Per capire l'importanza del rimpatrio della salma è necessario ragionare sul rapporto che i senegalesi hanno con la morte, sulle forme che questa assume, sulle ritualità che il defunto, la famiglia e l'intera comunità seguono: come viene vissuta la morte nella società senegalese e quale ruolo occupano le donne. In Senegal, le diverse etnie si confrontano con altrettanti riti funebri: il fatto che la maggioranza della popolazione senegalese sia di religione musulmana attenua le differenze, che comunque permangono.
Per comodità espositiva prenderemo l'esempio dei wolof, di cui avevamo precedentemente discusso nell’ambito del matrimonio e della poligamia, che ci permette di analizzare le dinamiche che sottendono alle relazioni con la morte.
180 5.4.1 La morte chez les Wolof
Ecoute plus souvent51 Les choses que les êtres La voix du feu qui s'entend entend la voix de l'eau Ecoute dans le vent Le buisson en saglots C'est le souffle des âncetres... Ceux qui sont morts ne sont jamais partis. Ils sont dans l'ombre qui s'épaissit. Les morts ne sont pas sous la terre: ils sont dans l'arbre qui frémit, ils sont dans le bois qui gémit, ils sont dansl'eau qui coule, ils sont dans l'eau qui dort, ils sont dans la case, ils sont dans la foule, les morts ne sont pas morts.
La morte, nella cosmogonia negro-africana, non è che un passaggio per raggiungere un'altra fase della propria vita: rappresenta una trasformazione, un passaggio, mai la fine. Anche la morte fa parte della vita, non rappresenta una perdita assoluta.
Per noi wolof la morte è un evento naturale che non fa paura, è inserito in un percorso, per cui ognuno di noi sa che prima o poi gli toccherà. Un momento doloroso, è un distacco dalle persone che ami, ma non è una perdita definitiva. Siamo sereni nei confronti suoi confronti [int.n.18 A.K.]
51 Birago, D.1960 Leurres et lueurs, Paris, PrésenceAfricainecité par Léopold-SédarSenghor, 1948: Anthologie de la Nouvelle poésienègre et malgache, Paris, P.U.F., p 114. cit in Ndiaye, L. Parenté et mortchez le Wolof, L'Harmattan, Paris, 2009
181 La morte non viene rifiutata, scartata, messa a tacere come succede sempre più spesso
nella società occidentale, ma viene accettata, assunta dalla comunità che la inserisce nel ciclo continuo della vita.Leggendo il vocabolario tanatologico della popolazione wolof, infatti, ci si ritrova a confrontarsi con un vocabolario di morte che rimanda continuamente alla vita.
Lamine Ndiaye52 nota come esistano diversi termini per indicare la morte: sono parole che non rimandano mai a una perdita totale, ma sempre a circostanze legate alla vita.
Deelleu significa ritornare ed è utilizzato per la morte dei neonati (dal giorno della
nascita allo svezzamento), gaañu, che significa ferirsi, utilizzato per indicare la morte di un giovane, termine che rimanda anche alla ferita subita dalla comunità. Faatu significa “è passato”, mentre nopalu, che viene usato per le persone anziane, significa riposarsi. Per le popolazioni africane la morte si comprende solo al plurale: il solo che possa rendere la complessità e la diversità della morte. Come ricorda Ndiaye, infatti, i wolof distinguono la buona dalla cattiva morte, la bella morte dalla brutta, ma anche la morte fittizia, falsa ecc. [Ndyaie 2009: 67-68]. Al fine della nostra indagine, per individuare le difficoltà legate alla morte in terra d'emigrazione, ci soffermeremo sugli aspetti legati alla “cattiva morte”.
Per i wolof, (ma possiamo senza dubbio riferirci e a molte altre popolazioni senegalesi) la morte più temuta è quella sopravvenuta al di fuori della propria terra. Una donna, infatti, afferma.
Nessuno ti dirà mai che vuole essere seppellito qui, appena uno sa di stare male organizza il ritorno a casa, perché niente può essere peggiore che morire all'estero. Non posso nemmeno immaginarmi di morire qui [int.n.14 R.N.].
Nelle loro preghiere i wolof invocano “Dio ci protegga dalla morte in un Paese straniero”. I toucouleurs e i peuhls nei loro proverbi dicono: “Domandiamo a Dio tre cose: di non morire senza eredi, di non morire poveri, di non morire lontano da casa, in modo da essere certi di essere sepolti secondo i nostri riti e di non avere il proprio corpo profanato dai nemici”53
. Insieme alla morte senza discendenti, la morte all'estero è la peggiore delle morti, perché la mancanza del corpo rende impossibile lo svolgersi
53 Proverbio toucouleur citato da Henri Gaden, in Proverbes et maxims peuhls et toucouleurs, Institutd'ethnologie, Paris, 1931, cit. da Agathe Petit in L'Ultime retour des gens du fleuveSénégal.
