesce a liberarla ma, mentre i due innamorati sono sul punto di sposarsi, vengono nuovamente divisi dall'intervento degli uomini di Schedoni. Proprio quando il monaco sta per uccidere la ragazza scoprirà che Elena altri non è che sua figlia, e così decide di nasconderla; Vincenzo viene invece rinchiuso nelle prigioni dell'Inquisizione. Anche questo romanzo avrà un lieto fine: dopo una serie di peripezie Elena scoprirà di essere solo la nipote del diabolico Schedoni, di appartenere ad una nobile e ricca famiglia e sarà degna dunque di sposare Vincenzo. La storia e le descrizioni de L’Italiano sono molto simili a quelle di Udolpho, a rendere però quest’opera il capolavoro della Radcliffe è proprio la figura del malvagio Schedoni. Questo antagonista è il personaggio migliore nato dalla penna della scrittrice; i suoi lineamenti spigolosi e pallidi, il suo muoversi nell’ombra incappucciato e silenzioso lo ricollegano a tutta una serie di “cattivi” che nascono tra il Sette-Ottocento in Europa, tra Francia, Inghilterra e Germania.

Per introdurre la tipologia di eroe malvagio e diabolico che avrà molto successo tra gli autori dell’orrore e che raggiungerà l’apice con la figura del vampiro, bisogna soffermarsi su un altro capolavoro della letteratura gotica che, per stile e modernità, si distacca notevolmente dai romanzi di Ann Radcliffe. L’opera in questione è Il Monaco di Matthew Lewis datata al 1796.

Il romanzo narra la storia di Ambrosio, un monaco con una condotta morale e spirituale eguagliabile a quella di un santo. Il frate, ammirato e idolatrato da tutti i confratelli, è particolarmente legato ad uno di loro, Rosario. Con il trascorrere del tempo il rapporto tra i due si fa sempre più intimo e

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12 Ambrosio nota i turbamenti del giovane novizio che gli confesserà di essere una donna che si è finta uomo solo per stargli vicino. Per l’affetto che prova nei suoi confronti, Ambrosio le permetterà di rimanere ma questo è un primo passo verso la sua decadenza morale perché la tentazione lo porterà a peccare di lussuria con la giovane Matilde. La situazione degenererà quando Ambrosio si invaghirà di Antonia una giovane e ingenua fanciulla e, sotto consiglio di Matilde, cercherà di abusare di lei. Scoperto, però, dalla madre di Antonia ucciderà la donna e grazie ad un intruglio magico riuscirà a fingere anche la morte della fanciulla e a seppellirla in una cripta nel monastero. Qui abuserà di lei fino a quando sarà scoperto e arrestato. Naturalmente il lieto fine è solo momentaneo perché prima di essere arrestato Ambrosio ucciderà Antonia e, per evitare il rogo, venderà la sua anima al demonio. Una fine ancora più tragica, però, spetta al monaco. In un dialogo col demonio scopre in realtà che Antonia era sua sorella e di essere stato quindi colpevole di fratricidio, incesto e matricidio, che la bella e provocante Matilde altro non è che un demone mandato da Satana per tentare la fede di un uomo tanto virtuoso e, infine, che il suo sacrificio è stato vano perché era stato graziato poco prima di vendere la sua anima. Ad Ambrosio non resta che gettarsi da un dirupo e andare incontro all’eterna dannazione.

Assistiamo in questo romanzo ad una storia completamente diversa rispetto a quella a cui il romanzo gotico tradizionale ci ha abituati. L’opera del Lewis - definita dai contemporanei <<perversa>>, <<perniciosa>>, <<blasfema>>, <<oscena>>, <<depravata>> e <<sacrilega>>24 - è un

vero e proprio romanzo dell’orrore, dove ogni personaggio ha una sorte terribile e ogni situazione macabra è reale. La magia esiste, così come esiste il demonio tentatore che non rinuncia a schernire il frate, a ridicolizzarlo per tutte le sue debolezze. Il Satana del Lewis ci mostra come il male vince sul bene, perché anche l’uomo più virtuoso può essere sedotto e indemoniato.

L’identificazione con Satana è una caratteristica fondamentale dell’eroe malvagio dei nuovi romanzi neri. Già la Radcliffe descrivendo Schedoni scrive:

“vi era qualcosa di terribile nel suo aspetto; qualcosa di quasi sovrumano (...) livido pallore del suo volto, occhi malinconici. (...) una tetra e feroce natura, una creatura non di questa terra25"

Lewis, invece, dirà apertamente che la creatura non di questa terra è il diavolo e il suo anti-eroe ne sarà completamente succube. Mario Praz ne La carne la morte e il diavolo nella letteratura

romantica fa un excursus sulla figura del demonio che, da mostro infernale nella Commedia di

Dante, acquista col passare dei secoli sembianze sempre più umane. Praz comincia col descrivere il Satana del Tasso ne La Gerusalemme Liberata: <<orrida maestà nel fero aspetto, rosseggian gli

