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Il caso D&G dopo la sentenza della Cassazione: l’esterovestizione rimane l’unico

CAPITOLO II LA RILEVANZA PENALE DELL’ELUSIONE FISCALE

2.5 L A GIURISPRUDENZA DELLA C ASSAZIONE PENALE SULL ’ ELUSIONE FISCALE

2.5.2 La vicenda giudiziaria del gruppo degli stilisti Dolce e Gabbana

2.5.1.3 Il caso D&G dopo la sentenza della Cassazione: l’esterovestizione rimane l’unico

Come visto, la Cassazione annulla la sentenza del G.U.P. e rinvia al Tribunale di Milano, il quale si pronuncia nel giugno 2013335, sulla base del principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte, la quale - nota il giudice meneghino - si è limitata a ritenere il caso concreto solo in astratto sussumibile nell’art. 4 o nell’art. 5 del d.lgs. n. 74/2000.

Seguendo l’ordine delle motivazioni della pronuncia della Cassazione, il Tribunale si occupa, innanzitutto, dell’esterovestizione di GADO s.a.r.l.. Dopo aver ricordato le motivazioni addotte dalla difesa per giustificare la manovra di ristrutturazione del gruppo Dolce&Gabbana, il giudice rileva come tali ragioni non permettano, comunque, di comprendere l’esigenza sottesa alla scelta del Lussemburgo come sede effettiva della società titolare dei marchi. Un’incomprensione che sarebbe stata superabile se la GADO S.a.r.l. fosse stata una società effettivamente residente ed operante in Lussemburgo: ma così non è, secondo

333 M.B

ASILAVECCHIA, Rilevanti i comportamenti elusivi per la configurabilità dei reati di infedele e

omessa dichiarazione - Quando l’elusione costituisce reato, in GT - Riv. giur. trib., 5/2012, p. 388. Si

veda anche P.VENEZIANI, Op. cit., p. 864.

334 A.M

EREU, Op. cit., p. 1037.

147 i giudici meneghini, poiché «in base agli elementi assunti…la “esterovestizione” di GADO risulta circostanza pacificamente provata trattandosi di società allocata in Lussemburgo al solo fine di consentire la sottrazione di un ingente porzione di reddito imponibile - appunto le royalties prodotte in Italia dalle licenziatarie e sub- licenziatarie - trasferendole in Lussemburgo dove le stesse venivano tassate applicando l’aliquota del 4%». Una condotta che assume rilevanza penale in quanto violazione diretta dell’art. 5 d.lgs. n. 74/2000 in relazione all’art. 73, terzo comma, d.P.R. 917/1986, «perché, nel caso concreto, ha determinato una evidente sottrazione della base imponibile alla tassazione italiana e ha realizzato una condotta parificabile a quella di evasione e non un mero abuso di uno strumento contrattuale lecito per pervenire ad una “ottimizzazione” fiscale»336. I giudici osservano, poi, che l’esterovestizione è un fenomeno che si è sviluppato di pari passo con il crescente decentramento produttivo e commerciale transnazionale, a seguito del quale il legislatore ha iniziato a introdurre norme tributarie e civili sulla residenza delle persone giuridiche al fine di determinare la disciplina di collegamento nell’ambito civile e di stabilire il regime fiscale applicabile. L’art 73, terzo comma, TUIR. attribuisce rilevanza - come visto - sia al dato formale della presenza della sede legale della società sul territorio nazionale sia a quello sostanziale derivante dalla localizzazione in Italia «della sede dell’amministrazione o dell’oggetto principale dell’impresa». È pacifico in dottrina e giurisprudenza che i due criteri operino alternativamente, per cui anche il verificarsi di uno solo di essi determina l’attrazione della società nella residenza fiscale italiana. Bisogna, poi, tener conto dei trattati contro le doppie imposizioni, miranti ad evitare la sovrapposizione di più sistemi fiscali in relazione a fattispecie reddituali transnazionali su cui più paesi avanzino pretese impositive, al fine di favorire l’espansione del traffico internazionale. In particolare, le sovrapposizioni sono dovute al fatto che è diffuso, a livello internazionale, il worldwide taxation principle, applicabile ai soli soggetti residenti, in base al quale questi ultimi sono tassati indipendentemente dal luogo dove producono il reddito, mentre i non residenti sono tassati su base territoriale. Secondo il Tribunale di Milano, la disciplina della residenza fiscale così delineata è specifica, sicché il successivo problema di stabilire, sulla base di questi criteri, se una società

