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I primi capitalisti estasiatici nell'Europa centro-orientale Le relazioni economiche Paesi centro-esteuropei, Giappone e Corea dopo il 1989.

La caduta dei governi socialisti dell’Europa centro-orientale innestò un processo di “occidentalizzazione” dei Paesi centro-esteuropei che fu foriero di gravi conseguenze per i rapporti polito-economici con l’Asia orientale. Come si vedrà più avanti, all’indomani della caduta della cortina di ferro la Repubblica Popolare Cinese perse progressivamente appeal quale partner economico. Le attenzioni dei nuovi governanti centro-esteuropei erano tutti diretti verso Ovest, verso l’Europa e l’America, in cerca di finanziamenti, sovvenzioni, e soprattutto investimenti. L’apertura delle economie centro-esteuropee al mercato globale, però, favorì per converso lo sviluppo delle relazioni economiche con il Giappone e la Corea del Sud, Paesi con cui fino ai primi anni Novanta risultava complicato intrattenere rapporti per le ragioni politico-ideologiche riportate nel capitolo precedente.

In questo capitolo si analizzerà dunque come si sono dispiegate le relazioni economiche fra Giappone ed Europa centro-orientale, durante gli anni Novanta e fino ad oggi. Tali relazioni hanno seguito tre direttrici prevalenti:

 Intensificazione degli scambi commerciali.

 Flussi di investimenti nipponici verso l’Europa centro-orientale.

 Programmi di aiuto allo sviluppo attuati da Tokyo nei confronti dei Paesi centro- esteuropei.

Dal canto suo, la Corea del Sud ha seguito il modello di penetrazione economica attuato dal Giappone, attraverso lo sviluppo degli scambi commerciali e soprattutto attraverso gli investimenti esteri diretti, pur con alcune specificità.

4.1 Gli anni Novanta: il commercio bilaterale fra Giappone ed Europa centro-orientale e i primi investimenti.

In seguito alla caduta dei regimi socialisti centro-esteuropei e all’apertura delle loro economie al mercato globale, la quota rappresentata dalle economie centro-esteuropee nel commercio estero del Giappone, già estremamente bassa, diminuì ulteriormente, come mostra la tabella n. 78411.

Tabella 78. Commercio Giappone-Europa centro-orientale. Percentuale sul totale del commercio nipponico.

Commercio di merci

Export Import

1963 1973 1983 1993 2001 1963 1973 1983 1993 2001

Europa centro-

orientale 0,4 0,9 0,5 0,2 0,4 0,3 0,4 0,2 0,2 0,3

Fonte: World Trade Organization, International Trade Statistics 2002, pag. 36, http://www.wto.org/english/res_e/statis_e/its2002_e/its2002_e.pdf.

Di fatto, questa diminuzione di importanza è da attribuire alla crisi economica che ha caratterizzato i primi anni della transizione vissuta dagli Stati centro-esteuropei. Tokyo si

411

La Horne riporta dati leggermente diversi, che però non cambiano il senso del discorso: dopo il 1989 il Giappone continuò a detenere una quota dello 0,9% del commercio estero dei paesi in oggetto per il periodo 1991-1993. Nel biennio successivo (1994-1995), però, tale quota scese allo 0,5%. Jocelyn Horne, East Asia and Eastern Europe. Trade Linkages and Issues, cit.

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rapportò con i nuovi governi all’insegna della disponibilità, nel quadro delle azioni promosse dal cosiddetto gruppo G-24, costituitosi nel luglio 1989 con l’obiettivo di coordinare l’assistenza fornita dalle nazioni più sviluppate all’Europa centro-orientale. All’indomani dei cambi di regime che sconvolsero i Paesi centro-esteuropei nel 1989, il Giappone mise dunque in moto la propria macchina di assistenza allo sviluppo, “providing both technical and

financial support to the Central and Eastern European countries, giving priority to such sectors as agriculture, job training, investment promotion, environmental preservation, energy, market access improvement and international balance of payment supports”412. Il Primo Ministro Kaifu, in un discorso tenuto nel gennaio 1990 a Berlino, annunciò vari aiuti all’Europa centro-orientale: 25 milioni USD da destinare all’assistenza tecnica verso Polonia e Ungheria; 25 milioni USD di aiuti alimentari alla Polonia; 150 milioni USD destinati al fondo di stabilizzazione dello zloty, la valuta polacca; 500 milioni USD di prestiti verso Polonia413 e Ungheria414, diluiti in tre anni415. Tokyo istituì anche il Japanese Enterprise

Facility quale parte del Global Partnership Plan of Action in collaborazione con gli Stati

Uniti d’America, al fine di supportare lo sviluppo del settore privato in Europa centro- orientale. I finanziamenti provenivano dalla Japan Export-Import Bank per i prestiti (erano pianificati 100 milioni USD per l’Ungheria, altri 100 per la ex Cecoslovacchia e ulteriori 100 per gli altri Paesi della regione) e dalla Japan International Development Organisation con riguardo alle partecipazioni azionarie416.

