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2.1. Mario Calcagnini d’Este

2.2.3. Carlo Varani, 1663

Il marchese Calcagnini, forse nel 1640228, sposò Costanza Varani da Camerino, figlia di Giulio Cesare Varani e Chiara di Giannandrea, ufficializzando un legame con una delle più illustri famiglie della Ferrara secentesca. Signori del territorio di Camerino, fin dall’investitura papale nel XIII secolo, furono costretti ad abbandonare il feudo sotto l’assedio di Cesare Borgia nel 1502 quando, sopravvissuto alla carneficina, Ercole Varano rifugiò alla corte di Ferrara insediandovi il novello ramo del casato. Attualmente gli studi sulla famiglia Varano trovano nella mostra allestita a Camerino e negli atti del convegno organizzato in occasione dell’evento espositivo del 2001229, il principale momento di confronto fra diversi studiosi impegnati ad indagare la storia della famiglia sotto diversi aspetti. A Lucio Scardino, spetta il merito di aver rinvenuto in diversi Archivi ferraresi fondamentali documenti inventariali che hanno permesso di comprendere l’entità della collezione custodita durante il Seicento nei Palazzi ferraresi del casato. Molti membri della famiglia si segnalarono nel corso dei secoli per particolari attitudini letterarie ma, alla luce delle più recenti scoperte archivistiche, si può affermare che i Varano si volsero con dedizione anche alla costituzione di una importante e prestigiosa quadreria. Risale al 1669 il più antico documento inventariale relativo alla divisione del patrimonio di Carlo Francesco Varano fra i figli Giuseppe ed Alfonso230. Fra i beni mobili spartiti tra i due eredi compaiono circa una cinquantina di quadri posseduti nel Palazzo di via Santo Spirito e stimati dal sarto Giorgio Buosi, già estensore della valutazione patrimoniale di Mario Calcagnini nel 1664. Il perito non riporta tutte le attribuzioni delle opere ma, in una grande varietà iconografica, compaiono i nomi dei più noti artisti della scuola locale come Scarsellino e Dosso in linea con le tendenze collezionistiche dell’epoca ma con importanti aperture verso le novità della pittura secentesca di Bononi e dello semisconosciuto “Balarini”. La constatazione della presenza di tali autori contemporanei spinse Lucio Scardino, nell’ambito della prima pubblicazione del documento nel 2001, ad ipotizzare consapevoli interessi collezionistici da parte di Carlo Francesco del quale, a quell’epoca, non era stato reperito l’inventario dei beni. Il rinvenimento del documento da parte di chi scrive [doc. 5] ha permesso di confermare con certezza le supposizioni dello

228 ASMo, Fondo Particolari, b. 252.

229 L. Scardino, Tre inventari ferraresi della quadreria Varano in “I volti di una dinastia. I da Varano di Camerino”,

Milano Federico Motta Editore, 2001, pp. 144-154 e L. Scardino Un’addenda al catalogo della mostra “i Volti di una

dinastia” in “I Da Varano e le arti” a cura di A. de Marchi, P. L. Falschi, Vol. I, ed Maroni Ripatransone, 2003, pp.

175-179.

studioso ma soprattutto di comprendere quanto fosse vasta la quadreria Varani nel XVII secolo. Carlo Francesco, fratello della marchesa Costanza Varani seconda moglie di Mario Calcagnini, aveva sposato in prime nozze la marchesa Maria Riario di Bologna, in seconde Francesca Strozzi di Firenze e, infine, Lucrezia Fiaschi di Ferrara dalle quali ebbe in tutto tre figli: Giuseppe, ricordato per la propria attività di letterato, Maggiordomo Maggiore del Duca Ferdinando Carlo Gonzaga di Mantova e sposo della marchesa Osanna Andreasi; Alfonso, per qualche periodo al servigio della Regina Cristina di Svezia poi familiare del cardinale Rinaldo d’Este e infine Giulio Cesare, anch’egli discreto umanista ma scomparso in giovane età. L’intestazione del documento, datato 10 Aprile 1663 ma realizzato in più giornate, della cui scansione si dà puntualmente conto nel corso della stesura, oltre ad una nota a margine dove si specifica che il testatore era stato Giudice de’ Savi dal Giugno fino alla fine del Dicembre 1662, precisa che la stima si svolse ad istanza dei tre figli ancora con la perizia del sarto Buosi questa volta affiancato però da Giovanni Spagnuoli orefice per i preziosi e dal Sig.re Carlo Balarini pittore per ciò che concerne la valutazione dei quadri: ben 340 opere divise fra il Palazzo di Ferrara, la Villa di Gambulaga e quella di Aguscello. Una quadreria chi si segnala ora come la più ricca di pezzi fra quelle note allo stato attuale degli studi, maggiore anche di quella del marchese Roberto Obizzi che, nel 1647, annoverava circa 330 opere231. Benchè il perito-pittore non avanzi alcuna proposta attributiva, fatta eccezione per un generico “Titian” espresso per un’opera della quale non si menziona alcuna, neppure sommaria, descrizione del soggetto, la stima, fatta in occasione della spartizione patrimoniale dei figli nel ’69 [doc. 5/a] e gli inventari della quadreria stilati nei secoli successivi232, soccorrono nella ricerca degli autori. La prima parte della perizia si riferisce ai beni posseduti nel Palazzo dei Sig.ri Varano nella contrada dei Battuti Bianchi sotto la parrocchia di Santa Maria in Vado. Il Cittadella233, fra i vari palazzi posseduti dalla famiglia Varano, ne menziona uno in angolo fra via Praisolo e Borgodisotto che appartenne prima ad Anton Maria Guarienti, poi agli Aventi, proprio dove il Melchiorri234 ricorda fu fondata la Confraternita dei Battuti Bianchi nella cui contrada è indicato il preciso sito dell’abitazione che può essere quindi plausibilmente individuato come

