Le procedure di allerta e di composizione assistita della crisi nella Legge 19 ottobre 2017, n. 155
Sommario: 1. Le ragioni che hanno pregiudicato l’introduzione delle misure di allerta nel nostro ordinamento; 2. I vantaggi dell’allerta: tra “eticizzazione” dei creditori ed etica d’impresa; 3. I precedenti lavori della Commissione Trevisanato; 4. Dall’istituzione della Commissione Rordorf alla Legge 19 ottobre 2017, n. 155; (segue) 4.1. L’allerta su iniziativa del debitore. L’incentivazione all’attivazione della procedura; (segue) 4.2. L’allerta interna; (segue) 4.3. L’allerta esterna; (segue) 4.4. Le procedure di allerta nel “Codice della crisi e dell’insolvenza”.
1. Le ragioni che hanno pregiudicato l’introduzione delle misure di allerta nel nostro ordinamento
Guardando alla relazione illustrativa che accompagna il disegno di legge n. 3671-bis170, si legge subito che il progetto volto alla riforma (al tempo definita ancora organica) delle discipline della crisi d’impresa e dell’insolvenza «muove dalla considerazione che è divenuta ormai indifferibile una riforma organica dell’intera materia dell’insolvenza e delle procedure concorsuali ad essa relative. Anche solo dal punto di vista dell’immagine, appare assai singolare che la normativa di base sia ancora costituita, a tal riguardo, dal r.d. 19 marzo 1942, n. 267 (c.d. legge fallimentare), quando quasi tutti gli altri Stati dell’Unione europea si sono dotati di normative sull’insolvenza ben più recenti»171
.
170 V. infra par. 4.0.
171
Relazione al disegno di legge delega n. 3671-bis recante “Delega al governo per la riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza” in
https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_2_1.page?contentId=SAN1218151&previsiou sPage=mg_1_2_1.
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Se non fosse che la determinante europea ha praticamente obbligato il nostro ordinamento a compiere il passo verso l’adeguamento alle nuove indicazioni in materia di procedure di ristrutturazione e insolvenza nell’ottica di un sistema improntato all’early warning, resta da chiedersi perché il nostro Paese abbia dovuto ritardare così eccessivamente la predisposizione di strumenti di osservazione preventiva dell’impresa, quando negli altri ordinamenti già da molto tempo si era presa effettiva coscienza dei vantaggi legati ad una normativa di favore verso l’emersione anticipata della crisi.
Va detto che il tema dell’allerta è stato oggetto di ampi dibattiti in sede sia dottrinale che legislativa. Se da una parte si è sottolineata la strumentalità dell’informazione nella rilevazione della crisi d’impresa172
, dall’altra le misure di allerta sono state persino oggetto di espressa previsione negli schemi dei disegni di legge delega di riforma ad opera della Commissione Trevisanato173.
I lavori della Commissione Trevisanato non diedero frutti, né la loro attenzione all’allerta fu spunto di riflessione per i testi dei provvedimenti promulgati fino al 2016 in ambito fallimentare.
Per alcuni, un forte motivo era da rintracciarsi nella prassi economico- finanziaria che si sviluppa non appena traspare una situazione di crisi aziendale. Si produce, massimamente da parte dei creditori finanziari, una sorta di corsa al “si salvi chi può”, con una gara nell'adozione di azioni conservative e di recupero, le quali di fatto distorcono
172 Circa l'importanza del ruolo dell'informazione nell'individuazione degli indici
rilevatori della crisi, v. M.C.CARDARELLI, Istituti di allerta e prevenzione nella riforma
delle procedure concorsuali, in AA.VV., Crisi dell’impresa e insolvenza, Milano, 2005,
p. 102 ss. In particolare si rileva che il flusso informativo che parte dall'impresa verso il mercato è determinante nell'accertamento dell'esistenza della crisi; così come assumono fondamentale importanza i requisiti di verità, di trasparenza e di correttezza del dato informativo diffuso dall'imprenditore (p. 104). Individuati (da parte dei giuristi) gli indici rivelatori della crisi, compito del legislatore è quello di disciplinare le informazioni relative a quegli indici; le modalità possono essere le più varie, ma ciò che conta è che i soggetti interessati possano rilevare e verificare l'esistenza della situazione critica della gestione d'impresa (p. 105). Sul rilievo assunto dal profilo informativo nel quadro dei doveri degli amministratori dell'impresa in crisi, v. anche Uncitral,
Legislative Guide on Insolvency Law. Part four: Directors'obligations in the period approaching insolvency, p. 10.