24 Ibid., p. 246.

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13 occhi>> pieni di <<terrore e morte>>, un diavolo dalla cui bocca sgorga sangue e contraddistinto da un puzzo di cadavere. In seguito, ne La strage degli innocenti, il Marino ci presenta una prima metamorfosi di Satana che appare sempre terribile e puzzolente ma con un elemento che lo distingue: <<negli occhi dove mestizia alberga e morte>>. Gli occhi di Satana, quindi, non sono solo pieni di terrore e morte ma sono anche mesti e questa tristezze è la diretta conseguenza della cacciata dal paradiso. Il Satana di Marino sa di essere un angelo decaduto ma non per questo perde il suo orgoglio, perché <<il tentar le alte imprese è pur trofeo>>. A questo tipo di Satana si rifà nel

Paradiso perduto il Milton nel 1677, aggiungendo alla mestizia e all'orgoglio delle alte imprese quello splendor primero tipico del paradiso. Milton, dunque, conferisce a Satana un aspetto di decaduta

bellezza e di figura maestosa anche se in rovina, descrizione che influenzerà molto l'uomo e l'artista romantico. Proprio da questo personaggio prenderanno forma le figure del bandito generoso o del delinquente seduttore che avranno grande fortuna nel Settecento; figure che non nascono in questo secolo ma che in questo secolo avranno una caratteristica che li contraddistingue dai loro antenati: il satanismo26.

Il degno discendente del Satana miltonico sarà lord Byron, poeta inglese tra i più influenti del romanticismo e uomo animato da una disperata e perenne ribellione. Aspetti crudeli e diabolici non appartengono solo ai suoi eroi ma alla sua stessa persona. Proprio lui ci presenta in una delle sue opere, Lara, il ritratto di un ideal se stesso:

"In lui apparivano, inesplicabilmente commisti, molto di amabile e molto di odioso, molto di attraente e molto di temibile. L’opinione, pur variando sulla sua sorte arcana, lo lodasse o l’insultasse non obliava mai il suo nome. (…) si congetturava, si spiava, si ardeva di conoscere il suo destino. (…) confessavano che il suo sorriso, se lo si osservava sovente e dappresso, perdeva ogni apparenza d'allegria e appassiva in un ghigno; che il sorriso poteva giungere sì alle sue labbra, ma non le oltrepassava; nessuno aveva visto ridere i suoi occhi. (…) ma appena che tal dolcezza trasparisse, il suo spirito pareva redarguirla come una debolezza indegna del suo orgoglio. (...) V'era in lui un alacre disprezzo d'ogni cosa. Come se fosse accaduto quanto di peggio potesse accadere, egli stava come uno straniero in questo mondo di viventi, come uno spirito errante balestrato da un altro pianeta. Un essere in preda a tetre fantasie, che di propria scelta dava forma ai pericoli a cui egli si sottraeva per caso; ma si sottraeva invano, perché, ancora nel rammemorarli, il suo spirito parte esultava e parte rimpiangeva. (…) tanto era vago sia nel bene che nel male di separarsi da tutti coloro che condividevano il suo stato mortale. (…) La sua follia non era di testa, ma di cuore; (…) ma coloro che lo vedevano non lo vedevano invano, e una volta che lo avessero visto, ridomandavano di lui; e coloro ai quali egli parlava, ben si rammentavano, e sulle sue parole, quantunque leggiere, solevano meditare. Nessuno sapeva come o perché ma egli s’ avviticchiava per forza intorno allo spirito dell’ascoltatore; una volta accolto rimaneva impresso, sia che lo si amasse o che lo si odiasse; (…) vano era divincolarsi in questa rete mentale – il suo spirito sembrava sfidarvi a dimenticarlo.27 "

Il personaggio qui diventa un alter ego di Byron e aspetti simili sono rintracciabili anche nel Giaurro e nel Corsaro, entrambe datate al 1813, i cui protagonisti sono uomini dallo sguardo di pietra e dal cuore crudele, sempre accostati alla figura del demonio. In particolare il protagonista de Il Giaurro

26 Ibid., pp. 55-72. 27 Ibid., p. 65.

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14 ha una forte parentela con il monaco Schedoni raccontato da mrs. Radcliffe, anche lui costretto a nascondere il suo passato, da assassino, sotto l'abito da monaco:

"Solo una volta io ho veduto quel viso, eppure allora recava tali segni d'interna pena, che non potessi passargli accanto una seconda volta senza ravvisarlo; ed ora spira quello stesso spirito cupo, come se la morte fosse impressa sulla sua fronte. (…) Torvo e non di questa terra è il ceffo che balena sotto il suo tenebroso cappuccio. (…) quell’occhio e quell’amaro sorriso trasfondessero in altri il terrore e la colpa.28 "

Il Giaurro, così come Schedoni sembra una figura non di questa terra e affascina e spaventa allo stesso tempo. Questi aspetti caratterizzano anche la figura di Byron ma, come afferma Du Bos nel suo saggio29, non sappiamo quali aspetti siano sinceri della sua personalità e quanti siano stati

studiati per interpretare nel miglior modo possibile l’homme maudit del secolo. Inoltre sottolinea come Byron:

"avesse bisogno della colpa per provocare in sé fenomeni di senso morale, della fatalità per gustare il flusso della vita.30

Byron stesso dirà che:

“la passione è l'elemento nel quale viviamo. Senza di essa noi vegetiamo31".

