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Uno degli aspetti che potrebbe favorire l’emergere di un modello unico di impresa sociale, a livello Nazionale, riguarda l’individuazione di una definizione unica, applicata dai cantoni, per delimitare le imprese sociali. Attualmente vi sono due diverse correnti di pensiero, a livello accademico, che possono essere ricondotte alle due grandi regioni linguistiche svizzere: quella germanofona e quella latina. La definizione proposta da Dunand & Du Pasquier (2006 in Adam et al., 2014), per le imprese sociali dell’area francofona, si focalizza maggiormente sull’aspetto sociale delle WISE, definendo quattro criteri che sono:

- il perseguimento di un interesse collettivo,

- l’avere un’attività continuativa di produzione di beni e servizi rivolti al mercato, - fornire un supporto per la ricerca di un impiego e una formazioni professionale, - l’essere, almeno in parte, autonomi nei confronti dello stato.

Questi criteri non pongono delle limitazioni precise né sul numero minimo di utenti da seguire né sulla cifra d’affari da conseguire attraverso la vendita di prodotti o servizi sul mercato.

Al contrario la definizione maggiormente utilizzata nella parte germanofona è più restrittiva rispetto a quanto proposto da Dunand et Du-Pasquier (Adam et al., 2014) e propone cinque criteri ripresi dal modello del network CEFEC (Social Firms Europe) che sono: - l’impiego di persone con disabilità o svantaggiate nel mondo del lavoro,

- la produzione di beni e servizi orientati al mercato (più del 50% dei ricavi dovrebbe provenire dall’attività commerciale),

- la presenza di almeno il 30% di impiegati con svantaggi nell’accesso al mercato del lavoro primario o con disabilità,

- il versamento di un salario di mercato indipendentemente della produttività degli impiegati, l’uguaglianza per quanto riguarda le opportunità di lavoro, dei diritti e dei doveri, oltre a dei contratti di lavoro a tempo indeterminato per la maggior parte dei dipendenti.

La definizione proposta nella parte germanofona definisce dei criteri precisi in termini numerici sia per quanto riguarda il numero minimo di utenti sia per quanto concerne i ricavi. Inoltre specifica come i salari pagati dalle WISE devono essere uguali ai livelli salariali di mercato, indipendentemente dalla produttività dell’utente.

Confrontando i criteri definitori per le imprese sociali secondo l’aiuto sociale del Canton Neuchâtel e del Canton Vallese con le due definizioni a livello svizzero si possono osservare le seguenti somiglianze: i Cantoni riprendono il concetto di produzione orientata al mercato evidenziando come le imprese sociali debbano accettare un grado di rischio economico significativo senza peraltro definire una percentuale specifica di ricavi minimi da raggiungere. Questo comporta una maggior aderenza alla visione francofona/latina

rispetto a quella germanofona. Per quanto riguarda la tipologia di utenti hai quali un’impresa sociale deve indirizzare le sue misure di reinserimento il Canton Neuchâtel specifica come debbano essere delle persone che beneficiano dell’aiuto sociale, mentre il Canton Vallese cita anche coloro in cerca di un impiego. Entrambi non definiscono però una quota minima rispetto alle altre tipologie di dipendenti attivi nell’impresa. Anche in questo caso ci avviciniamo maggiormente alla definizione francofona. Al pari della definizione germanofona i Cantoni definiscono per contro la necessità di corrispondere dei salari di mercato. Questi però non sono completamente a carico dell’impresa sociale in quanto i costi derivanti dalla ridotta produttività degli utenti, per Neuchâtel il 50%, mentre per il Canton Vallese il 40% dei costi, può essere sovvenzionato dall’ente finanziatore (l’aiuto sociale).

Da questa comparazione si nota come i Cantoni non abbiano voluto definire dei limiti troppo restrittivi per inquadrare le imprese sociali orientandosi maggiormente ai criteri proposti dal Network EMES.

Questo confronto porta ad una proposta di criteri che si potrebbero utilizzare come base per una futura definizione di impresa sociale a livello Nazionale.

Per essere riconosciuta come impresa sociale un’organizzazione dovrebbe:

- Perseguire un interesse collettivo volto principalmente al collocamento di persone svantaggiate nel mondo del lavoro;

- Svolgere un’attività di produzione di beni o erogazione di servizi in modo continuativo ed orientato al mercato, assumendosi un grado di rischio significativo. Per significativo si intende che i ricavi generati dall’attività dovrebbero essere sufficienti a coprire i costi operativi dell’impresa sociale mentre lo Stato dovrebbe sovvenzionare unicamente la parte di costi causata dalla ridotta produttività degli utenti.

- Avere una percentuale minima di lavoratori svantaggiati attivi nell’impresa. Per questo punto si può far capo alla visione germanofona e definire quindi un minimo del 30%.

- Fornire un salario di mercato ad ogni utente. Lo stato dovrebbe poi sovvenzionare la quota di salario concessa in più e non giustificata vista la ridotta produttività. Questa quota dovrebbe essere lasciata variabile (o per lo meno definire delle classi) in quanto ogni utente presenta un grado di produttività diverso. Inoltre questo calcolo dovrebbe essere rivisto regolarmente per il singolo utente in quanto il grado di produttività può variare (ad esempio su base annua).

- Avere un sistema di governance e di presa delle decisioni multi-stakeholder. In questo modo sarebbe più semplice far emergere l’innovazione sociale, come evidenziato nel modello esposto nella Figura 14.

- Avere un sistema di rendicontazione secondo l’approccio della contabilità analitica che permetta di individuare i costi legati direttamente allo svantaggio della persona in reinserimento dagli altri costi operativi dell’azienda. Questo sistema di contabilità analitica andrebbe sviluppato centralmente dallo Stato e fornito alle imprese sociali assieme ad una formazione specifica sulla sua implementazione.

Uno degli aspetti che dovrebbe favorire lo sviluppo di questo modello unico riguarda anche la creazione, da parte dello Stato, di un ufficio che si occupi di seguire le persone in reinserimento, sia esse provenienti dall’assicurazione invalidità, dall’assicurazione contro la disoccupazione o dall’aiuto sociale, in modo da fornire un servizio trasversale ed indipendente dal quadro giuridico in cui la persona è inserita.

Questo ufficio sarebbe inoltre l’unico referente per le imprese sociali. In questo modo si avrebbe sia una maggior efficacia delle misure offerte ai partecipanti dei programmi di reinserimento e le imprese sociali potrebbero essere più efficienti nella loro gestione operativa ed amministrativa. Infatti questo ufficio si occuperebbe della selezione delle imprese sociali sulla base dei criteri sopra proposti (o dei criteri che verranno definiti dallo Stato). Questo darebbe maggiore chiarezza alle imprese sociali e garantirebbe una parità di trattamento per tutte le WISE che rientrano nei criteri definitori.