148 debba o meno considerarsi residente ai fini fiscali è un problema di accertamento di fatto. Di conseguenza, «una volta acclarata la sussistenza dei requisiti di legge, l’obbligo di presentare la dichiarazione discende automaticamente dalla presenza di tali presupposti senza alcun ulteriore passaggio interpretativo»337. La violazione di tale obbligo, a prescindere dalle modalità più o meno artificiose della condotta, costituisce, quindi, violazione specifica dell’art. 5 d.lgs. n. 74/2000. L’accertamento di fatto, nel caso di specie, induce i giudici a ritenere «provato che la sede dell’amministrazione, del luogo di effettiva direzione e comunque il luogo dove veniva esercitata l’attività principale per la realizzazione degli scopi primari di GADO deve essere individuato in Italia e precisamente nel luogo dove era gestita la Dolce & Gabbana S.r.l.»338. Per svolgere tale accertamento, l’attenzione dei verificatori si concentra su circa quaranta messaggi di posta elettronica estrapolati dagli strumenti informatici in uso al Direttore Generale Cristiana Ruella, approfondimento che, unitamente ad altri elementi emersi in sede di verifica, consente di ritenere provata la effettiva gestione ed operatività di GADO in Italia. La difesa sostiene, invece, che l’oggetto della società sarebbe individuabile nelle attività di registrazione, di tutela del marchio in relazione a condotte di contraffazione, di prevenzione degli abusi, eccetera, mansioni svolte in Lussemburgo prima dalla dottoressa Tiziana Bergomi e poi dalla dottoressa Claudia Bertinetti, mentre le attività di gestione, promozione e sviluppo del marchio e tutte le attività connesse alla commercializzazione erano rimaste di competenza della licenziataria e delle sub- licenziatarie. Il giudice, però, rimane convinto che, in realtà, tutte le suddette attività risultino gestite essenzialmente in Italia, essendo state affidate alla società lussemburghese solo alcune circoscritte incombenze formali e burocratiche inevitabilmente legate al trasferimento della proprietà.

Dopo una verifica del 2007, la GADO, su consiglio dei legali del gruppo, viene trasferita in Italia, scelta che insospettisce ulteriormente il giudice, considerando che - come già più volte sottolineato - la Guardia di Finanza e l’Agenzia delle Entrate non avrebbero mai potuto contestare il diritto di costituire una società in Lussemburgo, ma solo la fittizia localizzazione della sede e dello svolgimento dell’attività all’estero: «non si comprende, quindi, perché una società

337 Tribunale di Milano, Sez. II, sent. 19 giugno 2013, cit., p. 19. 338 Ivi, p. 20.

149 effettivamente operante in Lussemburgo, luogo prescelto per valide ragioni economiche e finanziarie, avrebbe dovuto trasferire la sede in Italia per una contestazione che poteva, appunto in presenza delle condizioni di legge, essere facilmente smentita»339. In conclusione del paragrafo delle motivazioni dedicato all’esterovestizione, dunque, il giudice si dice convinto che sia «pienamente provata la condotta contestata al capo a)»340.

Passando, quindi, ai capi b) e c) dell’imputazione, il giudice meneghino si concentra sulla contestazione ai due stilisti dell’infedeltà delle dichiarazioni dei redditi ex art. 4 d.lgs. n. 74/2000, rilevanza che deve essere esclusa, senza che sia necessario disporre una perizia per accertare il valore di mercato dei marchi ceduti dai due stilisti alla società lussemburghese, perché «anche l’eventuale accertamento di un valore del marchio notevolmente superiore a quello indicato nel contratto di cessione, non consentirebbe la configurazione del reato di dichiarazione infedele di cui all’art. 4, d.lgs. n. 74/2000, non potendosi ricondurre la cessione del marchio nell’ambito delle specifiche norme anti-elusive di cui all’art 37-bis, c. 3, lett b), d.P.R. 600/73». Rispettando il confine tracciato dalla Cassazione tra abuso del diritto e “elusione codificata”, nonché la regola dell’autonomia dell’accertamento penale rispetto al percorso valutativo operato in sede tributaria, Il Tribunale conclude «che gli elementi raccolti, pur evidenziando le palesi anomalie emergenti dalla operazione di c.d. cessione dei marchi, non consentono di qualificare tali condotte come violazione dell’art. 4 d.lgs. n. 74/ 2000, in quanto non risulta violata, per quanto attiene a tale operazione una specifica norma antielusiva»341.