Lord Byron fa della sua stessa vita un vero e proprio romanzo: vivrà una vita dedita alla trasgressione, sarà accusato d’incesto, avrà un rapporto di odio con la moglie e la figlioletta, fuggirà in Italia e, infine, andrà in Grecia per combattere a fianco dei rivoluzionari e qui troverà la morte. Ciò che anima lord Byron è un’insana e immotivata voluttà di distruzione verso sé e verso gli altri, in particolare verso le donne che gli orbitano intorno:

“My embrace was fatal ………

I loved her, and destroy’d her.32

I libertini di Richardson e de Laclos, gli uomini affascinanti e malvagi della Radcliffe e i monaci satanici del Lewis troveranno in lord Byron un emblematico successore. L'uomo Byron è freddo, crudele, pronto a sedurre e mordere l'inconsapevole innocente, non curante di ucciderlo. Proprio a lui si ispirò John Polidori per tracciare i caratteri della figura gotica e orrifica per eccellenza: il vampiro.

28 Ibid., p. 68.

29 Ch. Du Bos, Byron et le besoin de la fatalité, Au sans Pareil, Parigi 1929. 30 Mario Praz, La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica, p. 73. 31 Ibid., p. 74.

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15 2. I VAMPIRI

Solo negli ultimi anni le storie che hanno come protagonisti i vampiri li descrivono come eroi positivi e buoni che si cibano prettamente di sangue animale e che, innamorandosi di uomini o donne viventi, si integrano perfettamente nella società contemporanea. Nei racconti e nelle leggende, però, dove il vampiro fa la sua primissima comparsa questa accezione positiva è completamente assente. Il vampiro infatti, letterario o folklorico che fosse, veniva additato come un personaggio negativo e, in letteratura, come il non morto crudele che prima, attraverso il suo fascino, seduce giovani uomini e giovani fanciulle e poi, succhiandone il sangue, ruba loro la vita.

Luigi Lunari nella sua prefazione al Dracula che ha tradotto e curato33 attribuisce il successo e la

diffusione dell’opera stokeriana alla sua adattabilità ad ogni tipo di studio e tematica, ai suoi rapporti con la magia, con l’arte gotica, con la scienza e il romanticismo, con la condizione femminile e con la sociologia. Il vampiro è sempre stato considerato un essere mutante capace di identificarsi con la parte negativa di ogni ceto sociale. Vampiro è il latifondista che sfrutta i contadini, il nobile che minaccia i borghesi, i borghesi che si arricchiscono danneggiando gli operai o il capitalista che risucchia via tutte le energie vitali dei lavoratori. Vampiro, però, è anche associato ad ogni minoranza sociale considerata negativa e pericolosa: vampiro è l’ebreo che contagia i cristiani e gli ariani, vampiro è l’omossessuale, è la donna promiscua, quella ribelle o quella che lotta, vampiro è lo straniero, l’estraneo e il diverso. Tutto ciò che non si conosce e quindi spaventa viene associato a questa figura che torna dall’oltretomba per spezzare gli equilibri dei vivi e, grazie al loro sangue, prenderne il posto.

Nel corso di questo capitolo vedremo come in realtà il vampiro non nasce in Transilvania e il conte Dracula non è affatto il capostipite di questa proficua dinastia. Prima del Dracula di Bram Stoker e, prima di lui dei racconti di John Polidori e J. S. Le Fanu34, non esisteva una connotazione

per il vampiro letterario; anzi, il revenant folclorico è di quanto più lontano e diverso ci sia dall’affascinante e nobile conte balcanico. Solo agli inizi del 1800, in pieno romanticismo, il non-morto viene rappresentato in maniera differente e da zombie orribile e irrazionale diventa un carismatico, astuto e crudele gentiluomo dell’est Europa.

33 Bram Stoker, Dracula, (a cura di) Luigi Lunari, Gianfranco Feltrinelli Editore, Milano, maggio 2011, p. 9. 34 I romanzi di John Polidori e J. S. Le Fanu sono rispettivamente Il vampiro (1819) e Carmilla (1872).

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2.1. VRYKOLAKAS: IL VAMPIRO FOLCLORICO

Il termine folclore, coniato a metà dell’Ottocento, è formato dall’unione di due parole inglesi, folk, “popolo”, e lore, “dottrina”, e indica tutto ciò che si sviluppa partendo dalle credenze popolari. Tale termine ha avuto ampia diffusione nel romanticismo data la grande curiosità sviluppatasi in questa cultura per le tradizioni e i costumi dei vari popoli fin dall’antichità. Proprio nelle leggende e nei racconti popolari andremo ad indagare per conoscere il vrykolakas, l’antenato del conte Dracula.

Nell’immaginario collettivo e, come accennato precedentemente, con la codificazione di questa figura in letteratura, il vampiro ha l’aspetto di un uomo elegante e aristocratico che vive in un tetro castello situato in Transilvania. Se si parla, invece, del vrykolakas, che potremmo definire il vampiro folclorico, entrambe queste affermazioni risultano false. L’aspetto di questo vampiro folclorico è molto più simile a quello di uno zombie dal corpo livido e ripugnate, uscito dalla tomba sporco, puzzolente e con vestiti stracciati e forse, chissà, con qualche verme che fuoriesce dal cranio. Ciò, però, non avviene affatto in Transilvania, come Dracula ci ha abituati a credere, bensì in Grecia dove, a partire dall’età bizantina e medievale, cominciano a diffondersi questo tipo di superstizioni e il vampiro, inteso come non-morto dotato di un corpo reale e visibile, fa la sua prima comparsa. Il termine vampiro, infatti, è relativamente recente e appare per la prima volta nell’Oxford English

