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Il caso Fiorillo: quando un magistrato rilascia di sua iniziativa agli organi

Nel documento L’INDIPENDENZA DEL PUBBLICO MINISTERO (pagine 97-102)

2. Il rapporto tra magistratura e organi di informazione

2.3. La libertà di espressione nella giurispudenza disciplinare: alcuni casi

2.3.3. Il caso Fiorillo: quando un magistrato rilascia di sua iniziativa agli organi

sua attività di sostituto procuratore dei minori in un caso mediatico

molto noto

In data 20 gennaio 2011 il Procuratore generale promuoveva un’azione disciplinare nei confronti della dott.ssa Fiorillo, sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni per la violazione degli artt. 1, comma 1, e 2, comma 1, lett. aa), lett. n) e lett. v) del d.lgs. 109/2006; inoltre al magistrato veniva addebitata anche la violazione dell’art. 5 del d.lgs. 106/2006. In particolare, alla dott.ssa veniva mossi numerosi addebiti sulla base dei seguenti comportamenti:

1. dapprima rilasciava, in data 10 novembre 2010, alla stampa e agli organi di informazione televisiva, un comunicato concernente l’attività da lei svolta come sostituto di turno nei giorni 27 e 28 maggio 2010, in relazione alle procedure di accompagnamento, identificazione e affidamento della minorenne X, cittadina dello stato Y, vicenda che era nota ai più per i soggetti coinvolti e sulla quale gli organi di informazione si erano a lungo soffermati;

409 Cfr. L.PEPINO,L’assoluzione disciplinare di Gherardo Colombo, in Questione giustizia, 2000, n. 1,

2. successivamente, in data 14 novembre 2010, partecipava ad una trasmissione televisiva interamente dedicata alla vicenda di cui al punto 1;

3. infine, rendeva ulteriori indicazioni in merito alla vicenda, rilasciando un’ulteriore intervista ad un noto quotidiano nazionale, in data 19 gennaio 2011. Con riguardo alla violazione dell’art. 2, comma 1., lett. n) e lett. aa) del d.lgs. 109/2006, la Sez. disciplinare non ha avuto dubbi: il magistrato “ha cercato il contatto con la stampa, sollecitando giornalisti presenti dinanzi al suo ufficio, perché interessati ad altro procedimento, a rendere pubblica la sua ricostruzione della vicenda”, peraltro ignorando l’invito del Procuratore dei Minori, prima formulato oralmente, poi per iscritto, a non fornire alcuna dichiarazione agli organi di stampa. D’altra parte, però, la Sez. disciplinare ha messo in evidenza anche l’aspetto mediatico della vicenda, grazia al quale era emersa una discrasia tra le dichiarazioni rese dalla dottoressa e le dichiarazioni di altri suoi colleghi che erano intervenuti a vario titolo nella vicenda. È proprio questo secondo aspetto a far riflettere i giudici disciplinari sulla necessità di stabilire “se vi sia un diritto del magistrato di reagire pubblicamente per ristabilire il vero ed, attraverso esso, la propria credibilità ed il proprio onore e se, nel caso in esame, questo diritto sia stato correttamente esercitato in una situazione in cui […] vi era un forte rischio che le sue dichiarazioni fossero pubblicate con enfasi ed espressioni colorire attribuibili ad esigenze giornalistiche”. In altre parole, nel caso di specie, i giudici sono stati chiamati a valutare se vi sia un diritto del magistrato di tutelare la sua onorabilità professionale da tutelare sempre, anche a costo di violare i precetti normativi, in questo caso dati dalla combinazione tra le norme primarie (art. 2, comma 1, lett. aa), n) del d.lgs. 109/2006 e art. 5 comma del d.lgs. 106/2006) e le disposizioni formulate dal dirigente del suo ufficio, che hanno lo scopo di “evitare che il magistrato venga trascinato nelle polemica e che e sue dichiarazioni, magari male interpretate, possano mettere in dubbio anche solo l’apparenza di imparzialità del magistrato”. Secondo il Consiglio, alla luce dello svolgimento dei fatti, il diritto in questione non è stato correttamente esercitato dal magistrato. Infatti, secondo i giudici, “ove […] il magistrato incolpato avesse richiesto una tutela nelle forme previste istituzionalmente (in primo luogo da parte del dirigente del suo ufficio e, quindi, anche da parte del Consiglio Superiore della Magistratura e tale tutela le fosse stata negata, sarebbe stato ragionevole riconoscere un diritto a rendere pubblica la propria

versione dei fatti, a salvaguardia della sua onorabilità professionale”. Nel caso in esame, invece, la dott.ssa aveva reso le sue prime dichiarazioni il giorno dopo aver chiesto tutela al C.S.M. e dopo aver parlato con il capo del suo ufficio, manifestandogli la sua ferrea volontà di rilasciare delle dichiarazioni, non lasciando dunque il tempo di ponderare l’opportunità, la necessità, le tempistiche di un’eventuale presa di posizione pubblica dell’ufficio.

