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0. By the Bog of Cats…

By the Bog of Cats… ha debuttato il 7 ottobre 1998 all’Abbey Theatre di Dublino

durante il Dublin Theatre Festival ed è stato rappresentato per altre quarantacinque volte fino al 14 novembre 1998.

I personaggi sono i seguenti: Hester Swane, quarant’anni (Olwen Fouéré), Carthage Kilbride, trent’anni (Conor MacDermottroe), Josie Kilbride, sette anni, figlia di Hester e Carthage (Siobhan Cullen/Kerry O’Sullivan), Monica Murray, sessant’anni circa, una vicina di casa di Hester (Pat Leavy), Mrs Kilbride, sessant’anni circa, madre di Carthage (Pauline Flanagan), Xavier Cassidy, sessant’anni circa, un ricco proprietario terriero (Tom Hickey), Caroline Cassidy, vent’anni, figlia di Xavier (Fionnula Murphy), Catwoman, cinquant’anni circa, una senzatetto che vive nel Bog of Cats (Joan O’Hara), Ghost Fancier (Pat Kinevane), Ghost of Joseph Swane, diciott’anni, fratello di Hester (Ronan Leahy), Young Dunne, un cameriere (Conan Sweeny), Father Willow, ottant’anni, un prete (Eamon Kelly) e due camerieri (Gavin Cleland, Kieran Grimes). L’azione è ambientata nel presente 108 e nella regione delle Midlands irlandesi.

L’opera si divide in tre atti: il primo è ambientato nel cortile della casa di Hester Swane e poi presso il suo caravan nel Bog of Cats (ambiente acquitrinoso tipico dell’Irlanda), il secondo si svolge interamente a casa di Xavier Cassidy e il terzo si apre nel cortile di casa di Hester per poi finire davanti al suo caravan.

Il primo atto è diviso in sei scene, mentre gli altri due si configurano come atti unici.

Il testo è interamente scritto nel dialetto delle Midlands, anche se, nelle stage

directions dell’edizione di Faber and Faber Limited del 2004, Carr specifica che “I’ve

given a slight flavour in the text, but the real Midland accent is a lot flatter and rougher and more guttural than the written word allows” (p. iii). 109

Carr, Marina, By the Bog of Cats…, Londra, Faber and Faber Limited, 2004, p. ii.

108

Da qui in poi tutte le citazioni in lingua inglese e il relativo numero di pagina si riferiscono

109

Il segmento temporale coperto dal dramma è molto breve poiché tutto si svolge nel giorno delle nozze di Carthage e Caroline: sin dall’inizio Hester è già consapevole del nuovo matrimonio e il finale coincide con la realizzazione della vendetta.

Nell’Atto I Hester compare in quattro scene su sei, nell’Atto II fa il suo ingresso solo alla fine ed è invece sempre presente nell’Atto III.

È importante soffermarsi sulle trasformazioni onomastiche operate da Carr sui tre personaggi principali dell’originale: Medea, Giasone e Creonte.

La moderna Medea, Hester Swane, sembra prendere il suo nome da Hester Prynne, protagonista del romanzo di Nathaniel Hawthorne The Scarlett Letter, pubblicato nel 1850: nonostante la diversità delle loro vite, entrambe sono vittime del pregiudizio e dell’odio sociale. Il cognome Swane deriva dalla parola inglese “swan” (cigno), animale a cui Hester è legata dalla nascita. Nel folklore irlandese il cigno compare in famose leggende come “Children of Lir”. Questo mito racconta la storia di re Lir e dei suoi quattro figli: in seguito alla morte delle moglie, Lir sposa Aoife che, gelosa dei figli del marito, getta su di loro un incantesimo e li trasforma in quattro cigni bianchi.

Giasone diventa Carthage Kilbride. Il cognome Kilbride è una crasi dell’inglese “to kill” (uccidere) e “bride” (sposa) e quindi significa “colui che uccide la sposa”. Il nome Carthage, inglese per Cartagine, rimanda alla celebre espressione latina “Carthago delenda est” (Cartagine deve essere distrutta) attribuita al politico romano Catone il Censore durante le guerre puniche. Il nome del moderno Giasone sembra riferirsi alla vendetta di Medea, mentre il suo cognome anticipa la fine di Hester.

