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Il carattere obbligatorio dell’invito alla conform azione a cui è tenuta l’am m inistrazione quale conseguenza della struttura

Nel documento La conformazione delle istanze dei privati (pagine 148-156)

vincolata della fattispecie: il ruolo della legge nell’attribuzione del vantaggio al privato.

La natura obbligatoria dell’invito alla conformazione si evince, come anticipato nell’introduzione al presente capitolo, dalla struttura delle fattispecie esaminate: ossia il legame tra la dichiarazione del privato

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e l’ottenimento del vantaggio a cui egli aspira, che vede nella predeterminazione a priori in una norma il suo elemento caratteristico.

Infatti, nei casi esaminati la norma descrive compiutamente i fatti228 e i presupposti in presenza dei quali sono integrate le condizioni

per la produzione degli effetti giudici. Dunque, il rapporto tra soggetto pubblico e privato, nonché i vari interessi in esso coinvolti, è predeterminato integralmente dalla norma229. Perciò, è nella sola norma

che va ricercata la garanzia dell’ottenimento del vantaggio giuridico o economico: che sia quello finale come nel caso di attività integralmente vincolata, o quello “intermedio” nel caso di requisiti vincolati di un’attività discrezionale o tecnica230.

L’assetto che ne deriva non è, dunque, condizionabile da parte del soggetto pubblico, al quale viene richiesto solo di accertare una situazione che si fonda in modo diretto sulla norma: solo punto di riferimento della posizione di ciascuno.

228 Sulla definizione di fatto giuridico, fattispecie e rapporto di causalità tra fatto

ed effetto si rimanda a SCOGNAMIGLIO R., Fatto giuridico e fattispecie complesse, in

Riv. trim. dir. proc. civ., 1954, pp. 331 e ss.

229 «Il rapporto, in cui si concreta la situazione giuridica attiva, è oggettivo e deriva

unicamente dalla norma; ed è solo in virtù della norma che la situazione esiste», così GUARINO G., Potere giuridico e diritto soggettivo, Jovene, Napoli, 1949, p. 254.

230 La valutazione degli interessi è già stabilita compiutamente nella legge in

entrambe le ipotesi. Solo che nel primo caso coincide con il conseguimento – o la conservazione – dell’oggetto stesso della pretesa, dato che manca, appunto, quell’elemento di ponderazione che rende incerto il risultato finale. (cfr. ORSI

BATTAGLINI A., Attività vincolata e situazioni soggettive, in Riv. trim. dir. proc. civ.,

1988, pp. 3 e ss., in particolare p. 18). Nel secondo, invece, la sintesi degli interessi è già compiuta dalla legge solo per ciò che riguarda l’aspetto vincolato; mentre il risultato finale non è garantito a priori. Infatti, a esso si frappone l’attività amministrativa di bilanciamento tra gli interessi, in vista della tutela dell’interesse pubblico primario, indicato in astratto nella norma attributiva del potere.

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Lo schema, perciò, è quello norma-fatto231: l’atto vincolato232 rende

esplicito il contenuto definito dalla norma in astratto, senza aggiungere

231 Lo schema è di CAPACCIOLI E., Disciplina del commercio e problemi del processo amministrativo, in Studi in memoria di Enrico Guicciardi, Giuffrè, Milano, 1973 ora in Diritto e processo, Cedam, Padova, 1978, pp. 349 e ss., in particolare a p. 359 vengono spiegate le due sequenze: norma-fatto e norma-potere-fatto. Nella prima la norma regola direttamente il fatto, dunque è assente ogni potere di scelta: vi sono diritti e obblighi e il giudizio è di accertamento. Nella seconda la norma attribuisce a un soggetto il potere di provvedere all’assetto delle situazioni oggettive: vi sono interessi legittimi e la tutela consiste nell’annullamento dell’atto emanato nell’esercizio del potere. Nello sviluppo della questione vengono poi in rilievo anche le nozioni di norme di azione e di relazione che CAPACCIOLI affronta in Interessi