Il giudizio di primo grado si conclude, quindi, con un’unica condanna ex art. 5 d.lgs. n. 74/2000: quella di Alfonso Dolce, amministratore delegato di GADO s.a.r.l., soggetto su cui ricadeva l’obbligo di presentare la dichiarazione. L’omissione del legale rappresentante è considerata dal giudice causalmente indirizzata anche da altrui iniziative direttamente influenti sulla sua determinazione, integrando gli estremi del concorso di persone ex art. 110 c.p.. Si ritengono, dunque, concorrenti il consulente dottor Luciano Patelli, in quanto soggetto ideatore della ristrutturazione; Cristiana Ruella e Giuseppe Minoni, perché hanno partecipato fin dall’inizio alla

339 Tribunale di Milano, Sez. II, sent. 19 giugno 2013, cit.,p. 28. 340 Ivi,p. 40.

150 ristrutturazione societaria, influendo anzi sensibilmente nella realizzazione di una struttura meramente fittizia; infine, Stefano Silvio Gabbana e Domenico Dolce, per i quali si ritiene certamente configurabile l’essenziale contributo causale attraverso la costituzione della società, la cessione dei marchi e il contratto di licenza, considerato che «la stessa costituzione di GADO non può ritenersi che finalizzata a trasferire in Lussemburgo il reddito derivante dalla royalties e quindi certamente tale progetto, tenuto conto che i due stilisti avevano sottoscritto il fondamentale contratto di cessione, pare elaborato in realtà nel loro esclusivo interesse»342. Per tutti si ritiene integrato l’elemento soggettivo del dolo specifico di evasione, poiché, secondo il giudice, «[d]istinguere un dolo di “elusione” da un dolo di “evasione” può essere legittimo solo laddove la condotta elusiva, in concreto, non realizzi una condotta di sottrazione dell’imponibile…mentre in tale ultimo caso la sfera soggettiva viene inevitabilmente a coincidere rimanendo il carattere elusivo ancorato alle sole modalità specifiche della condotta. Il caso di “esterovestione” è stato ricondotto appunto alla violazione dell’art. 5 d.lgs. n. 74/2000 ed il dolo deve coprire, pertanto, gli elementi di fatto accertati in relazione a tale norma. Peraltro nel caso di specie, la condotta di esterovestizione si è tradotta nella costituzione di una società solo apparentemente allocata in Lussemburgo e non dotata di alcuna struttura amministrativa gestionale, contabile, ecc., idonea a legittimare un dubbio circa la disciplina impositiva applicabile. La consapevolezza di tale fatto costituisce elemento soggettivo certamente integrato»343. L’unico soggetto ritenuto estraneo è Noella Antoine, poiché non può ritenersi provato che la stessa fosse in alcun modo a conoscenza della struttura societaria ed in particolare del regime fiscale applicabile: «pur avendo prestato sicuramente la propria collaborazione, la stessa deve essere assolta dal reato ascritto per difetto dell’elemento soggettivo e quindi perché il fatto non costituisce reato»344. In conclusione, dunque, Domenico Dolce, Stefano Silvio Gabbana e Luciano Patelli sono condannati alla pena di un anno e otto mesi di reclusione ciascuno, Alfonso Dolce, Cristiana Ruella e Giuseppe Minoni alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione ciascuno, oltre al pagamento delle spese processuali.

342 Tribunale di Milano, Sez. II, sent. 19 giugno 2013, cit.,pp. 55-56. 343 Ivi,p. 57.

151 Tutti i condannati in primo grado impugnano la sentenza sulla quale si pronuncia la Corte d’Appello di Milano circa un anno dopo il Tribunale345. Non sono oggetto del giudizio di appello le questioni attinenti all’art. 4 d.lgs. n. 74/2000, in origine ascritto a Stefano Silvio Gabbana e a Domenico Dolce per la dichiarazione dei redditi dell’anno 2004, poiché per tale fatto già il Tribunale ha concluso - in applicazione dei principi di diritto indicati dalla Corte di Cassazione - che gli elementi raccolti non consentono di ritenere che le condotte poste in essere possano avere rilevanza penale in quanto non figurava violata una specifica norma antielusiva. Resta, quindi, da esaminare la questione dell’esterovestizione e della condanna ex art. 5 d.lgs. n. 74/2000. Secondo il collegio, i dati istruttori raccolti consentono di provare che la GADO è una società allocata in Lussemburgo solo fittiziamente, nonché di sgombrare il campo dalle tesi difensive che vorrebbero ricondurre il fenomeno all’esercizio del diritto di stabilimento ex art. 43 TCE (poi art. 49 TFUE). Secondo la Corte d’Appello, «[l]’assunto difensivo è suggestivo, ma irrilevante rispetto alla situazione oggetto di giudizio, laddove la fattispecie concreta riguardava una società allocata fittiziamente in Lussemburgo, quindi tenuta a presentare in Italia la dichiarazione ai fini IRES. Lo stesso criterio rendeva doverosa la dichiarazione annuale IVA nel momento in cui il soggetto obbligato fiscalmente, persona giuridica, eserciti un’attività di impresa»346