231 Fughe e arrivi 2002, p. 272, doc. 42; p. 280, doc. 42bis.

232 Inventario dell’eredità di Don Alfonso Varano, 1788, BCAFe, Fondo Antolini ms.n.126 e Inventario e stima dei

quadri, piante e stampe esistenti nel palazzo del fu Varano Marchese Rodolfo, ora di proprietà del di lui erede Sig. Conte Alfonso Vincenti Mareri, 1882, Archivio Notarile Distrettuale, Ferrara, Notaio Leziroli Ulderico, repertorio n.

31308/2732, 2 febbraio 1882, allegato 6, cc. 1-19, in Scardino 2001; Fughe e arrivi 2002. p. 341, doc. 64.

233 L. N. Cittadella, Notizie Amministrative, Storiche, Artistiche, Relative a Ferrara ricavate da documenti ed illustrate

da Luigi Napoleone cav. Cittadella Bibliotecario, Ferrara, Tipografia Taddei, 1868.

l’abitazione dei Varano. Qui le opere, circa 150, sembrano tener conto soltanto in parte di una divisione su base iconografica delle pitture nelle varie stanze tanto più che nella Sala, da dove il repertorio ha inizio secondo una prassi consolidata, consuetamente allestita con un gran numero di opere in virtù della funzione di rappresentanza rivestita dall’ambiente, non si trova esposto nessun quadro. Un gran numero di pitture è distribuito invece fra le diverse camere a destinazione privata menzionate in un generale accostamento di opere da devozione, la stragrande maggioranza, e dipinti profani. Va rilevato altresì che all’esposizione dei ritratti, particolarmente numerosi, vengono riservati gli ambienti adiacenti la “loza” in cui si concentrano i paesi, forse in virtù di una frequente volontà di mettere in relazione il contesto naturale esterno con la natura picta, e la maggior parte dei quadri a soggetto storico e profano. Per ciò che riguarda le attribuzioni che si è tentato di ricavare dal confronto con altri documenti, si può asserire che dall’ ambito locale deriva il numero più cospicuo di tele cui va unita una considerevole presenza di artisti della scuola bolognese: oltre alla copia di una Circe di Guido Reni, al figlio maggiore Giuseppe passò anche la copia di una Betzabea al bagno del Guercino realizzata dal Randa. Un artista, quest’ultimo, che non trova alcuna menzione negli inventari attualmente noti di ambito ferrarese ma che, accostato alla menzione del Reni, del Barbieri e del Gennari non sembra davvero casuale. A quest’ultimo artista si può infatti riferire l’opera con il Figliol Prodigo citata al n. 106 dei beni di Carlo all’interno della camera del Palazzo di Ferrara riservata al marchese Alfonso rintracciabile al n. 47 dell’inventario del 1788 e al n. 54 della stima ottocentesca e che il Cittadella ricorda di aver veduto in Ferrara nell’ abitazione di Santo Spirito del Sig. Alfonso precisando trattarsi di una copia di Ercole Gennari tratta dal Guercino “che pare una delle sue più belle opere rappresentante il Figliol Prodigo che si presenta al Padre”235. La predilezione per i pittori emiliani cinque e secenteschi, confermata anche dalla presenza di una copia della Notte del Correggio e di alcune tele riconducibili a Pellegrino Tibaldi, si affianca alla più consueta passione per l’arte veneta. L’assegnazione di una pittura a Tiziano, chiaramente espressa dal Ballarini omettendo però completamente ogni precisazione relativa al soggetto, può non essere una delle frequenti attribuzioni ad altisonanti nomi espresse dai periti per giustificare alte valutazioni che spesso si manifestano però prive di fondamento. Come si evince, infatti, dagli inventari successivi della quadreria della famiglia ereditata dal giovanissimo Alfonso Vincenti Mareri alla morte

