L'emigrazione rappresenta un rito di passaggio, è uno strappo, una morte simbolica che coinvolge sia l'emigrante che la propria comunità.
Quando sono partita ero piena d'entusiasmo, ma nello stesso tempo sapevo che per la mia famiglia forse ero già morta, da noi dicono che se parti non tornerai più. Quando parti non ci credi, non credi che l'emigrazione ti possa incatenare, non credi alla sua maledizione, pensi che si tratti solo di un periodo e invece guarda, stiamo invecchiando in questa terra che non è nostra e forse qui ci moriremo”[ int. n.6 N.K].
46 L'inchiesta è stata realizzata in Francia fra il novembre del 2002 e il febbraio del 2003. 47 Osservatorio sull'immigrazione in Piemonte n.7 febbraio-marzo 2007
176 La morte nell'emigrazione investe più piani, pone difronte a delle scelte definitive,
mette in discussione l'intera comunità, ma chiede anche risposte. Qualunque sia l'atteggiamento singolo e comunitario sul post-mortem, ogni immigrato e la relativa comunità s'interrogano sul destino dei defunti e cercano di giungere a dei compromessi fra le difficoltà del rimpatrio e l'esigenza di mantenere certe disposizioni rituali. Come sottolineava Louis-Vincent Thomas “L'uomo è l'animale che seppellisce i suoi morti”. La morte è un fatto collettivo perché, come ci ricorda Chaib, “la morte concerne il gruppo nel suo insieme e la comunità presiede alla destinazione del corpo dell'immigrato: è una prova di verità per il gruppo” [Chaib 2002: 22].
Diverse sono le dinamiche che possono influire sulla scelta del luogo di sepoltura o del luogo dove passare la propria vecchiaia. Religione, cultura, periodo trascorso all'estero e presenza dei figli sembrano essere le variabili che più incidono su questa decisione, come evidenzia un'indagine realizzata in Francia dalla rivista “Population” [Attias-Donfut C. et Wollf, F.-C 2005: 827].49
Le donne senegalesi intervistate sono concordi nel sostenere che l'unico luogo di sepoltura per loro possibile sia quello vicino ai propri cari in Senegal. Poche di loro però pongono la questione solo da un punto di vista religioso.
Alcune donne sintetizzano così la questione.
Non è solo il problema di essere seppellito in terra non islamica, certo è anche quello un fatto, ma per noi è importante tornare dalle nostre famiglie. E' l'appartenenza alla terra, al tuo paese, ai tuoi cari. Non sei venuto qui per fare tutta la tua vita, sei venuto per uno scopo. Il tuo desiderio era preciso venire per tornare[int.n.13 A.K].
L'aspetto religioso è importante sicuramente, ma è l'idea di essere lontana dalla mia famiglia che non posso accettare perché la mia famiglia è là: è vero qui ho i figli, ma i figli quando saranno grandi avranno la loro vita, andranno, partiranno e io non posso accettare di morire qui[Int. n.8 A.S.].
49Il 55% degli intervistati nati in Europa sostiene di preferire la sepoltura in Francia, anche se con un divario fraSud e Nord Europa. Anche il 63,1% dei provenienti dall'estremo oriente indicano nella Francia il luogo di sepoltura, mentre gli immigrati provenienti dall'Africa, dal Maghreb e dalla regione Medio Orientale sono orientati sul il rimpatrio.
177 La famiglia è intesa come quella d'origine, nella sua ampiezza e complessità, a voler
sottolineare che la completezza della famiglia può essere realizzata solo attraverso il ritorno. Dietro l'atteggiamento di queste donne, che hanno un'età media di circa 40 anni, nei confronti della propria morte c'è la realtà di un'immigrazione relativamente recente, di un forte isolamento, ma soprattutto di un'immigrazione senza futuro, legata a doppio filo alla presenza dei figli. Interessante a questo proposito è il punto di vista di un informatore che ritiene che le donne non abbiano indicato come motivo principale quello religioso per timore di essere considerate delle fanatiche religiose. La maggioranza, al contrario, sottolineava l'importanza della presenza di un luogo di sepoltura idoneo, ribadendo in ogni caso la necessità del rimpatrio.
Pensare di morire qui? Io sono già quasi morta qui, non ne posso davvero più sono stanca, stanca del lavoro, dei soldi che non bastano mai. Loro (i parenti) devono fare tutto il possibile per riportarmi a casa[int. n.13 A.K].
Anche chi si ritiene soddisfatta della propria migrazione non nutre alcun dubbio sul proprio ritorno.
Non posso dire di trovarmi male in Italia, ho sempre lavorato, sono riuscita a comprarmi una casa, i miei figli sono cresciuti qui, non ho motivi per lamentarmi, poi sono tanti anni ormai. Ma invecchiarci mai: per me forse è peggio invecchiare qui che morire perché la vostra vecchiaia è così triste, i vostri vecchi così soli. E' sicuro passerò se ci arrivo la mia vecchiaia in Senegal e se non ci arrivo il mio corpo tornerà sicuramente a Dakar[ int.n.10 F.S.].