. La Corte d’Appello concorda con il Tribunale anche in riferimento al fatto che «l’evasione fiscale, in concreto realizzatasi per effetto della esterovestizione di GADO, si presentava riferibile al contributo causale di più responsabilità soggettive». Vengono, quindi, confermate tutte le condanne inflitte in primo grado. In particolare, è interessante ciò che afferma la Corte quando rigetta il motivo di doglianza dei due stilisti basato sull’ignoranza della legge penale, in base alla quale è «irrilevante l’eventuale ignoranza che vada a ricadere sulla legge penale, di cui fa parte la disciplina tributaria integrativa del precetto, a fronte del dolo intenzionale di omettere il pagamento del tributo in Italia»347. Ancora più approfonditamente del Tribunale, la Corte d’Appello argomenta che «il dolo discende dall’impianto organizzativo predisposto finalizzato

345

Corte di Appello di Milano, 30 aprile 2014 (dep. 20 giugno 2014), in Dir. pen. cont., 21 luglio 2014, con nota di T. Giacometti.

346 Ivi,p. 35. 347 Ivi,p. 36.

152 a far apparire la GADO come soggetto estero distinto ed autonomo quando in realtà essa, oltre ad essere inserita nel gruppo societario, era diretta dal management italiano e priva di un’effettiva indipendenza operativa, nelle decisioni di rilievo, in particolare negli aspetti economici e finanziari, nonché soprattutto, come si è detto, nella concessione delle licenze sui marchi. Non si tratta evidentemente di una condotta colposa, ma di illecito connotato da dolo specifico che risponde all’interesse del contribuente di evitare la presentazione della dichiarazione dei redditi per non pagare le relative imposte. Il fine è quello di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, scopo ben presente agli occhi degli imputati, essendo l’aspetto fiscale quello principalmente considerato nel progetto di ristrutturazione societaria, se non esclusivo»348.

La vicenda Dolce&Gabbana si conclude con la sentenza della Cassazione dell’ottobre 2014349

, pronunciata a seguito dei ricorsi proposti dai soggetti condannati in primo e secondo grado, tutti ritenuti fondati dalla Suprema Corte. Come in Appello, anche davanti alla Cassazione l’oggetto del giudizio è limitato all’esterovestizione, a proposito della quale, innanzitutto, si precisano le definizioni dei diversi criteri di individuazione della residenza fiscale. Infatti, si osserva che il criterio della “direzione effettiva”, quale luogo di individuazione del domicilio fiscale, può non essere sufficiente e comportare evidenti storture applicative nel caso di società controllate ai sensi dell’art. 2359, primo comma, c.c., soprattutto nei casi in cui il capitale sociale della controllata è interamente di proprietà della controllante. In tali ipotesi «[i]dentificare tout court la sede amministrativa della società controllata con il luogo nel quale si assumono le decisioni strategiche o dal quale partono gli impulsi decisionali può…comportare conseguenze aberranti ove esso dovesse identificarsi con la sede della società controllante, in evidente contrasto con le ragioni stesse della politica del gruppo e le esigenze sottese al suo controllo. Tale approccio ermeneutico si pone addirittura in contrasto con la presunzione di “eterodirezione” della società controllata che costituisce la ratio della disciplina di cui all’art. 2497 c.c. ss.»350

. Rilevano in materia gli articoli 167 e 168 TUIR, come

348 Corte di Appello di Milano, 30 aprile 2014 (dep. 20 giugno 2014), cit., p. 37. 349 Cassazione penale, sez. III, 24 ottobre 2014, n. 43809, in banca dati DeJure. 350 Ivi,§ 16.28-16.30.

153 modificati nel 2009351, dai quali la Corte deduce che la prova dell’effettivo svolgimento, da parte della società o altro ente non residente, di un’attività

351 Per maggiore chiarezza, si riporta il testo degli articoli citati dalla Cassazione, vigenti al momento

della pronuncia, nelle parti che qui interessano.