235 Cittadella 1783, III, p. 240. In questa occasione si dice che il marchese Alfonso, “dottissimo cavaliere”, possedeva

nella sua abitazione di Santo Spirito diversi quadri di insigni autori e che l’opera del Gennari fosse proprio dirimpetto ad un “famoso San Francesco” di Guido Reni del quale, per la sua particolare bellezza, reggeva il confronto.

di Rodolfo Varano nel 1882 e acquistata in blocco dalla madre di questi da Giuseppe Cavalieri per rivenderne circa 50 pezzi al Comune di Camerino nel 1888236, la famiglia Varani si avvalse realmente dell’artista veneto per la realizzazione di alcuni ritratti237 e nulla vieta di pensare che anche Carlo possa esservi venuto in contatto. D’altra parte, il pittore Francesco Pellegrini estensore dell’inventario del 1788 relativo alla collezione di Alfonso Varano, nipote di Alfonso Senior e pronipote del nostro Carlo Francesco allestita nel palazzo di via Santo Spirito, rettifica l’attribuzione del Salvatore del Francia dandola a Giovanni Bellino238, menzione che confermerebbe la predilezione del marchese per i più importanti esponenti del Cinquecento lagunare. Anche per ciò che concerne le scelte effettuate nel territorio ferrarese si registrano rilevanti aperture verso artisti della scuola locale contemporanea, primo fra tutti lo sconosciuto Carlo Ballarini. Autore di pale d’altare per S. Sebastiano, S. Pietro e S. Apollonia, è ricordato dalla storiografia come autore di apparati effimeri funerari239 come quello allestito in occasione della morte di Guido Villa nel 1649 mentre fra i debiti dell’eredità del marchese Carlo Francesco sono registrati poco più di 25 scudi dovuti a “Carlo Ballarini pittore per sua mercede d’haver fatto l’Armi della Casa Varani”240. Ancora nell’inventario del 1663 il nome del pittore è ricordato come autore di quattro opere d’historia esposte in una camera della villa di Gambulaga ma, grazie ad un confronto con il documento del ’69, possiamo supporre che altre fossero le pitture commissionate all’artista ed individuabili nella quadreria del marchese Carlo. “Una Madonna in Egito e un’altra che ha il Signore in brazzo copia del Balarino” registrate al n. 56 dei beni lasciati ad Alfonso possono essere probabilmente identificabili con “Due quadri compagni con cornici intagliate e dorate uno con la Madonna et il Signore et l’altro con la Madonna che va in Egitto” al n. 10 del repertorio più antico. Ancora, al n. 29 delle opere lasciate a Giuseppe si annota “una Natività di Nostro Signore con Davide con cornice dorata” data al Ballarino probabilmente riconducibile al n. 25 dell’inventario del padre in cui si legge “Un quadro dove

236

Alla morte di Rodolfo Varano, avvenuta nel 1882, senza discendenza diretta, il Sig. Giuseppe Cavalieri di Ferrara acquisì la cospicua quadreria della famiglia Varano. Rodolfo infatti aveva tentato di non disperdere il patrimonio del casato nominando suo erede il giovanissimo pronipote Alfonso, figlio del figlio della sorella, sposata a Forlì a Vincenti Mareri ma la tenera età del designato successore permise alla madre di alienare per diverse vie le ricchezze. Al Cavalieri venne quindi venduta la ricca collezione costituita da oltre quattrocento pezzi fra i quali, nel 1888, ne vennero selezionati 50 da vendere al Comune di Camerino. Cfr. D. Ferriani, La quadreria dei Varano da Ferrara a Camerino. I

ritratti degli avi, in “I volti di una dinastia. I da Varano di Camerino”, Milano Federico Motta Editore, 2001, pp. 26-35.

237 Come il Ritratto di Mattia Varano e di Camillo Varano d’Este entrambe documentati al momento della vendita al

Comune ma purtroppo dispersi.

