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Caso 4: Il caso della Ottica New Line nella causa C-

4.3. Casi giurisprudenziali affrontati dalla Corte di Giustizia

4.3.4. Caso 4: Il caso della Ottica New Line nella causa C-

Vorrei, infine, andare ad analizzare il caso della Ottica New Line del Sig. Accardi Vincenzo nella causa C-539/11 per sottolineare la similitudine del complesso normativo che regola la dislocazione degli ottici sul territorio italiano con quello farmaceutico.

Nel caso in esame, il Comune di Campobello di Mazara (Trapani) nel 2009 autorizzava un ottico ad aprire il suo esercizio di ottica, denominato Fotottica, “con carattere di

126 Cfr. Corte di Giustizia dell’Unione Europea (Sez. IV), sent. del 26

permanenza”, nello stesso comune ove già esercitava la società concorrente Ottica New Line.

Quest’ultima, alla luce di quanto accaduto, decideva così di impugnare il provvedimento che autorizzava l’apertura di questo nuovo esercizio, di fronte al Tar Sicilia, in quanto violava l’articolo 1, paragrafo 1, della legge regionale n. 12/2004.

Tale norma introduceva limiti demografici e geografici per l’apertura di nuovi esercizi di ottica al fine di garantire nella regione Sicilia la razionale distribuzione di detto esercizio commerciale.

Il giudice a cui veniva rimessa la questione, nel marzo 2010, respingeva il ricorso presentato dalla Ottica New Line perché riteneva che l’articolo 1, paragrafo 1, della legge regionale n. 12/2004, fosse incompatibile con il diritto dell’Unione e per questo motivo era stato disapplicato, permettendo il rilascio dell’autorizzazione.

La Ottica New Line presentava così impugnazione dinanzi al giudice del rinvio, ossia la Corte di Giustizia europea.

Quest’ultimo si chiedeva se alle domande di apertura di esercizi di ottica dovessero essere applicati i principi enunciati dalla Corte nella sentenza del 1° giugno 2010, Blanco Pérez e Chao Gómez (C-570/07 e C-571/07) ove era stato deciso che in quel caso il diritto dell’Unione non ostava a una normativa nazionale che subordinava l’apertura di nuove farmacie a limiti riguardanti la densità demografica e la distanza tra gli esercizi, giacché tali limiti erano atti a ripartire le farmacie in maniera equilibrata sul territorio nazionale, a garantire così all’intera popolazione un accesso adeguato ai servizi farmaceutici e, di conseguenza, ad aumentare la sicurezza e la qualità dell’approvvigionamento di farmaci per la popolazione.

Secondo il giudice del rinvio, era infatti indubbio che nel caso della professione di ottico, più che in quella di farmacista, fossero prevalenti gli aspetti commerciali, ma d’altro canto, non poteva del tutto escludersi che sussistesse un interesse analogo relativamente alla protezione della salute, dato che la Corte aveva già dichiarato in passato che la professione dell’ottico partecipava alla tutela della stessa127.

A tal proposito il giudice del rinvio sottolineava il fatto che, in assenza di qualsiasi regolamentazione, gli ottici si sarebbero concentrati nelle sole località reputate convenienti dal punto di vista commerciale, a discapito di altre località, meno attraenti sul piano commerciale, che avrebbero avuto un numero di ottici insufficiente.

Alla luce di queste considerazioni, il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, pur essendo favorevole a dette limitazioni perché necessarie e finalizzate a tutelare la salute e ad evitare concentrazioni di esercizi ottici in sole poche zone, decideva di sospendere il giudizio e sottoponeva alla Corte di Giustizia la questione.

Quest’ultima evidenziava la possibilità di applicare agli esercizi di ottica, gli stessi principi disciplinati in ordine alle farmacie, allorché gli ottici forniscono servizi consistenti nella valutazione, mantenimento e ripristino dello stato di salute dei pazienti, e rientranti quindi nel settore della tutela della salute128.

L’apertura di una farmacia, come era stato detto, poteva essere oggetto di una pianificazione autorizzata se si fosse

127 Vedi sent. C-108/09 del 2 dicembre 2010, Ker-Optika.

128 Cfr. articolo del comunicato stampa n.121/13, in commento alla

rivelata indispensabile per colmare eventuali lacune e per evitare una duplicazione nell’apertura di strutture, in modo da garantire un’assistenza adeguata alle necessità della popolazione, che coprisse tutto il territorio e tenesse conto delle zone geograficamente (o altrimenti) svantaggiate.

Siffatti principi apparivano dunque applicabili anche agli esercizi di ottica e, anzi, una proporzione tra il numero di ottici e il numero di abitanti avrebbe favorito la ripartizione equilibrata di tali esercizi sul territorio, garantendo a tutta la popolazione di avere adeguato accesso alle prestazioni degli ottici.

Tuttavia, si doveva considerare che la necessità di un accesso rapido ai prodotti ottici fosse minore rispetto a quella attinente ai medicinali, e che dunque l’interesse della prossimità degli esercizi di ottica non si poneva con un’intensità equiparabile a quella delle farmacie.

Inoltre, non meno importante, era il fatto che si dovesse tenere conto anche della competenza prevista in capo ad ogni Stato membro di poter decidere il livello al quale garantire la tutela della sanità pubblica ed il modo in cui detta tutela dovesse essere realizzata.

Avvalendosi di tale, per così dire, margine di discrezionalità a loro riconosciuto dall’Unione, gli Stati membri potevano organizzare una pianificazione degli esercizi di ottica con modalità analoghe a quelle previste per la ripartizione delle farmacie, nonostante le differenze esistenti tra i due tipi di prestazioni di cure sanitarie.

Per questi motivi la Corte affermava che la legge regionale oggetto del suddetto procedimento, non violava i divieti dell’Unione, in particolare la libertà di stabilimento e, dunque,

erano da considerare legittimi i limiti posti al rilascio delle autorizzazioni per l’apertura di nuovi esercizi di ottica quali “l’apertura di un solo esercizio di ottica per ogni fascia di popolazione di 8.000 residenti” e l’obbligo di essere rispettata “una distanza minima di 300 metri rispetto agli esercizi di ottica preesistenti”, purché fossero osservati criteri trasparenti e oggettivi per la realizzazione del fine ultimo quale la tutela della salute.