SOMMARIO: 1. Premessa: il rapporto tra illecito penale e illecito tributario. – 2. Gli elementi costitutivi dell’illecito penal-tributario sul piano oggettivo e soggettivo e la classificazione delle fattispecie incriminatrici. – 3. Reato proprio e concorso di persone. – 4. Delega di funzioni e responsabilità penale all’interno degli enti di grandi dimensioni. – 5. La deroga al principio di inescusabilità dell’ignoranza della legge penale ex art. 5 c.p. e le speciali cause di non punibilità. – 6. Ulteriori peculiarità del sistema penale tributario. – 7. Le ulteriori modifiche apportate alle disposizioni comuni del sistema penale tributario dal D.lgs. n. 158 del 2015.
1. Premessa: il rapporto tra illecito penale e illecito tributario.
Il principio di specialità è strumento molto importante nella disciplina dei rapporti tra norme all’interno dell’ordinamento penale: in ossequio al brocardo lex
specialis derogat generali, l'art. 15 del codice penale
stabilisce che «quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa materia, la
legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale».
A voler semplificare1, per quanto più interessa nella presente trattazione, il rapporto di specialità tra fattispecie implica che tutti gli elementi costitutivi di una fattispecie (generale) siano contenuti in un’altra fattispecie (speciale). Esso è finalizzato ad evitare il rischio di ne bis in idem sostanziale, ossia ad evitare che una stessa persona risponda due volte per il medesimo fatto, in ragione di una sua diversa qualificazione a livello formale.
Tale principio è stato preso in considerazione anche dal legislatore del D.Lgs. n. 74/00.
In particolare, all’art. 19, si prevede che «quando uno stesso fatto è punito da una delle disposizioni del titolo II o da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, si applica la disposizione speciale».
La norma disciplina, pertanto, il concorso apparente di norma penale tributaria con la norma tributaria amministrativa, contemplando l’applicazione della disposizione i cui elementi sono speciali.
1 Per gli opportuni approfondimenti sul principio di specialità, ANTOLISEI F.,
Concorso formale di reati e conflitto apparente di norme, in Giust. Pen., 1942, II,
209; DEAN G., Il rapporto di mezzo a fine nel diritto penale, Milano, 1967; DE FRANCESCO G., Lex specialis. Specialità ed interferenza nel concorso di norme
penali, Milano, 1980; DELITALA G., Concorso di norme e concorso di reati, in Riv. It. Dir. Pen., 1934, 104; MANTOVANI F., Concorso e conflitto di norme nel diritto penale, Bologna, 1966; MORO A., Unità e pluralità di reati, Padova, 1954;
PAGLIARO A., voce Concorso di norme, in Enc. Dir., VIII, Milano, 1961, 545; ROMANO B., Il rapporto tra norme penali. Intertemporalità, spazialità,
Si tratta di una disciplina sui generis, atteso che quasi sempre il rapporto di specialità viene ricompreso tra norme della stessa specie e/o disciplinanti la stessa materia, mentre in questo caso il rapporto di specialità si ipotizza tra violazioni penali e violazioni amministrative, ossia norme di specie diversa, contemplanti lo stesso fatto materiale. Anche sotto tale profilo la riforma del 2000, nello spirito della delega legislativa, ha realizzato un allineamento del sistema tributario ai principi generali di diritto penale2, posto che, diversamente, la legge «manette agli evasori», all’art. 10, prevedeva il cumulo delle sanzioni, amministrativa e penale, in capo al soggetto che avesse violato entrambe le normative, sebbene la condotta posta in essere fosse, sul piano sostanziale, esattamente la stessa3. È senz’altro evidente come il legislatore abbia inteso, nell’ottica del favor rei, rimodulare tale disciplina alla luce del possibile concorso fra le due fattispecie, soprattutto in considerazione del fatto che gli esempi di astratta
2 In verità, il principio di alternatività tra sanzione penale e amministrativa in campo tributario era già sancito dall’art. 3 della L. n. 4 del 1929, il quale disponeva l’obbligo del pagamento di una sanzione pecuniaria solo se il fatto non costituiva reato; su questa disciplina sono poi intervenuti gli artt. 50 D.P.R. n. 633 del 1972 e 26 D.P.R. n. 600 del 1983, oltre alla successiva legge «manette agli evasori», che avevano introdotto il principio del cumulo tra le due distinte sanzioni pur in presenza di un medesimo fatto. Si evidenzia come tali norme avessero passato il vaglio della Corte Costituzionale in nome, ancora una volta, della ragion di Stato e della peculiarità delle disposizioni finanziarie.