238 Scardino 2001, n. 58, inv. 1788.

239 N. Baruffaldi, Annali, BCAFe, Coll. Antonelli, 594, I, cc. nn. 13-14 e 48.

vi è dipinta la Natività della Madonna col re David con cornici dorate” sicuramente con qualche errore interpretativo da parte di uno dei due estensori.

Un aspetto della collezione di Carlo Varani che pare rimarchevole consiste nella dislocazione pressoché omogenea delle opere nelle tre diverse dimore di famiglia: il Palazzo della contrada dei Battuti Bianchi, la Villa di Gambulaga e quella di Aguscello negli immediati pressi di Ferrara. La maggior parte delle nobili famiglie dell’epoca possedevano infatti, oltre al Palazzo cittadino, anche una residenza al di fuori delle mura della città esattamente come la famiglia ducale aveva da sempre predisposto nell’organizzazione del sistema delle delizie nei territori appena decentrati. La diversa tipologia residenziale, come rilevabile dagli inventari noti241, indusse ad organizzare gli arredi e anche le pitture secondo criteri tipologici abbastanza chiari ma, generalmente, il nerbo delle quadrerie nobili decorava le stanze dei palazzi di città destinati a ricoprire il ruolo di indicatori del prestigio sociale del casato quindi visibili ai più. Non è questo il caso del Marchese Varani che riserva alle tre abitazioni circa lo stesso numero di opere in analogia con quanto si evince dall’inventario dei beni del Marchese Francesco Tassoni, stilato nel 1672242, dove nella Villa di Quacchio si contano circa 225 opere fra le quali una cospicua serie di ritratti ufficiali che fa presupporre una funzione di rappresentanza anche per la dimora di campagna. Secondo le norme del decorum, ormai ampiamente note e rispettate in questo momento del secolo, l’allestimento di tali abitazioni era costituito generalmente da pitture di paesi, gruppi di Sibille, piccole opere profane o devozionali e numerose serie di ritratti fra i quali ricorrono gruppi di donne in linea con le tendenze sviluppatasi attorno agli anni Settanta del Seicento quando le collezioni italiane cominciano a popolarsi di quelle serie delle “belle”, ritratti di nobildonne, esposti con fini prettamente decorativi. E’ questo il caso del già citato Francesco Estense Tassoni che nella dimora fuori città custodiva i ritratti di “dodici veneziane” o di Ottavio II Thiene Marchese di Scandiano243 che nella villa di Copparo esponeva ben “56 quadri diversi con varie pitture di Donne” e così anche Carlo Francesco Varani che nella Villa di Gambulaga possedeva “quattro ritratti di donne veneziane” mentre nella Villa di Aguscello “dieci quadri dipinti con effigi di donne”. Per i beni conservati in questa residenza extracittadina si precisa che l’inventario prende inizio

241 E’ questo il caso dei Marchesi Thiene da Scandiano con il Palazzo di Ferrara e la villa di Copparo (Fughe e Arrivi

2002, p. 176, doc. 8), i Marchesi Villa con le residenze di Ferrara e Cornacervina (Ibidem, p. 227, doc. 24), i conti Rossetti di Ferrara e Pescara (Ibidem, p. 230, doc. 25), i marchesi Turchi con possedimenti fra Ferrara e Crespino (Ibidem, 2002, p. 313, doc. 55).

242 Fughe e Arrivi 2002, p. 168, doc. 4. 243 Ibidem, p. 176, doc. 8.

dai “mobili che sono in un casino nobile da padrone, quale casino s’asserisce essere dell’Ill.ma et Ecc.ma Sig.ra S. Chiara Pia Varani mdare del predetto Ill.mo et Ecc.mo Sig.re D. Carlo et conseguentemente avia dell’Ill.mi et Ecc.mi figli et eredi predetti quali mobili però sono dell’eredità di detto Ill.mo et Ecc.mo D. Carlo”. Costituita da una manciata di stanze il cui mobilio si riduce a qualche sedia e poche lettiere, questo luogo doveva quindi essere stato personalmente decorato essenzialmente con pitture scelte personalmente dalla marchesa Chiara Pia, madre di Carlo Francesco ma anche di Costanza Varani poi moglie di Mario Calcagnini: circa una sessantina di opere di vario genere accostate senza plausibili criteri iconografici fra le quali si segnalano serie di paesi, figure di dame, quadri con frutta, ritratti di cardinali ma anche “Quattro quadri dipinti con effigi ridicole da villano” in accordo con il contesto rurale del luogo.

