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Il caso “Dolce & Gabbana” ed i recenti sviluppi giurisprudenziali

Nel documento LUISS GUIDO CARLI L (pagine 167-176)

L’AMPLIAMENTO DELL’AREA DI RILEVANZA DEGLI ILLECITI PENAL-TRIBUTARI

2. Il caso “Dolce & Gabbana” ed i recenti sviluppi giurisprudenziali

Nel caso di specie, si discuteva, tra le altre cose, della rilevanza penale, sotto forma di condotta elusiva, della esterovestizione della residenza fiscale di una azienda del noto gruppo societario, attivo nel settore dell’abbigliamento, creata ad hoc per la realizzazione di un’operazione di gruppo comportante la produzione di redditi non dichiarati nel nostro Paese.

In particolare, all’interno del gruppo, veniva costituita la società di diritto Lussemburghese Gado s.r.l. cui i due stilisti (comproprietari i eguale misura dei marchi), avevano ceduto la proprietà degli stessi. A sua volta, la Gado s.r.l. aveva concesso in licenza esclusiva alla holding operativa Dolce & Gabbana s.r.l. lo sfruttamento dei predetti marchi.

Secondo il Gup del Tribunale di Milano, che emetteva provvedimento di non luogo a procedere, la cessione dei marchi era operazione reale, realizzata ad un prezzo congruo e, quindi, il coinvolgimento della società lussemburghese non aveva avuto la finalità di ridurre il carico fiscale, bensì poteva giustificarsi alla luce delle esigenze della società “madre” nonché dei due stilisti, che avevano la necessità, per garantire maggiore solidità al sistema bancario di riferimento, di cedere a terzi i marchi, mettendoli così al riparo dai rischi connessi alla comproprietà a pari quota degli stessi ed alla stretta connessione della gestione della proprietà con i rapporti personali tra i due.

La Suprema Corte, invece, accogliendo i ricorsi presentati dalla Procura e dall’Agenzia delle Entrate, costituitasi parte civile, avverso la sentenza del Gup, annullava il provvedimento de quo e rimetteva gli atti al Tribunale di Milano affermando, a sostegno della rilevanza penale della condotta elusiva che il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 1, lett. f), forniva una definizione tanto ampia dell'imposta evasa (ossia "la differenza tra l'imposta effettivamente dovuta e quella indicata nella dichiarazione, ovvero l'intera imposta dovuta nel caso di omessa dichiarazione, al netto delle somme versate dal contribuente o da terzi a titolo di acconto, di ritenuta o comunque in pagamento di detta imposta prima della presentazione della dichiarazione o della scadenza del relativo termine") «da essere idonea a ricomprendere l'imposta elusa, che è, appunto, il risultato della differenza tra un’imposta effettivamente dovuta, cioè quella della operazione che è stata elusa, e l'imposta dichiarata, cioè quella autoliquidata sull'operazione elusiva»24.

Rilevava, poi, la Corte che «il sistema tributario prevede istanze di interpello preventivo, quali l'interpello ordinario previsto dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 11, che si riferisce a "obiettive condizioni di incertezza sulla corretta applicazione di una norma", peraltro con riferimento a "casi concreti e personali nell'Agenzia delle Entrate - Direzione Centrale Normativa;

      

24Cass. Pen., sez. II, 2/11/2011, (ud. 22/11/2011, dep.28/02/2012), n. 7739. Si leggano anche i commenti al provvedimento di TROYER L., La rilevanza penale dell’elusione, in

Le Società, 6, 2012, 690; VIZZARDI M., La Cassazione sul caso Dolce e Gabbana:

elusione fiscale e truffa aggravata ai danni dello Stato, su www.penalecontemporaneo.it.

I principi espressi nella citata sentenza sono stati successivamente ribaditi in Cass. Pen., Sez.. III,. 6 marzo 2013 (dep. 3 maggio 2013), n. 19100, Pres. Teresi, Rel. Amoresano. 

l'interpello antielusivo, di cui alla L. 30 dicembre 1991, n. 413; art. 21, l'interpello disapplicativo, di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, comma 8; quello relativo alle società controllate estere di cui all'art. 167 del T.U.I.R.; quello di ruling internazionale (D.L. n. 269 del 2003, art. 8). In tale contesto assume particolare rilevanza il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 16, (Adeguamento al parere del Comitato per l'applicazione delle norme antielusive), il quale dispone che "Non da luogo a fatto punibile a norma del presente decreto la condotta di chi, avvalendosi della procedura stabilita dalla L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 21, commi 9 e 10, si è uniformato ai pareri del Ministero delle finanze o del Comitato consultivo per l'applicazione delle norme antielusive previsti dalle medesime disposizioni, ovvero ha compiuto le operazioni esposte nell'istanza sulla quale si è formato il silenzio- assenso". Nonostante la relazione al decreto legislativo precisi che tale disposizione non può essere letta come "diretta a sancire la rilevanza penalistica delle fattispecie lato sensu elusive non rimesse alla preventiva valutazione dell'organo consultivo", sembra evidente che detta disposizione induca proprio a ritenere che l'elusione, fuori dal procedimento di interpello, possa avere rilevanza penale e ciò è confermato dal contesto in cui è inserito il citato art. 16 che è quello del Titolo III "Disposizioni comuni" concernenti proprio la materia penale (pene accessorie, circostanze attenuanti, prescrizione) e, in particolare, subito dopo l'art. 15 che concerne le "violazioni dipendenti da interpretazione delle norme tributarie". D'altro canto, non vi sarebbe necessità di