legittimi e risarcimento dei danni, Giuffrè, Milano, 1963, p. 45, e pp. 48 e s. In particolare, l’autore afferma che le norme di azione non sono volte a garantire il soddisfacimento soltanto dell’interesse pubblico (ossia l’interesse primario) e solo occasionalmente gli altri interessi ma che, anche in esse, è presente una valutazione degli interessi secondari. Questo contemperamento si ha sia per l’attività discrezionale, che per gli atti vincolati (o per gli aspetti vincolati degli atti). La differenza sta nel fatto che, per gli aspetti vincolati, la valutazione degli stessi è già compiuta dalla legge, una volta per tutte. All’interessato il vantaggio sostanziale è attribuito dalla legge in relazione al verificarsi di una determinata situazione: l’amministrazione non deve operare alcun contemperamento. Nell’attività discrezionale la legge attribuisce alla p.a. il potere per il soddisfacimento dell’interesse primario (pubblico), pur operando un bilanciamento con gli interessi secondari. Perciò, sono norme di azione quelle che attribuiscono alla p.a. un potere di valutazione degli interessi (pubblico e privato – primario e secondario), da fare volta per volta, e norme di relazione quelle che già realizzano il bilanciamento. A tal proposito si rimanda anche a ID., Unità della giurisdizione e giustizia amministrativa, in Studi in

memoria di C. Furno, ora in Diritto e processo, Cedam, Padova, 1978, pp. 338 e ss. 232 SORACE D., Atto amministrativo, in Enc. dir., ann. III, Milano, 2010, pp. 46 e

ss., per la citazione pp. 52 e s.: «un atto è “vincolato” (in tutto o in parte) quando la legge, i regolamenti o comunque altri atti come certi piani o programmi descrivono con precisione una fattispecie e stabiliscono con altrettanta precisione le conseguenze giuridiche che debbono derivare dall’esistenza di tale fattispecie, così che all’apparato amministrativo, privo di qualsiasi potere di scelta fra interessi, non resta, nella sostanza, che verificare l’esistenza dei fatti previsti ed eventualmente affermare le conseguenze che ne derivano».

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o modificare alcunché233. In questa sequenza non vi è spazio per altro: la

funzione onnicomprensiva della norma genera la situazione soggettiva che esiste dal momento in cui la fattispecie si verifica. Infatti, la posizione di vantaggio del privato trova la sua derivazione necessaria ed esclusiva nella norma, che indica a priori le sue condizioni di esistenza, rappresentate nell’istanza.

233 Interessanti a tal proposito sono gli spunti che derivano dagli studi di filosofia

del linguaggio. In particolare, si richiamano i concetti di regole, regolanti e costitutive espressi da SEARLE J.R., Speech acts. An essay in the Philosophy of Language,

Cambridge University Press, Londra, 1969, trad. it., CARDONA G.R., Atti linguistici.

Saggio di filosofia del linguaggio, Boringhieri, Torino, 1976, pp. 61 e 80. Sono regole regolanti quelle che disciplinano forme di comportamento che già esistono in precedenza e indipendentemente; mentre sono regole costitutive quelle che creano e definiscono nuove forme di comportamento, come per esempio le regole degli scacchi che non si limitano a regolare il modo di giocare ma creano la possibilità stessa di giocare. Un sistema di regola costitutive crea un istituto umano che è il presupposto dell’esistenza dei fatti istituzionali. Ciò rimanda a un’ulteriore distinzione, quella tra fatti bruti e fatti istituzionali. Dove anche questi ultimi «sono sì dei fatti, ma la loro esistenza, a differenza di quella dei fatti bruti, presuppone l’esistenza di certi istituti umani» (p. 82). Collegando questa teorica al problema che qui ci interessa, gli atti vincolati, così come i fatti bruti di Searle, vengono presi in considerazione in quanto accadono empiricamente. Dopodiché, al fatto bruto si riconnetterà un significato sulla base delle regole che lo regolano (che saranno tuttavia regolanti e non costitutive), dato che nulla di nuovo stanno creando.

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In un contesto di questo tipo, anche la dichiarazione del privato che manifesta la sua volontà è esterna alla struttura ontica della situazione soggettiva234, la quale deriva solo dalla legge235.

234 Si fa qui riferimento al dibattito attorno alla correlazione tra diritto soggettivo

ed elemento volontaristico. Di diritto soggettivo sono state date molte definizioni: per esempio ALPA G.,GRAZIADEI M.,GUARNIERI A.,MATTEI U.,MONATERI P.G.,SACCO

R., Il diritto soggettivo, in SACCO R. (diretto da), Trattato di Diritto Civile, Utet,

Torino, 2001, p. 63. parlano di «varietà di accezioni del diritto soggettivo»; RESCIGNO

P., Manuale di diritto privato italiano, Jovene, Napoli, 1975, pp. 236 e ss. Per una ricostruzione delle elaborazioni dogmatiche attorno a tale figura si rinvia a GENTILI

A., Pretesa, in Enc. giur., XXIV, Roma, 1991, pp. 1 e ss. Tuttavia, nella grande eterogeneità di accezioni attribuite a questa figura l’elemento volontaristico è stato comunque ritenuto di grande importanza. A tal proposito PERLINGIERI P., Manuale

di diritto civile, Jovene, Napoli, 2014, pp. 81 e ss. e GALGANO F., Diritto privato,