Dictionary nel 1734. Prima ogni popolo dell’Europa dell’est, dove questa tenebrosa figura ha avuto

più fortuna, lo indicava con nome diverso; per i greci si chiamavano vrykolakas, per i romeni strigoi, per i bulgari vǎrkolak, wilkodlak per i polacchi, ubir per i turchi, vokulak per i russi e infine per i serbi

vukodlak, ma anche vampyr (serbo-croato), da dove poi prese la lunga evoluzione nella cultura

moderna35. Tutte queste parole sono legate alla radice slava velku, “lupo”, e dlaka, “pelo”36 e

mostrano un rapporto, anche linguistico, tra la figura del lupo mannaro e quella del vampiro. Non c’è da stupirsi se questo termine, sicuramente anche in Grecia, indicasse inizialmente il lupo mannaro; l’immagine del vampiro oggi ha una parola specifica che lo rappresenta, in passato, invece, era assimilato ad altri termini meno specifici o ad altre figure del terrore diffuse nella tradizione folclorica. Comunque, la relazione tra vampiro e lupo mannaro, o semplicemente tra vampiro e cane, potrebbe essere non del tutto casuale. Le due figure sono quasi sempre associate sia in maniera positiva che negativa. A dimostrare ciò è Tommaso Braccini nel suo saggio Prima di

Dracula. Archeologia del vampiro in cui ci riporta alcune testimonianze. Ci informa ad esempio che

nell’Ellade si riteneva che si trasformassero in vampiri coloro che avevano mangiato carne di pecora

35 Tommaso Braccini, Prima di Dracula. Archeologia del vampiro, Il Mulino, Bologna, 2011, p.110. 36 Ivi.

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17 uccisa da un lupo; ancora che presso gli Slavi era diffusa la leggenda che chiunque fosse stato in vita un lupo mannaro, da morto sarebbe diventato un vampiro e, in Montenegro, che il vampiro fosse il frutto della passione tra una strega e un licantropo. A queste leggende se ne contrappongono altre che vedono una primordiale rivalità tra le due figure. Sempre il Braccini scrive che la cultura slava immaginava dei cani bianchi all’ingresso dei cimiteri per fermare i cadaveri che fossero usciti dalle tombe e che, presso i greci, c’era l’usanza di disegnare sul muro della chiesa un cane, prendere il terreno sottostante il disegno e spargerlo per la strada fino alla tomba del presunto vampiro per fare in modo che il cane lo sbranasse37. Nel bene o nel male, dunque, le due figure sembrano

collegate come confermano anche i romanzi di Le Fanu e Stoker. In Carmilla ci sono due episodi degni di nota; nel primo, durante la visita al castello in cui la ragazza è ospitata arriva un vagabondo, venditore di amuleti, accompagnato << da un cagnaccio irsuto e rinsecchito (…) ma stavolta, mentre passavano sul ponte levatoio, l’animale si fermò per un istante, sospettoso, e di lì a poco cominciò a mandare cupi ululati38 >> rivolti alla vampira, che nutre insofferenza nei confronti dei due visitatori.

Il secondo episodio si trova nella parte cruciale del racconto, quando la giovane e ingenua Laura, colei che ha accolto a casa sua Carmilla, sta per essere morsa dal mostro:

Vidi qualcosa che si muoveva ai piedi del letto che sulle prime non riuscii a distinguere bene. Ma di lì a poco vidi che si trattava di un grosso animale nero come la pece, simile a un gatto enorme. Poteva essere lungo circa quattro o cinque pedi, poiché copriva l’intera lunghezza del tappeto mentre ci passava sopra; e continuava a fare avanti e indietro con l’irrequietezza agile e sinistra di una bestia in gabbia. Non riuscivo a gridare anche se, come potete immaginare, ero terrorizzata. Il suo passo si faceva sempre più rapido, e la stanza buia, sempre più buia, così buia che alla fine non riuscii a vedere altro che i suoi occhi. Lo sentii balzare con agilità sul letto. I suoi occhi enormi si avvicinarono al mio viso e d’un tratto avvertii un dolore acuto, come se due grossi aghi, separati da un pollice o due, mi penetrassero a fondo nel petto39.

La vampira che sta per mordere Laura non ha qui il suo aspetto normale ma assume sembianze animalesche e, dalla descrizione che ne fa la giovane, sembra un vero lupo. Anche nel Dracula di Stoker ci sono delle connessioni tra le due figure. Fin dall’inizio appare chiaro l’influenza che il conte ha sui cani, che iniziano ad ululare appena sentono la sua presenza. Successivamente, come accade anche nel romanzo citato prima, il vampiro tende ad indentificarsi completamente con l’animale diventando un cane che si aggira minacciosamente per la città attaccando uomini e animali40. Anche

37 Ibid., pp. 112-114.

38 J. S. Le Fanu, Carmilla. La vampira e il detective dell’oscuro, Giacomo Feltrinelli Editore, Milano 2016, pp. 130-131. 39 Ibid., p. 143.