Il Creonte irlandese si chiama Xavier Cassidy. Il nome Xavier deriva da un toponimo basco che significa “castello” e il cognome Cassidy deriva dal nome proprio “Caiside” che in irlandese significa “intelligente”: l’appellativo del moderno Creonte sembra associarsi al potere e all’astuzia.

1. ATTO I

1.1 Scena 1

La prima scena dell’Atto I si apre all’alba sul paesaggio innevato e ghiacciato del Bog of Cats. In sottofondo si sente la musica di un violino, quando appare Hester Swane trascinando un cigno nero morto — animale a cui la donna è molto legata — che lascia una scia di sangue sulla neve. L’ambiente del bog, tipico della regione delle Midlands — in particolare della Contea di Offaly, terra natale di Carr — è la prima innovazione del dramma: la Corinto euripidea si trasforma in una torbiera irlandese, fredda e inospitale, dove l’elemento dominante è l’acqua. Se il setting irlandese è un

unicum nel panorama letterario sulla figura di Medea, la dimensione acquea al posto

dell’ambiente urbano di Corinto è presente anche nella Medea (1988) di Lars Von Trier, ambientata nello Jutland danese: come nel film l’acqua viene associata a Medea già dal primo frame, Hester Swane compare nel bog sin dalla prima scena.

Accanto alla donna appare anche una creatura sovrannaturale, Ghost Fancier, al quale, nella prima battuta del dramma, Hester chiede chi sia. Carr sceglie di iniziare l’opera in medias res per presentare immediatamente la protagonista nel suo ambiente, discostandosi dal modello originale: Euripide caratterizza indirettamente Medea con le parole della nutrice prima di farla entrare in scena. 110

Sebbene ammetta di aver percepito spesso “things from some other world” (p. 3), Hester rimane stupita davanti all’apparizione del fantasma, soprattutto quando le dice di essere venuto a cercare una donna di nome Hester Swane per portarla nell’aldilà. La donna si palesa, ma Ghost Fancier capisce di aver scambiato l’alba col tramonto e di essere arrivato in anticipo: Hester Swane è ancora viva.

Il fantasma ha dunque la funzione di psicopompo: si tratta di un’innovazione di Carr perché la sua figura non è presente nel mito di Medea, ma si può ricollegare al personaggio di Mercurio — che nella mitologia classica si occupa di accompagnare i morti nell’aldilà — e al folklore irlandese. Ghost Fancier rimanda alle leggende sui

Lo stesso espediente drammatico viene sfruttato anche in età moderna da autori come Corneille

110

(Médée, 1643) e Cherubini (Medea, 1797), mentre già età classica Seneca aveva scelto di introdurre direttamente Medea con un monologo in incipit, tecnica condivisa anche da Grillparzer (Medea, 1821) nell’Ottocento e da Anouilh (Médée, 1946) e Alvaro (Lunga notte di Medea, 1949) nel Novecento.

fantasmi tipiche del folklore irlandese secondo cui essi sarebbero figure incapaci di stare lontani dai vivi, indugiando costantemente sul confine fra l’oltretomba e il mondo reale.

Già dalla prima scena, siamo consapevoli che, entro la fine della giornata, con l’arrivo del tramonto, Hester morirà. Anche il cigno morto che sporca di sangue rosso la candida neve, un contrasto cromatico netto che simboleggia passione, violenza e morte, rappresenta un presagio di sventura. Il cigno occupa una posizione di rilievo nel folklore irlandese, tanto che Ghost Fancier chiede ad Hester “no one ever tell ya 111 it’s dangerous to interfere with swans, especially black wans?” (p. 4). La donna spiega che quel cigno è una femmina, di nome Black Wing, che lei conosceva fin da quando era bambina; tornata nel bog dopo un lungo periodo di assenza, l’animale l’aveva accolta con gioia e le aveva baciato una mano: Hester, profondamente legata al cigno, si sente in dovere di darle una degna sepoltura, senza credere alla superstizione popolare. Carr ha associato Medea al cigno nero. Anche nella tradizione, Medea è spesso connotata con metafore ed epiteti appartenenti al regno animale: in Euripide, Medea si definisce “leonessa” (v. 187); in Levy (Medea, a Fragment in Drama 112

Form from Euripides, 1884) viene paragonata ad una tigre (“a very tiger”, v. 67); in 113 Anouilh viene associata ad un’aquila (“aigle”) e ad un avvoltoio (“vautour”) e in 114 Alvaro ad una “vipera". Carr decide di enfatizzare la metafora animale creando un 115 vero e proprio alter ego della sua Medea, già evidente dall’assonanza fra la parola “swan” (cigno in inglese) e “Swane”, cognome di Hester. Il legame fra la donna e il cigno sarà esplorato nelle scene successive, ma, già nell’incipit, esso anticipa il destino di Hester.

