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Delineati i consumi che possono interessare l’utenza oggetto di analisi e i vari piccoli accorgimenti per una riduzione degli stessi, si focalizza l’attenzione in modo particolare sullo studio di sistemi di climatizzazione più efficienti e della loro applicabilità a servizio di un Data Center.

Per l’analisi che si intende effettuare si prende in considerazione soprattutto una climatizzazione tradizionale basata sulla formazione di corridoi caldi e freddi. Si parte dunque dal presupposto che le citate unità interne, interfacciandosi con il generico impianto di climatizzazione a servizio dell’utenza, consentiranno un’adeguata movimentazione dei flussi d’aria all’interno della sala CED permettendo dunque l’asportazione della potenza termica generata durante l’esercizio dei vari componenti. Si vuole dunque esaminare l’installazione di una pompa di calore a cui affidare la climatizzazione della sala CED. In modo particolare si vuole analizzare il tentativo di installare una pompa di calore geotermica che, confrontata con la corrispondente soluzione ad aria, potrebbe portare a maggiori efficienze e ad un minore assorbimento di energia elettrica per la climatizzazione di un Data Center.

Per quanto riguarda il fabbisogno energetico, ci si pone l’obiettivo di asportare una potenza termica generata dai server pari ad 1MW in modo continuativo e costante nel corso di tutto l’anno. Considerando che ad oggi esistono impianti di climatizzazione per l’asportazione di decine di MW termici dalle sale CED, si farà riferimento ad un generico Data Center di taglia medio piccola.

5.1- Pompa di Calore: generalità

Le pompe di calore per definizione sono dispositivi che consento il trasferimento di energia termica da una sorgente a temperatura più bassa verso un’altra a temperatura più alta. Questo non contrasta il primo principio della termodinamica dal momento che la quantità di calore che arriva al sistema a più alta temperatura è fornita a spese del sistema a più bassa temperatura. In generale è vero che il calore tende a trasferirsi spontaneamente da un corpo più caldo ad uno più freddo, così come è un liquido scorre dall’alto vero il basso in un campo gravitazionale, è però possibile, fornendo lavoro, invertire il senso del trasferimento del calore, dal più freddo verso il più caldo. Il trasferimento di calore non avviene quindi in modo spontaneo, ma richiede l’introduzione nel ciclo di una certa quantità di lavoro che per queste macchine coincide con l’energia elettrica assorbita da un compressore.

Figura 5,1: Schema ciclo inverso

Si tratta di dispositivi sempre più utilizzati nell’ambito della climatizzazione degli edifici sia in fase di riscaldamento che di raffrescamento, anche in funzione delle varie normative ed incentivazioni in favore del risparmio energetico e dell’efficienza energetica.

Le pompe di calore si classificano in base a vari aspetti che le contraddistinguono. Una prima importante differenza sta nel principio alla base del loro funzionamento, per cui si parla di pompe di calore a compressione di vapore di un fluido frigorifero opportuno, basate sostanzialmente su un ciclo frigorifero usuale, e di pompe di calore ad assorbimento o ad adsorbimento. Le prime, a cui si farà riferimento, rappresentano anche la tecnologia più semplice e più diffusa. In fase di raffrescamento, un refrigerante evapora nella parte fredda del ciclo, assorbendo una quantità di calore d’evaporazione più grande possibile. Dopo la compressione in un compressore, mediante la cessione di calore di condensazione nella parte calda del ciclo, il fluido ritorna nuovamente allo stato liquido e tramite una valvola d’espansione infine il fluido laminato viene portato di nuovo alla pressione d’evaporazione. In caso di riscaldamento il ciclo viene invertito.

Dall’ambiente a temperatura più fredda verrà sottratto calore necessario a far evaporare il fluido refrigerante, il quale in seguito alla successiva compressione verrà portato a temperature tali da poter scambiare con la sorgente da riscaldare. Pertanto il fluido refrigerante, a contatto con le temperature più basse del locale verrà condensato e successivamente laminato per poter poi ripristinare il ciclo.

