• Non ci sono risultati.

Il caso etnografico

La crisi congiunturale economica ha avuto forti ripercussioni anche a livello locale, come nel caso del Friuli Venezia Giulia, che si è caratterizzata con una diminuzione delle esportazioni e delle produzioni industriali: la disoccupazione ha interessato numerose aziende che si sono trovate a dover ridurre il proprio personale.

Paradossalmente gli addetti stranieri hanno continuato ad accrescere la loro presenza nel mercato del lavoro, impiegati per la maggior parte in aziende con un solo addetto (16.016) o con oltre 250 (11.034) e concentrandosi in prevalenza nelle grandi aziende o nel settore dei servizi. [Caritas Migranti 2011].

La questione lavorativa mette sul tavolo tutta una serie di problematiche che si inseriscono in un quadro più generale di precarietà e di difficoltà di inserimento femminile nel mondo del lavoro. Si conferma da un lato l'occupazione femminile immigrata nel settore dei servizi, che le accomuna alle altre donne: secondo una studio realizzato dalla Provincia di Udine, nella sola provincia, tre assunzioni femminili su quattro riguardavano il settore dei servizi (73,3%) [Serio 2005 : 1].

Questo dato viene ribadito dalla più recente “Analisi sulle previsioni di lavoratori extracomunitari in Friuli Venezia Giulia per il 2011”. Secondo i dati forniti dall'agenzia regionale del lavoro, infatti, la prevalenza delle donne straniere sull'insieme dei lavoratori stranieri, a fronte di una media stimata intorno il 43,9%, si riscontra nelle attività inerenti i servizi sanitari, domestici e l'istruzione, attività in cui le donne straniere non solo rappresentano la maggioranza, ma quasi la totalità dell'occupazione straniera nel settore.

133 Fonte dei dati Ergon@t, da Agenzia regionale del lavoro

Non vi sono dati precisi sulla situazione lavorativa delle donne senegalesi che, al contrario di altre realtà femminili migratorie, si configura come una realtà frammentata, in cui le prestazioni informali superano quelle formali, polarizzandosi su due assi occupazionali principali: quello dei servizi e quello del micro commercio, campo variegato e di difficile definizione.

Si determina quindi uno scenario caratterizzato da una poliedricità di attività lavorative in capo alle donne senegalesi ma, al contempo, una scarsa presenza di impieghi stabili che mettano a disposizione un reddito fisso. La maggior parte delle donne occupate è impiegata nel settore della cura degli anziani, dei bambini e nelle pulizie. Nell’assistenza agli anziani, sono poche le donne senegalesi intervistate ad essere o essere state impiegate al domicilio della persona, la maggioranza svolge la propria attività di assistenza all'interno di una struttura pubblica. Questo potrebbe derivare dal fatto che solitamente le senegalesi emigrano insieme alla famiglia, riducendo in questo modo la possibilità di essere impiegate in modo stabile a servizio domiciliare, oppure si potrebbe ravvisare anche una forma di discriminazione nei loro confronti e quindi una preferenza verso donne “culturalmente” più vicine. Siamo probabilmente di fronte a un concorso di fattori: da un lato la scarsa disponibilità effettiva della donna, dall'altra la manifesta preferenza o forse una “ghettizzazione etnica” di un certo tipo di assistenza, affidata principalmente alle donne dell'est Europa.

Nonostante l'economia del Friuli Venezia Giulia sia caratterizzata da un'intensa attività artigianale e industriale, raramente si incontrano donne senegalesi impiegate in questo settore: a riguardo due sole delle donne intervistate erano state impiegate in settori

134 industriali mentre, al momento della stesura di questo studio, nessuna risultava addetta

a queste mansioni.

Tab. 16 Inserimento lavorativo delle donne senegalesi in Fvg Donne occupate con

impiego fisso

15 Donne occupate con

impiego saltuario

18

Donne non occupate 16

Dati elaborati a partire dai questionari somministrati in sede di ricerca

Come emerge dalla tabella, le donne impiegate in maniera stabile rappresentano una minoranza: delle volte pur rientrando nelle occuapazioni stabili, il contratto di lavoro o non esiste o non è conforme all’attività svolta.

L'inserimento nel circuito lavorativo risponde a una serie di fattori che riguardano il titolo di studio, la durata dell'immigrazione, le precedenti occupazioni e altre variabili. Le donne residenti in Italia da diverso tempo hanno trovato un'occupazione stabile, mentre quelle arrivate recentemente faticano a inserirsi in un contesto lavorativo, anche solo in modo saltuario. Nonostante il livello scolastico di alcune donne sia elevato, raramente l’occupazione è attinente al percorso scolastico, soprattutto per il mancato riconoscimento del titolo di studio senegalese in Italia.