40 Bram Stoker, Dracula, (a cura di) Luigi Lunari, Gianfranco Feltrinelli Editore, Milano, maggio 2011, p.147.

<<Grande interesse ha suscitato il cane saltato a terra quando la nave si è arenata (…) non è stato possibile trovarlo. (…) C’è anche chi valuta con preoccupazione questa ipotesi, col rischio che in seguito anche quel cane, un mastino bastardo appartenente a un venditore di carbone vicino al molo di Tate Hill, è stato trovato morto nella strada difronte al cortile del suo padrone. Aveva chiaramente lottato contro un avversario forte e feroce, perché aveva la gola e il ventre squarciati come da un tremendo artiglio.>>

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18 nel romanzo di Stoker, poi, nel momento in cui Dracula sta per marchiare con i denti le sue vittime, da uomo diventa lupo:

<<L’avvento di un'altra nuvola fu troppo subitaneo perché io riuscissi a vedere più di tanto, e l’ombra si abbatté sulla luce quasi immediatamente; ma mi è parso che qualcosa di oscuro stesse dietro la bianca figura e si chinasse su di lei. Che cosa fosse – se uomo o bestia – non avrei saputo dire.41>>

Andando avanti nel racconto l’immagine sarà ancora più nitida:

<<Dopo un po’ si è sentito di nuovo l’ululato di prima, da fuori, tra le siepi, e poco dopo c’è stato l’urto violento di un qualcosa contro la finestra, e un sacco di pezzetti di vetro sono caduti sul pavimento. La tenda scura si è aperta all’irrompere del vento nella stanza, e nel varco creatosi tra i vetri rotti è apparsa la testa sparuta di un grosso lupo grigio.42>>

Tommaso Braccini cerca di spiegare ciò spostando il suo campo d’indagine, ancora una volta, nella cultura popolare, affermando che soprattutto in passato cani e lupi si aggiravano molto spesso per i cimiteri disseppellendo cadaveri per cibarsene. Queste immagini quindi potevano portare lo spettatore orripilato a due conclusioni: il lupo aveva ucciso il vampiro che stava uscendo dalla tomba; oppure il vampiro, uscito dalla tomba, abbandona il suo corpo per trasformarsi nell’animale. Dunque, il forte legame, in negativo e in positivo, tra il lupo mannaro e il vampiro per Braccini è semplicemente una spiegazione folclorica di un fenomeno naturale43.

La stessa spiegazione può essere data alla caccia al vampiro che si è diffusa agli inizi del secolo dei lumi, in cui il terrore per questo essere misterioso si impossessò dell’intera Europa con un’isteria paragonabile solo a quella della caccia alle streghe. Abbiamo, a proposito di ciò, degli scritti che testimoniano le credenze, la paura e la follia che si era diffusa tra il popolo. A cavallo tra il XIV e XV secolo risale lo scritto di Marco di Serre, monaco ortodosso, una delle prima testimonianze greche che parlano esplicitamente di vrykolakas. Il titolo della sua opera è Ricerca sui vrykolakes, ovvero

perché la santa Chiesa di Dio non ammette la credenza che da essi derivino le pestilenze, e che i viventi possano essere divorati da essi e Marco di Serre mostra come questo tipo di credenze fossero

ben radicate presso il popolo. Il tono del monaco è polemico e dubbio anche perché la chiesa ortodossa non accettava queste dicerie, anzi puniva e, nei casi più estremi scomunicava, chi si affidava ai metodi descritti. In caso di pestilenza o epidemia, scrive Marco di Serre, la colpa era data da alcuni ai vrykolakes che, secondo loro, causavano queste continue morti. Venivano disseppelliti i cadaveri deceduti da meno di cento giorni e, in caso se ne trovasse uno che non si era ancora decomposto e presentava particolari sintomi, veniva decapitato, trafitto con un paletto di legno o

41 Ibid., p.159. 42 Ibid., p. 225.

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19 con una punta metallica e, infine, bruciato. Le caratteristiche che il cadavere incolpato doveva avere riguardavano la mancata decomposizione, quindi un corpo che veniva trovato in una posizione differente rispetto a quella della sepoltura, che presentava unghia, denti e capelli cresciuti e che fosse gonfio e livido era destinato a questa fine, di nuovo, cruenta44. Una delle caratteristiche più

impressionanti di questo tipo di descrizioni riguarda il fatto che il cadavere, una volta trafitto, buttasse fuori quantità enormi di sangue anche se, almeno nei primi vrykolakes, l’abitudine di succhiare il sangue delle vittime non era attestata. Successive allo scritto di Marco di Serre, partendo dalla metà 1600 fino ad arrivare al 1717, ci sono altre tre testimonianze degne di nota e tutte e tre sono ambientate in Grecia. In ordine cronologico incontriamo Leone Allacci, scriptor presso la Biblioteca Vaticana, che nel 1645 scrisse un testo sui rapporti tra la chiesa romana e la chiesa greca. Il titolo dell’opera, composta da tre volumi, è Sui santuari greci più recenti, a Giovanni Morino; sul

nartece della chiesa antica, a Gaspare de Simeoni; e inoltre sulle credenze di alcuni Greci odierni, a Paolo Zacchia. Il terzo volume, quello che ci interessa, è una lettera scritta da Allacci al medico