Figura 5,2: Schema di impianto e rappresentazione del ciclo termodinamico sul piano T-S

Nella configurazione più comune e più generica di macchina reversibile si distinguono dunque due unità principali:

una esterna, in cui sono contenuti il compressore con il relativo motore ed uno scambiatore che funge da evaporatore durante la stagione invernale e da condensatore durante quella estiva, ed una interna contenente l’altro scambiatore funzionate in modo complementare al precedente.

Figura 5,3 (a): Schema di funzionamento invernale Figura 5,3 (b): Schema di funzionamento estivo

Come si nota dalle figure, il fluido esterno nel primo caso scambia calore col fluido refrigerante nell’evaporatore, mentre nel secondo caso lo scambio avviene nel condensatore. E ugualmente avviene per l’acqua dell’abitazione.

Le pompe di calore in cui vi è la possibilità di funzionare sia in estate che in inverno, quindi, devono essere provviste di un circuito ausiliare e di valvole che guidino i due fluidi al giusto scambiatore.

Il fluido refrigerante viene scelto con un campo di temperatura e pressione particolare, in modo da evitare infiltrazioni di aria nel circuito. Tralasciando gli altamente inquinanti clorofluorocarburi, il cui utilizzo è stato bandito in quanto l’alto contenuto di cloro danneggiava l’ozono atmosferico, i fluidi più comunemente utilizzati nell’industria frigorifera e delle pompe di calore erano i freon, o R22, derivati alogeni degli idrocarburi (HCFC), che sono stati però abbandonati anch’essi, nel 2005, perché dichiarati responsabili dell’allargamento del buco dell’ozono e sostituiti da miscele di HFC (fluoro-carburi idrogenati), meno nocive. Per il funzionamento della pompa di calore, è sicuramente da ricordare la miscela R407C, composta da R32, R125 e R134a, nella misura del 23,25 e 52% in peso; Non contenendo cloro, l'R407C non danneggia l'ozono atmosferico, inoltre presenta un potenziale di effetto serra inferiore all'R22. Un’ulteriore alternativa è rappresentata dal ritorno all’utilizzo dei refrigeranti naturali, a impatto limitatissimo sull’ambiente, in quanto privi di cloro e di fluoro, come: l’ammoniaca (R717), gli idrocarburi propano (R290), propilene (R1270) e isobutano (R600), l’acqua (R718) e l’anidride carbonica (R744). In particolare, per le pompe di calore, è in corso di studio la possibilità di utilizzare il propano R290, il quale però presenta problemi di infiammabilità che, in caso di non adeguata messa in sicurezza, impediscono il suo utilizzo a norma di legge. Tutti questi fluidi sono stati e vengono utilizzati in quanto presentano un buon effetto frigorifero, cioè hanno a disposizione una quantità di calore necessaria all’evaporazione dell’unità di massa di sostanza nell’evaporatore.

Le performance energetiche di macchine di questo tipo vengono valutate mediante la definizione di un coefficiente di prestazione COP , definito come il rapporto fra l’effetto utile (potenza ceduta ai locali in inverno e sottratta ad essi d’estate) e la potenza meccanica spesa. Si tratta di un coefficiente sempre maggiore dell’unità che può essere definito a seconda della funzione di riscaldamento o di raffrescamento.

In generale in fase di riscaldamento si parla di COP mentre in fase di raffrescamento si parla di EER, coefficienti che indicano sempre il rapporto tra l’effetto utile e l’energia spesa per ottenerlo e definiti come:

𝐶𝑂𝑃 =𝑄𝑐 𝐿

𝐸𝐸𝑅 =𝑄𝑓 𝐿

In base agli standard attuali, in particolare la normativa EN 14511:2013, i costruttori di pompe di calore definiscono i loro coefficienti di prestazione in funzione delle temperature dei fluidi in uscita, lato utenza e lato sorgente.