In questo quadro, “non sembra alla sezione che vi fosse la necessità, l’urgenza, la irrinunciabilità di una rappresentazione esterna, mediatica della verità da parte della dottoressa […], posta in essere anticipando gli esiti del processo penale, l’attività del Consiglio Superiore della Magistratura, l’intervento del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni […] e violando le disposizioni di legge e le direttive del suo ufficio”.

Diverso è l’approdo dei giudici con riferimento alla lett. v) dell’art. 2, comma 1, del d.lgs. 109/2006; la ratio della norma è quella di evitare che le dichiarazioni del magistrato possano ledere i diritti altrui, pericolo che non è stato ravvisato, neppure astrattamente, dai giudici nel caso di specie. Parimenti, secondo i giudici, non è neppure ipotizzabile la violazione dell’art. 5, comma 2, a cui rimanda lo stesso art. 2, comma 1, lett. v); infatti, “la norma sanziona la violazione del comma 2 dell’art. 5 il quale tuttavia non riguarda il divieto, per i magistrati delle procure, di rilasciare dichiarazioni o fornire notizie agli organi di informazione circa l’attività giudiziaria dell’ufficio”.

Per tutte le ragioni di cui sopra, la Sez. disciplinale del Consiglio superiore della magistratura dichiarava il sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Milano colpevole degli illeciti di cui all’art. 2, comma 1, lett. aa) e n), irrogando la sanzione della censura.

La decisione del C.S.M., però, non ha trovato la conferma nella sentenza n. 6827/2014410 della Cassazione411, che ha basato il suo ragionamento sulle cause di

410 Per un commento alla sentenza si veda S.CALVETTI,Ruby Rubacuori: l’impatto mediatico legittima la reazione immediata del magistrato, in Diritto e Giustizia, 2014, n. 0, p. 328 e ss.

411 “Con l’unico motivo proposto la ricorrente […] lamenta, in primo luogo, che la Sezione disciplinare

aveva erroneamente interpretato il dovere di riserbo del magistrato e la riserva al capo dell’ufficio dei rapporti con la stampa non come diretti soltanto ad evitare forme di personalizzazione o di protagonismo, ma come limite assoluto, operante anche nel caso di una condotta diretta a fare emergere la verità e tutelare il proprio onore professionale, in una vicenda che aveva avuto un notevole clamore mediatico e che riguardava affari ormai conclusi. […] In secondo luogo, la ricorrente lamenta

giustificazioni, ammissibili anche per gli illeciti disciplinari, in quando riconducibili alla categoria degli illeciti amministrativi. È dunque applicabile l’art. 4, secondo comma, della l. n. 689/1981, secondo cui «non risponde delle violazioni amministrative chi ha commesso il fatto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima ovvero in stato di necessità o di legittima difesa». Per valutare l’applicabilità nel caso di specie dell’esimente, però, è necessario compiere una duplice operazione, da valutare con un giudizio ex ante: dapprima si deve verificare quale sia il bilanciamento tra il bene giuridico difeso dal soggetto agente e il bene tutelato dalla norma che prevede l’illecito disciplinare; conseguentemente, se il bilanciamento consente la difesa del bene giuridico perseguita dall’agente, occorre verificare la possibilità di utilizzare altri mezzi meno dannosi per il bene giuridico in competizione. Nel caso di specie, il bene tutelato dalla norma è quello costituito dall’imparzialità e dall’immagine di imparzialità del magistrato; dall’altro lato, invece, vi è l’onore professionale difeso mediante il ristabilimento della verità e non, come creduto erroneamente dal giudice disciplinare, la libertà di manifestazione del pensiero. La Suprema Corte si è a lungo soffermata su questo aspetto: infatti: “la differenza non è di poco conto poiché sono certamente più ristretti […] i margini entro i quali l’azione a difesa dell’onore professionale di un magistrato può essere in conflitto con l’imparzialità e l’immagine di imparzialità del magistrato”. Nel contesto della vicenda in esame, secondo i giudici della Cassazione, “la pubblica notizia dell’affidamento di una minore ad una persona estranea alla famiglia, in una vicenda contraddistinta dall’intervento del Presidente del consiglio dell’epoca, era idonea a compromettere presso l’opinione pubblica non solo l’onore professionale dell’incolpata, ma anche i valori dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura”. In questo quadro, dunque, è in discussione la reazione all’attribuzione di un provvedimento non solo di contenuto diverso da quello effettivamente adottato, ma anche inconciliabile con i doveri del magistrato e con

