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Costanza Varano Calcagnini e il Palazzo in San Domenico

Costanza Varano da Camerino, figlia di Giulio Cesare Varano e Chiara di Giannandrea, sorella di Carlo Francesco, Margherita e Claudia Varano, fu sposa del Marchese Mario Calcagnini.

I Varano, nobile ed antica origine, signori di Camerino, dei quali si è già parlato nel precedente capitolo, si insediarono a Ferrara già nel 1476 quando Ercole, appena quindicenne trovò rifugio presso la corte di Ercole I. Da allora la fama del casato nel territorio estense crebbe costantemente grazie ad illustri esponenti che nei secoli si segnalarono per particolari virtù militari, ma soprattutto in campo umanistico grazie ai poeti di chiara fama Giuseppe ed Alfonso. Il marchese Mario, unitosi in prime nozze ad Eleonora Cagnaccini318, sposò Costanza probabilmente nel 1640, ma le vicende che condussero all’unione matrimoniale, ripercorribili attraverso alcune missive spedite dal Marchese al duca di Modena e conservate nel fondo Agenzia di Ferrara dell’ASMo, rivelano un difficile percorso. In una lettera del 22 aprile 1637 Mario, dopo aver informato di essersi intrattenuto con la marchesa Chiara Varani, madre di Costanza, propone la giovane a Sua Altezza Francesco I “per servir di dama alla Serenissima”. Rassicura che “ella è mia prima cugina, l’età sua di diciassette anni, la statura grande, l’apparenza buona, e lo spirito tale che à mio giudicio la Serenissima non ne rimarrebbe se non ben servita. Della qualità della famiglia non parlo perché me la persuado nota a V.A.”319. Nell’ottobre dello stesso anno il marchese, dopo aver speso così belle parole per sostenere la causa della giovane, la chiede in sposa ma, poiché la madre Chiara Varani non sembra propendere per un incondizionato beneplacito, si fa espressa richiesta al Duca affinché possa intercedere320. Evidentemente questo non fu affare facile se ancora nel dicembre 1639321 Mario ribadisce l’accorata richiesta d’aiuto al Duca proprio in occasione di un viaggio a Modena prospettato dalla marchesa Chiara. Il 12 giugno 1640322 si stilano

318 ASMo, Fondo Particolari, b. 254. 319

ASMo, Agenzia di Ferrara, b. 43, fasc. Calcagnini Mario 1637.

320 ASMo, Agenzia di Ferrara, b. 43, fasc. Calcagnini Mario 1639. 321 ASMo, Agenzia di Ferrara, b. 43, fasc. Calcagnini Mario 1639.

finalmente le condizioni, dettate dalla Marchesa Chiara Pia e Carlo Varani suo figlio, rispettivamente madre e fratello di Costanza, cui il detto matrimonio “a requisizione del Ser.mo Duca di Modena”, doveva essere sottoposto. L’unione matrimoniale, da celebrarsi non prima del “futuro Carneval prossimo”, comportò a Costanza l’acquisizione di diecimila scudi per sua dote dei quali duemila in contanti di moneta ferrarese e ottomila in tanti argenti, gioie, mobili e vesti, cui si aggiunsero alcuni terreni nei territori di Modena e Carpi. Stabilito ciò, Costanza avrebbe però accettato “a far renuntia di ogni e qualsivoglia pretentione tanti ne beni paterni quanti materni”,323 investendo il marchese Mario di ogni responsabilità relativa a qualunque “cura, pensiero e spesa” avesse riguardato da quel momento la giovane, rinunciando ad ogni possibilità di ausilio da parte dei famigliari. Al documento sono allegate due stime datate 11 e 12 giugno 1640: una “Stima delli mobilli della Ill.ma Sig.ra Dona Costanza Varani stimati dal Mag.co Giovan Francesco Salsa sartore per parte di detta Sig.ra Dona Costanza et per parte dell’Ill.mo Sig.re Mario Calcagnini consorte di detta Sig.ra Dona Costanza il Mag.co Giovan Bonfioli sartore” ed una stima delle “Gioie, colane et argenteria della Ill.ma Sig.ra Dona Costanza Varani moglie dell’Ill.mo Sig.re Mario Calcagnini estimati dal Mag.co Sig.re Gasparo Pachioni per tutte e due le parti così d’acordo convenuti”, con le quali si valutano stoffe e vesti per la somma di circa 1200 scudi, cui si aggiungono quasi 2000 scudi in preziosi gioielli con diamanti, smeraldi e rubini.