𝐶𝑂𝑃𝑖𝑑 = 𝑇𝑐𝑜𝑛𝑑,𝑜𝑢𝑡

𝑇𝑐𝑜𝑛𝑑, 𝑜𝑢𝑡 − 𝑇𝑒𝑣𝑎, 𝑜𝑢𝑡

𝐸𝐸𝑅𝑖𝑑 =

𝑇𝑒𝑣𝑎,𝑜𝑢𝑡

𝑇𝑐𝑜𝑛𝑑, 𝑜𝑢𝑡 − 𝑇𝑒𝑣𝑎, 𝑜𝑢𝑡

Figura 5,4: Andamento del COP in funzione della Temperatura della Sorgente e della Temperatura di mandata dell’utenza

Dal punto di vista energetico la generazione termica con PDC geotermica è generalmente più efficiente dei sistemi tradizionali. Tuttavia il confronto non si deve basare soltanto sui parametri prestazionali sopra definiti perché l’energia elettrica utilizzata dal compressore non è una fonte energetica primaria come lo è ad esempio il gas naturale utilizzato da una caldaia.

Per ricondursi alla fonte primaria utilizzata sono stati utilizzati nelle valutazioni finali i parametri utilizzo di energia primaria (UEP) e risparmio di energia primaria (PES) definiti, per un certo periodo di riferimento (una stagione o un anno), come segue:

𝑼𝑬𝑷 = 𝑬𝒑𝒅𝒄 €𝒑𝒅𝒄∗ 𝛈𝒑𝒆 + 𝑬𝒂𝒖𝒙 𝛈𝒂𝒖𝒙 𝑷𝑬𝑺 =𝑬𝒂𝒖𝒙,𝒐𝒍𝒅 𝛈𝒐𝒍𝒅 − ( 𝑬𝒑𝒅𝒄 𝛈𝒂𝒖𝒙∗ €𝒑𝒅𝒄 + 𝑬𝒂𝒖𝒙 𝛈𝒂𝒖𝒙)

Dove 𝐸𝑝𝑑𝑐è l’energia fornita dalla pompa di calore di nuova installazione, €𝑝𝑑𝑐è il coefficiente

di prestazione medio della PDC, ovvero il COP per l’inverno ed il EER per l’estate; η𝑝𝑒 è il

rendimento medio europeo del parco di produzione dell’energia elettrica, calcolato secondo i dati EUROSTAT (pari a 43,7% nell’anno 2014); 𝐸𝑎𝑢𝑥 è l’energia fornita dai sistemi ausiliari (caldaia/chiller); η𝑎𝑢𝑥è il rendimento di generazione termica dell’impianto ausiliario (pari a 0,9

per la caldaia e 𝐶𝑂𝑃 ∙η𝑝𝑒 per il chiller (PDC aria-acqua (air-source heat pump, ASHP)); 𝐸𝑎𝑢𝑥,𝑜𝑙𝑑 è

l’energia fornita dal sistema ausiliario prima dell’installazione del nuovo sistema.

Gli scambiatori delle pompe di calore possono interagire con vari tipi di sorgente sia esterna che interna. Come mostrato in figura le sorgenti esterne possono essere: aria, acque superficiali (corsi d’acqua, laghi, mare) o profonde (pozzi), reflui urbani o di processo, oppure il terreno. I relativi scambiatori sono caratterizzati da una temperatura di ingresso ed una di uscita e da una temperatura media logaritmica delle due, che può essere considerata come temperatura di riferimento per la sorgente. Per quanto concerne l’interno, il mezzo con cui interagisce il refrigerante può essere aria per i cosiddetti sistemi a espansione diretta, cioè per quei sistemi in cui il fluido frigorifero è lo stesso che percorre i terminali d’impianto. Per esempio questo è quanto avviene nel caso dei sistemi mono e multisplit, in cui ad un apparecchio esterno in cui è contenuto le scambiatore esterno, il compressore e la valvola di laminazione corrisponde uno o più apparecchi interni in cui è collocato la scambiatore interno. Altro mezzo può essere l’acqua che, inviata nel relativo scambiatore della pompa di calore (in genere a piastre) va ad alimentare l’impianto di climatizzazione interna. Perciò, in relazione a tale classificazione si possono avere le seguenti combinazioni.