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ulteriormente il ciclo operativo del debitore, facendo precipitare l'impresa in una situazione di difficoltà notevolmente più grave di quella che effettivamente esisteva nel momento in cui la “crisi” era divenuta nota ai terzi174.
Tale ultima affermazione è senz’altro vera ma non può convincere del tutto. Quando le passività superano le attività è vero che i creditori tendono a sprecare risorse nel tentativo di appropriarsi per primi di “pezzi” del patrimonio del debitore con effetti pregiudizievoli sull’unità aziendale. Così com’è vero che se l’impresa è cosa dinamica175, l’azione
disordinata dei singoli creditori può generare l’impossibilità di prosecuzione, il conseguente depauperamento e talora persino l’insolvenza di imprese sane laddove le difficoltà erano solo apparenti176
. Ma allora, dovrebbe essere interesse precipuo dei creditori come gruppo177 che la liquidazione, in caso di insolvenza, avvenga in modo ordinato attraverso una procedura collettiva che coordini le singole rivendicazioni, imponendo un criterio di distribuzione proporzionale
174 M.S
ANDULLI, I controlli delle società come strumenti di tempestiva rilevazione della
crisi d’impresa, in Fall., 9, 2009, p. 1100 ss.
175 L’impresa in attività spesso ha un valore maggiore di quello risultante dalla
sommatoria dei singoli beni che la compongono definito avviamento. L’avviamento inteso come capacità dell’impresa di creare valore, deriva dalla circostanza che il complesso di beni e rapporti organizzato dall’imprenditore sia una cosa appunto dinamica.
176 Mi riferisco al cd. common pool problem. Di fronte ad una situazione economico-
patrimoniale incapiente, ogni creditore tende alla massimizzazione della realizzazione del proprio credito, anziché cooperare con gli altri creditorie con l’imprenditore per la soluzione della crisi. Sulla nozione di common pool, v. A.E.FRIEDMAN, The Economics
of the Common Pool: Property Rights in Exhaustible Resources, in 18 UCLA L. Rev.
855, 1971.
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I creditori, presi come gruppo e non come singoli, hanno senz’altro un obiettivo comune: la massima valorizzazione del patrimonio del loro comune debitore, in qualunque modo essa possa essere attuata e fino al limite dell’importo complessivo dei loro crediti. Così, se l’impresa produce ricchezza, o comunque ha un valore positivo, è nell’interesse del gruppo dei creditori (non necessariamente dei singoli creditori) continuarne l’esercizio; se invece essa distrugge ricchezza e non è suscettibile di tornare a produrne, è nel loro interesse a che ciascun cespite sia valorizzato nel modo migliore possibile: i crediti dovrebbero essere monetizzati celermente e nella misura massima ottenibile, gli immobili non produttivi dovrebbero essere alienati al miglior acquirente, etc. Passando dal particolare al generale, si può certamente dire che i creditori hanno interesse a che dal patrimonio del comune debitore sia tratta la massima utilità possibile, e che tale interesse, relativamente all’impresa, si specifica nell’interesse alla continuazione o alla cessazione a seconda che essa valga più come complesso di beni in attività (“going concern”) o come complesso di beni disaggregati. Così, L. STANGHELLINI, Proprietà e controllo dell’impresa in crisi, in Riv. Società, 5, 2004, pp. 1056-1057.
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all’entità della pretesa e che consenta la salvaguardia dei valori aziendali, anche attraverso la prosecuzione dell’attività economica, impedendo ai singoli creditori di appropriarsi o disporre di singole componenti dell’impresa178-179
.
D’Alessandro, d’accordo con la mancata introduzione dell’allerta a seguito dei lavori della prima Commissione, è stato addirittura ancor più duro. Secondo l’autore, un vizio importante connoterebbe il principio della c.d. diagnosi precoce della crisi. Testualmente, “Il debitore in difficoltà cercherà certo di curarsi da solo, ma è assai improbabile che si assoggetti spontaneamente, fin dalle prime avvisaglie del male, a cure o anche solo a controlli dall’esterno. È dunque poco realistico fare affidamento su altro che non un intervento autoritativo. Ma – e qui sta il punto – un intervento autoritativo, ossia un’ablazione, un esproprio delle prerogative e dei diritti del debitore, non si giustificherebbe (non sarebbe legittimo) se non in presenza di un’ormai conclamata incapacità di adempiere, quindi di uno stato patologico giunto alla fase acuta e presumibilmente irreversibile.”180.