A Berlino, Kaifu annunciò anche l’aumento dell’interscambio commerciale, e in particolare delle importazioni provenienti da Budapest e Varsavia. La dichiarazione di Kaifu spiega, parzialmente, perché gli scambi commerciali polacco-giapponesi e soprattutto nipponico- ungheresi fossero superiori a quelli intrattenuti da Tokyo con gli altri Paesi dell’Europa centro-orientale. Tuttavia, è da rimarcare come l’auspicato aumento delle importazioni dagli ex Stati socialisti non si concretizzò: per tutto il decennio import ed export ebbero un andamento simile, ma le esportazioni nipponiche rimasero sempre superiori alle importazioni, determinando un saldo della bilancia commerciale favorevole a Tokyo. Gli scambi, inoltre,

412

Ministero degli Affari Esteri giapponese, Diplomatic Bluebook 1991,

http://www.mofa.go.jp/policy/other/bluebook/1991/1991-3-2.htm#5. East-West Economic Relations.

413 In circa 20 anni, il Giappone ha concesso alla Polonia 146 milioni di euro (terzo donatore) per il Fondo di Stabilizzazione dello Zloty, 28 milioni di euro di crediti (sesto donatore; così suddivisi: in campo culturale, 4,2 milioni fra il 1991 e il 2006; cibo per emergenze, 23,3 milioni fra il 1989 e il 2011; aiuti in caso di alluvioni 0,14 milioni nel 1997), 62 milioni di euro sotto forma di cooperazione tecnica (terzo donatore). Nel 1991 fu avviato uno studio di fattibilità nell’impianto energetico di Kozienice per ridurre le emissioni di gas. Nel 2001 e nel 2006 la Hitachi ha fornito per quell’impianto un sistema di desulfurizzazione; la stessa Hitachi ha firmato nel 2010 un contratto per offrire lo stesso sistema all’impianto energetico Siekierki di Varsavia. Arkadiusz Tarnowski, Poland and Japan in the twenty-first century. New Stage of Economic Relations (presentazione), Poland-Asia Research Center, www.eias.org.

414 L’ex ambasciatore giapponese in Ungheria fra il 1995 e il 1997, Yoshitomo Tanaka, ha evidenziato come il Giappone abbia giocato un ruolo importante nel processo di transizione economico ungherese, anche: “On the one hand, we extended direct government assistance to expedite such a transformation process. We, for instance, established a Productivity Promotion Centre in Budapest under the Japanese Government technical assistance program, so that the replacement of old, inefficient factories by modern, more efficient and competitive ones could be realized as quickly as possible. The Centre chose a model factory, sent Japanese experts there, trained Hungarian workers and engineers, and tried to show in a very concrete way how productivities could be raised by introducing necessary reforms to such a factory”. Yoshitomo Tanaka, Central European Transformations as Seen by a Japanese Diplomat, Central and Eastern Europe-Japan Forum for the 21st Century, Slavic Research Center of Hokkaido University, 2003, http://src-h.slav.hokudai.ac.jp/sympo/03september/pdf/Y_Tanaka.pdf. 415 Ministero degli Affari Esteri giapponese, Diplomatic Bluebook 1990,

http://www.mofa.go.jp/policy/other/bluebook/1990/1990-3-3.htm.

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conobbero una flessione a partire dal 1992417 per poi conoscere una ripresa solamente a partire dal 1995.

L’aiuto allo sviluppo nipponico non era, però, incondizionato: “the self-help efforts on the

part of these countries are essential for continuing international assistance. This means that Central and Eastern European countries themselves have the primary responsibility for the reforms and only with their self-help efforts does aid become effective. This implies a strong political message that assistance is denied to countries not engaged in reforms”418. Questa linea di condotta spiega perché Polonia e Ungheria, che avevano iniziato prima, e con maggior successo, il processo di democratizzazione, riuscirono ad avere maggiore accesso all’aiuto allo sviluppo nipponico419

