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IL CASO CAMBRIDGE ANALYTICA

Lo scandalo d’attualità che ha conquistato le più importanti testate giornalistiche del mondo è sicuramento quello che vede come protagonista Facebook e il suo stesso inventore Mark Zuckerberg; l’inchiesta, infatti, ha rilevato che buona parte dei dati interni al social network siano stati utilizzati, per scopi non privati e non autorizzati, da un’azienda esterna. Questa indagine ha svelato non solo l’instabilità del sistema, ma anche la precarietà del modello nel momento in cui avviene un servizio di scambio dati.

Christopher Wylie, ex dipendente della Cambridge Analytica, dichiara che erano messe in atto delle “operazioni psicologiche”: cambiare le idee della gente non con la persuasione ma con il “dominio delle informazioni”, attraverso una serie di tecniche che hanno alla base disinformazione, notizie false e dicerie. Tramite l’applicazione “this is your digital life” si è riusciti ad accedere ai dati di circa 50 milioni di utenti. Com’è stato possibile tutto ciò? Semplice, le 320 mila persone che hanno sostenuto il questionario sulla personalità tramite l’applicazione, hanno dato, involontariamente, accesso in media ai dati di altri 160 utenti. Così la Cambridge Analytica ha cominciato a lavorare per realizzare le valutazioni psicologiche degli utenti e costruire algoritmi per individuare i profili di milioni di altre persone. Stando alle novità sul caso, il numero di utenti cui sono stati sottratti i dati sensibili pare sia aumentato a 87 milioni tra cui vi sono più di 200 mila italiani. Siamo di fronte dunque ad una violazione della privacy e non ad una falla del sistema come è stata definita inizialmente, infatti lo stesso social network ha fatto poco per riavere i dati e, nonostante avesse tutti i protocolli di sicurezza attivi, non ha mosso un dito per evitare la fuga degli stessi in quanto si pensava fossero presi solo per scopi accademici118.

L’origine della vicenda ha luogo negli Stati Uniti a seguito delle elezioni presidenziali del 2017 che hanno favorito la vittoria di Donald Trump, i dati riportano, come Facebook, abbia ammesso che 126 milioni di utenti abbiano consultato annunci acquistati dalla Russia con lo scopo di influenzare le elezioni degli Stati Uniti del 2016. Lo stesso Zuckerberg giustificò tali dati come delle banali logiche commerciali, nonostante una prima motivazione fornita per gestire lo scandalo e trattenerlo entro i confini, Facebook è stato anche accusato di aver preso parte alle scelte elettorali del popolo britannico durante la Brexit. La conseguenza di tale fattore è stata la convocazione immediata di Zuckerberg, da parte dell’Unione Europea e della Gran Bretagna che si sono unite all’indagine degli Stati Uniti per svelare, quanto possibile, il conclamato scandalo. Si ritiene di fondamentale importanza cercare di risolvere la questione, in quanto si crede che il pericolo apportato dalla manomissione di dati personali

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di molti utenti possa deviare e sovvertire l’integrità morale dell’opinione pubblica. Ancora oggi l’inchiesta va avanti, il fattore che coinvolge direttamente Facebook nel Russiagate ha portato la compagnia di Zuckerberg a rispondere a molte accuse lanciate, correndo il rischio di incombere nel crollo finanziario del social network, o in un caso ben peggiore la venuta meno di un Paese maestoso come gli USA.

Nonostante ciò, per quanto sia clamoroso, non ci sono prove autentiche che possano confermare un comportamento non conforme alle regole dell’azienda e dei suoi dipendenti, infatti non risulta chiaro come sia stato possibile condizionare ed influire a tal punto sui risultati elettorali. L’opinione pubblica, nonostante gli intralci e l’insabbiamento dei fatti, ha presentato ottime motivazioni per essere indignata, considerati anche il numero degli utenti coinvolti.

Fig.26 – Utenti coinvolti nel caso Cambridge Analytica119

Il vero scandalo, dunque, non è stato quello commesso da Facebook che ha fornito dati privati degli utenti alla Cambridge Analytica (azienda che, per conto di Trump, si pensa abbia creato dei profili Facebook finti per manipolare la campagna elettorale e successivamente le elezioni), bensì quello che sia stato un individuo come tanti a commettere questa appropriazione indebita.