Zacchia, autore del Questiones medico – legales, in cui il medico dava spazio anche alla stregoneria e ai veleni, argomenti che interessavano molto Allacci che decise di informare l’amico di alcune pratiche e credenze superstiziose diffuse nella Grecia medievale e contemporanea. Questo è l’unico testo di Allacci che ha riscosso interesse verso il pubblico donandogli la fama di vampirologo. Il revenant, che qui prende il nome di burculaca, viene descritto come il cadavere di un malvagissimo uomo che si aggira per i villaggi uccidendo chiunque risponda al suo richiamo. Secondo queste tradizioni un demone si impossessa del corpo del morto che può uccidere sia di notte che di giorno; quando ci sono morti frequenti, senza nessuna epidemia, gli uomini del villaggio aprono le tombe dei morti recenti e se all’interno c’è qualche cadavere ancora non decomposto è accusato di essere un vampiro. La soluzione per distruggerlo è bruciarne il cadavere, come nel racconto di Marco di Serre. Il vampiro di Allacci, però, ha delle caratteristiche fisiche diverse: la sua pelle appare rigida, rigonfia e dilatata come quella di un tamburo e, colpendola, provoca gli stessi rumori dello strumento musicale. Questo tipo di vampiro è chiamato tympaniaios ed è così deformato a causa dei misfatti che ha compiuto in vita45. In realtà Allacci non fa distinzione tra vrykolacas/burculaca e

tympaniaios, mentre in realtà c’è una differenza di base almeno da un punto di vista ecclesiastico.

La chiesa ortodossa, infatti, accetta una sola tipologia di vampiro, il tympaniaios per l’appunto, ossia il cadavere di un uomo scomunicato che non prende pace e paga dopo la morte i peccati che ha

44 Ibid., pp. 27-29. 45Ibid., pp. 23-27.

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20 commesso in vita. L’unico modo per donare la pace a questi morti è la revoca della scomunica, dopo la quale il cadavere si dissolve trasformandosi in polvere46. La posizione della chiesa, sia cattolica

che ortodossa, è scettica riguardo l’esistenza dei vampiri, considerandoli creature immaginarie frutto dell’ignoranza e della mancata civilizzazione dei luoghi in cui tale diceria si era diffusa. Nonostante queste giustificazioni, però, la febbre del vampiro accompagnò tutto il secolo. Nel 1657 il gesuita François Richard scrive la Relazione di quanto è successo di più notevole a Santorini, isola

dell’Arcipelago, dal momento in cui vi si sono stabiliti i Padri della Compagnia di Gesù. Nel

quindicesimo capitolo di quest’opera Richard, mandato in Grecia per sostenere, durante una missione religiosa, la chiesa cattolica, si interroga sui <<falsi resuscitati>> da lui chiamati

vroukolakes. Come già affermato da Marco di Serre anche il Richard crede che ad animare questi

cadaveri sia il Maligno, che <<opera tramite maghi e stregoni, finché essi vivono, ma si ignora cosa arriva a causare per mezzo dei cadaveri di coloro che possiede l’anima47>>. Sottolinea anche lui

come questi finti resuscitati siano stati crudeli in vita e, ritornando dall’oltretomba, provocano la morte di innocenti. Gli abitanti dei villaggi infestati dal revenant spesso si riuniscono in casa dei vicini per non restare da soli e Richard sottolinea come i sacerdoti ortodossi, incaricati di occuparsi della questione, disseppelliscono i cadaveri giudicati sospetti e, come visto negli autori precedenti, nel caso in cui questi risultino floridi e incorrotti vengono additati come vrykolakes. Dopo essere stati perdonati, il loro corpo comincerà a decomporsi. Richard, quindi, dimostra di credere a questo fenomeno e anzi cerca di dare la sua spiegazione, ossia che si tratta di cadaveri rianimati da un demone48.

Infine, tra i resoconti più importanti sul tema del vampiro dell’Egeo, ricordiamo quello scritto dal botanico francese Joseph Pitton de Tournefort nel 1717, Relation d’un voyage au Levant. La vicenda che Tournefort racconta si svolge nel 1701 a Mykonos, dove il botanico e i sui compagni di viaggio trovano la popolazione in fermento a causa di un non morto che crea terrore. A quanto pare il

vrykolakas era solito fare dispetti di notte entrando nelle case dei suoi concittadini, creando

disordine e commettendo furti, tanto che gli abitanti del villaggio infestato decidono di allontanarsi dalle loro abitazioni per paura. La chiesa ortodossa decide di intervenire individuando il vrykolakas in un contadino morto poco tempo prima. Lo spettacolo a cui Tournefort e i suoi amici assistono è terribile: l’uomo, disseppellito, secondo gli abitanti ha un aspetto ancora florido e il macellaio del paese ha il compito di estrarre il cuore del defunto, cuore che poi sarà bruciato. A questo punto c’è