Interessante anche la critica di Ruggiero. I motivi per cui il raggiungimento di un effettivo equilibrio e della piena compatibilità delle procedure d’allerta con l’attuale sistema di controllo societario appare un obiettivo molto complesso e difficilmente raggiungibile, sono essenzialmente due. Anzitutto la difficoltà, in concreto, di predisporre strutture di rilevamento ad hoc, di matrice pubblicistica, aventi lo
178 F. F
IMMANÒ, L’allocazione efficiente dell’impresa in crisi mediante la
trasformazione dei creditori in soci, in Riv. Società, 2010, p. 57 ss.
179 Tuttavia, la comunanza di interessi fra creditori non è sufficiente a renderli un
gruppo coeso: da un lato, infatti, può esservi obiettiva incertezza sulle scelte da compiere, dall’altro all’interno della categoria dei creditori possono coesistere appunto interessi diversi. Se il creditore garantito da ipoteca capiente è completamente indifferente alla sorte del resto del patrimonio, avendo come unico interesse che l’oggetto della sua garanzia venga celermente liquidato, i creditori chirografari, pur nell’interesse di trovare un accordo e a non ingaggiare una gara tra di loro, in virtù del loro numero e del fatto che diventano creditori in momenti successivi, sono indotti ad anticiparsi a vicenda. V. L.STANGHELLINI, Proprietà e controllo dell’impresa in crisi,
op. cit., p. 1057 e P. SANTELLA, Alcune considerazioni su soluzioni alternative in
materia di fallimento, in Riv. dir. comm., II, 2002, p. 383. 180 F. D’A
LESSANDRO, La crisi dell’impresa tra diagnosi precoci e accanimenti
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specifico fine del monitoraggio della situazione economico-patrimoniale di un numero, obiettivamente molto rilevante di società, le quali, già per la loro stessa costituzione, richiederebbero investimenti di tenore notevole. Secondariamente, l'introduzione delle “procedure di allerta” potrebbe configurare un'indebita ingerenza dell'organo giurisdizionale nell'operato dell'imprenditore, in frontale violazione della business judgement rule e, ancora più in generale, del diritto di libera iniziativa economica: in altri termini, se declinate in forma molto rigida e non adeguatamente mitigate, le procedure di allerta si potrebbero tradurre in iniziative di natura dirigistica, finendo per orientare con imposizioni esterne l'operato degli imprenditori181.
Muovendo dalle opinioni appena espresse, sembra siano stati questi i motivi del totale disaccordo avverso l’introduzione delle procedure di allerta nel nostro ordinamento: il forte timore di un’ingerenza dell’autorità giudiziaria che consentirebbe al giudice una sorta di controllo diretto d’ordine pubblico dell’economia; l’inesistenza di un’istituzione pubblica o privata che abbia le competenza specifiche per assolvere al gravoso compito di sollecitare e persuadere l’impresa che si trovi in difficoltà ad adottare le soluzioni più adatte182; il tendenziale percorso di degiurisdizionalizzazione con progressiva emarginazione del ruolo del giudice, per lo più attivo nella fase di tutela dei diritti in sede contenziosa, ma disimpegnato nel ruolo di intermediazione sul fronte della gestione della crisi d’impresa183-184
.
181 Secondo l’autore una soluzione per aumentare la tempestività del ricorso alle
procedure, negoziale e concorsuali, di composizione della crisi potrebbe essere quella di incentivare il controllo endo-societario attraverso la responsabilizzazione del ruolo dei sindaci e la connessa necessaria intensificazione della responsabilità risarcitoria di questi ultimi, ai sensi degli artt. 2403 e 2407, comma 2, c.c. V. RUGGIERO, La
responsabilità del collegio sindacale per omessa vigilanza anche in relazione alle “Norme di comportamento” del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti, in Dir. fall., 5, 2015, p. 10424 ss.
182 A questo problema risponde l’art. 2, comma 1, lett. n, L. 155/2017. Nell’esercizio
della delega di cui all’art. 1 della stessa legge, il Governo provvede anche ad “Assicurare la specializzazione dei giudici addetti alla materia concorsuale”.
183
A questo problema risponde l’art. 4, comma 1, lett. b, che prevede l’attribuzione della gestione delle procedure di allerta ad un apposito organismo di composizione assistita della crisi istituito presso ciascuna camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura.
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2. I vantaggi dell’allerta: tra “eticizzazione” dei creditori ed etica d’impresa
Un decennio dopo l’ultimo intervento legislativo importante in materia concorsuale che aveva spezzato l’immobilismo di una disciplina che sembrava non volersi rinnovare, il risultato è stata la constatazione dell’insufficienza e, forse, del parziale naufragio di quell’intervento che pure era stato annunciato come storico185.