Dal matrimonio nacquero cinque figli: Francesco Maria, Alfonso, Vittorio, Borso e Clelia che, esclusa quest’ultima ben presto monaca, nel dicembre 1663, al momento della morte del padre, vengono resi responsabili della volontà espressa nel testamento del marchese Mario. Secondo tali disposizioni alla Sig.ra Costanza dovevano essere elargiti i predetti diecimila scudi come restituito dotis ma anche altri diecimila scudi per “sopradote o augmento dotale volendo e dichiarando che fosse in sue elettione di satisfarsene ne’ mobili della sua heredità e, questi non bastando, dell’animali tutti” che si ritrovano nelle varie possessioni324. Del 19 maggio 1665 è la stima allegata al predetto documento in cui è la “Nota delli mobili che si consegnano alla Sig.ra Costanza esistenti nel Palazzo dell’habitatione del Marchese Mario Calcagnini” dove, seguendo un andamento topografico, si registrano i beni scelti dalla marchesa al fine di raggiungere la somma a lei riservata secondo le disposizioni del marito. Nell’elenco si riscontrano con facilità oggetti presenti nell’inventario patrimoniale di Mario, stilato appena un anno prima come apparati di corame, di damasco, tavolini intarsiati e

323 ASFe, ANA, Notaio Galeazzo Albini, matr. 913, P9, allegato alla c.134. 324 ASFe, ANA, Notaio Quattri Cesare, matr. 1024, P6, fasc. 1665.

lavorati, ma soprattutto arazzi figurati fra i quali un apparato particolarmente costoso (450 scudi) che al momento della selezione effettuata dalla marchesa Costanza si trovava esposto nella cosiddetta “Camera delle Imprese”, identificabile ad un raffronto con l’inventario di Mario con l’anticamera della Sala, ma che nel ’64 figura depositato nella Guardarobba. Nessuna opera facente parte la cospicua quadreria di Mario viene elencata in questa stima anche se nell’inventario dei beni della Marchesa Costanza Varani realizzato ad istanza dei figli il 14 luglio 1679 [doc. 6] si annoverano circa cento pitture. Il documento, già reso noto da Lucio Scardino e Marinella Mazzei Traina nel 2002325 e comparso negli atti del convegno di Camerino del 2003326, viene stilato dal notaio ferrarese Giovanni Morellini e si riferisce ai beni ritrovati nell’eredità della marchesa nel Palazzo posto “in Ferrara nella Piazza di San Domenico”327. Questa nuova abitazione, in cui Costanza si trasferì dal Palazzo Calcagnini in San Francesco nel 1674, era la residenza del figlio Alfonso dove la madre portò con sé anche i fratelli minori Borso e Vittorio lasciando probabilmente Francesco Maria, il primogenito, nello stabile di famiglia dato che, in documenti successivi al ’74, viene indicato come ancora residente nella parrocchia di Santa Maria in Vado.