Art. 167 Disposizioni in materia di imprese estere controllate: «1. Se un soggetto residente in Italia detiene, direttamente o indirettamente, anche tramite società fiduciarie o per interposta persona, il controllo di una impresa, di una società o di altro ente, residente o localizzato in Stati o territori diversi da quelli di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze emanato ai sensi dell’articolo 168-bis, i redditi conseguiti dal soggetto estero partecipato sono imputati, a decorrere dalla chiusura dell’esercizio o periodo di gestione del soggetto estero partecipato, ai soggetti residenti in proporzione alle partecipazioni da essi detenute. Tali disposizioni si applicano anche per le partecipazioni in soggetti non residenti relativamente ai redditi derivanti da loro stabili organizzazioni situate in Stati o territori diversi da quelli di cui al citato decreto. […] 3. Ai fini della determinazione del limite del controllo di cui al comma 1, si applica l'articolo 2359 del codice civile, in materia di società controllate e società collegate. 4. Si considerano privilegiati i regimi fiscali di Stati o territori individuati, con decreti del Ministro delle finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, in ragione del livello di tassazione sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia, della mancanza di un adeguato scambio di informazioni ovvero di altri criteri equivalenti. 5. Le disposizioni del comma 1 non si applicano se il soggetto residente dimostra, alternativamente, che: (a) la società o altro ente non residente svolga un’effettiva attività industriale o commerciale, come sua principale attività, nel mercato dello stato o territorio di insediamento; per le attività bancarie, finanziarie e assicurative quest’ultima condizione si ritiene soddisfatta quando la maggior parte delle fonti, degli impieghi o dei ricavi originano nello Stato o territorio di insediamento; b) dalle partecipazioni non consegue l'effetto di localizzare i redditi in Stati o territori diversi da quelli di cui al decreto del Ministro dell'economia e delle finanze emanato ai sensi dell'articolo 168-bis. Per i fini di cui al presente comma, il contribuente deve interpellare preventivamente l'amministrazione finanziaria, ai sensi dell'articolo 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212, recante lo statuto dei diritti del contribuente. 5-bis. La previsione di cui alla lettera a) del comma 5 non si applica qualora i proventi della società o altro ente non residente provengono per più del 50% dalla gestione, dalla detenzione o dall'investimento in titoli, partecipazioni, crediti o altre attività finanziarie, dalla cessione o dalla concessione in uso di diritti immateriali relativi alla proprietà industriale, letteraria o artistica, nonché dalla prestazione di servizi nei confronti di soggetti che direttamente o indirettamente controllano la società o l'ente non residente, ne sono controllati o sono controllati dalla stessa società che controlla la società o l’ente non residente, ivi compresi i servizi finanziari. 6. I redditi del soggetto non residente, imputati ai sensi del comma 1, sono assoggettati a tassazione separata con l’aliquota media applicata sul reddito complessivo del soggetto residente e, comunque, non inferiore al 27 per cento. […] 8-bis. La disciplina di cui al comma 1 trova applicazione anche nell’ipotesi in cui i soggetti controllati ai sensi dello stesso comma sono localizzati in stati o territori diversi da quelli ivi richiamati, qualora ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni: a) sono assoggettati a tassazione effettiva inferiore a più della metà di quella a cui sarebbero stati soggetti ove residenti in Italia; b) hanno conseguito proventi derivanti per più del 50% dalla gestione, dalla detenzione o dall’investimento in titoli, partecipazioni, crediti o altre attività finanziarie, dalla cessione o dalla concessione in uso di diritti immateriali relativi alla proprietà industriale, letteraria o artistica nonché dalla prestazione di servizi nei confronti di soggetti che direttamente o indirettamente controllano la società o l’ente non residente, ne sono controllati o sono controllati dalla stessa società che controlla la società o l’ente non residente, ivi compresi i servizi finanziari. 8-ter. Le disposizioni del comma 8-bis non si applicano se il soggetto residente dimostra che l’insediamento all’estero non rappresenta una costruzione artificiosa volta a conseguire un indebito vantaggio fiscale. Ai fini del presente comma il contribuente deve interpellare l’amministrazione finanziaria secondo le modalità indicate nel precedente comma 5».

Art. 168 Disposizioni in materia di imprese estere collegate: «1. Salvo quanto diversamente disposto dal presente articolo, la norma di cui all’articolo 167 si applica anche nel caso in cui il soggetto residente in Italia detiene, direttamente o indirettamente, anche tramite società fiduciarie o per interposta persona, una partecipazione non inferiore al 20 per cento agli utili di un’impresa, di una società o di altro ente, residente o localizzato in Stati o territori con regime fiscale privilegiato; tale percentuale è ridotta al 10 per cento nel caso di partecipazione agli utili di società quotate in borsa. La

154 industriale o commerciale, come sua principale attività, nello Stato o nel territorio nel quale ha sede, impedisce l’imputazione al soggetto controllante dei redditi conseguiti dal controllato, poiché il legislatore privilegia il dato dell’esercizio effettivo