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III.1. La difficile sintesi di un «movimento a più voci»

III.2.3. Carla Lonzi e l'abbandono della cultura della presa di potere

Lonzi nel Manifesto di Rivolta femminile scriveva: «Noi cerchiamo l'autenticità del gesto di rivolta e non la sacrificheremo né all'organizzazione né al proselitismo»435. Qualche anno più tardi, in una

lettera inviata ad un giornalista e pubblicata su È già politica, chiarirà meglio la frase che termina il

Manifesto di Rivolta:

alcune donne avevano assunto i modi demagogici dei partiti di sinistra e erano un esempio di operazione maschile riuscita, altre avevano preoccupazioni di classe più genuine e personali, che le portavano però ugualmente a aggirare i loro problemi. Impostavano questioni ideologiche con citazioni di Marx e Engels, si chiedevano se le donne fossero o no una classe, se il patriarcato fosse nato dalla proprietà privata, se fosse possibile una rivoluzione socialista senza la rivoluzione delle donne, ecc. […] La nostra era la strada dell'autenticità, la strada imprevista della scoperta e della manifestazione di noi stesse […] Solo attraverso un'espressione personale può venir fuori il percorso della nostra liberazione che prosegue ora veramente senza modalità fisse: non è scontata, non è uniforme, non è edificante, non è rivoluzionaria436.

434R. Baritono, La cittadinanza incompiuta delle donne, in Passato e Presente, XXVI, 2008, n.75, p.141

435Manifesto di Rivolta femminile in Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel. La donna clitoridea e la donna vaginale e altri

scritti, cit., p.18

436Lettera inviata a una giornalista che aveva proposto di farsi tramite per una diffusione non alterata della identità di

È un soggetto, quello di cui parla Lonzi, che abbandona la cultura della presa di potere, esce dalla posizione di soggetto vinto. Irrompere come soggetto imprevisto non corrisponde a una mossa di presa di potere: «la donna non va definita in rapporto all'uomo. […] L'uomo non è il modello a cui adeguare il processo della scoperta di sé da parte della donna»437. L'irruzione, però, non ha nulla di

idilliaco, riprendere lo spazio della vita contro l’ordine del potere è un conflitto costante, va oltre lo scontro per il riconoscimento. Il conflitto così come delineato da Lonzi è scontro tra due piani diversi. Lo scontro non avviene perché si contende sullo stesso terreno. Nel momento in cui si produce vita, lo spazio che si guadagna per la vita, per un sapere carnale e vitale, va a scontrarsi con spazi ordinati altrimenti, c’è un attrito che può diventare conflitto distribuito in ogni luogo in cui si compie disfacimento del potere per produrre altro.

L’irruzione del soggetto imprevisto è inizialmente quindi l’irruzione che disfa gli effetti del potere e che il potere ha sulle vite. Carla Lonzi possiede un'estrema coerenza nell'interesse che avrà in tutta la sua elaborazione sull'io femminile, sull'io soggetto sessuato del pensiero e dell'agire, «che trova in sé il principio e il senso del proprio essere[...] Un io che, a partire da qui, si rivolge al mondo, per ridefinirne codici, forme, rapporti»438. È questo il perno attorno al quale elaborerà la sua

visione di politica. È una delle sue più attente studiose che ci aiuta a precisare tale questione. Maria Luisa Boccia, riferendosi al pensiero di Lonzi, scrive:

ella non pone mai il problema della donna a partire da un dato oggettivo. Come se fosse una realtà definibile fuori di sé. Non vi è per lei un “problema donna” come tale, ma il problema di una donna e/o di un'altra, a pensarsi “io donna” e a porsi come tale nel mondo. Il suo pensiero – e la sua pratica da esso non separabile – è coerente all'esigenza di elaborare le forme in cui il soggetto femminile può dirsi e porsi come “io”. Qui è la forza della sua critica alle forme astratte e universali della politica; qui si presentano ovviamente anche i rischi e i limiti di un'ipersoggettivismo, di una difficoltà e resistenza ad “alienarsi” nel mondo, a porre fuori di sé le condizioni del proprio stesso realizzarsi»439.