La nuova abitazione328, corrispondente all’ala nord dell’edificio oggi noto come Palazzo Sacrati situato di fronte la fiancata della Chiesa di San Domenico, un tempo di Caterina Forni Estense Tassoni, venne lasciato al vescovo come erede fiduciario del patrimonio Forni il quale, ne concesse una parte ai Calcagnini e, dal 1683, il Marchese Tommaso Sacrati ottenne “l’uso perpetuo di parte del palazzo, cioè la parte nobile “che riguarda sopra la piazza e sacrato della chiesa di San Domenico”329. Il marchese Tommaso successivamente ne ampliò la struttura acquisendone anche la sezione di cui i Calcagnini erano affittuari330. L’inventario della marchesa Costanza segue un andamento topografico, a partire dalla “Salla” del piano nobile “che guarda verso la piazza di San Domenico”, cui si accosta un secondo ambiente analogo “che guarda verso la corte”. In questi primi ambienti, fra apparati di corame d’oro con arme della Casa Calcagnini, si segnalano quadri a boscherecce e figure di grandi

325 Fughe e Arrivi 2002, doc. 76, pag. 378. 326 Scardino 2003.

327 ASFe, ANA, Notaio Morellini Giovanni, matr. 1079, P1 allegato alla c. 81.

328 Il Palazzo, venne fatto costruire nei primi anni del Cinquecento da Pellegrino Prisciani e si estendeva in tutto

l’isolato fra via Armari, la via della Rotta, la piazza dell’Oca e la via San Domenico.

329 Un documento del 25 giugno 1683 riporta l’investitura fatta dal Vescovo di Ferrara, cardinal Cerri, quale erede

fiduciario della Caterina Forni, al marchese Tommaso Sacrati, BCAFe, Archivio Pasi, Strade e fabbricati, Palazzo

Strozzi già Sacrati; documento riferito all’investitura a Tommaso Sacrati in ASFe, ANA, Notaio Michel Angelo Orioli,

matr. 1058, P5.

330 Fughe e arrivi 2002, doc. 76, pag. 178; doc. 94, pag. 444. Nel suo testamento del 1692 Tommaso Sacrati nominò

dimensioni, diversi ritratti anonimi e alcune opere di soggetto sacro, per i quali il perito spende generiche valutazioni riguardo il modesto valore stimato. L’atteggiamento muta nei confronti dei beni conservati nella “camera che guarda come sopra alla porta piccola di san Domenico dove vi sono tutti i quadri di varii et eccellenti pittori e di valore”: ventinove opere, evidentemente come sopra indicato, di pregiata fattura, quasi tutte di soggetto sacro purtroppo citate senza alcuna attribuzione, eccezion fatta per un “San Giorgio del Guercino da Cento” e quasi totalmente a soggetto sacro. Sulla base del mobilio elencato nel documento, l’ambiente doveva sicuramente avere una destinazione privata dato che vi si registrano soltanto una decina di sedie riccamente rivestite, due donzelle per candelieri, alcuni tavolini d’ebano ed avorio ed un inginocchiatoio similmente lavorato quasi a costituire una vera e propria “camera dei quadri”, la cui funzione prettamente espositiva si potesse accordare ad un uso devozionale. La completa mancanza di attribuzioni non permette di valutare la tipologia delle opere costituenti la quadreria della marchesa e di formulare qualsiasi riflessione in merito alle scelte effettuate sulla base di un gusto artistico, ma si può plausibilmente supporre che tali scelte, almeno in parte, siano state effettuate dalla marchesa stessa. La cospicua presenza delle pitture non può infatti essere derivato alla collezione attraverso l’eredità Varani in conformità delle condizioni sottoscritte dalla stessa Costanza e dal consorte Mario al momento della stipula degli accordi prematrimoniali in merito alla rinuncia dei beni familiari da parte della giovane. Il confronto, poi, fra le opere citate nell’inventario della marchesa del 1679 e quello redatto alla morte del marito nel 1664 rivelano alcune coincidenze che lasciano intuire la confluenza di una parte della collezione Calcagnini in quella della donna ma, come è espresso nel testamento di Mario, i beni mobili vennero ereditati dai quattro figli e divisi in parti uguali. Si può quindi ipotizzare che la collezione inventariata nel Palazzo prospiciente San Domenico fosse formata in parte dalle opere di Mario, che Costanza amministrava al momento della morte quale tutrice dei figli minori, la cui cura passò in seguito al fratello maggiore Francesco Maria, e in parte da pitture probabilmente acquisite dalla stessa Marchesa o ricevute in dono dopo la morte del marito. Queste si possono riconoscere, ad esempio, fra i dipinti esposti negli ambienti di rappresentanza, allestiti con arazzi e grandi pitture che, perlopiù a boscarecce, sembrano espletare la medesima funzione di apparati decorativi, ma anche “nei due quadri bislunghi” dove compaiono “una Testa di morto” e “una Fenice infocata et una serpe” che non sono annoverate nella quadreria di Mario. Iconografie così desuete rendono facile un confronto mirato a cogliere nell’inventario della marchesa le