Per la verità, lo stesso impianto originario della legge fallimentare, nonostante la sua connotazione essenzialmente sanzionatoria del fallimento, già metteva a disposizione dell’imprenditore “onesto ma sfortunato” due procedure premiali, quali il concordato preventivo e l’amministrazione controllata. Il ricorso alle stesse, come poi ha evidenziato la prassi, è quasi sempre però risultato tardivo.
La riforma del 2006 interviene sul concordato preventivo rendendone particolarmente più agevole l’accesso: viene soppresso il requisito soggettivo della meritevolezza, viene eliminata la necessità di una percentuale minima da offrire ai creditori, viene prevista la possibilità di suddividere i creditori in classi omogenee ed, infine, viene sostituito il requisito oggettivo dello stato di insolvenza con lo “stato di crisi” in cui versa l’impresa186
.
Sicuramente, il legislatore pensò che la poca appetibilità dell’istituto fosse dovuta proprio all’elevato grado di soddisfazione preteso per i creditori. Ma altrettanto sicuramente si sbagliava. Le percentuali di soddisfazione dei creditori richieste (oltre il totale per i creditori privilegiati, almeno il 40% per i chirografari), avevano un preciso significato: supponevano una situazione patrimoniale ancora capiente, pur se non completamente sufficiente.
In realtà, una costante ha sempre caratterizzato l’alveo delle procedure alternative al fallimento: il fattore tempo. Se da una parte il debitore è 184
S.DE MATTEIS, L’allerta nel disegno di legge delega n. 3671-bis, in Dir. fall., 2017, 3-4, p. 751 ss.
185 F.R
OLFI, Il futuro del diritto fallimentare, oggi, in Iustitia, 2015, 4, p. 452.
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convinto che il tempo giochi a suo favore nel trovare soluzioni alla crisi della sua impresa, anche i creditori hanno interesse a che l’impresa prosegua in bonis, così da avere la possibilità di trattare con il debitore, nel frattempo, una qualche posizione di favore in un regime differenziato rispetto ad altri.
Ma allora, la riforma del 2006 ha contribuito all’agevolazione nell’accesso alla procedura di concordato, così da evitare che il debitore si rivolga alla procedura concorsuale quando ormai per i creditori resta ben poco e così da tentare pure la strada del risanamento aziendale? E, soprattutto, l’aver affidato alla sola iniziativa del debitore il ricorso a soluzioni alternative al fallimento ha portato a dei concreti vantaggi in termini di salvaguardia e risanamento dell’impresa?
Per entrambi i quesiti la risposta è senz’altro negativa. Anzi, se possibile la riforma ha quasi sortito l’effetto opposto. Il fatto che la procedura fosse diventata d’un tratto praticabile a qualsiasi condizione non ha affatto costituito una sollecitazione ad un suo tempestivo ricorso per il debitore. Se l’imprenditore infatti sa che in ogni momento potrà fare ricorso alla procedura di concordato, non avrà alcuna fretta a farvi ricorso, a pregiudizio della possibilità di soddisfazione dei creditori187. Anche i successivi interventi normativi hanno seguito la scia della spinta al ricorso della procedura di concordato, come nel caso dell’introduzione del c.d. “concordato in bianco”188
ed i correlati effetti di automatic stay. Si deve però comunque tener presente un concetto estremamente importante.
L’impresa costituisce un’entità complessa nella quale confluiscono gli interessi non solo dell’imprenditore, ma di tutta una serie di interlocutori – stakeholders – che in essa o attorno ad essa operano: dipendenti, clienti, fornitori, finanziatori. Il venir meno dell’impresa lede gli interessi di questa pluralità di interlocutori, laddove la conservazione del suo
187
M.SANDULLI, I controlli delle società, op. cit., p. 1100 ss.
188 L’art. 82 del decreto legge 69/2013 è tornato sulla disciplina del concordato
preventivo “in bianco” anche definito “con riserva”, al fine di offrire maggiori garanzie di carattere informativo per i creditori e per il tribunale.
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valore, e la sua prosecuzione – in modo anche indipendente dalla prosecuzione dell’attività del suo titolare – costituisce un valore economico da salvaguardare189.
Eppure, il concordato con continuità aziendale ha visto la luce soltanto nel 2012.
Il concordato preventivo, uno degli strumenti più efficaci per risolvere positivamente la crisi dell’impresa e recuperarne le potenzialità aziendali nelle ipotesi di insolvenza non ancora irreversibile190, si è così spesso trasformato in uno strumento di mera “liquidazione pilotata”, scelto al solo scopo di evitare il fallimento ma con esiti economici finali non molto migliorativi, tanto da assistere spesso a proposte concordatarie che riservavano ai creditori chirografari percentuali a volte infime, con un effetto di vero e proprio contagio dell’insolvenza191
.