3 Il principio in parola contraddiceva, a sua volta, la disposizione dettata dall’art. 9 della L. n. 689/81, il quale ribadiva l’operatività del principio di specialità nel caso
concorrenza tra illecito penale ed illecito ammnistrativo in materia tributaria sono molteplici4.
Infatti, il D.Lgs. n. 471/97 disciplina la materia delle imposte dirette e delle imposte sul valore aggiunto, prevedendo violazioni spesso omologhe alle previsioni penali contemplate dal D.Lgs. n. 74/00.
L’art. 5 del D.Lgs. n. 471/97, ad esempio, prevede l’ipotesi di “violazioni relative alla dichiarazione dell’imposta sul valore aggiunto e ai rimborsi”, e si sovrappone alla previsione di cui all’art. 5 del D.Lgs. n. 74/00 che, come noto, punisce con la pena della reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni «chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte, quando l’imposta evasa è superiore con riferimento a taluna delle singole imposte a € 50.000,00».
Stessa problematica si pone con riguardo all’art. 10 del D.Lgs. n. 74/00,che punisce l’occultamento e distruzione delle scritture contabili, in rapporto all’art. 9 del D.Lgs. n. 471/97, che prevede la sanzione amministrativa per la violazione degli obblighi relativi alla contabilità.
4 Recentemente, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, in due sentenze (nn. 37425 e 37424, entrambe del 28.3.2013, entrambe pubblicate su www.penalecontemporaneo.it ) concernenti, in un caso, il delitto di cui all’art. 10-bis D.lgs. 74/00 e, dall’altro, la fattispecie di cui all’art. 10-ter del medesimo decreto, hanno escluso la sussistenza del rapporto di specialità tra i reati in parola e l’illecito amministrativo contemplato dall’art. 13 co. 1 D.lgs. n. 471 del 1977, sulla base di argomentazioni che hanno suscitato notevoli perplessità nell’ambito della dottrina. In chiave critica, si legga LANZI A.-ALDROVANDI P., Diritto penale
Nelle situazioni di concorso apparente che possono presentarsi nel caso concreto, è di norma demandata all’interprete l’individuazione della fattispecie speciale che debba essere applicata in via esclusiva.
Ad onor del vero, a fronte di un nucleo essenziale comune, è la fattispecie penale a contenere, nella maggior parte dei casi, elementi specializzanti rispetto allo speculare illecito amministrativo. Costituiscono, infatti, fattori che determinano l’operatività esclusiva della norma penale: le soglie di punibilità, il dolo di evasione, ovvero peculiari connotazioni della condotta dell’agente contemplate dal legislatore nella fattispecie incriminatrice.
A dispetto della previsione del co. 1 dell’art. 19, il comma successivo prevede quello che da alcuni è stato definito «l’aberrante cumulo materiale»5 tra sanzioni amministrative e penali tributarie, stabilendo che «permane, in ogni caso, la responsabilità amministrativa dei soggetti indicati nell’art. 11 co. 1 D.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, che non siano persone fisiche concorrenti nel reato».
In particolare, il predetto art. 11 co. 1 prevede la responsabilità delle persone giuridiche a fronte di una violazione della normativa tributaria realizzata da un dipendente o legale rappresentante della stessa
5 MUSCO E.-ARDITO F., Diritto Penale Tributario, Torino, 2012, 339. Più in generale, sul secondo comma della disposizione in rassegna, si vedano i commenti espressi da CARACCIOLI I.-FALSITTA G., Il principio di non cumulabilità tra
nell’esercizio della sue mansioni o funzioni, fatto salvo il solo diritto di regresso dell’ente.
La norma in esame, dunque, circoscrive di fatto l’applicazione del principio di specialità alle violazioni commesse dalle persone fisiche e dalle società di persone, lasciando inalterato il cumulo tra le due sanzioni - pur variando i soggetti obbligati - rispetto alle persone giuridiche, che rimangono comunque gravate anche dell’onere di pagamento della sanzione amministrativa, in ragione di una responsabilità dipendente da fatto altrui.
Il principio del cumulo delle sanzioni rientrerebbe, per così dire, dalla finestra, vanificando gli sforzi legislativi di evitare la doppia punibilità per un medesimo fatto, in ragione, stando anche a quanto affermato nella Relazione di accompagnamento al D.lgs. n. 74/006, della maggiore efficacia preventiva che sarebbe propria della sanzione pecuniaria amministrativa, a paragone con la pena eventualmente irrogabile all’esito di un (certamente) più lungo processo penale, poiché incerta nel quantum e di dubbia efficacia repressiva in virtù dell’istituto della sospensione condizionale della pena.