E ancora.
Non posso dire male del Friuli, ho un lavoro e penso di essermi integrata bene in Italia. Meglio comunque qui che in realtà come Genova, dove ci sono tantissimi senegalesi che fanno gruppo a sé e non si integrano. Noi siamo poche/i in Friuli e abbastanza dispersi sul territorio: forse per questo ci integriamo meglio. Però è certo che per morire tornerò in Senegal. Qui puoi stare anche bene. Ho molte amiche e amici, un lavoro che mi piace, ma la morte è un'altra cosa. Devi andare a riposare insieme ai tuoi [int.n.20 N.K.].
Questa esigenza di un ritorno dipende probabilmente anche dal tipo e dal luogo della propria migrazione: la maggioranza di queste donne vive aspettando il ritorno in Senegal, realizzando un'immigrazione sempre voltata all'indietro. Il luogo della migrazione viene vissuto come un luogo di solitudine, in cui competenze e saperi non vengono valorizzati. Molte fra queste donne hanno titoli di studio elevati che in Italia
178 però non vengono riconosciuti e il lavoro, quando c'è, è poco, pesante e mal pagato. In
particolare, la realtà friulana non aiuta: vi è una forte dispersione dei senegalesi all'interno del territorio, per cui i momenti d’incontro si riducono o alle feste religiose come il Tabaski, la fine del Ramadan, per i Mouride il Magal o in occasione di qualche battesimo.
Per i giovani è diverso e soprattutto in altre parti del mondo è diverso. Mia sorella per esempio sta a Parigi ed è contenta. Sia lei che suo marito hanno un buon lavoro. In Francia riconoscono il titolo di studio senegalese, mentre qui nulla, ti accettano solo per fare gli ultimi dei lavori. Ho anche una cugina in Canada, anche lei sposata e con un buon lavoro. Io invece sono qui in casa sempre da sola, mentre loro sono realizzate, contente. Allora se tu chiedessi a loro dove vogliono vivere e morire forse loro ti risponderebbero là, perché là loro hanno veramente una vita[int.n.7 B.D.].
Un'informatrice di 25 anni che vive da diversi anni a Parigi con il marito e i due figli, sosteneva come per lei la cosa importante fosse di restare vicino al marito e ai figli anche da morta. Nell'intervista non accennava alla necessità opprimente e assoluta di essere rimpatriata in caso di morte o di morire presso la propria famiglia di origine. Non tutte le comunità decidono di rimpatriare i propri morti e anche fra i senegalesi vi è chi decide per la sepoltura in loco, come per esempio i manjak (di religione cristiana). Da uno studio realizzato da una ricercatrice francese, i manjak tendono a seppellire i propri morti in Francia per evitare le spese di trasporto della salma, dando vita a una doppia ritualità che permette loro di celebrare il morto sia in Francia che nel Paese d'origine50. Anche altre comunità come quella ghanese lamentano costi eccessivi per il rimpatrio per cui scelgono in maggioranza di essere seppelliti in loco. La forte richiesta di cimiteri riservati ai musulmani mostra come questa sia un'esigenza che, a prescindere dalla religione, le diverse collettività riconoscono come prioritaria.
Ma chi decide la destinazione di una salma?
Dipende, spiega Youssouph “dall'età dell'immigrato, dalla presenza o meno della moglie, del marito e dei figli, dai matrimoni misti, dalla presenza dei genitori. Una madre non accetterà mai di non avere il corpo di suo figlio vicino. Se i genitori sono vivi chiederanno sicuramente il rimpatrio della salma a costo di scontrarsi con l'eventuale moglie se questa non è dello stesso luogo d'origine. La madre –
continua Youssouph – ha un potere notevole rispetto alla morte del figlio, più ancora di quella del
padre”.
50 Si veda Petit, A. Des funérailles de l'entre-deuxRituelsfunéraires des migrants Manjak en France, Archives de sciences sociales des religions, 131-132 Juillet - Décembre 2005, http://assr.revues.org/3256
179 I movimenti migratori sempre più frequenti propongono continui interrogativi sui
luoghi di sepoltura, ma alimentano anche un businnes legato alla cosiddetta “economia delle pompe funebri”. Se da un lato il rimpatrio del malato o della salma è un dato frequente, le nuove generazioni soprattutto quelle provenienti da ambienti urbani, si dimostrano più refrattarie a questi aspetti e sul lungo periodo ci si troverà di fronte a numerosi cambiamenti.
L'osservazione delle nuove dinamiche, che derivano sia dalla massa di persone in movimento sia dalla stabilizzazione degli immigrati, porterà degli sviluppi interessanti da tenere sotto osservazione.