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CAPITOLO I L’ELUSIONE FISCALE

1.4 E LUSIONE E SANZIONI AMMINISTRATIVE

1.5.3 L’ordinamento inglese

In Inghilterra il sistema fiscale, come gli altri settori dell’ordinamento, è permeato da una norma generale permissiva in base alla quale è lecito fare tutto ciò

170 S.G

IGLIO, Il contrasto all’elusione fiscale e l’abuso del diritto nei principali ordinamenti europei, in Diritto e pratica tributaria internazionale, 2011, pp. 99-100..P.CHEVALIER,Op. cit., pp. 26-27 e pp. 30- 32.

171 J.P.C

HEVALIER,Op. cit., pp. 18-19.

172 S.G

IGLIO,Op. cit., p. 101.

173 J.P.C

80 che non è vietato espressamente. Di conseguenza, non è prevista una norma generale antielusiva, ma solo disposizioni antielusive specifiche introdotte nel corso del tempo per cercare di ricomprendere tutte le possibili scelte del contribuente, limitando in particolare le possibilità di abusare degli incentivi. La formulazione tipica delle norme antielusive britanniche è molto generica e ampia, ispirata al principio della

bona fides. È compito dell’amministrazione quindi specificarle attraverso

l’applicazione ai casi concreti, mentre sul contribuente grava l’onere di dimostrare di non dover pagare una determinata imposta.

La disapprovazione per le condotte elusive è alquanto recente in Inghilterra, essendosi sviluppata nella giurisprudenza in particolare a partire dagli anni Ottanta. In precedenza, a cavallo tra Ottocento e Novecento, in accordo con la suddetta norma generale permissiva non si distingue tra elusione e lecito risparmio di imposta, anche perché la tassazione nel diciannovesimo secolo è proporzionale e, come in Francia e in Germania, sono le esigenze di bilancio del primo dopoguerra a spingere ad affrontare oltre all’evasione fiscale anche l’elusione174

. Ancora nel 1936, nel famoso caso del Duca di Westminster, la Camera dei Lords sancisce la prevalenza della forma sulla sostanza, ritenendo efficaci gli accordi tra il nobiluomo e i suoi dipendenti per il pagamento di una somma di denaro al posto dello stipendio stabilito dal contratto di lavoro. La Corte ritiene di non poter considerare il collegamento tra le diverse operazioni, ma solo i singoli passaggi, opinione che facilita la diffusione tra gli anni Sessanta e Settanta di manovre preconfezionate appositamente in diversi passaggi e finalizzate soprattutto alla creazione di perdite fittizie175. Proprio negli anni Sessanta i Law Lords, limitatamente a dei casi riguardanti operazioni di

dividend stripping, iniziano a mettere in discussione il dogma del rispetto assoluto

della forma, elaborando la cosiddetta tree and fruit doctrine, in base alla quale si considera rilevante il collegamento tra i diversi segmenti di un’operazione, utili solo a “scavare nei passaggi sotterranei delle norme” per ottenere vantaggi fiscali176.

In questo contesto, in seguito la Camera dei Lords cambia idea sulla prevalenza assoluta della forma sulla sostanza. Nel 1981, nel caso Ramsay Ltd. v.

174

A. SHIPWRIGHT, L’esperienza britannica, in A. DI PIETRO, L’elusione fiscale nell’esperienza

europea, Milano, 1999, pp. 110-118.

175 Ivi, pp. 118-120. 176 S.C

81

IRC, i Law Lords si occupano di un’operazione circolare strutturata in più passaggi

mirante a creare una perdita deducibile senza diminuire in senso economico l’ammontare del patrimonio. I giudici affermano la prevalenza della sostanza sulla forma, perché considerano la manovra nel suo complesso e ritenengono di conseguenza la perdita non reale, ma fittizia, e quindi non rilevante ai fini fiscali. Tale “principio Ramsay” - detto anche business purpose, economic substance

doctrine, substance over-form o doctrine of recharacterisation - viene in seguito

interpretato in modo discordante dall’amministrazione finanziaria e dai contribuenti. Mentre, infatti, la prima ritiene che si debba applicare il principle of substance over

form in ogni caso in cui attività giuridiche complesse siano poste in essere solo per

eludere il pagamento dei tributi, considerandole quindi irrilevanti, i contribuenti precisano invece che bisogna distinguere tra i casi disciplinati da norme generiche e quelli compresi in disposizioni dal significato chiaro e certo. Solo ai primi si potrebbe applicare il principio Ramsay177. Quest’ultimo viene meglio precisato dagli stessi Lords nella decisione di un caso del 1994, Furniss v. Dawson, concernente questa volta un’operazione lineare, quindi produttiva di effetti reali duraturi. La vicenda all’esame dei Law Lords, infatti, riguarda un contribuente persona fisica titolare di due family companies, le cui azioni sono aumentate significativamente di valore nel tempo. Per poter realizzare la plusvalenza senza pagare immediatamente i

capital gains il soggetto crea una società A con cui scambia le azioni delle family companies. La società A poi vende le azioni ricevute alla società B. Secondo Lord