acquisizioni avvenute dopo il 1664, rimasta vedova, operazione resa difficile dalla genericità della maggior parte dei soggetti descritti. Il confronto fra i due documenti evidenzia tuttavia, come anticipato, la presenza di opere fra loro identificabili soprattutto fra quelle conservate nella stanza dove il perito vi segnala la presenza delle più nobili pitture. Oltre al già citato “San Giorgio” del Guercino331 sembra plausibile ritrovarvi i due quadri che nella perizia realizzata dal pittore Francesco Costanzo Catanio nel ’64, si distinguono per la più elevata valutazione. La “Susanna figura del naturale con cornice tutta dorata” stimata 200 scudi sembra da identificare infatti nel “quadro con cornice e contorno tutta dorata con dentro una Sosanna”, ma soprattutto la “Pietà del Caraffa in quadro grande col altre cinque figure e cornice intagliata tutta dorata” di Mario, eletta come il pezzo più pregiato della collezione del marchese con 250 scudi, pare riconoscibile “nel quadro grande d’altezza d’un huomo incirca e larghezza mezo con cornice intagliata a fogliami tutta dorata con dentro una Pietà e santa Maria Maddalena col vaso unguente” trasportato in Palazzo Sacrati. Questa annotazione risulta particolarmente rilevante in quanto, se se ne accetta l’identità, fornisce ulteriori indicazioni iconografiche sull’opera che, come è stato ipotizzato, dovrebbe provenire dalla chiesa dei Teatini di Modena, espressamente voluta ed acquisita da Mario nel 1649 per la propria quadreria.

Le disposizioni testamentarie di Costanza, dettate nel Palazzo di Piazza San Domenico nel luglio 1678 e rogate dal notaio Ambrogio de Noris il 19 Settembre del 1678332, precisano i figli Vittorio, Alfonso, e Borso, come gli eredi di tutte le sue possessioni della madre poste in Romagna e della totalità dei beni mobili che si trovavano, al momento della morte della marchesa, nella sua abitazione di Ferrara. Nonostante il primogenito Francesco Maria venga escluso dalla spartizione patrimoniale Costanza ricorda nelle proprie volontà la nuora, la marchesa Violante degli Albizzi, cui “in segno di osservanza” lascia otto sedie gialle ricamate ed “un quadro di pittura a sua elettione”. Allo stato attuale degli studi non è purtroppo possibile seguire i passaggi ereditari immediatamente successivi la morte della gentildonna attraverso i quali la sua collezione si trasmise agli eredi, poiché non è stato rinvenuto alcun inventario dei beni relativi al patrimonio dei figli ma si possono rilevare negli inventari dei

331 Cfr. paragrafo 2.1.1 relativo alla quadreria di Mario.

332 Presentatio Testamentis, Settembre 1978; Aperitio Testamentis, Luglio 1678; Testamento, Settembre 1977, ASFe,

nipoti Ercole e Rinaldo333 entrambi figli di Francesco Maria che acquisirono, oltre ai beni paterni, anche quelli dello zio Vittorio.