Al centro della matassa che ha contribuito allo sviluppo del caso, c’è il modello economico che si basa sulla raccolta dei dati, modello che, Facebook stesso ha collaborato a creare. Il ricercatore della

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Cambridge Analytica, Aleksandor Kogan, si è servito degli strumenti forniti da Facebook per raccogliere informazioni su molti utenti. Tali strumenti hanno permesso a molti programmatori di ricevere informazioni non solo degli utenti che scaricavano l’applicazione120 ideata da Kogan, ma

anche degli amici di questi ultimi. Tutti gli utenti che hanno scaricato l’applicazione, hanno acconsentito al trattamento dei dati personali, anche se l’intento era al fine di ricerca e non a scopo commerciale; considerato tale avvenimento, e scoprendo che i dati utilizzati erano stati utilizzati per secondi fini, Facebook ha richiesto alla Cambridge Analytica ed anche al ricercatore di cancellarli. Anche per ciò che concerne quest’ultima situazione non è stato chiarito se tali dati siano stati davvero cancellati e soprattutto se Facebook avesse avuto modo di scoprire la realtà dei fatti.

Il metodo psicografico121 è stato considerato inesatto e forse inutile per definire al meglio il confine del caso, si pensa piuttosto che tale metodo sia stato utilizzato soltanto a scopo di una campagna elettorale per cercare di inviare, in modo più incisivo, un messaggio politico ad una parte di pubblico specifica. In fin dei conti, è opinione comune, che Facebook sia finito sotto accusa a causa di una politica di trattamento dati troppo permissiva ed accessibile a molti, non a caso è ammissibile che molti programmatori abbiano approfittato di tale possibilità per sfruttare delle informazioni private al fine di gestire i propri interessi.

Il team di Facebook ha cercato di sminuire lo scandalo dichiarando di non aver fatto nulla di male tanto che Alex Stamos, responsabile della sicurezza del social stesso ha criticato il termine “fuga di dati” adoperato dal The Guardian nell’articolo del 17 marzo. Questo perché tale fattispecie potrebbe dar vita ad un processo giudiziario nei confronti di Facebook. Ma se non c’è stata alcuna “fuga di dati”, dove sta il problema? Beh, semplicemente, nell’enorme portata dello scandalo.

Oltre ad aver giocato un ruolo cruciale per le presidenziali USA del 2016 e la Brexit, Facebook è il principale architetto di un modello commerciale in cui le persone cedono informazioni personali per poter avere servizi gratuiti online; inoltre, proprio questi dati, permettono all’azienda stessa di creare e indirizzare pubblicità mirate agli utenti122.

Come afferma l’avvocato austriaco Max Scherms, ormai in lotta con Facebook da qualche anno: “come può un utente lavorare per 10 ore al giorno, tornare a casa e capire come funziona l’algoritmo di Facebook? Non lo capisco io che me ne occupo da sette anni”. Stando alle parole dell’avvocato austriaco quindi, le questioni legali riguardanti la privacy e i termini di servizio delle aziende in proposito sono spesso incomprensibili per una persona di media cultura. Se da un lato la selva di

120 This is your digital life è l’applicazione per mezzo della quale è stato possibile raccogliere i dati degli utenti del social network e dei loro contatti tramite dei test sulla personalità.

121 Tale metodo si serve della creazione di messaggi pubblicitari che si basano su determinate informazioni che riguardano direttamente gli interessi e i tratti personali degli utenti.

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condizioni sulla privacy enunciate dalle aziende non viene quasi mai approfondita dagli utenti, dall’altro vi è una leggerezza degli stessi nell’accettare le stesse condizioni accettando l’accesso ai propri dati personali con un solo click. La cosa è ancora più grave quando ad essere rilasciati sono anche i dati personali degli utenti facenti parte della rete d’amicizia di questi utenti, violando la privacy anche di coloro che sono attori passivi di quanto accaduto. Anche se le regole sulla privacy sono cambiate e cambieranno ancora a partire dal 25 maggio, l’obiettivo finale di Schrems è quello di rendere possibile una class-action a protezione della privacy contro le multinazionali123.