una esimente speciale per la tutela dell'affidamento se l'elusione fosse irrilevante dal punto di vista penale, mentre nessun elemento nè testuale nè sistematico consente di ritenere che tale norma si riferisca, come da alcuni ritenuto, a casi di evasione in senso stretto e non di elusione. Piuttosto deve osservarsi che il suddetto parere è relativo alla "applicazione, ai casi concreti rappresentati dal contribuente, delle disposizioni contenute nel D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37, comma 3, e art. 37 bis", cioè alle specifiche fattispecie elusive dai suddetti articoli previste. E ciò può dare un senso anche alle precisazioni contenute nella citata relazione al D.Lgs. n. 74 del 2000. Infatti, deve affermarsi il principio che non qualunque condotta elusiva ai fini fiscali può assumere rilevanza penale, ma solo quella che corrisponde ad una specifica ipotesi di elusione espressamente prevista dalla legge. In tal caso, infatti, si richiede al contribuente di tenere conto, nel momento in cui redige la dichiarazione, del complessivo sistema normativo tributario, che assume carattere precettivo nelle specifiche disposizioni antielusive. In altri termini, nel campo penale non può affermarsi l'esistenza di una regola generale antielusiva, che prescinda da specifiche norme antielusive, così come, invece, ritenuto dalle citate Sezioni Unite civili della Corte Suprema di Cassazione, mentre può affermarsi la rilevanza penale di condotte che rientrino in una specifica disposizione fiscale antielusiva25».

      

Ad avvalorare la tesi della rilevanza penale dei comportamenti elusivi specificamente previsti dalla normativa di settore, vi sarebbe poi, secondo l’orientamento in parola della Suprema Corte, «la stessa linea di politica criminale adottata dal legislatore, nell'ambito delle scelte discrezionali che gli competono, in occasione della riforma introdotta con il D.Lgs. n. 74 del 2000, che sono state ampiamente delineate dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 27 del 25/10/2000, imp. Di Mauro; n. 1235 del 28/10/2010 - 19/01/2011, Giordano) e dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 49 del 2002). Sia le Sezioni Unite che la Corte Costituzionale sottolineano che il legislatore, in occasione della riforma introdotta con il d.lgs. n. 74 del 2000, con una scelta di radicale alternatività rispetto al pregresso modello di legislazione penale tributaria, ha inteso abbandonare il "modello del c.d. "reato prodromico", caratteristico della precedente disciplina di cui al D.L. 10 luglio 1982, n. 429, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 1982, n. 516 - modello che attestava la linea d'intervento repressivo sulla fase meramente "preparatoria" dell'evasione d'imposta - a favore del recupero alla fattispecie penale tributaria del momento dell'offesa degli interessi dell'erario. Questa strategia - come si legge nella relazione ministeriale - ha portato a focalizzare la risposta punitiva sulla dichiarazione annuale, quale atto che "realizza, dal lato del contribuente, il presupposto obiettivo e definitivo dell'evasione, negando rilevanza penale autonoma alle violazioni a monte della dichiarazione stessa" (Corte Cost. cit.). Pertanto, se le fattispecie criminose sono incentrate sul momento

della dichiarazione fiscale e si concretizzano nell'infedeltà dichiarativa, il comportamento elusivo non può essere considerato tout court penalmente irrilevante. Se il bene tutelato dal nuovo regime fiscale è la corretta percezione del tributo, l'ambito di applicazione delle norme incriminatrici può ben coinvolgere quelle condotte che siano idonee a determinare una riduzione o una esclusione della base imponibile»26.

All’esito di tali argomentazioni, quindi, la Suprema Corte chiamava il Tribunale di Milano a valutare la sussistenza, nel caso di specie, di (almeno) una delle fattispecie di cui agli artt. 4 e 5 del D.lgs. n. 74/00.

Il giudizio di primo grado - a seguito di una riqualificazione dei fatti in contestazione all’esito della seconda udienza preliminare e di emissione del decreto di citazione diretta a giudizio - si concludeva con una sentenza di condanna27 per il delitto di cui all’art. 5 del citato decreto legislativo, per avere gli imputati omesso dolosamente - secondo il Tribunale - di presentare in Italia la dichiarazione dei redditi di una società considerata solo formalmente presente in Lussemburgo, ma di fatto operante in Italia, e dunque per aver dolosamente omesso il pagamento di imposte dovute al Fisco italiano.