46 Ibid., pp.123-128. 47 Ibid., p.21. 48 Ibid., pp. 20-22.

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21 una colossale differenza tra quello che percepiscono i concittadini del presunto revenant e quello che vedono Tournefort e i suoi. Infatti, la popolazione, presa da una vera e propria isteria collettiva, crede che il cadavere sia incorrotto e che dal suo corpo ancora caldo esca del fumo e del sangue; insomma che quell’uomo in realtà non è morto del tutto. A differenza loro la comitiva straniera afferma che tutto questo è dato dall’euforia di quella gente, poiché il fumo, che secondo loro esce dal corpo del morto, è solo una minima parte, tutto il resto altro non è che l’incenso che i sacerdoti continuano a diffondere per coprire la puzza del cadavere e il sangue rosso che vedono è solamente una melma che fuoriesce dalle sue viscere. Per Tournefort e i compagni è impossibile far capire questo alla popolazione che, colpita da una vera ossessione di vampirismo, non riesce a vedere la realtà: a creare scompigli nei loro villaggi e nelle loro case, che hanno abbandonato per paura, non sono dei morti ma dei vagabondi vivissimi. Tournefort è basito dal loro comportamento e afferma che non solo i più ignoranti si comportano in questa maniera folle ma <<anche le persone più intelligenti che si distinguono dagli altri49>>. Ci racconta, inoltre, di infinite riunioni, assemblee e riti

per sconfiggere il revenant fino a bruciare in un rogo il cadavere sospetto. Tournefort guarda con incredulità e sconcerto a questo avvenimento, dimostrando la sua completa riluttanza nei confronti di qualsiasi forma di revenant50. Le parole con cui conclude il suo racconto sono chiare:

<<considerando tutta questa vicenda, come si fa a non riconoscere che i Greci di oggi non sono dei grandi Greci, e che presso di loro si trovano solamente ignoranza e superstizione?51>>. Proprio

l’ignoranza, soprattutto da un punto di vista medico, è alla base della diffusione del vrykolakas. Come testimoniano tutti i racconti riportati, le caratteristiche principali di questa figura, oltre a quella di essere un cadavere senza i minimi segni di decomposizione, sono il colorito livido, il corpo rigonfio, unghie, denti e capelli lunghi e, nel momento in cui viene trafitto, abbondante sangue che fuoriesce dalla bocca e dalla ferita. Naturalmente vedere un cadavere in queste condizione sarebbe destabilizzante per chiunque ma a trarre in inganno queste persone è stata la poca conoscenza scientifica sul modo di decomposizione di un corpo che non sempre è lo stesso per tutti. Paul Barbier, antropologo americano, si è occupato della fisiologia della decomposizione, spiegando come in alcuni casi il cadavere può presentare le caratteristiche che per la tradizione folclorica appartengono al vrykolakas. Il gonfiore tipico di questa tipologia di revenant non è sintomo di vitalità, anzi. Durante la decomposizione i microrganismi presenti, moltiplicandosi nei tessuti, producono gas che, diffondendosi nel corpo, ne può aumentare le dimensioni. La pressione e lo

49 Ibid., p. 11. 50 Ibid., pp. 9-13. 51 Ibid., p. 13.

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22 spostamento del gas provocano anche lo spostamento del cadavere che tanto inquietava gli spettatori. Sempre a questi fenomeni è dovuto il risaldamento del corpo che, come nel caso del resoconto di Tournefort, produceva dei vapori in corrispondenza della ferita. Il colorito livido, a volte paonazzo, è dovuto invece allo staccarsi, nel cadavere, della pelle rinsecchita che lascia il posto allo strato sottostante di colorito più vivo. Barbier spiega anche la presenza di sangue all’interno di questi corpi ormai senza vita. Capita spesso, dice, che il sangue, una volta coagulato, tenda nuovamente a liquefarsi e ad accumularsi in determinati luoghi, tra cui l’addome, il naso o la bocca, proprio i punti in cui era abbondante nei vrykolakes52. Il non-morto era accusato, inoltre, di portare

pestilenze ed epidemie ma, anche in questo caso, è chiaro l’errore: questi morti non sono la causa dell’epidemia ma sono l’unico modo che hanno per giustificarla. L’igiene personale in quegli anni, soprattutto tra i contadini, non era adeguata ad una vita sana e ciò portava ad una rapida diffusione di malattie e ad un precoce contagio; il vampiro folclorico ne sarà solo il capo espiatorio. Anche in questo caso, come già visto per il legame tra il lupo e il vampiro, ci troviamo di fronte ad una spiegazione folclorica di un fenomeno naturale.

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2.2. LORD RUTHVEN E IL CONTE DRACULA: METAMORFOSI E SIGNIFICATI DEL VAMPIRO LETTERARIO E MODERNO

Il vampiro, nel corso dei secoli fino all’Ottocento, ha subito vari cambiamenti; il vrykolakas cade sempre più nell’oblio lasciando il posto ad un nuovo tipo di vampiro che si spoglia dei panni di contadino resuscitato e indossa quelli di nobiluomo. Il colorito livido, la pelle rigonfia e l’aspetto terribile lasceranno il posto ad un uomo vestito per bene, dai lineamenti scarni e dal colorito pallido, dalle mani esili e pelose. Il vampiro moderno non provoca più ribrezzo ed orrore in chi lo guarda, o almeno non solo quello, perché al timore che questa figura infonde si aggiunge un certo fascino, un’attrazione fatale che fa sì che la vittima ne è terrorizzata ma allo stesso tempo attratta. D’altronde il vampiro è il mostro più affascinante e sensuale che la letteratura gotica potesse ricreare ed è costantemente attuale; negli anni intorno al 1800 non è più il mostro che torna dall’oltretomba per uccidere i vivi creando scompiglio tra la gente ma diventa una metafora sociale. Diverse sono le letture a cui questa figura è stata sottoposta e diversi sono i ruoli che ha dovuto impersonare; la storia continua ad identificare i suoi vampiri53 scrive Ken Gelder e, certo è, che li ha

sempre identificati negli aspetti negativi.