Le regole sulla privacy sono state modificate da Facebook a partire dal 2016, infatti prima le applicazioni di Facebook potevano chiedere il permesso di accedere non solo ai propri dati, ma anche ai dati di tutti i tuoi amici sulla piattaforma; ciò significa che circa 300.000 persone potrebbero iscriversi a un quiz di test della personalità, e nel processo consegnare le informazioni di 150 volte quel numero. Ora le applicazioni di Facebook sono autorizzate a raccogliere informazioni solo dagli utenti che si sono registrati direttamente per loro, limitando notevolmente la loro portata. Tale modifica è stata apportata nel 2014 e distribuita su tutte le applicazioni nel corso del 2015, tuttavia, alcune di queste possono ancora raccogliere una quantità significativa di dati dal tuo account124. Possiamo quindi considerare la cessione dei nostri dati come un “piccolo” prezzo da pagare per avere il privilegio di rimanere connessi con tutte le persone a cui teniamo ma se pensiamo alle conseguenze negative di lungo termine che superano i benefici, Facebook è il male. Dal canto suo, la Cambridge Analytica ha soltanto approfittato di ciò che il social network sapeva e sa fare meglio: raccogliere informazioni personali su un grandissimo numero di persone in pacchetti da sfruttare per vendere qualcosa alla gente. Le regole avrebbero dovuto impedire che le informazioni fossero usate in questo modo, ma con una posta in palio così alta era prevedibile che qualcuno violasse le regole e Facebook non è stato in grado di farle rispettare a dovere, evidentemente nel 2014 era più interessata alla crescita del marchio che alla privacy degli utenti. Questo comportamento ha avuto un risultato inevitabile per Facebook, a cui non è più concesso il beneficio del dubbio sul caso perché i tempi in cui avrebbe potuto pacare l’indignazione del pubblico cambiando le regole sulla privacy sono ormai finiti. Sta adesso all’opinione pubblica, ai politici e alle autorità rivedere il meccanismo di cessione dei dati degli utenti e dei loro contatti a beneficio delle piattaforme tecnologiche e di chiunque sia così furbo da potervi accedere125.

123 www.agi.it/economia/facebook_max_schrems_legale_austriaco_che_vuole_class_action-3748270/news/2018-04-09/ 124 www.theguardian.com/technology/2018/mar/19/how-to-protect-your-facebook-privacy-or-delete-yourself-

completely

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Intanto, Zuckerberg, dopo qualche giorno di silenzio sul caso, ha risposto con un lungo messaggio sul suo profilo social, nel quale esordisce: “Abbiamo la responsabilità di proteggere i vostri dati e, se non ci riusciamo, non meritiamo di servirvi126”.

Il CTO di Facebook Mike Schroepfer ha dichiarato in un post ufficiale127 che dal 9 aprile tutti gli utenti a cui sono stati violati i dati personali da Cambridge Analytica saranno avvisati, in più in cima al flusso di notizie comparirà un elenco di tutte le applicazioni utilizzate e le informazioni che sono condivise con le stesse in modo da essere “aiutati” nella rimozione di quelle che non ci servono più. In più sembra essere sempre più vicino alle dimissioni il capo della sicurezza informatica di Facebook Alex Stamos. Tutti questi accorgimenti presi dal social network risultano essere inconsistenti di fronte all’entità dello scandalo.

Lo stesso Zuckerberg è stato chiamato a dire la sua sul caso; la prima audizione è stata svolta a Capitol

Hill, dove il CEO di Facebook è stato interrogato dai 44 senatori Usa per cinque lunghe ore. Ha

risposto alle domande più generiche ed ha anche ammesso le sue colpe ma, quando le domande si fecero più dettagliate, spesso si è rifugiato in clamorosi «le farò sapere». Due sono i punti emersi dall’audizione: l’irreversibilità dei dati e come lo stesso Zuckerberg ha ammesso: «Siamo responsabili dei contenuti pubblicati sulla piattaforma», ma allo stesso tempo ha difeso la natura tech di Facebook: «Considero Facebook una tech-company, non una media-company. È vero, siamo responsabili dei contenuti, ma non li produciamo noi». Una risposta che pone, ancora una volta, il problema di regolamenti troppo datati per l'età dei dati e la necessità di un maggiore controllo sugli

stessi tramite il GDPR che come riporta lo stesso Zuckerberg: “consente agli utenti di essere sempre

in controllo dei dati che condividono con le aziende, di cosa viene fatto con quei dati ed eventualmente di cancellarli. Ci sarà anche un consenso speciale per quello che riguarda le tecnologie del riconoscimento facciale degli utenti”128.

Quindi nella seconda tornata di domande, di fronte ai deputati della camera più preparati rispetto ai

senatori, in generale il punto riguarda il tracciamento degli utenti anche quando non siano iscritti a

Facebook e viene inoltre ribadita l’importanza degli strumenti tecnologici di intelligenza artificiali in grado di combattere le fake news129. In questo polverone resta molta confusione, pochi punti fermi e diffidenza da parte degli utenti del social network che dal canto suo, però, alla fine dell'audizione registra un aumento in borsa dello 0,6% sul giorno della prima audizione, quando ha chiuso con un aumento del 4,6%. 126 www.facebook.com/zuck/posts/10104712037900071 127 newsroom.fb.com/news/2018/04/restricting-data-access/ 128 www.ilsole24ore.com/art/notizie/2018-04-11/cosi-congresso-ha-permesso-zuckerberg-vincere-primo-round- 102156.shtml?uuid=AERYeVWE 129 www.agi.it/estero/mark_zuckerberg_facebook_audizione_congresso-3760079/news/2018-04-12/

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