182 dei rituali legati ad essa, lascia la comunità priva della possibilità di riformarsi dopo il
lutto e di fatto realizza una rottura definitiva con le proprie origini.
5.4.2 Il rito funebre
Abbiamo già evidenziato come i wolof non vedano nella morte la fine della vita, ma solo il passaggio ad uno stato successivo. Non c'è né il timore del nulla, né la paura dell'ignoto: si va in un luogo sì infinito, ma ben definito, il villaggio sotto terra, una prosecuzione del mondo che scorre sopra. Non esiste quindi una rottura fra vita e morte.La comunità che non può disporre del corpo del defunto non riesce a elaborare la morte: le viene a mancare il supporto per il superamento del lutto.
Lamine Ndiaye ripercorre tutta la procedura dal momento del decesso al trasporto alla Moschea. “Le grida e i lamenti delle donne sono il primo segnale del decesso” [Ndiaye 2009: 170]. I vicini sono i primi a cercare di aiutare la famiglia colpita dall'evento. Tutti coloro che hanno una relazione con il defunto si dirigono verso la casa che ha subito il lutto. Se il defunto aveva dei figli il maggiore è incaricato di dirigere i funerali. La o le vedove si raccolgono in un luogo, dove i visitatori vengono a rivolgere le proprie condoglianze: le lacrime e le grida delle donne, che sono loro prerogativa, fanno da sottofondo all'evento.
Nonostante molti testi sulla morte si riferiscano al pianto come forma rituale, secondo le donne intervistate non si tratterebbe di lamenti rituali, ma solo di forme personali di esternazione del dolore.
Dietro questa posizione c'è molto probabilmente un riflesso religioso che tende a nascondere forme esterne e pubbliche di dolore e dunque vi è una certa difficoltà a capire le sopravvivenze tradizionali e le “intromissioni” religiose. Da questo punto di vista si possono leggere delle dinamiche simili, seppur con le dovute differenze, occorse alle comunità precristiane influenzate dal cristianesimo. Il cristianesimo, infatti, si è sempre scontrato con i riti preesistenti la sua comparsa o combattendoli o fagocitandoli. Così per esempio il lamento funebre, il saper piangere davanti alla morte è stato “osteggiato dal cristianesimo non tanto nei suoi eccessi parossistici, ma proprio sul terreno religioso e in quanto costume pagano antitetico all'ideologia cristiana della morte [De Martino 1983: 10].
183 Una volta constatato il decesso si eseguono nei confronti del morto alcuni obblighi che
si possono riassumere in tre parole: sàng, saang, suul (lavare, seppellire, interrare). Il lavaggio del corpo è descritto nella Sunna, ma mi viene spiegato in una delle interviste.
Questo tipo di lavaggio è obbligatorio non solo per i morti, ma anche in altri tre casi: per le donne quando finiscono il ciclo, dopo il parto e per tutti alla fine di ogni rapporto sessuale. E' condizione indispensabile per poter fare la preghiera. Il lavaggio del morto, soprattutto se giovane, è affidato di preferenza al padre se è maschio e alla madre se è donna, in alternativa può essere eseguito da fratelli o sorelle, ma è necessario che vi sia un'identità sessuale, tranne nel caso di moglie e marito.54 Chiunque può, se se la sente e se conosce la procedura, eseguire il lavaggio del morto, altrimenti il compito è affidato all'Imam. Ogni lavaggio deve essere preceduto da questa formula: “comincio questo lavaggio nel nome di Dio”. E' una formula fondamentale altrimenti il lavaggio non ha “efficacia”. Una volta espressa la formula, è necessario lavare le mani fino ai polsi per tre volte. La prima cosa ad essere lavata è il sesso che deve restare sempre coperto e non dev'essere più toccato, altrimenti il lavaggio perde la propria funzione[int.n.20 B.S.].
Segue poi una procedura molto dettagliata che concerne tutte la parti del corpo e che si conclude con il lavaggio dei piedi procedendo sempre, come per il resto del corpo, da destra verso sinistra55. Nel caso di morte all'estero, il lavaggio viene eseguito prima della partenza della salma.
Una volta che il corpo è stato preparato viene avvolto in sette metri di tessuto bianco di cotone e viene esposto davanti all'Imam e alla gente arrivata per celebrare la sua morte” [Int. n.2 A.D].
In seguito, il corpo viene trasportato dagli uomini su una lettiga, se il cimitero è vicino, altrimenti, se il corpo dev'essere trasportato lontano, si utilizza una bara e viene trasportato con un mezzo. Secondo il dettato islamico, le donne non possono recarsi al cimitero e aspettano a casa il ritorno di coloro che si sono recati alla Moschea e a seppellire il morto.
