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Il caso Davigo: quando un magistrato rilascia dichiarazioni che appaiono

Nel documento L’INDIPENDENZA DEL PUBBLICO MINISTERO (pagine 92-95)

2. Il rapporto tra magistratura e organi di informazione

2.3. La libertà di espressione nella giurispudenza disciplinare: alcuni casi

2.3.1. Il caso Davigo: quando un magistrato rilascia dichiarazioni che appaiono

dichiarazioni che appaiono lesive del prestigio dell’Italia

Con nota del 13 luglio 1998, indirizzata al Procuratore generale presso la Corte di Cassazione, il Ministro della giustizia promuoveva l’azione disciplinare nei confronti del sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano, dott. Piercamillo Davigo, per avere “in modo del tutto improprio ed in violazione del dovere di riserbo, quale magistrato del pubblico ministero componente del Pool Mani Pulite di Milano, che ha condotto indagini e tuttora svolge attività di indagine con le dichiarazioni rilasciate ad organi di stampa e a diffusione nazionale e internazionale, gravemente ed ingiustificatamente mancato ai propri doveri di ufficio, così rendendosi immeritevole della fiducia e della considerazione di cui deve godere il magistrato e compromettendo il prestigio dell’ordine giudiziario”402.

In particolare, al predetto magistrato veniva contestata la condotta tenuta nel corso di un’intervista ad un quotidiano americano, durante la quale, rispondendo ad una domanda circa il fatto che il quotidiano “Corriere della sera” era riuscito ad avere in anticipo l’avviso di garanzia che successivamente era stato notificato al Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, dichiarava: «Questo fatto è stato utilizzato da Berlusconi da quattro anni come elemento secondo lui di prova di un nostro accanimento contro di lui. Io allora le rovescio il discorso; Berlusconi era già stato condannato per falso in bilancio dal tribunale di Milano in primo grado e sottoposto a procedimenti penali molto gravi in alcuni dei quali le prove sono molto consistenti. Le chiedo, una persona in quella situazione, deve esporsi a presiedere una conferenza internazionale? Deve esporre il prestigio del suo Paese in questo modo?». Oltre a ciò, gli veniva contestata anche una successiva rettifica delle sue dichiarazioni - diffusa dall’ANSA - con la

402 Sul caso Davigo si vedano L.PEPINO,Il caso Davigo e il “dovere di riserbo” dei magistrati, in Questione giustizia, 2001, n. 2, p. 378 e ss.; G.AMATO, L’esternazione è punibile come illecito disciplinare se l’affermazione getta ombre sull’imparzialità, in Guida al diritto, 2001, n. 6, p. 104 e ss.

quale affermava: «non ho mai detto che nel novembre del 1994 Berlusconi era già stato condannato. Io questa frase non l’ho mai pronunciata dal momento che, nel novembre 1994, come tutti sanno, Berlusconi doveva ancora essere processato. Non sotto il profilo della legittimità, ma sotto quello dell’opportunità Berlusconi sapeva di essere oggetto di indagini e pertanto avrebbe potuto astenersi dal presiedere quella assise».

Così facendo, secondo il Ministro della giustizia, il predetto sostituto procuratore avrebbe violato l’art. 18 del r.d.lgs. n. 511/1946, perché con le suindicate affermazioni si sarebbe posto apertamente in contrasto con le indicazioni in materia di esternazioni enunciate nella circolare dello stesso Guardasigilli del 20 settembre 1996, relative alla necessità di assicurare un maggiore riserbo da parte dei magistrati, al fine di rispondere al canone di correttezza loro proprio ed evitare riflessi negativi sul delicato equilibrio tra l’ordine giudiziario e le altre istituzioni dello Stato. Con quelle dichiarazioni, infatti, il dott. Davigo avrebbe “violato non solo il dovere di riservatezza sugli affari in corso e su quelli definiti, in materia da ledere i diritti altrui”, ma avrebbe anche “strumentalmente abusato della sua qualità di magistrato, componente del Pool Mani Pulite, che ha indagato e conduce tuttora indagini nei confronti di un parlamentare ed ex Presidente del Consiglio, per esprimere valutazioni negative nei di lui confronti”. Infine, lo stesso magistrato avrebbe anche operato un’inammissibile interferenza – e indebita pressione – in procedimenti ancora pendenti in fase dibattimentale, attraverso il richiamo ad alcuni procedimenti gravi e a prove molto consistenti, per ciò che concerne l’impatto esterno delle dichiarazioni in oggetto, secondo il proponente dell’azione disciplinare, il magistrato avrebbe arrecato, nonostante la rettifica, un evidente lesione al prestigio interno ed internazionale dello Stato e delle sue istituzioni.