che, pur essendole stato riconosciuto di aver agito per ristabilire la verità die fatti, la sentenza impugnata aveva escluso la scriminante dell’esercizio del diritto, assumendo che essa avrebbe dovuto chiedere tutela nelle forme istituzionalmente previste; in tal modo, tuttavia, non era stato considerato che, in assenza di prove documentali, le ipotizzate dichiarazioni del capo dell’ufficio rappresentavano un comportamento inesigibile; che il CSM aveva successivamente escluso la propria competenza, non ritenendo coinvolte l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, con conseguente irrilevanza del fatto di non averne atteso il responso; che, infine, il processo penale, al momento delle dichiarazioni alla stampa, rappresentava soltanto una eventualità”.

l’immagine che il magistrato dovrebbe dare di sé. Nella specie, secondo la Cassazione, viene in rilievo la peculiarità del bene difeso, ossia la professionalità del magistrato, “un bene la cui difesa non solo non si pone di per sé in contrasto con il valore della imparzialità e indipendenza della magistratura, ma anzi è coerente con la difesa anche di quest’ultimo valore”.

Posto ciò, il problema concerne la modalità prescelta per la difesa del bene; si entra qui nella seconda fase della verifica. La concreta percorribilità delle strade, però, non può non tenere conto di alcuni elementi: l’eventuale rilievo mediatico di notizie che sono contrarie al vero; la capacità lesiva della notizia rispetto all’onore professionale del magistrato e, più in generale, rispetto all’autonomia e all’indipendenza della magistratura; l’esigenza che la risposta sia tanto più pronta quando maggiore è il clamore mediatico della notizia. Sulla base delle considerazioni fino ad ora svolte, la Cassazione “svolge una valutazione per certi versi sorprendenti”412: nell’attuale società mediatica, l’opinione pubblica tende a considerare veri i fatti rappresentati dai media, se non immediatamente contestati; dunque, la verità mediatica si sovrappone alla verità storica “e si fissa nella memoria collettiva con un irrecuperabile danno all’onore”. Le vie prospettate dalla Sez. disciplinare vengono, in ultima analisi, “scartate”, perché discrezionali ed eventuali; sostiene la Corte che “nel caso in cui il magistrato faccia ricorso per difendersi ad interviste e comunicati stampa , la legittimità della condotta sul piano disciplinare, in relazione alla configurabilità delle esimenti dello stato di necessità e dell’adempimento di un dovere, deve essere valutata con un giudizio ex ante che […] non può limitarsi ad individuare astratte alternative percorribili, senza prevedere quali siano gli effetti risultati che con esse il magistrato avrebbe potuto ottenere a tutela del suo onore professionale, in relazione alle esigenze di difesa come concretamente emerse”.

La Sez. disciplinale del C.S.M., chiamata nuovamente a pronunciarsi sul caso di specie, ha riconfermato i principi già statuiti in sede di Cassazione. Infatti, nell’operazione di bilanciamento dei beni in conflitto, sulla base degli elementi già rilevati, il giudice disciplinare ha affermato che: “secondo una valutazione prognostica e osservando i fatti come concretamente accaduti”, gli elementi raccolti

412 S.CALVETTI,Ruby Rubacuori: l’impatto mediatico legittima la reazione immediata del magistrato,

“consentono allora di ritenere la sicura proporzionalità dei mezzi prescelti dall’incolpata, onde ristabilire la verità storica e tutelare tempestivamente ed efficacemente il suo onore professionale”, che è un diritto per ciascun magistrato ed un dovere al quale non si può abdicare (cfr. risoluzione del C.S.M. dell’1 dicembre 1994).

Nel documento L’INDIPENDENZA DEL PUBBLICO MINISTERO (pagine 97-102)