Il collezionismo del patriziato ferrarese dell’epoca, a scapito di quanto finora presentato da una bibliografia ormai datata244 e non esaustiva, non risulta quindi un caso sterile, assopito all’ombra di una tirannia legatizia e vivo solo grazie al retaggio di una fulgente e ormai conclusa epoca di produzione artistica ma un fenomeno che coinvolge esponenti di casati illustri come membri della classe borghese, paradigmi antichi al fianco di nuovi modelli, vestigia di artisti del passato accanto a nuove suggestioni pittoriche da Scuole vicine e lontane.

2.3 Mario e la corte Estense

Come già ampiamente esposto nel primo paragrafo di questo capitolo iniziale, le mansioni che Mario Calcagnini ricoprì alla corte estense trasferitasi a Modena, furono di alto prestigio. Dopo una brillante carriera militare al soldo dell’esercito dei conti di Savoia, dal 1634 prestò servizio presso Francesco I inizialmente come capitano di Corazze, poi dal 1644, come Capitano della Guardia del Corpo Ducale e Maggiordomo Maggiore del Duca mantenendo posizioni di prestigio anche dopo la successione al ducato del figlio di Francesco, Alfonso IV. Le frequenti ambascerie lo spinsero ad intrattenere rapporti con i più grandi regnanti d’Europa probabilmente per quelle doti diplomatiche che tutti i biografi araldici245 gli riconoscono ma alcune missive rinvenute presso l’ASMo testimoniano di altri incarichi, non ufficiali, ricoperti dal marchese probabilmente per altre peculiarità note: Francesco I e poi Alfonso IV si rivolgono a lui per ottenere informazioni in merito ad opere d’arte, sia di collezioni private sia di ambito pubblico, individuando il marchese Calcagnini quale “esperto” in materia d’arte ma anche in virtù degli stretti contatti che evidentemente egli intratteneva con i collezionisti ferraresi.

Nel Fondo Particolari dell’ASMo in una missiva datata 13 Ottobre 1660 Mario scrive a Francesco Poggi segretario del Duca, Alfonso IV:

Finalmente si mandano li quattro quadri del Sig.re Marchese Trotti. Il piccolo è di

Benvenuto, l’Ecce Homo del Caraugio il San Giovanni di Raffaello (per quanto

dicono tutti quelli pittori e sta scritto sopra un inventario vecchio di casa del marchese suddetto) e il ritratto è del Dosso cioè Ludovico copiato da quello di Tiziano che la Santa Mem. del S. Duca Cesare mandò a Vienna. Manca la Madonna pur di Raffaello che è a Treviso ma s’aspetta e subbito giunta anch’ella sarà trasmessa costì. Se saranno di gusto di Sua Altezza il Marchese Trotti farà gloria di incontrare la soddisfazione di quella come più diffusamente le dirò a bocca, dovend’io pure essere costà a momenti. Io mi sono eletto di farli inviare a Vostra Altezza Ill.ma perchè ho supposto di poterla pregare (come fo’) à mostrarli a Sua Altezza S. aggiustati prima dentro le loro cornici, nelle quali compariscono molto più. La cornice del S. Giovanni è restata qui perchè era oltremodo grande ne la sua bellezza contrapesava l’incommodo c’ havrebbe apportato nell’accomodarla e portarla. Io ratifico con quest’opportunità la mia cordiale e obbligatissima osservanza a V.S. Ill.ma alla quale bacio le mani.

Ferrara 13 ottobre 1660

Il giorno successivo un funzionario scrive al Duca:

Per ordine dell’Ecc.mo Sig. Marchese Mario Calcagnini in absenza del Sig. Dott. Giulio Ludovico Cervelli, ho inviato al Signor Procuratore del Finale quattro quadri tra grandi e piccioli con sue cornici che manda Sua Ecc.za al Serenissimo Signor Duca ben conditionati acciò detto Signor Procuratore l’invii a Modena a V.S. Ill.ma nella medesima forma. Servendo anche questa mia per raccomandarle la mia solita devozione et a V.S. Ill.ma fo Humilissima riverenza,

Ferrara, 14 ottobre 1660

Mario riesce quindi ad ottenere quattro opere della collezione privata di casa Trotti e dopo averle accuratamente fatte incorniciare, affinché risultino più pregevoli, le invia al Duca cui il marchese Trotti sarebbe stato disposto a cederle qualora fossero risultate gradite. Il ruolo di intermediario che egli ricopre in questo frangente, ad una data ormai avanzata della sua carriera nell’ambito della corte modenese, sotto il governo del giovane Alfonso IV, lo segnala

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