Figura 5,5: Possibili combinazione delle sorgenti interne/esterne

5.2- Sorgente Geotermica

Il terreno è un fornitore di calore ideale. Già a circa 10 metri sotto la superficie terrestre nel sottosuolo si registra una temperatura più o meno costante durante tutto l’arco dell’anno. Con l’aumento della profondità la temperatura del sottosuolo aumenta di circa 3 K ogni 100 metri. Fino a 15-20 metri di profondità, la temperatura della crosta terrestre può essere influenzata dalle variazioni climatiche stagionali; al di sotto di tale profondità invece, si riscontra una zona di omotermia dove appunto la temperatura si mantiene costante tutto l’anno per effetto del bilanciamento tra il flusso di calore che proviene dal nucleo e dal mantello terrestre, gli apporti di energia solare alla superficie terrestre e talvolta il contributo dell’energia apportata dalle acque sotterranee.

Figura 5,6: Andamento della Temperatura in funzione della profondità

Nella maggior parte delle regioni italiane, indipendentemente dal tipo di roccia, dall’assetto geologico-strutturale e dalla stratigrafia, in queste zone la temperatura disponibile è compresa tra i 12° e i 16°; continuando a scendere in profondità la temperatura aumenta mediamente di 3°C ogni 100 m secondo il gradiente geotermico. Solitamente il calore immagazzinato nelle rocce a 500 m è di circa 25-30 °C e di 35-45 °C a 1000 m; in casi meno comuni può raggiungere e superare persino i 200°C.

Esistono varie tipologie di sistemi geotermici (intesi come qualunque risorsa sotterranea con la quale è possibile scambiare calore). Inizialmente venivano considerati solamente quelli idrotermali, con un serbatoio in cui il calore si propaga per convezione a seguito dei moti convettivi dei fluidi contenuti e che possono essere ad acqua dominante (con contenuto energetico inferiore) o a vapore dominante (con contenuto energetico molto elevato). I fluidi (acqua e/o vapore) possono raggiungere spontaneamente la superficie dando luogo a manifestazioni geotermiche naturali come le sorgenti calde, i geyser e le fumarole, oppure rimanere confinati dentro il serbatoio per effetto di una copertura dei terreni impermeabili e possono essere reperibili solamente in seguito alla realizzazione di pozzi. Questi sistemi sono comunemente detti “ad alta entalpia” e sono sfruttati per la produzione di energia elettrica: il primo sfruttamento del calore terrestre per produrre elettricità ebbe luogo appunto a Larderello, in Toscana. L’altra tipologia di sistemi è quella a “bassa entalpia” , attraverso la quale qualsiasi edificio, in qualsiasi luogo della terra, può riscaldarsi e raffrescarsi senza l’uso della classica caldaia d’inverno e del gruppo frigo d’estate. La caratteristica principale di questi sistemi sta nel fatto che il terreno a causa della sua moderata inerzia termica, già a basse profondità risente poco delle fluttuazioni termiche giornaliere e stagionali al punto che la sua temperatura può essere considerata costante per tutto l’anno. Per questo mediante una pompa di calore è possibile sfruttare una sorgente praticamente infinita nell’ambito della climatizzazioni con prestazioni elevate e regolari. Questa in configurazione invernale permette il prelievo di calore dalla sorgente a temperatura più bassa, il terreno, e lo trasferisce a quella più alta, l’impianto di riscaldamento. Potendo invertire il ciclo, la macchina può essere naturalmente utilizzata per la climatizzazione estiva. In questo caso si può verificare la situazione ideale per cui il terreno, avendo accumulato freddo nel corso dell’inverno, viene impiegato per raffreddare l’edificio, ottenendo in questo modo una ricarica termica del terreno senza incappare in problemi di sottoraffreddamento (o surriscaldamento) della sorgente. Lo scambio di calore avviene mediante una serie di tubi in polietilene, che sono disposti nel terreno secondo diverse configurazioni impiantistiche. La scelta del tipo di disposizione da utilizzare è determinata sulla base delle condizioni geologiche presenti in sito e dello spazio disponibile e deve tener conto anche delle condizioni di tipo edile e strutturale. Inoltre, condizione fondamentale per realizzare un efficiente scambio termico con il terreno è l’utilizzo di una pompa di calore che riesca a regolare le temperature di ingresso ed uscita dal sistema e una tipologia di condizionamento termico dell’edificio che preveda impianti a pannelli radianti o a pavimento.