6 Nella citata relazione si evidenzia che “all’affermazione del principio di specialità
non deve peraltro seguire una perdita di deterrenza del sistema nel suo complesso. Preoccupazioni su questo versante si connettono, per vero, all’eventualità che in determinati frangenti, il potenziale autore di una violazione tributaria possa considerare maggiormente temibile una sanzione amministrativa pecuniaria di elevato ammontare e che verrà d’altro canto indefettibilmente applicata, piuttosto che una sanzione penale, fortemente afflittiva bensì in astratto ma la cui esecuzione è suscettiva di essere evitata, in concreto, con l’ottenimento della sospensione condizionale della pena”. La Relazione è pubblicata in Fisco e Finanza, n. 15 del
Questo reintrodotto principio del cumulo delle sanzioni potrebbe comunque essere mitigato dal disposto dell’art. 21 del D.lgs. n. 74/00, in forza del quale le sanzioni amministrative, che potrebbero essere irrogate anche in presenza dell’iscrizione di una notizia di reato, non sono eseguibili, a meno che il procedimento sia definito con provvedimento di archiviazione o sentenza irrevocabile di assoluzione o proscioglimento con formula che esclude la rilevanza penale del fatto.
La ratio individuabile in tale disposizione è, per così dire, correttiva rispetto all’art. 19 co. 2, nel senso che essa tenderebbe ad escludere il pericolo concreto di applicazione del cumulo (nella specie, di esecuzione della sanzione amministrativa in pendenza di procedimento penale) a meno che non intervenga un provvedimento che affermi l’irrilevanza del fatto sotto il profilo penale, lasciando così riemergere l’operatività esclusiva della sanzione amministrativa.
Non mancano, comunque, perplessità interpretative connesse alla genericità della formulazione della norma in rassegna, a cominciare dalla rilevanza, nel caso di specie, del fitto panorama delle formule assolutorie o di proscioglimento che possono essere utilizzate dal giudice penale7 ovvero dal ruolo assunto, all’interno della
7 Nel senso che le sentenze che dichiarano l’estinzione del reato e l’amnistia non escludono la rilevanza penale del fatto e possono, quindi, dare luogo all’applicazione della sanzione ammnistrativa, MUSCO E.-ARDITO F., Diritto Penale Tributario,
fattispecie incriminatrice, dalle soglie di punibilità che, come meglio si dirà in seguito, sono oggetto di un dibattito tutt’altro che sopito circa la loro qualificazione come condizioni obiettive di punibilità ovvero elementi costitutivi del fatto, con evidenti conseguenze sulla formula assolutoria che, in caso di evasione sotto soglia, dovrà essere adottata dal giudicante.
Solo una pronuncia di assoluzione con formula perché il fatto non sussiste è, invero, idonea ad escludere tout court la rilevanza penale del fatto reato, riconoscendo la sua inconsistenza già sul piano materiale ed eliminando la possibilità del concorso con la sanzione amministrativa. Il Governo, nella citata relazione di accompagnamento al D.lgs. n. 74/00, ha comunque manifestato di conoscere esattamente i termini problematici della questione, affermando che il co. 2 dell’art. 19 «appare rispondente ad una logica di sistema. Questa consiste, in effetti, nell’evitare che il medesimo fatto venga punito due volte in capo al medesimo soggetto (una volta come illecito amministrativo e l’altra come illecito penale) mantenendo, tuttavia, la possibilità di una punizione divaricata rispetto a soggetti diversi (ad esempio, amministratore, da un lato, e società amministrata, dall’altro). In tal senso, non sono comunque apparse fondate le perplessità manifestate dalla Commissione giustizia della Camera circa la compatibilità
dell’enunciata regola con il principio di specialità affermato dalla legge delega».
Ciò che sembra sfuggire al legislatore delegato nel citato passaggio è che, sebbene la responsabilità per lo stesso fatto finisca col ricadere su soggetti diversi, ora a titolo penale, ora amministrativo, quella incombente sulla persona giuridica è comunque derivata dalla prima, discendendo dal fatto illecito altrui ed essendo giustificabile solo in considerazione delle esigenze di cassa dell’Erario.
Sotto questo stesso profilo, quindi, il problema del ne bis in idem sostanziale, nonostante i proclami legislativi, appare tutt’altro che risolto.
2. Gli elementi costitutivi dell’illecito penal-tributario