. Essa spiega anche perché la Romania, sicuramente il Paese centro-esteuropeo fra quelli oggetto di questo studio che più ha sofferto durante il periodo di transizione, sia stata inizialmente trascurata dal Paese del Sol levante. La caduta del regime ceaușista, provocata da una rivoluzione con i connotati del colpo di stato, fu infatti seguita da un governo, a guida del controverso Ion Iliescu, che si caratterizzava per la forte continuità con la precedente amministrazione, sia negli uomini che nei metodi420. Il Giappone non era disposto ad aiutare un governo ancora fortemente autoritario e per questo motivo sia l’assistenza allo sviluppo (come si vedrà più avanti) che gli scambi commerciali rimasero fortemente limitati, conoscendo una flessione sino al 1995. Peraltro, va sottolineato come esista una forte discrepanza fra i dati nipponici, che evidenziano una saldo della bilancia commerciale in passivo per Tokyo per tutto il decennio (eccezion fatta per il 1997), e i dati romeni, che a un’iniziale surplus per il paese balcanico, dal 1992 fa seguito un disavanzo che si andò ad aggravare a partire dal 1995.

La crescita degli scambi commerciali fra Giappone ed Europa centro-orientale a partire dal 1995 era determinata dallo sviluppo economico originato dalle riforme di apertura al mercato dei Paesi ex socialisti. Dove le riforme furono più spinte, come in Repubblica Ceca e Polonia, la crescita economica fu più marcata e così anche l’aumento dell’interscambio con l’estero421

. In Romania, le riforme procedettero molto più a rilento e anche l’aumento degli scambi arrivò

417 Con riguardo agli scambi con la Cecoslovacchia, la flessione arrivò nel 1993, in coincidenza, peraltro, con la suddivisione dello Stato in Repubblica Ceca e Slovacchia.

418

Ministero degli Affari Esteri giapponese, Diplomatic Bluebook 1992, http://www.mofa.go.jp/policy/other/bluebook/1992/1992-3-3.htm.

419 In seguito, l’aiuto allo sviluppo giapponese avrebbe interessato tutta l’Europa centro-orientale. Nel 2001 la Japan International Cooperation Agency elaborò uno studio di fattibilità per lo sviluppo dell’agricoltura sostenibile e la protezione delle risorse naturali nella regione Zahosrska, in Rep. Slovacca, e implementò un progetto di cooperazione tecnica con la Bulgaria, inerente lo sviluppo di prodotti lattiero-caseari fermentati. Nel solo 2004, sono stati concessi finanziamenti per 23 milioni USD alla Repubblica Ceca, 101,11 milioni USD all’Ungheria e ben 602,53 milioni USD alla Polonia. Norifumi Kawai, The Nature of Japanese Foreign Direct Investment in Eastern Central Europe, in “Japan aktuell” 5/2006, pp. 3-41, http://www.giga- hamburg.de/openaccess/japanaktuell/2006_5/giga_jaa_2006_5_kawai.pdf; Japan International Cooperation Agency, JICA Annual Report 2002, p. 209,

http://www.jica.go.jp/english/publications/reports/annual/2002/pdf/200235.pdf. 420

Iliescu era stato membro del Partito dei Lavoratori Romeno e poi del Partito Comunista Romeno. Vicino all’ex Premier Maurer, fu progressivamente allontanato dalla cerchia di Ceaușescu per dissensi sulle politiche sempre più personalistiche attuate dal leader a partire dagli anni Settanta. Una volta al potere, Iliescu represse violentemente le manifestazioni di protesta che chiedevano un’accelerazione del processo democratico nelle giornate che passarono alla storia come “mineriadi”. Una biografia non autorizzata di Iliescu è stata scritta dal giornalista Vladimir ALexe, Ion Iliescu, Biografia Secreta. Candidatul Manciurian, https://ia701208.us.archive.org/2/items/Ion_Iliescu-Biografia_Secreta.pdf/Ion_Iliescu-Biografia_Secreta.pdf; sulle mineriadi, si veda Gabriela Gheorghe, Adelina Huminic, Istoria Mineriadelor din anii 1990-1991, in “Sfera Politici”, n. 67, 1999, http://www.dntb.ro/sfera/67/mineriade-5.html.

421 John Bachtler, Philip Raines, Ruth Downes, First Report on Economic and Social Cohesion – Study Area 3: The Impact on Cohesion of EU Enlargement, Regional and Industrial Policy Research Paper, N. 34, marzo 1999, http://www.eprc.strath.ac.uk/eprc/Documents/PDF_files/R341stReponEcon%26SocialCohes.pdf.