Il vampiro fa la sua prima comparsa in letteratura nel 1819 nel racconto di John Polidori, Il

Vampiro. La storia che gira intorno alla realizzazione di questo scritto è nota e interessante perché

specchio della cultura dell’epoca. Polidori, segretario personale e amico intimo di Byron, è invitato da quest’ultimo nella sua villa sul lago di Ginevra insieme ad altri due amici, il poeta Percy Shelley e la compagna e futura moglie di lui, Mary Wollstonecraft Godwin. Data la pioggia incessante passano il loro tempo a leggere romanzi di fantasmi e decidono di fare a gara a chi avesse scritto il romanzo più spaventoso; dalla penna di Mary, che dopo il matrimonio cambiò il nome in Mary Shelley, nasce

Frankenstein, da quella di Polidori Il Vampiro54. Il racconto scritto da Polidori viene pubblicato

erroneamente dal <<New Monthly Magazine>> con la firma di Byron che aveva affrontato precedentemente il tema del vampirismo nella ballata La sposa di Corinto. Il malinteso fu successivamente chiarito ma molti – incluso Goethe che definì questo racconto la cosa migliore che Byron avesse mai scritto – collegano questo testo al genio di lord Byron proprio per le caratteristiche che accomunano quest’ultimo con l’inquietante e affascinante protagonista del racconto. Polidori, infatti, deve molto del suo lord Ruthven all’amico: il fascino sinistro, la ricerca della passione come

53 Ken Gelder, Reading the Vampire, Routledge, London and New York 1994, p.8. 54 Sandro Melani, L’eclissi del consueto, Liguori Editore, Napoli 1996, p. 126.

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24 unico scopo, la gelida crudeltà con la quale porta a termine i suoi piani. Perfino l’aspetto fisico del vampiro di Polidori ricorda Byron, <<pallido, altero, vagamente maudit, affascinante e impenetrabile, con la sua ambigua e torbida bellezza che rende tanto più efferati – quanto erotici! – i suoi crimini55>>. Il vampiro romantico perde del tutto l’aspetto orripilante che caratterizzava

quello folclorico e fa suoi tutti quegli aspetti, fisici e caratteriali, che appartenevano agli eroi gotici della Radcliffe o del Lewis. Proprio questi aspetti si ritrovano anche in Byron, l’eroe romantico in carne ed ossa. La relazione che legava lord Byron a Polidori – soprannominato dall’amico Polly -Dolly - si basava su un’amicizia molto intima, quasi morbosa da parte del medico. Tale rapporto viene a ricrearsi, nel racconto di Polidori, tra lord Ruthven e il giovane Aubrey che si conoscono per la prima volta a Londra, durante una festa. Il giovane uomo prova dapprima curiosità per il lord, successivamente ammirazione. Spinto dalla voglia di conoscerlo gli offre il suo aiuto economico e convinti i suoi tutori legali - era orfano – decide di partire per l’Italia accompagnato da lui. Conoscendolo un po’ meglio, però, in Aubrey comincia ad insinuarsi il dubbio su chi sia in realtà quell’uomo che sembra stare sempre dalla parte dei viziosi e godere delle sciagure dei virtuosi, che

ricerca i centri di tutti i vizi alla moda56 e che ha come unico scopo sedurre le donne, vergini o

vedove, per poi abbandonarle miseramente. Il giovane uomo, allora, decide di allontanarsi dall’amico dissoluto e lascia Roma per dirigersi in Grecia. Qui conosce una fanciulla, Iante, di cui si innamora e che gli racconta, per la prima volta, la storia del vampiro vivente, costretto a nutrirsi periodicamente di una vergine per prolungare la sua vita. Nella descrizione fisica del vampiro Aubrey riconosce il suo vecchio amico Ruthven, ma continua a persuadersi che tale mostro non può essere reale. La narrazione si fa più inquietante quando Aubrey, nonostante gli fosse stato sconsigliato da tutti, decide di fare un’escursione in un luogo considerato dagli abitanti il ritrovo dei vampiri e, una volta lì, non tiene fede alla promessa fatta a Iante di rientrare prima del tramonto. Ad un certo punto una tempesta violenta accompagnata da urla di donna lo spingono in una casa in mezzo alla foresta in cui subisce un’aggressione da una forza sovrumana; gli abitanti del paese, che lo stavano cercando, mettono fine all’incubo ma, ahimè, scoprono in quella stessa casa il cadavere di Iante, morsa al collo dal vampiro. Aubrey, disperato per la morte dell’amata, viene colpito da una violenta febbre e sarà curato da lord Ruthven che inspiegabilmente si ritrova al suo capezzale. I due decidono in seguito di abbandonare quel luogo pieno di ricordi tristi e viaggiano in lungo e in largo per la Grecia. Durante uno di questi viaggi il lord viene ferito mortalmente e fa promettere a Aubrey di

55 Riccardo Reim (a cura di), I grandi romanzi gotici, p. 986. 56 Ibid., p. 995.

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