XVI ed., Cedam, Padova, 2013. In particolare, è possibile individuare due teorie in merito: quella che si incentrava sull’elemento volontaristico e quella che, invece, guardava all’interesse protetto. In un primo momento era prevalsa la centralità della dimensione volontaristica. Cfr. SAVIGNY F. C., Sistema del diritto romano attuale,

cit., pp. 335 e ss.;RUSSO E., Il concetto di diritto soggettivo, in DONATI A.,GARILLI

A.,MAZZARESE S., SASSI A. (a cura di), Studi in onore di Antonio Palazzo, vol. I,

DONATI A.,SASSI A.(a cura di), Diritto Privato. Fondamenti etici e processo, Utet,

Torino, 2009, pp. 57 e ss. e BARBERO D., Il diritto soggettivo, in Foro it., 1939, LXIV,

cc. 2 e ss. Successivamente si era diffusa una concezione che poneva l’elemento volontaristico fuori della struttura del diritto soggettivo: si trattava della teoria dell’interesse giuridicamente protetto. Su tale concezione avevano preso posizione in senso critico vari autori, per esempio: MIELE G., Potere, diritto soggettivo e interesse,

cit., pp. 114 e ss. che affermava come non si possa far «consistere [il diritto soggettivo] in un interesse giuridicamente protetto, perché, se il termine interesse viene inteso in senso soggettivo, come esigenza del soggetto che sia data soddisfazione a certi suoi bisogni (e oggetto dell’interesse è un bene, giudicato atto alla soddisfazione di quei bisogni), incontriamo le stesse difficoltà opposte dall’esistenza di soggetti che non hanno il “minimum” psichico per avvertire e determinare siffatte esigenze; e, se inteso in senso oggettivo, come necessità od opportunità presunte dall’ordinamento giuridico che sia data soddisfazione a taluni bisogni, esso, oltre tutto, appare la ragione del conferimento del diritto soggettivo che un elemento della sua struttura». Era poi seguita una via mediana, che si caratterizzava per valorizzare entrambe le componenti. Si fa, per esempio, riferimento alla concezione espressa da BARBERO D.,

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Tuttavia, la dichiarazione del privato svolge un ruolo fondante nella produzione dell’effetto, perché è diretto specchio della situazione di fatto descritta nella norma, in quanto strumento di esternazione della volontà236 del titolare del diritto che vuole il prodursi dell’effetto

giuridico. Conseguentemente, se la dichiarazione del privato è il mezzo di rappresentazione di uno stato di fatto, che vede nella sola norma origine e regola, solo una circostanza sostanziale può inficiare il generarsi dell’effetto.

Perciò, l’atto del privato, quanto alla sua localizzazione all’interno del meccanismo di produzione dell’effetto, è il primo passaggio; mentre l’intervento dell’amministrazione chiude la sequenza, accertando un effetto che si è originato dalla rispondenza della situazione di fatto a quanto stabilito a monte della norma: l’effetto si origina nella legge237, si

quale agere licere, come facoltà di agire per la realizzazione dell’interesse. A tal proposito si cita BIGLIAZZI GERI L.,BRECCIA U., BUSNELLI F.D.,NATOLI U., Diritto

civile, Norme, soggettivi e rapporto giuridico, Utet, Torino, 1986, pp. 285. Nonché, nello stesso senso, anche TRABUCCHI A., Istituzioni di diritto civile, ILVI ed., Cedam,

Padova, 2013, p. 3.

235 Si ricorda a proposito anche l’insegnamento di CAMMEO F., Corso di diritto amministrativo, Cedam, Padova, p. 517, secondo il quale la manifestazione di volontà deve esserci per la produzione degli effetti, che però si producono solo in quanto la legge lo consenta.

236 Evoca la centralità del momento volitivo proprio all’interno del meccanismo di

produzione dell’effetto FERRARA L., Diritti soggettivi ad accertamento

amministrativo, cit., pp. 76 e s., secondo il quale il momento di reale produzione dell’effetto giuridico si situa nella richiesta del cittadino. Da questa considerazione l’autore mette in luce la somiglianza tra autorizzazioni di carattere vincolato e sentenze di accertamento costitutivo.

237 Cosa che peraltro costituisce un dato unificante per tutte le moderne concezioni

del diritto soggettivo. In tal senso RODOTÀ S., Il diritto di proprietà tra dommatica

e storia, in Il terribile diritto. Studi sulla proprietà privata, II ed., Il Mulino, Bologna, 1990, pp. 223 e ss.

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manifesta con la dichiarazione del privato e viene solo accertato dall’amministrazione.