Ghost Fancier chiede poi ad Hester se viva nel caravan che si vede in lontananza e lei risponde: “used to; live up the lane now. In a house, though I’ve never felt at home in it” (p. 4). Non è la prima volta che in un dramma del Novecento — epoca di scontri

Smyth, Daragh, A Guide to Irish Folklore, Dublino, Irish Academic Press, 1996, p. 121.

111

Euripide, Medea, Ciani, Maria Grazia (ed.), Venezia, Marsilio, 1997, p. 70.

112

“Una vera tigre”, Medea in Athens/Medea, Rossi Linguanti, Elena (ed.), Pisa, Edizioni ETS, 2016,

113

p. 124.

Anouilh, Jean, Nouvelles Pièces Noires, Parigi, Les Editions de la table ronde, 1958, p. 366.

114

Alvaro, Corrado, Lunga notte di Medea, Milano, Bompiani, 1966, p. 105.

culturali, politici e sociali — Medea vive in un caravan: simbolo di emarginazione sociale e xenofobia, anche Anouilh, nel 1946, lo ha scelto come setting per il suo dramma. L’immagine del caravan, ai margini del bog, messa a contrasto con l’immagine di una casa suggerisce immediatamente la contrapposizione fra centro e periferia, fra inclusione ed esclusione, fra regola ed eccezione: concetti che andranno poi ad ampliarsi nell’opposizione binaria fra straniero (Medea) e nativo (Giasone). Sebbene viva in un’abitazione tradizionale, Hester afferma di non sentirsi davvero a casa lì e quindi di rimpiangere il suo caravan, facendo intuire la sua diversità.

Proprio quando Ghost Fancier se ne sta andando, entra in scena Monica Murray, vicina di casa di Hester che non vede il fantasma e si stupisce del fatto che Hester parli da sola: “there’s no wan, but ya know this auld bog always shiftin’ and changin’ and coddin’ the eye” (p. 5). Le parole di Monica sottolineano ulteriormente la peculiarità di Hester rispetto alle persone comuni che non riescono ad avere contatti con l’aldilà e descrivono il bog come un luogo mutevole e ingannevole, dimensione adatta al contatto fra vivi e morti.

Improvvisamente, Monica chiede ad Hester se ha intenzione di andarsene, ma la donna risponde “I’m going nowhere. This here is my house and my garden and my stretch of the bog and no wan’s runnin’ me out of here”. Già dal suo interessamento per la condizione di Hester, è evidente che Monica è accostabile alla figura della nutrice: in Euripide la nutrice apre la tragedia raccontando l’antefatto e in età moderna questo personaggio acquista sempre più rilievo e autonomia, arrivando ad avere un nome proprio e una ruolo importante in Corneille, Cherubini, Grillparzer e Alvaro.

Per Carr, il dialogo fra Monica e Hester rappresenta l’escamotage drammatico per introdurre la situazione attuale e per spiegare l’antefatto. Anche se, parlando col fantasma, Hester aveva detto “I have a daughter” (p. 5), è Monica a pronunciare il nome della bambina — proponendosi di portare Josie a fare colazione a casa sua — e a lasciarsi andare ad una riflessione su di lei: “the child, Hester, ya have to pull yourself together for her, you’re goin’ to have to stop this broodin’, put your life back together again” (p. 6). Questa esortazione di Monica — a metà fra una critica e un consiglio — rimanda al motivo di Medea come madre imperfetta, già presente in

Euripide: la nutrice di Euripide afferma che Medea odia i suoi figli e li guarda con sguardo torvo.

Monica introduce anche la figura di Caroline Cassidy, la moderna Creusa. Monica racconta ad Hester di aver incontrato Caroline al supermercato e le ha sentito dire che distruggerà la casa di Hester per costruirne una nuova dove vivere con Carthage. Anche in Euripide è la nutrice a nominare per prima la figlia di Creonte nel prologo dove espone l’antefatto, mentre in Seneca è Medea stessa a citare la nuova sposa di Giasone nel monologo che apre la tragedia, ma mentre nei testi classici non compare mai in scena, nella modernità, a partire da Corneille, il suo personaggio acquista maggior spessore e rilievo. Qui è forse la prima volta che si trova un’aggressività 116 così esplicita nei confronti di Medea e la determinazione ad appropriarsi di tutto ciò che è suo.