Gli stessi (unitamente agli altri imputati), venivano invece assolti per il delitto di cui all’art. 4, osservando il Tribunale che le operazioni meramente elusive, secondo l’orientamento della

      

26 Cass. Pen., sez. II, cit.

Suprema Corte, potevano in ipotesi assumere rilievo penale solo qualora integrassero una specifica violazione delle norme antielusive, quali quelle contenute, ad esempio, nel noto art. 37-bis del D.P.R. n. 600 del 1973. Posto che, nel caso di specie, l’operazione realizzata dagli imputati, qualificata come “cessione” dalla stessa Agenzia delle Entrate, non rientrava nell’elenco contenuto dal menzionato articolo, in forza del principio di tassatività, non poteva configurare operazione penalmente rilevante.

La condanna inflitta veniva, poi, confermata dalla Corte di Appello di Milano28.

La Suprema Corte, nuovamente interpellata attraverso le impugnazioni della sentenza di secondo grado, pur dichiarando, da una parte, la prescrizione dei reati contestati ed assolvendo alcuni degli imputati sulla scorta di argomentazioni legate ai principi in tema di concorso di persone, rimetteva gli atti alla Corte di Appello di Milano per la parte relativa alle statuizioni civili poste a carico di uno dei due stilisti ritenendo che non fosse stata data corretta motivazione dei criteri in base a cui determinare la fittizietà della domiciliazione fiscale della società che aveva acquistato e poi concesso in licenza alla Dolce & Gabbana s.r.l. i marchi in questione e, dunque, l’effettività stessa dell’operazione, con le ovvie conseguenze in tema di sussistenza

      

28 Corte di Appello di Milano, 30 aprile 2014 (dep. 20 giugno 2014), Pres. Cairati, Rel. Minici.

del debito tributario o, rectius, della necessità che la società predetta presentasse in Italia la dichiarazione fiscale.

Nel fare ciò, gli Ermellini si pronunciavano comunque ampiamente sul tema della rilevanza penale dell’elusione fiscale, affermando, tra le altre cose, l’importante principio di diritto secondo cui «le disposizioni antielusive in materia tributaria di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 37e 37 bis, hanno rilevanza in quanto concorrono a definire, sul piano oggettivo, gli elementi normativi della fattispecie penale ed, in particolare, l'imposta effettivamente dovuta e gli elementi attivi e passivi rilevanti ai fini della determinazione del reddito o delle basi imponibili; in quanto norme che concorrono a definire gli elementi normativi della fattispecie ed, in particolare, della condotta materiale, si traducono, sul versante penale, nella generica consapevolezza e volontarietà di tali elementi costitutivi del reato e dunque della condotta; il dolo specifico di evasione, che costituisce il fine della condotta materiale e ne presuppone la perfezione, non si identifica con la generica volontà consapevole della condotta stessa; il "dolo di elusione" non si identifica, pertanto, con il "dolo di evasione" che esprime un disvalore ulteriore tale da selezionare gli illeciti penalmente rilevanti da quelli che non lo sono; in nessun caso le condotte elusive possono avere di per sè penale rilevanza estendendo il fatto tipico oltre i confini tassativamente determinati»29.

      

Non soltanto veniva in tal modo sancito che le norme antielusive sono norme che integrano il precetto penale, ma si è specificato che, proprio in quanto elementi “esterni” alla fattispecie, la sussistenza in capo al contribuente della volontà di realizzare l’operazione abusiva al solo fine di ottenere un risparmio fiscale altrimenti indebito non può sostituire o, comunque, non si può sovrapporre alla valutazione circa la sussistenza del dolo specifico di evasione, che conserva la propria autonomia e che deve caratterizzare tout court la condotta del contribuente.

Tutto quanto sopra esposto sul tema dell’evoluzione della categoria dell’abuso del diritto – e dell’elusione fiscale – nel nostro ordinamento dimostra come il rilievo penale della condotta elusiva sia frutto di un orientamento giurisprudenziale di legittimità che, pur in assenza di una specifica disposizione di legge in tal senso – posta la specificità dell’art.- 37-bis – determina (rectius, determinava, a seguito delle modifiche normative introdotte con D.lgs. n. 128 del 2015, di cui più ampiamente si dirà in seguito) un ampliamento dell’area del penalmente rilevante a condotte non direttamente contemplate nelle fattispecie incriminatrici, a discapito della tassatività e certezza del diritto nonché della prerogativa alla pianificazione fiscale, anch’essa espressamente riconosciuta in capo sia alle persone fisiche che a quelle giuridiche all’interno del nostro ordinamento, nonché a livello sovranazionale, quale momento di inevitabile espressione della libertà d’impresa.

3. Il transfer pricing e le altre operazioni ricondotte alle ipotesi

Nel documento LUISS GUIDO CARLI L (pagine 167-176)