Ben venga allora un meccanismo che, anche “eticizzando” il ruolo dei creditori, consenta, a seguito di una segnalazione anticipata della crisi, una convocazione del debitore per sollecitarlo a trovare soluzioni idonee che possano risolvere la crisi dell’impresa192
.
L’introduzione di un concetto di “stato di crisi” prodromico alla vera e propria insolvenza ha permesso ai creditori, e soprattutto ai creditori- finanziatori (banche, per lo più)193, di diventare essi stessi i veri «giudici»
189 Ciò è ancor più evidente in un’economia nella quale l’impresa “marcia” assai meno
su beni materiali (impianti, macchinari, etc.), ed assai più su beni immateriali (brevetti, know-how, avviamento, notorietà, licenze software) il cui valore in gran parte svanisce nel momento stesso in cui l’operatività dell’impresa viene meno (e, quindi, men che meno si conserva nei tempi necessariamente articolati della liquidazione fallimentare). F.ROLFI, Il futuro del diritto fallimentare, op. cit., p. 455.
190 G. C
HERUBINI, Riforma fallimentare. Guida commentata alla legge 155/2017, Santarcangelo di Romagna, 2017, p. 77.
191
F.ROLFI, Il futuro del diritto fallimentare, op. cit., p. 456.
192 S.D
E MATTEIS, L’allerta nel disegno di legge delega n. 3671-bis, op. cit., p. 757.
193 È questo un ruolo che potremmo definire proattivo che si addice in particolar modo
alle banche, le quali nell'ambito delle crisi assumono una posizione rilevante: (i) nell'erogazione del credito e nell'evidenziazione dello stato di crisi; (ii) nella ricerca della soluzione della crisi; (iii) nella gestione della crisi; (iv) nella fase successiva al risanamento dell'impresa. La prevenzione della crisi può essere attuata mediante: a) un'efficace attività di screening finalizzata alla verifica del cd. merito creditizio; b) un intervento propositivo nella definizione della struttura finanziaria ottimale. L'individuazione della crisi può essere, invece, realizzata attraverso un'attività di
monitoring ovvero un controllo accurato delle azioni intraprese dal debitore nella
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del’insolvenza: la decisione di sospendere l’accesso al credito comporterebbe la sanzione dell’insolvenza vera e propria194.
L’introduzione di procedure di allerta, in questo senso, avrà così il merito di coinvolgere i creditori c.d. “istituzionali” nel meccanismo volto all’emersione anticipata della crisi.
E se qualcuno potrà gridare al “paternalismo”, si sbaglia. Lo Stato, in una visione imprenditoriale che tenga conto anche dei profili etici di cui tale attività non deve mai restare immune, deve svolgere un ruolo non di ingerenza gestionale diretta, bensì di vigilanza e di impegno nel ricordare a tutti gli operatori quale sia il valore etico dell’attività che esercitano ogni giorno195.
L’impresa infatti rappresenta anche un valore etico. D’altra parte, la responsabilità dell’imprenditore nei confronti della comunità e di tutti i cc.dd. stakeholders è unicamente quella di fare profitti oppure è una responsabilità che deve estendersi a temi di portata sociale più generale? I grandi scandali finanziari scoppiati all’inizio del terzo millennio (mi riferisco principalmente ai casi Cirio e Parmalat) sembrarono quasi certificare una verità che in fondo già si poteva conoscere: l’assoluta importanza del ruolo dell’etica nell’impresa. Dunque disconoscere una concezione dell’imprenditoria come mera speculazione, come una forma perfino improduttiva di mero gioco finanziario finalizzato al guadagno e non alla vera creazione di benessere diffuso196.
Se allora l’impresa rappresenta anche un valore etico, è giunto il momento di scegliere la strada della convivenza tra libertà d’impresa e tutela degli interessi collettivi197, finalmente associando etica ed impresa. L’introduzione delle procedure di allerta (e quindi con sé il giusto regime di attenzione alle opportunità di salvaguardia delle unità produttive) non
un'efficace attività di screening e di monitoring dipende dalla quantità e qualità delle informazioni che è in grado di raccogliere relativamente all'impresa che chiede un affidamento. S.DE MATTEIS, L’allerta nel disegno di legge delega n. 3671-bis, op. cit., p. 757, nota 21.
194
C.CAVALLINI, L’impresa, la crisi, il giudice, in Riv. società, 2012, p. 760.
195 F.R
OLFI, Il futuro del diritto fallimentare, op. cit., pp. 457-458.