Infastidita, Hester risponde che Caroline è solo un piccolo problema facilmente risolvibile, ma si mostra rancorosa verso Carthage: “if he thinks he can go on treatin’ me the way he’s been treatin’ me, he’s another thing comin’. I’m not to be flung aside at his biddin’. He’d be nothing today if it wasn’t for me” (p. 6). In queste parole su Carthage, Hester rimanda al passato, prendendosi il merito di aver aiutato il compagno a raggiungere la sua attuale posizione sociale, un’idea che compare in 117 tutta la tradizione, da Euripide a Pasolini (Medea, 1969).

Monica risponde ad Hester che tutta la comunità è a conoscenza dei trascorsi di Carthage, ma la donna si infuria:

Well, if they do, why’re yees all just standin’ back and gawkin’. Thinks yees all Hester Swane with her tinker blood is gettin’ no more than she deserves. Thinks yees all she’s too many notions, built her life up from a caravan on the side of the bog. Thinks yees all she’s taken a step above herself in gettin’ Carthage Kilbride into her bed. Thinks yees all yees know it’d never last. Well, yees are thinking wrong. Carthage Kilbride is mine for always or until I say he is no longer mine. I’m the one who chooses and discards, not him, and certainly not any of yees. And I’m not running with me tail between me legs just because certain people wants me out of their way (pp. 6-7).

Come donna straniera, Hester cita nuovamente il caravan e si dichiara vittima del disprezzo della comunità, a causa del suo “tinker blood”. Il termine tinker è un modo

In Euripide Creusa possiede un nome proprio, mentre in Seneca rimane anonima.

116

In seguito verrà esplicitato il fatto che Hester e Carthage non sono sposati.

dispregiativo per definire gli Irish Travellers: un gruppo etnico nomade che vive prevalentemente in Irlanda e nel Regno Unito e che mantiene una serie di tradizioni e costumi. Hester è consapevole di essere discriminata per le sue origini, ma si 118 oppone all’odio sociale, rifiutandosi di andare via. Nella tradizione la colchica Medea è sempre straniera, ma la questione etnica diventa più rilevante a partire dall’Ottocento con la trilogia di Grillparzer e col monologo drammatico di Levy fino a diventare il fulcro delle versioni del Novecento di Lenormand (Asie, 1931), di Anderson (The Wingless Victory, 1936), di Anouilh (Médée, 1946) e di Alvaro (Lunga

notte di Medea, 1949).

Hester dichiara “Carthage Kilbride is mine” e sembra ricollegarsi alla tradizionale connotazione di Medea innamorata: nelle Heroides di Ovidio, nel ricordare il matrimonio fra Giasone e Creusa, Medea dice meus est (v. 158) e nel melodramma 119 di Cherubini Medea dice “Giasone è mio” quando discute con Creonte nella sesta 120 scena dell’Atto I.

Monica sottolinea il fatto che Carthage l’ha ormai abbandonata e che non tornerà più, suscitando in lei un’altra reazione:

Ah you think ya know everythin’ about me and Carthage. Well, ya don’t. There’s things about me and Carthage no wan knows except the two of us. And I’m not talking about love. […] Our bond is harder, like two rocks we are, grindin’ off of wan another and maybe all the closer for that (p. 7).

Il legame fra Hester e Carthage va oltre l’amore e nasconde dei segreti, facendo intuire la presenza di un crimine passato che verrà rivelato solo in seguito.

Inoltre, la similitudine fra i due amanti e due rocce (“two rocks”) è un riferimento alle Simplegadi: due rupi cozzanti che gli Argonauti hanno affrontato durante il

Gli Irish Travellers si definiscono Minkiers o Pavees in inglese e an Lucht Siúil (gente che

118

cammina) in irlandese. Il termine tinker si può tradurre con “stagnino” e si riferisce, in modo discriminante, ad uno dei lavori più diffusi nella loro comunità. A questo gruppo itinerante, le cui origini storiche sono ancora ignote, è stato formalmente riconosciuto lo status di minoranza etnica in Irlanda nel 2017.

“Egli è mio!”, Publio Ovidio Nasone, Lettere di Eroine, Rosati, Gianpietro (ed.), Italia, Bur, 1989, p.