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in ritardo, nel 1996. Il 1996 assume un significato importante nella storia romena perché nelle elezioni tenutesi quell’anno, Iliescu dovette lasciare la guida del Paese a favore di Emil Constantinescu422. Le elezioni si tennero in novembre e quindi è difficile sostenere che abbiano avuto una qualche influenza sull’aumento dell’interscambio con il Giappone, tuttavia l’anno successivo la crescita degli scambi fu più marcata e questo può denotare un cambio di atteggiamento da parte nipponica nei confronti del governo romeno. D’altronde, Constantinescu, in tandem con il Premier Victor Ciorbea, accelerò il processo delle riforme economiche, coordinandosi maggiormente con le istituzioni internazionali quali la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale. Nell’immediato le riforme non ebbero però il successo auspicato e una reale ripresa economica sarebbe arrivata solamente a inizio anni Duemila.

Durante gli anni Novanta, il principale partner giapponese fra i Paesi centro-esteuropei era, frattanto, divenuto l’Ungheria. La Polonia aveva infatti perso interesse agli occhi dei giapponesi a causa del comportamento di Varsavia nel ripagare il debito maturato negli anni precedenti423.

L’Ungheria è riuscita ad attrarre IDE dal Giappone soprattutto dimostrando affidabilità politica ed economica, rispettando le scadenze nel ripagare il proprio debito estero, pur con grandi sacrifici e portando avanti un rigoroso piano d’austerità. Durante il regime socialista, il Giappone era infatti arrivato a detenere un terzo del debito estero contratto da Budapest. Gli sforzi ungheresi ben impressionarono i giapponesi, convinti ad investire nel paese magiaro dalla serietà del governo di Budapest. D’altra parte, il governo ungherese dimostrò una continua determinazione nell’attrarre investimenti esteri e in particolare giapponesi. Per questo motivo furono organizzate varie visite politico-diplomatiche di alto livello424.

Non fu, dunque, un caso che proprio in Ungheria, che per prima aveva avviato le riforme economiche in Europa centro-orientale, si fosse installata, addirittura fin dagli anni Ottanta, la Suzuki, con un investimento di circa 260 milioni USD (in collaborazione con la sogo shosha C. Itoh). Già la Daihatsu, che aveva dovuto rinunciare a investire in Polonia per via della preminenza della posizione dell’italiana FIAT nel mercato automobilistico polacco, si era mostrata interessata al Paese magiaro, ma vi aveva rinunciato425.

422

Ioan Scurtu, Istoria Contemporana a României (1918-2007), cit., pp. 191-192.

423 Judit Berenyi, The Role of Japan in Central Europe in an Emerging Multipola World, cit., p. 233.

424 Certo, non mancarono incidenti di percorso, come ricorda l’Ambasciatore Tanaka: “when I was in Hungary, the privatization process was at its peak. The Hungarian leaders often stressed to me that there were so many chances to do good shopping. Only on one occasion a Japanese business corporation showed special interest in buying a Hungarian asset. That was a top-class hotel standing on the bank of the River Danube in the centre of the city of Budapest. The Hungarian side considered that tourism from Japan could be greatly facilitated if one of the best hotels in Budapest was owned by a Japanese firm. The Japanese side indicated it would offer a sufficiently high price for the hotel in question because they were already cooperating in the management of that hotel during the socialist time. But what happened was the sale by tender of that hotel together with many other local hotels in Hungary. Since the Japanese side was interested only in one hotel in Budapest, all the hotels were sold to an American company. Then, the Prime Minister immediately fired the minister who arranged this tender. The whole procedure was reconsidered and the sale of the hotel in Budapest was separated from the sales of other hotels. In this new bidding the Japanese won, and naturally the American Embassy in Budapest lodged a strong protest to the Hungarian government. Unfortunately, by that time this Japanese company was in serious trouble at home because it faced great difficulty in repaying its own huge debts it owed during the bubble economy. It was no longer very eager to buy a hotel abroad, however attractive the offer. So it was soon forced to sell this hotel together with other chain hotels to a foreign company”. Yoshitomo Tanaka, Central European Transformations as Seen by a Japanese Diplomat, cit.

425

La Daihatsu, in partnership con Sumitomo, Mitsui Co. e Itochu Co. aveva presentato una proposta per la modernizzazione dell’azienda automobilistica polacca statale polacca FSO. Ken Morita, Yun Chen, Transition, Regional Development and Globalization. China and Central Europe, World Scientific, Singapore 2010, pp. 118-121; Gabor Bakos, Magyar Suzuki and the Emergence of Japanese Direct Invetment in Central Europe, in James Darby, a cura di, Japan and the European Periphery, cit., pp. 247-248.