3.2 Francesco Maria e la Marchesa Violante Degli Albizzi

La famiglia Calcagnini annovera nel proprio albero genealogico un cospicuo numero di personaggi eccellenti che, come anticipato in precedenza, si segnalarono nella storia locale, e non solo, per differenti peculiarità. Va d’altra parte ricordato che anche le donne del casato assunsero spesso ruoli di peso nella gestione del patrimonio famigliare garantendo, attraverso un’oculata strategia di relazioni, il congiungersi della stirpe con le dinastie più illustri del tempo. Attraverso quindi la menzione di queste figure “minori” e delle relative consorti, spesso dotate di trascinante carisma per quanto si può dedurre dai fatti noti, si cercherà di mettere in luce i personaggi che la storiografia ha lasciato in ombra, le loro peculiarità, le differenti velleità e i molteplici passaggi patrimoniali di possessioni e residenze, con l’obiettivo di fornire un’immagine quanto più esaustiva possibile della dinastia nel XVII secolo.

Figlio di Mario Calcagnini fu Francesco Maria che nel 1664334 sposò Violante degli Albizzi; dall’ unione nacquero Rinaldo, il futuro cardinale Carlo Leopoldo, Ercole che sposerà Ippolita Rosini, Mario II marito di Matilde Bentivoglio, Giovanni Battista, Fausta monaca nel convento cesenate di San Biagio, Maria Celeste monaca a Faenza nel convento di San Maglorio e Diodato monaco Camaldolese. Su Francesco Maria possediamo poche informazioni e poche certezze. Si ritiene infatti che nell’adolescenza avesse servito come paggio di compagnia l’arciduca d’Austria ad Innsbruck335 ma altre fonti336 riferiscono di un suo soggiorno alla corte francese al seguito del padre. Giovane “naturalmente spiritoso che alle qualità della nascita congiungeva quelle di un’ eccellente educazione”337, nel 1648 ottenne dal re Luigi XIII una patente da capitano nel Reggimento Bentivoglio ma, desideroso di rientrare in Italia, tornò per assumere nel 1668 il castellanato della fortezza di Perugia. Due anni dopo giunse in Romagna come governatore delle armi e nel 1672 fu chiamato a succedere al parente Carlo Francesco nel Gran Consiglio Centumvirale della Comunità di Ferrara, per essere poi creato gentiluomo di camera nel 1686 e, infine, governatore della Garfagnana. Morì nel 1694.

Violante fu invece figlia “dell’ Ill.mo Sig.re Giovanni Battista degli Albizzi, figlio dell’Ill.mo Sig.re Francesco degli Albizzi poscia Cardinale di S.R.C. e dell’Ill.ma Signora Violanta

334

Lo documenta un atto rinvenuto in ASMo, Archivio Privato Calcagnini, b. 128.

335 W. Angelini, Dizionario biografico degli italiani, vol. 16, Roma 1973, p. 503. 336 Ughi 1804, p. 106

Martinelli tutti nobili cesenati, Governatore Generale delle Armi nello stato Pontificio si unì in matrimonio alla signora Contessa Flaminia Roverella nobile ferrarese e cesenate, figlia dell’Ill.mo Signore Alessandro Roverelli e dell’Ill.ma Signora contessa Attilia Cagnaccini nell’anno 1643 e morì nell’anno 1665”338. Violante contrasse in matrimonio Francesco solo nel 1664 “essendosi prima dovuto impetrare la dispensa pontificia sopra il terzo e quarto grado di consanguineità nei quali i suddetti signori marchesi Violante e Francesco erano congiunti, e morì in Cesena sotto la Parrocchia della casa di Dio li 3 novembre 1711”.