All'inizio in Italia venivano quelli che avevano studiato poco, facevano la stagione e poi tornavano a casa, anche perché chi aveva studiato preferiva come meta la Francia. Poi è stato sempre più difficile andare in Francia e quindi molti si sono rivolti all'Italia, magari sperando che le cose sarebbero cambiate[int. 58 F.C].

Ogni storia è una storia a sé che rischia di confondersi nel gioco dei numeri e delle statistiche: denominatore comune sono le difficoltà incontrate dalle donne nel mondo lavorativo e l'impossibilità di poter spendere il proprio titolo di studio o la professionalità precedente.

La maggior parte delle donne senegalesi è occupata in un'attività extradomestica che permette loro una certa autonomia economica e gestionale, ma solo un un terzo ha un’occupazione stabile, principalmente nel settore dei servizi.

Molte donne hanno cambiato lavoro frequentemente, alternando lavori quasi sempre dequalificati, senza prospettive di carriera e soprattutto precari, presso alberghi, locali,

135 a servizio di famiglie, come baby sitter, restando sempre confinate nell’ambito della

cura e dei servizi.

Racconta in proposito K:

Dopo aver frequentato l'Università di medicina a Pechino, dove mio padre lavorava all’ambasciata, ho deciso di venire in Italia, ero fissata con l’Italia. Mi sono sistemata a Castelfranco perché c’era una mia amica e perché era vicino a Venezia dove c’era l’università che volevo frequentare. Poi ho trovato subito lavoro come assistente domiciliare, a Vittorio Veneto, da un anziano: ho lavorato per due mesi poi sono scappata perché voleva che dormissi con lui.

Dopo ho trovato lavoro come baby sitter da una famiglia a Treviso; tenevo due gemelli e lì ho lavorato per due anni, finché marito e moglie non si sono separati e lei è tornata a vivere con i suoi. Dopo sono andata in un albergo, l’hotel Carletto, come cameriera ai piani. Lì sono rimasta per tre anni.

Poi ho trovato lavoro in casa *** ( imprenditore conosciuto a livello internazionale); è stata una buona esperienza, io dovevo tenere la casa: lavoravo praticamente tutti i giorni per due anni, dalle 8 alle 18.00, come governante, ma poi ho lasciato perché volevo prendere più soldi e lì mi pagavano un milione al mese (c’erano ancora le lire ndr), un po’ poco per tutte le ore che facevo. Ma è stata una buona esperienza. Dopo ho trovato lavoro in una fabbrica di maglie, ma non mi piaceva lavorare in fabbrica. Odio quel lavoro sempre alla macchina senza parlare con nessuno e così l’ho lasciato e sono andata a lavorare come governante da un commercialista. Mi pagava bene ed era gentile con me. Dopo la nascita della seconda bambina ho ripreso a lavorare in maglieria e subito dopo ci sono stati problemi con mio marito. Poi ho lavorato ancora come baby sitter, poi da un anziano e poi circa un anno e mezzo fa mi hanno assunto come governante in una casa, ma lì mi trattavano male, ma dovevo accettare perché ormai ero sola e si faceva sempre più fatica a trovare lavoro. Poi ho lavorato per quasi un anno come baby sitter. Tenevo tutto il giorno il bambino anche a dormire con me perché sua mamma non poteva tenerlo. Mi dava 400,00 euro al mese, si più non poteva e io non avevo altro. Poi lei si è sposata e il bambino ha cominciato la scuola materna. Poi per tre mesi ho lavorato come lavapiatti a Ipplis. Mi avevano detto che mi avrebbero messo in regola, ma non era vero dovevano solo fare una sostituzione[int.n.60 K.].

Come evidenzia il grafico (tab.17), elaborato partendo dalle interviste realizzate durante lo studio, in cui non viene riportata la differenza fra lavoro occasionale e regolare, l'occupazione femminile si caratterizza come poliedrica ed estremamente diversificata. Per quanto riguarda le donne impiegate nelle attività commerciali, sono indicate solo quelle la cui attività è preponderante nella costruzione del reddito.