Riporto questo passaggio perché, a mio parere, non solo tocca una delle questioni fondative del pensiero di Lonzi, quella dell'io femminile, ma perché in maniera lucida traccia i limiti delle politiche del femminismo basate appunto sull'“io donna” e che saranno limiti ben visibili ai mass media nelle loro accuse sul silenzio delle donne durante il caso Moro. Vi è, a mio parere, una rielaborazione, almeno in alcuni luoghi, di quello che appare come un dubbio lecito, ovvero che la rivendicazione di una pratica femminista abbia finito per rivelarsi una trappola: il separatismo

1974 e contenuta in È già politica, testi di Marta Lonzi, Anna Jaquinta, Carla Lonzi, cit., pp.110-111

437Manifesto di Rivolta femminile in Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel. La donna clitoridea e la donna vaginale e altri

scritti, cit.,1974, p.11

438Maria Luisa Boccia, L'io in rivolta. Vissuto e pensiero di Carla Lonzi, cit., p.146-147 439Maria Luisa Boccia, L'io in rivolta. Vissuto e pensiero di Carla Lonzi, cit., p.147

infatti può anche apparire come «una legittimazione della propria indifferenza al mondo e in tal modo ribadire l'insignificanza femminile nel mondo»440.

È necessario a questo punto soffermarsi sulla pratica dell'inconscio come «il metodo adatto alla politicizzazione del privato femminile», come scriverà Rivolta femminile in un suo scritto proprio dal titolo Autocoscienza441, non solo perché tale pratica rappresenta una delle peculiarità

della politica del femminismo degli anni settanta, ma anche perché la rappresentazione dell'autocoscienza come abbandono della politica merita una riflessione nell'economia di questo capitolo. Sicuramente negli scritti di Lonzi si elabora un necessario abbandono dell'agire “politico” per l'agire autocoscienziale femminista. La critica alle ideologie socialiste, ai movimenti rivoluzionari, al marxismo che «esprime una teoria rivoluzionaria dalla matrice di una cultura patriarcale» è parte integrante del percorso per tale necessario abbandono. Hegel, secondo Lonzi, non riconosce «l'origine umana dell'oppressione della donna» diversamente da quella del servo, che legata all'ethos della famiglia, è impedita nel raggiungere «l'autocosciente forza dell'universalità per cui l'uomo si fa cittadino»442. Questo ha condotto a considerare, sempre secondo Lonzi, la dialettica

servo-padrone come fondativa dell'intera dinamica sociale e della concezione della lotta politica come lotta per la presa del potere: «sul piano donna uomo non esiste una soluzione che elimini l'altro, quindi si vanifica il traguardo della presa del potere»443, passaggio, questo, più volte ripreso

nell'elaborazione femminista, a significare una concezione altra del potere, abbandonato qualsiasi desiderio di presa del Palazzo d'inverno. Maria Luisa Boccia in una spiegazione dell'elaborazione di Lonzi scrive:

Ciò che Lonzi mette acutamente in questione è piuttosto il fondamento e legittimazione della stessa dinamica sociale, nel potere e nell'eliminazione del nemico, del farsi della storia come storia eminentemente politica. Dare all'oppressione della donna lo statuto di condizione umana avrebbe infatti implicato l'impossibilità di ricondurre l'intera dimensione del dominio alla dialettica servo-padrone. Solo la cancellazione dell'inferiorità della donna dallo scenario umano-sociale ha consentito di fondare quella dialettica sulla presa del potere e di fare di questo il cuore della teoria politica. Se non vi è forma di lotta politica che non abbia al suo centro una posta di potere, non vi è modo di ridurre entro questo schema il rapporto tra i sessi, «poiché la donna come soggetto non rifiuta l'uomo come soggetto, ma lo rifiuta come assoluto»444.