Dunque, se l’attività dell’amministrazione è di sola verifica della corrispondenza della situazione di fatto alla norma, essa è obbligata a invitare il privato a regolarizzare quanto abbia dichiarato. In caso contrario, quell’atto che respinga la domanda per il solo fatto della sua incompletezza finirebbe per prevalere su quanto stabilito nella norma, indicando nella completezza medesima, ex post, una condizione di esistenza del vantaggio.

Casomai, dato che le condizioni di attribuzione del vantaggio devono essere predeterminate, affinché sia integrata la struttura al presentarsi della quale si impone l’invito alla conformazione, sarà ammissibile accrescere a monte i limiti alla produzione del vantaggio, aggiungendo requisiti o modalità di esteriorizzazione degli stessi a carattere escludente.

Invece, l’amministrazione non pare possa impedire a posteriori la produzione di un effetto che origina da un fatto descritto nella norma come indispensabile e rispecchiato nella dichiarazione, perché un vizio meramente formale, non qualificato a monte in modo certo e uguale per tutti, come condizione di esistenza del vantaggio, non può essere pretesto per impedire la produzione dell’effetto.

Dunque, davanti a uno schema in cui è la norma l’unico parametro di raffronto della completezza della domanda, l’amministrazione è tenuta alla conformazione dalla struttura medesima della fattispecie. Se è la legge a dire chiaramente cosa spetta a chi, e a che condizioni, allora il

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soggetto pubblico non ha alcun potere238: si trova posto in una situazione

di vincolatezza239 che è lo stato di obbligatorietà.

238 GUARINO G., Atti e poteri amministrativi, in CASSESE S. (diretto da), Diz. dir. pubbl., Giuffrè, Milano, 1983, pp. 266 e ss. che associa la nozione di potere al solo potere discrezionale e dunque nega che l’atto vincolato possa essere considerato esercizio di potere: al punto che di atto si tratta e non di provvedimento. Nello stesso senso LEDDA F., Potere, tecnica e sindacato giudiziario sull’amministrazione pubblica,

in Dir. proc. amm., 1983, pp. 376 e ss. che afferma come di potere amministrativo possa parlarsi solo nel caso in cui la p.a. disponga di un certo margine di discrezionalità; altrimenti l’attività amministrativa è affermazione della volontà di un precetto, che è semplice proiezione nel concreto di quanto posto dalla legge. Parla invece di «potere vincolato» SORACE D., Diritto delle amministrazioni pubbliche, Il

Mulino, Bologna, 2014, p. 369. Con ciò intendendo che anche l’atto vincolato può essere espressione di un “potere” autoritativo, in quanto, anche in relazione ad ambiti o aspetti vincolati dell’attività, è previsto come indispensabile che l’amministrazione emani un atto che regoli il rapporto e questo, pur avendo un contenuto prestabilito dalla legge, incide unilateralmente sulle situazioni soggettive dei privati: perciò è autoritativo in senso giuridico. Questa affermazione va riconnessa alla riflessione circa il significato del concetto di autoritarietà, svolta dall’autore a pp. 352 e s. Questi, seppur in relazione alla definizione del potere discrezionale, distingue il potere autoritativo in senso sostanziale dal concetto giuridico di autoritatività. Il primo attiene alla rilevanza della scelta dell’amministrazione per gli interessi degli altri, nel senso che la scelta si impone «anche contro i loro interessi, ad altri, pur se relativa ad atti che possono essere emanati solo per loro iniziativa». In tal senso la discrezionalità è sempre un potere autoritativo. Mentre diverso è il concetto giuridico di autoritatività, ossia «il potere di incidere unilateralmente sulle libertà e sui diritti degli altri» sulle posizioni giuridiche soggettive degli altri. In questa accezione, l’atto adottato dall’amministrazione nell’ambito di una scelta discrezionale può anche non avere un effetto giuridico autoritativo, così come, invece, l’atto vincolato è autoritativo in senso giuridico. Quanto appena descritto è da riconnettersi a sua volta a quanto verrà esplicitato in seguito, infra § 5, a proposito del tema della diversa costitutività degli atti vincolati o discrezionali. A tal proposito si nota per adesso che entrambi condividano tale efficacia, da rintracciare nell’essere comunque indispensabili alla produzione dell’effetto, che modifica la situazione soggettiva del privato, ma con una diversa gradazione. Agli atti vincolati infatti si applica una costitutività in senso largo, come mera efficacia accertativa della volontà della legge. L’atto, cioè, fa venire in essere l’effetto precostituito dalla legge ma non è diretta

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3. La teoria generale delle pretese procedimentali: il

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