Al termine dell’istruttoria e del dibattimento403, la Sezione disciplinare del C.S.M. ha assolto l’incolpato, asserendo che il fatto addebitato non costituisse illecito

403 Al fine di valutare sotto il profilo deontologico l’affermazione originaria del magistrato, il collegio giudicante ha espletato ben tre distinte “operazioni di accertamento e di giudizio”: la prima operazione era consistita “nel collocare l’intera intervista nel contesto complessivo in cui è stata resa,

nell’individuare le ragioni per cui è stata concessa e nel ricostruire le modalità con cui si è svolta”; la

seconda “nell’accertare l’esatto contenuto della frase pronunciata per telefono dal magistrato e la sua

conformità o meno rispetto alla frase pubblicata e riportata nel capo di incolpazione”; infine, la terza

nel “ricostruire il discorso nel cui ambito la frase in questione è stata pronunciata, al fine di

disciplinare per carenza dell’elemento soggettivo, trattandosi semplicemente “di un caso di enfasi argomentativa e dialettica, suscettibile di valutazione critica in termini di pertinenza, di aderenza all’oggetto del discorso in atto e di stile, nel quale però non sono ravvisabili il dolo o la colpa necessari perché si possa qualificare il fatto come illecito disciplinarmente sanzionabile”. Secondo il giudice disciplinare, infatti, non si era verificata alcuna violazione del dovere di riservatezza, in quanto l’episodio oggetto delle dichiarazioni del magistrato era notissimo, gli atti relativi non erano più coperti dal segreto e, infine, il magistrato era intervenuto in proposito per un’esigenza d’ufficio volta a rispristinare una corretta rappresentazione dell’operato dei suoi colleghi in relazione a fatti “che erano stato a lungo oggetto di versioni […] parziali, interessate o addirittura distorte”404. In quest’ottica, le frasi adoperate dal magistrato si limitavano a rispecchiare un convincimento del magistrato in ordine alla possibilità che gli elementi raccolti nella fase delle indagini preliminari potessero assumere il carattere di prova piena nella fase dibattimentale: “l’esplicitazione di un siffatto convincimento […] non aveva certo il potere di mutare le regole del processo penale o di creare certezze che potevano scaturire solo dal dibattimento; e perciò non appare qualificabile come indebita interferenza o pressione”.

Per quanto attiene, poi, alla prospettata lesione del prestigio interno e internazionale del Paese, il giudice disciplinare si è premurato di ricordare come l’intervista in questione non fosse stata in frutto di una deliberata opzione, bensì della necessità di rispondere ad accuse gravissime che, proprio sulla medesima testata, erano state rivolte all’operato della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano.

Infine, secondo il collegio giudicante, era da escludersi anche l’aggravante della prevedibile ampia diffusione delle dichiarazioni rese nell’intervista stessa: “questa doveva infatti avere lo stesso pubblico che aveva letto, sulle colonne del medesimo giornale, le accuse al pool”405.

La decisione della Sez. disciplinare è stata successivamente confermata anche dalla Cassazione (sent. Cass. Civ. Sez. Un. n. 5/2001). Il Giudice di legittimità, dopo aver premesso che la mancata tipizzazione degli illeciti disciplinari avesse finito, di fatto,

404 In questo contesto, secondo il Consiglio, il richiamo alla nota del 1996 del Guardasigilli non poteva avere alcun valore vincolante sulla fondatezza dell’azione disciplinare promossa, così come affermato dalla giurisprudenza disciplinare antecedente e dalla giurisprudenza di legittimità.

405 Viene infine ricordato come fosse stato significativo il netto rifiuto opposto dal dott. Davigo alla pubblicazione dell’intervista su un quotidiano italiano.

con l’attribuire all’organo decidente un margine di discrezionalità non controllabile in sede di Cassazione406, si è posto in contrasto con il principio, enunciato dal Procuratore Generale, “secondo cui il magistrato del P.M. non potrebbe manifestare in linea con l’orientamento del proprio ufficio, […] una propria opinione sulla fondatezza di ipotesi accusatorie, quando le stesse concernano comportamenti di soggetti che rivestano responsabilità istituzionali, anche se di rilevanza costituzionale, essendo tale compito riservato alla sentenza”. In quest’ottica, il procedimento valutativo adottato dalla Sezione disciplinare non poteva non condurre, necessariamente, ad una pronuncia assolutoria, “anche se la stessa avrebbe dovuto essere di insussistenza dell’illecito disciplinare, in quanto, secondo lo stesso ragionamento della Sezione, mancherebbero gli elementi oggettivi della condotta sanzionabile, e non soltanto l’elemento soggettivo”.

Nel documento L’INDIPENDENZA DEL PUBBLICO MINISTERO (pagine 92-95)