In realtà, anche in questo caso, ci sono due interpretazioni. Maometto aveva detto che le donne non dovevano entrare nei cimiteri quando si seppellivano i morti, perché erano fragili, deboli e non voleva
54 Anche nel casoin cui si tratti di bambini, a lavare possono essere indifferentemente la madre o il padre. 55 Si comincia dal mignolo del piede destro e termini con il mignolo del piede sinistro.
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che in cimitero ci fossero pianti e urla di disperazione. In seguito si disse che le donne dopo la sepoltura potevano recarsi a pregare. Quindi ci sono due scuole di pensiero: la prima è quella per cui viene vietata in ogni caso la presenza di donne in cimitero, l'altra invece limita il divieto al momento della sepoltura. In Senegal seguiamo la seconda “scuola di pensiero[ int.n.13 A.K.].
Con la sepoltura i wolof interrano anche la morte: il defunto entra definitivamente nel mondo dei ricordi. Grazie alla mediazione della terra, il morto non tormenta più la coscienza collettiva perché raggiunge il mondo degli antenati, ristabilendo in questo modo ordine sociale. Si capisce quindi la grande importanza che riveste per i wolof la sepoltura e l'impossibilità di poter chiudere un lutto se non alla presenza del proprio morto. Per questo la morte all'estero fa paura e rende il rimpatrio della salma è un dovere. Avvenuta la sepoltura, il corteo lascia il cimitero e si dirige verso la casa, in cui è avvenuto il decesso per dare inizio ai rituali utili ad esorcizzare la morte, a negare la perdita totale, affermando sempre la preminenza della vita sulla morte.
Nella casa del defunto le donne, anche del vicinato, preparano da mangiare per gli uomini di ritorno dal funerale: è al loro ritorno che la morte si compie definitivamente per le donne. Scrive, infatti, Ndiaye [2009:218] “Le donne e i bambini, finché la salma non è sotterrata, possono ancora permettersi di non credere veramente alla fine della vita del proprio caro. Dal momento in cui gli uomini tornano dal cimitero, la verità del decesso si impone e le grida e i lamenti riprendono immediatamente”.
Le ritualità che seguono il momento della morte sono fondamentali all'interno della comunità: servono a ristabilire l'ordine, riassorbire l'angoscia, ad affermare la potenza della vita sulla morte e a reinserire il morto nel ciclo continuo della vita. Attraverso questi riti la comunità riesce ad uscire dall'angoscia in cui è precipitata: le condoglianze, le elemosine, le ricorrenze del terzo e ottavo giorno dalla morte, sono tutti mezzi utilizzati per il superamento del lutto.
Le spese per i funerali hanno costi molto elevati, dal momento che la famiglia del defunto deve ospitare nella propria casa anche per due settimane parenti, amici e conoscenti. Di fatto c'è una tendenza a fare funerali meno dispendiosi, ma la pratica generale è lontana da economizzare l'evento. I funerali non sono una festa è un momento di dolore. E' proprio previsto che la famiglia debba dare ospitalità a chi viene a offrire il conforto e a porgere le condoglianze. L'islam lo raccomanda. E' vero che c'è giro di soldi, dicono per esempio che se è morto il marito, la moglie deve dare vestiti alla cognata. Riti che non c'entrano niente con quello che raccomanda l'islam. I funerali è vero sono molto dispendiosi, perché la gente arriva e si ferma in casa tua per diversi giorni, anche due settimane. Ti portano soldi, anche perché sanno che sei rimasto solo o sola e quindi ti portano un aiuto, ma con tutti i giorni che si
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fermano spendi tutto per dare loro ospitalità. Comunque ormai vedo che più di qualcuno fa solo il primo giorno e poi manda via gli ospiti; secondo me è più corretto, perché il primo giorno è veramente il giorno del dolore, ma poi dal terzo giorno ci si dimentica che si è a un funerale e la gente comincia a chiacchierare a parlare di vestiti, di gioielli, per questo diventa quasi una festa [int. n.5. A.B.].
Anche questi momenti si caratterizzano, come già avevamo avuto modo di vedere in altri riti di passaggio, con una forte circolarità e ridistribuzione e la compenetrazione degli aspetti economico-rituali. In questo caso, le collette per la vedova, l'ospitalità a parenti e amici, il denaro inviato dai parenti all'estero, si possono leggere come modelli di reciprocità comunemente accettati. La morte è anche il momento per ristabilire le alleanze e i rapporti di parentela. Il giorno della sepoltura e i giorni seguenti servono anche a questo scopo: dietro l'aspetto di consumo e di spreco (molto criticato dagli immigrati che come avevamo già visto comunque non si astengono mai dall'inviare denaro per i funerali) si possono leggere in filigrana le dinamiche strutturali della comunità e dei suoi rapporti di parentela che qui vengono ristabiliti e rinforzati. L’invio di denaro da parte degli immigrati rientra nelle maglie dei rapporti e delle relazioni non solo interpersonali ma, in molti casi interfamiliari. La sola presenza che l’immigrato può avere è quella che gli viene data attraverso il simbolo economico.