Una prima classificazione può essere fatta in base alle caratteristiche del fluido termovettore. Pertanto si distinguono tre casistiche:

- Viene inviato verso il terreno un fluido termovettore, sostanzialmente costituito da acqua e fluido anticongelante (glicole), mediante un circuito chiuso a contatto con il terreno stesso;

- Si estrae acqua di falda che viene poi rilasciata una volta compiuto lo scambio termico desiderato;

- Si preleva acqua superficiale che analogamente al caso precedente viene poi rilasciata una volta compiuto il ciclo di scambio termico.

Dal punto di vista impiantistico si distinguono quindi sistemi aperti, ai quali fanno capo gli ultimi due punti, e sistemi chiusi in cui sostanzialmente si ha un fluido termovettore mandato nel terreno e che scambia calore con esso.

Figura 5,7: Diverse configurazioni impiantistiche

Questi ultimi, su cui si focalizzerà una maggiore attenzione, prevedono una disposizione dei tubi in modo da formare appunto un circuito chiuso e si distinguono in due principali schemi impiantistici in base alla disposizione delle sonde nel terreno.

5.3- Sonde Geotermiche orizzontali

Consistono in tubazioni messe in opera nel terreno a qualche metro di profondità con uno sviluppo prettamente orizzontale. Ovviamente questo tipo di sonde risentono delle variazioni termiche indotte dalla superficie, che in parte è possibile utilizzare sia per raffrescare che riscaldare edifici. La loro diffusione è abbastanza limitata anche perché necessitano di ampie superfici di installazione, anche se come vantaggio hanno un costo relativamente basso. Questo tipo di scambiatore consiste in una tubazione adagiata in genere ad una profondità compresa tra 1,5 e 2 m secondo percorsi e disposizioni diverse. Queste possono essere:

- a singolo tubo; - a tubi multipli; - a tubi a spirale.

La prima soluzione prevede la posa di una singola tubazione a sviluppo orizzontale all'interno di trincee profonde circa 1,5 m. La seconda prevede la posa nella stessa trincea di più coppie di tubazioni di mandata e di ritorno. Le coppie possono essere sovrapposta o affiancate alla prima e, a seconda della scelta progettuale effettuata, la trincea dovrà essere più stretta e profonda o più ampia ma meno profonda. Tra le varie trincee del percorso delle tubazioni orizzontali deve essere rispettata normalmente una distanza minima di circa 7 metri. La terza soluzione prevede la posa delle tubazioni a spirale in trincee verticali analoghe per dimensioni a quelle degli scambiatori orizzontali a singolo tubo o a tubi multipli sovrapposti. Questo tipo di scambiatore sconta la più alta variabilità in temperatura degli strati superficiali del terreno e la maggiore area intorno all'edificio da utilizzare come sorgente termica e pertanto risulta meno competitivo rispetto ai precedenti.