Brightman si è in presenza di entrambi i requisiti necessari per applicare il principio Ramsay, che vengono così specificati: 1) sussistenza di una serie preordinata di scambi (a preordinated serie of transactions); 2) l’elusione delle imposte come fine esclusivo dell’operazione, per ottenere il quale nella manovra viene appositamente inserito un “passaggio aggiunto” (a step inserted). In presenza di tali requisiti, la Corte disconosce il risultato finale della manovra178. In alcuni casi successivi si cerca di chiarire, senza successo, il significato di “serie preordinata di scambi” e le incertezze fanno sì che, nonostante il caso Furniss v. Dawson sia considerato un

leading case in materia, il principio in esso espresso venga applicato dai giudici a

177 S.G

IGLIO,Op. cit., p. 105.

178 S.C

82 intermittenza, con valutazioni che variano molto da un caso all’altro179. Nel più recente caso Westmoreland Investments Ltd v. MacNiven del 2001, ad esempio, viene evocata la distinzione tra concetti commerciali e concetti legali, intendendo che i primi non hanno un significato legale, mentre i secondi sono specificamente previsti dalla legge e hanno, dunque, un significato preciso nelle norme fiscali. La Camera dei Lords afferma che il principio Ramsay può essere applicato solo ai primi, salvo che un concetto rientrante nella seconda categoria sia utilizzato in maniera atecnica. Una distinzione che pare difficile concretizzare e che in qualche modo riecheggia l’opinione espressa dai rappresentanti dei contribuenti subito dopo l’elaborazione del principio della sostanza oltre la forma180. In Inghilterra, quindi, solo dopo l’armonizzazione del settore dell’imposizione indiretta e per l’influenza della giurisprudenza comunitaria si inizia a conoscere l’abuso del diritto, per il resto l’attenzione del giudice è focalizzata sulla giustizia materiale del caso concreto181

. Sempre in tema di interpretazione, il contribuente in Inghilterra ha a disposizione delle procedure, le clearances, che gli permettono di ottenere la conferma di come si applica una norma e, nel caso dell’elusione, di vincolare l’amministrazione a non applicare ad una determinata operazione le clausole antielusive. Si tratta, quindi, di uno strumento pensato per favorire la collaborazione tra contribuente e amministrazione e per rendere più certo il significato delle disposizioni in un contesto frammentario ed incoerente come quello britannico, in cui le fattispecie elusive non sono identificabili a priori182. L’amministrazione di regola ha a disposizione trenta giorni per decidere se applicare o meno la disposizione antielusiva, dovendo decidere nel secondo senso in due casi: 1) se il contribuente dimostra che le operazioni si basano su ragioni di bona fides commerciale; 2) se tra gli scopi principali non figura l’ottenimento di un vantaggio fiscale. In pratica il momento del giudizio viene anticipato a prima che la manovra sia posta in essere, in modo da influenzare preventivamente il comportamento del contribuente, similmente

179 Per un esame più dettagliato della giurisprudenza inglese sul principio Ramsay si veda A.

SHIPWRIGHT, Op. cit., pp. 141-152.

180 S.G

IGLIO,Op. cit., p. 107.

181 P.P

IANTAVIGNA, Op. cit., pp. 43-44 e p. 240.

83 a quanto avviene in Italia mediante l’interpello antielusivo e in Francia con il “rescrit”183

.

Infine, rimane da aggiungere che le sanzioni amministrative e penali non sono neanche nominate nelle sentenze della Camera dei Lords esaminate.

183 A.S

HIPWRIGHT, Op. cit., pp. 158-163. L’Autore fa peraltro notare la difficoltà di entrambi i criteri di valutazione previsti nella disciplina delle clearances, vista l’incerta definizione di buona fede nell’ordinamento inglese e l’ampia formulazione del secondo requisito.

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