136 Tab. n.17 Tipologia di lavoro

Pulizie 10 Fabbrica 1 Biblioteca 1 Mediatrice/interpreti 3 Commessa 2 Baby Sitter 4 Commercio 4

Operatrici socio sanitarie 6

Aiuto Cuoca 1

Sindacato 1

Totale 33

Fonte (elaborazione dati questionario)

Per quanto riguarda i lavori stabili, le intervistate sono impegnate su più fronti “occupazionali” anche se marginali. Le persone assunte con regolare contratto sono quindici su quarantasei. (46 sono le donne di cui sono riuscita a conoscere lo stato occupazionale)

Tab.n.18 Donne con un lavoro stabile

Baby sitter 1

Operatrici socio saniterie 5

Biblioteca 1

Sindacato 1

Cooperativa di pulizie 5

Aiuto cuoco 1

Commessa 1

Fonte elaborazione questionari

Incrociando i dati raccolti possiamo tentare di tracciarne un profilo delle lavoratrici occupate in maniera regolare, partendo dai dati delle interviste: arrivate in Italia fra i primi anni '90 e i primi anni del 2000, in precedenza erano occupate con un lavoro qualificato in Senegal, hanno intrapreso la propria migrazione per diversi motivi (istruzione, motivi di salute, problemi familiari, motivi economici) e possiedono un buon livello di istruzione. Non tutte le donne rispondono all'insieme dei requisiti, ma tutte si riconoscono almeno in due.

137

Il mio lavoro è abbastanza pesante, non tanto come lavoro in sé, ma come numero di ore. Sono impegnata ogni giorno della settimana tranne il lunedì; tengo tre bambini di una famiglia che sta vicino a Udine. Parto alle 15.30 del pomeriggio con l'autobus e arrivo a Pasian di Prato dove mi vengono a prendere, poi andiamo a casa loro e resto praticamente fino a mezzanotte. Adesso mi hanno chiesto di tenere il bambino piccolo anche il lunedì è davvero tanto anche perché il sabato e la domenica devo stare lì dalle 9 di mattina a mezzanotte. Lo stipendio non è alto, ma almeno mi hanno messo in regola. Almeno così mi hanno detto. Solo che non ho tempo di stare con i miei figli, anche se poi Fatou la porto con me il fine settimana. Ma è un po' dura, sono stanca [Int. n.22 M.K.].

Un'altra donna, operatrice sanitaria, in una casa di cura per anziani racconta.

Sono arrivata in Friuli, dopo un periodo passato a Roma, con tanti lavori, ma senza la possibilità di mettersi in regola. Poi mi hanno detto che in Friuli c'erano tante aziende che assumevano e che era facile mettersi in regola. Così sono venuta in Friuli e ho cominciato a lavorare in un'azienda dalle parti di Attimis, ma il lavoro in fabbrica non mi piaceva; anzi posso dire che le donne senegalesi non sono proprio fatte per lavorare in fabbrica. Così dopo qualche tempo ha fatto una selezione e sono entrata a lavorare nella casa di riposo e adesso sto bene. Secondo me le donne senegalesi sono particolarmente portate per accudire gli anziani, perché da noi l'accudimento di un anziano è un piacere non un dovere, mentre qui la vecchiaia è triste, senza speranza, senza dignità [Int. n.61 N.S].

La maggioranza delle donne però si divide fra compiti di cura domestici e lavori saltuari, come aiuto domestico, servizi di stiro, alcune trovano piccoli lavori etnici come “fare treccine”, (lavoro prettamente stagionale sulle spiagge o in alberghi). Le donne con buone capacità linguistiche e culturali cercano uno sbocco nel settore della mediazione culturale/linguistica che rappresenta un settore privilegiato nell'ambito dell'occupazione femminile: uno dei pochi settori capaci di coinvolgere e valorizzare e competenze femminili, completamente negate o ignorate in molti altri ambiti.

All’interno della legge regionale (del FVg) in materia di immigrazione, (L.R.5/2005 ora abrogata) era stato istituito, a livello regionale, un elenco di mediatori che garantiva una formazione e un percorso didattico. Si trattava di un elenco la cui iscrizione era subordinata all’effettivo esercizio di mediazione culturale, attestato negli anni, e alla partecipazione a dei corsi di formazione (particolarmente impegnativi se si pensa alle difficoltà gestionali delle donne migranti). L’elenco sarebbe dovuto diventare quindi un data base a cui enti, scuole e tribunali ecc. avrebbero dovuto attingere per usufruire dei servizi di mediazione. L'esperienza dell'elenco regionale è andata persa a seguito della cancellazione della legge di riferimento. Anche diverse

138 donne senegalesi avevano presentato domanda di inserimento nell'elenco e, dalle

interviste realizzate, cinque donne hanno indicato la mediazione culturale fra le proprie attività lavorative. La sua cancellazione ha di fatto reso vano il tentativo di professionalizzare un settore importante e dargli un'ulteriore qualifica, che avrebbe avuto ricadute positive sia in termini di riconoscimento che di visibilità.

Documenti correlati