Il rifiuto della logica del potere è il rifiuto di farsi definire dall'altro e tale rifiuto assume una connotazione ancora più stringente quando si giustifica una «mitizzazione dei fatti» che

440Maria Luisa Boccia, L'io in rivolta. Vissuto e pensiero di Carla Lonzi, cit., p.98 441Alice Martinelli, Autocoscienza, Rivolta femminile, 1975

442C. Lonzi, Sputiamo su Hegel, cit., p.25 443C. Lonzi, Sputiamo su Hegel, cit., p.27

444C. Lonzi, Sputiamo su Hegel, cit., p.12 in Maria Luisa Boccia, Per una teoria dell'autenticità. Lettura di Carla

corrispondono ad un indirizzo dell'agire umano al potere: «il pensiero maschile ha ratificato il meccanismo che fa apparire necessari la guerra, il condottiero, l'eroismo, la sfida tra le generazioni»445e «noi ci chiediamo – scrive Lonzi - cos'è quest'angoscia dell'uomo che percorre

luttuosamente tutta la storia del genere umano e riconduce sempre a un punto di insolubilità ogni sforzo per uscire dall'aut-aut della violenza»446. Sembra profetica Carla Lonzi in questo passaggio,

impossibile non venga in mente l'aut-aut di chi richiedeva alla fine degli anni settanta, anche al movimento femminista, uno schieramento: o con lo Stato, o con le Br. Altrettanto profetica, quanto irriverente quando riconosce che «sul piano della gestione del potere non occorrono delle capacità, ma una particolare forma di alienazione»447. È ovvio quanto tale discorso sul rifiuto della logica al

potere abbia le sue ripercussioni anche sul rifiuto di ogni analogia tra genere e classe e sull'impossibilità di fare del genere una categoria sociale. Lonzi si esprimerà in maniera precisa a riguardo in una nota a Mito della proposta culturale nel libello La presenza dell'uomo nel

femminismo:

Alla ripresa del femminismo negli anni '70 alcune donne consideravano una conquista teorizzare che le donne costituiscono una classe allo stesso modo in cui questa categoria è applicata al proletariato e alla borghesia. Sembrava un buon argomento per mettere in evidenza come nel patriarcato, anche le convinzioni rivoluzionarie stiano dalla parte di collettivi di uomini. Ma io risentivo come una violenza che questo argomento finisse per mascherare l'appropriazione di concetti che attengono ad un'altra storia e sono stati elaborati da altri, e per coprire il fatto che senza identificarsi come classe, le donne non si sentissero autorizzate a riunirsi tra loro. È stato per reagire alla violenza di questo aggancio culturale travestito da autonomia di giudizio che ho scritto Sputiamo su Hegel. O almeno vi ho trovato lo spirito contingente per farlo448.

Bisognerà ricordare che tra i primi gruppi di autocoscienza che partecipano all'iniziale fase di discussione, come il Demau e Anabasi, solo Rivolta espliciterà sin da subito la scelta della pratica separatista contrapposta alla politica tradizionale e la critica alla teoria marxista e all'ideologia rivoluzionaria, così come alle forme di mobilitazione e di lotta proprie del movimento operaio. Il

Demau è composto, almeno nel primo periodo (1966-1969) da donne provenienti dalle

organizzazioni partitiche di sinistra e nel 1970 è ancora un gruppo misto. Ad Anabasi partecipano donne che provengono dal '68 e, anche se inizia come un gruppo di sole donne, non ha un'indicazione politica in tal senso449.

L'agire politico nasce quindi dal desiderio di liberazione che per la donna «non vuol dire

445C. Lonzi, Sputiamo su Hegel, cit., p.48 446C. Lonzi, Sputiamo su Hegel, cit., pp. 50-51 447Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel, cit., p.20

448Carla Lonzi, La presenza dell'uomo nel femminismo, Scritti di Rivolta femminile, Milano, 1978, p.146 449A proposito della differenza tra i tre gruppi in cui si avvia l'autocoscienza, vedi Dal movimento femminista al

accettare la stessa vita dell'uomo perché è invivibile, ma esprimere il suo senso dell'esistenza»450,

un'espressione del proprio senso che passa attraverso la scelta del separatismo e la determinazione a muoversi in «un universo senza risposte»451.