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La casa automobilistica giapponese si mosse in Ungheria in virtù dalla posizione strategica al centro dell’Europa e di una situazione politicamente stabile. Dato il piccolo mercato ungherese, il principale target della produzione dell’impianto era l’Europa occidentale426

. Sulla decisione della Suzuki, però, influì soprattutto il basso costo della manodopera ungherese e le esenzioni fiscali concesse dal governo locale. L’impianto di assemblaggio stabilito nel 1991 in località Esztergom (che originariamente occupava 1.200 persone, con un indotto di 17.000-18.000 posti di lavoro) ebbe la funzione di richiamo per i fornitori di componentistica della Suzuki, quali EXEDY427, Sumitomo Electric Industries e Diamond Electric, ma non produsse profitti, costringendo la Suzuki, che in Ungheria costituì la Magyar Suzuki (partecipata al 97,3%), a mettere il proprio impianto a disposizione anche della americana General Motors e della Fuji Heavy Industries (Subaru). Sono, poi, sorti ulteriori problemi: infatti, la Suzuki è stata multata dal governo ungherese per 20 milioni di fiorini a causa del tentativo, lesivo della concorrenza, di instaurare un monopolio nel mercato delle

minicars; nel 1993 vi sono inoltre state tensioni sindacali fra gli operai dell’impianto

insoddisfatti del basso salario, seppur non siano sfociate in scioperi, fra gli operai428.

Quello della Suzuki fu, nei fatti, il primo grande investimento diretto estero (IDE) giapponese nell’area. Con la caduta del muro di Berlino, la perestrojka e il cambio dei regimi dei Paesi centro-esteuropei, effettivamente Tokyo cominciò a guardare con maggiore interesse verso quest’area, non tanto in un’ottica di incremento degli scambi commerciali, come si è visto, quanto come recipiente di investimenti diretti esteri429.

I giapponesi erano attratti principalmente da:

 manodopera a basso costo e relativamente bene istruita;  basso costo dei terreni ove costruire gli stabilimenti;

 relazioni sindacali relativamente rilassate e non conflittuali.

D’altra parte i Paesi centro-esteuropei erano alla ricerca di capitali freschi che fungessero da propulsore alla loro economia. Inoltre, gli investimenti diretti esteri possono originare il fenomeno del cosiddetto spillover tecnologico, creando nuovi posti di lavoro430. Per queste ragioni i governi centro-esteuropei incoraggiarono l’arrivo di investimenti diretti esteri, anche attraverso agevolazioni fiscali e sussidi finanziari che hanno costituito l’ennesimo, ed importantissimo, fattore di attrazione. Soprattutto, però, la principale attrazione era costituita dalla vicinanza strategica all’Europa occidentale; un aspetto, questo, che l’accesso nell’Unione Europea ha in tempi più recenti contribuito a esaltare, in virtù delle facilitazioni doganali risultanti dall’esser membri della più importante area di libero scambio del mondo. In tal modo le aziende giapponesi avrebbero potuto aggirare le barriere protezioniste poste

426 Automobili furono, però, esportate anche in Cina a partire dal 1995. 427

Precedentemente, la Daikin Corporation si installò in Ungheria nel 1993, avviando la produzione di frizioni per le auto Suzuki. Ken Morita, Yun Chen, Transition, Regional Development and Globalization. China and Central Europe, cit., p. 109.

428 Liam Jia Woon, Asian FDI in Central and Eastern Europe and its impact on the host countries, in “Asia Europe Journal” (2003) 1, pp. 357-361, http://www.springerlink.com/content/2jbkkce2evukncf0/.

429

Yui Kimura, Japanese Direct Investment in the Peripheral Regions of Europe: An Overview, in James Darby, a cura di, Japan and the European Periphery, cit., p. 13.

430 La Suzuki cercò inizialmente di avvalersi del supporto di fornitori di componenti locali; tuttavia una serie di difficoltà, legate al processo di privatizzazione in atto in Ungheria e alla mancanza di finanziamenti adeguati da parte delle autorità locali, hanno impedito che questi fossero efficienti nei primi anni, costringendo all’importazione di componenti dal Giappone, andando a ingrossare le esportazioni nipponiche verso il Paese magiaro. Nel medio periodo, però, il fenomeno dello spillover è entrato a regime, anche grazie ad attività di formazione del personale ungherese in Giappone, formando un bacino di fornitori ungheresi qualificati, in grado di esportare anche all’estero i propri prodotti. Liam Jia Woon, Asian FDI in Central and Eastern Europe and its impact on the host countries, cit., pp. 357-361. Sul tema dello spillover si veda anche il lavoro di Johannes