119

247.

Il libretto del melodramma di Cherubini è disponibile al seguente link: https://www.opera-

120

viaggio per recuperare il vello d’oro. L’episodio delle rocce che distruggono le navi 121 viene ripreso anche da Ovidio e da Webster (Medea in Athens, 1870): nelle Heroides, ripensando alle colpe di cui si sono macchiati, Medea immagina di morire insieme a Giasone schiacciata dalle Simplegadi (compressos utinam Symplegades elisissent /

nostraque adhaerent ossibus ossa tuis, vv. 121-122), una morte comune invocata da 122 Medea anche in Webster, che rimpiange di non essere morta amando Giasone (“why did I not die loving him?”, v. 177). 123

Se nell’antichità le due rocce rappresentano un ostacolo pericoloso, in Carr esse diventano il simbolo di un legame che Hester considera più forte dell’amore: scontrandosi, Hester e Carthage si avvicinano e si allontanano, senza riuscire a smettere, come le Simplegadi prima degli Argonauti.

1.2 Scena 2

La scena si apre con Josie che, scalza e in pigiama, gioca nella neve mentre canta una canzone:

By the Bog of Cats I dreamed a dream of wooing. I heard your clear voice to me a-calling

That I must though it be my undoing.

By the Bog of Cats I’ll stay no more a-rueing. To the Bog of Cats I one day will return, In mortal form or in ghostly form,

And I will find you there and there with your sojourn, Forever by the Bog of Cats, my darling one (p. 8).

Il significato di questa canzone, malinconica e nostalgica, verrà compreso pienamente più avanti, ma è già evidente l’ostinazione di Hester a voler rimanere nel

bog.

Nelle Argonautiche (Libro II, vv. 309-610), Apollonio Rodio racconta l’episodio delle rupi cozzanti:

121

gli Argonauti hanno affrontato le Simplegadi a Salmidesso, sul Bosforo, durante la quinta tappa del loro viaggio. Grazie ai consigli dell’indovino Fineo e all’intervento di Atena, la nave Argo riesce a superare le rocce e a fermare per sempre il loro movimento.

“Ah, se le Simplegadi ci avessero stretti insieme e schiacciati, e le mie ossa fossero unite alle tue

122

ossa”, Publio Ovidio Nasone, op. cit., p. 242.

“Perché non sono morta amandolo?”, Medea in Athens/Medea, Rossi Linguanti, Elena (ed.), Pisa,

123

Josie, unica figlia femmina di Hester, rappresenta un’innovazione di Carr perché tutta la tradizione precedente rimane legata ad Euripide nel numero e nel sesso dei figli, soltanto Anderson predilige due figlie femmine. A differenza dell’originale, Carr assegna un nome proprio alla figlia di Hester. Grillparzer chiama i figli Esone e Apsirto e Lenormand li chiama Apait e Said. La scelta di far parlare Josie si configura come una variante rispetto ad Euripide, ma non come un unicum: i figli intervengono in Alvaro, per poi guadagnare più visibilità nei riadattamenti cinematografici, soprattutto in Von Trier.

Appena Josie smette di cantare, fa il suo ingresso un nuovo personaggio, Mrs Kilbride, madre di Carthage. Mrs Kilbride, la nonna di Josie, si rivelerà essere una figura negativa. Sin dalle prime battute, dimostra la sua indole aggressiva evitando ogni contatto intimo e mantenendo un rapporto formale con la nipote quando le dice “I tould ya not to call me Granny” (p. 8). Attraverso il personaggio di Mrs Kilbride Carr esplora alcuni temi assenti nella produzione precedente perché tipicamente irlandesi oppure strettamente connessi al teatro dell’autrice, come emergerà in seguito.

1.3 Scena 3

La scena inizia con Hester che sta scavando una buca per seppellire Black Wing nei pressi del caravan, quando viene interrotta dall’arrivo di Catwoman: una donna cieca di mezza età che indossa un lungo cappotto di pelo di gatto ricoperto di occhi e zampe di animali e che cammina con un bastone. Catwoman è un personaggio legato alla dimensione onirica e spirituale, che, alla sua prima apparizione, formula già una profezia su Hester. Catwoman ha fatto un sogno su Hester e glielo racconta:

Dreamt ya were a black train motorin’ through the Bog of Cats and, oh, the scorch off of this train and it blastin’ by and all the bog was dark in your wake,

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