Fra le carte del Notaio Francesco Maraldi dell’ Archivio Notarile ferrarese339 si conserva il documento relativo ai capitoli del matrimonio, in cui si puntualizzano le modalità di gestione della dote di Violante, del valore di dodicimila scudi, elargiti in gran parte dal nonno, cardinale Francesco degli Albizzi, padre di Giovan Battista nobile di Cesena, che aveva personalmente favorito le nozze fra la nipote ed un rampollo della nobile famiglia ferrarese. Anche le notizie sul prelato appaiono al momento frammentarie e poco approfondite, pertanto non è possibile fornire un quadro più completo di questo ramo della famiglia Albizzi, tuttavia possiamo cercare di apprendere qualche informazione in più su Violante attraverso il suo inventario. Il documento autentico, datato 14 novembre 1711, rogato per gli atti di Agostino Molinari notaio di Cesena, si conserva nel fondo privato della famiglia Calcagnini depositato a Modena340. L’estensore nell’intestazione della perizia comunica di essere stato con urgenza richiamato a questo compito dal Cardinale Carlo Leopoldo giunto a Cesena nottetempo per provvedere, congiuntamente all’intenzione del fratello marchese Rinaldo, alla stima di tutti i mobili e i beni posseduti dalla madre Violante, deceduta il giorno 3 dello stesso mese, nella sua ultima abitazione di quella città [doc. 7] senza ch’egli avesse l’intenzione di acquisirne alcuno ma soltanto “perchè apparisca la verità, e l’esistenza delle predette cose”.

Dopo la morte del marito, in un momento che nessun dato ufficiale ci permette di fissare con esattezza, la donna dovette abbandonare la residenza ferrarese di Francesco Maria il quale, rimase per qualche tempo nella dimora posta nella via di san Francesco anche quando la madre Costanza Calcagnini ed i fratelli minori si trasferirono nel palazzo in San Domenico alla morte di Mario nel 1664. La residenza cesenate341 non sembra particolarmente ricca, composta di sei camere, una sala, un loggiato ed un cortile. Gli arredi si presentano semplici e

338 ASMo, Archivio Privato Calcagnini, b. 128. 339

ASFe, Notaio Maraldi Francesco, matr. 1099, P5, doc. allegato alla c.30.

340 ASMo, Archivio Privato Calcagnini, b. 136, fasc. 55.

341 Nel testamento datato 3 novembre 1711 (ASMo, Archivio Privato Calcagnini, b. 161, fasc. 41) si dice che il palazzo

ridotti mentre le opere menzionate, circa una ventina, trovano particolare concentrazione in una sala prospiciente la strada nella quale se ne annoverano ben dodici; dove sono assenti le pitture, la stanza è apparata di arazzi vecchi. Le iconografie sono quasi completamente riconducibili ad un contesto sacro fatta eccezione per sei ritratti rappresentanti membri delle famiglie Calcagnini e Albizzi, ma la presenza di un’opera descritta come “Una tigre con sua cornice dorata”, dal soggetto quindi particolarmente desueto, consente di collegare questo nucleo di dipinti all’inventario di Mario, suocero di Violante. Nell’inventario del nobile ferrarese stilato alla morte di questi nel 1664, proprio ad istanza del primogenito Francesco Maria342, si annovera infatti “Una tigre del Dosso in un quadro grande bislongo e cornice tutta dorata”, valutato dal pittore Costanzo Catanio 60 scudi. Evidentemente, quindi, quelle opere che alla morte di Mario passarono in parte per disposizione testamentaria343 al figlio Francesco Maria confluirono nelle collezioni dei nipoti transitando per qualche periodo nel patrimonio della marchesa Albizzi. Oltre all’opera dossesca è possibile individuare altre pitture, probabilmente provenienti dalla quadreria ferrarese, in cui spiccano come elementi di assoluto prestigio, sia per l’espressa attribuzione dell’autore, che per l’elevata valutazione in scudi: “Una Susanna figura del naturale con cornice tutta dorata da 200 scudi”, “Un San

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