Figura 5,8: Scambiatori orizzontali. A) A tubo singolo; B) A tubi multipli sovrapposti; C) A tubi multipli affiancati; D) A spirale

5.4- Sonde geotermiche verticali in pozzi

Sono comunemente costituite da tubazioni ad U inserite in un pozzo che può avere una profondità compresa tra 30 e 250 m. Esistono diverse configurazioni geometriche e quelle più utilizzate consistono o di un semplice tubo ad U (denominate simplex) oppure due tubi ad U messi a 90° l’uno dall’altro (denominate duplex). La differenza di rendimento termico tra questi due sistemi non è rilevante, anche se la doppia U presenta una minore resistenza termica. La tecnologia consiste nel far scendere il fluido vettore all'interno di un pozzo profondo e di risalire dopo avere scambiato potenza termica con il terreno. Le perforazioni hanno un diametro di 10-15 cm e sono realizzate in prossimità dell’edificio da riscaldare. La loro profondità è legata al volume dei locali da scaldare ed al tipo di terreno, anche se sotto questo ultimo punto di vista si può in genere affermare che la configurazione a sonde verticali ad U si presta bene a numerose configurazioni geologiche. Terminata la perforazione si inserisce la sonda e lo spazio vuoto restante è riempito con una miscela di bentonite e cemento per assicurare un buon contatto termico tra i tubi e la parete della perforazione. Per ridurre la resistenza termica complessiva del pozzo si continuano a condurre studi sulla possibilità di adottare materiali di riempimento o cementi ad alta conduttanza termica.

La realizzazione degli scambiatori verticali presenta costi elevati per lo scavo già a partire dalla profondità di 20 m. La loro progettazione deve tenere conto della mutua influenza termica e per questo devono essere distanziati l'uno dall'altro di alcuni metri (in genere da 7 a 10 m). La scelta del polietilene nella costruzione delle sonde è dovuta ad esigenze di posa in opera, per la sua resistenza termica e per la scarsa richiesta di manutenzione.

Fig. 5,9: Scambiatore verticale ad U

La scelta della disposizione per gli scambiatori affogati nel terreno è un compromesso tra esigenze di natura tecnica ed economica: bisogna occupare la minima area possibile, ridurre al minimo i costi di scavo dei pozzi o delle trincee, tenere basse le perdite di carico e ottenere lo scambio di potenza termica di progetto senza subire le conseguenze negative della interazione tra le diverse installazioni di scambiatori geotermici.

Fig. 5,10: disposizioni degli scambiatori geotermici - 3a) In serie; 3b) In parallelo a ritorno inverso

Fig. 5,11: Vantaggi e Svantaggi delle diverse disposizioni degli scambiatori

Per entrambe le disposizioni deve essere predisposta una accurata coibentazione per la parte di tubazioni che corre fuori terra, per evitare la formazione di ghiaccio durante le stagioni più fredde e comunque è buona norma prevedere l'utilizzo di una soluzione antigelo nelle proporzioni adatte a seconda della realtà climatica del singolo impianto.

5.5- Aspetti realizzativi degli scambiatori di calore verticali

Generalmente, come anticipato , le sonde vengono installate ad una distanza reciproca tra i 7 e i 10 m. I test e il monitoraggio prestazione di diversi impianti realizzati hanno testimoniato che la distanza media ottimale a cui gli scambiatori verticali possono essere posizionati è pari a 10 m. A tale distanza infatti può essere ritenuta trascurabile l’influenza tra le sonde; tuttavia molto spesso per motivi di limitata superficie a disposizione si può ritenere soddisfacente una distanza pari a 7 m di interasse medio. Se la distanza é minore bisognerà tenere conto di un’opportuna penalizzazione delle temperature di esercizio, che sia indicativa del sottoraffreddamento nel caso di prevalente fabbisogno energetico invernale dell’edificio, surriscaldamento nel caso di prevalente fabbisogno energetico estivo dell’edificio.

Per quanto riguarda invece la profondità di posa, questa dipende dalla tipologia di sonde:

- Per gli scambiatori concentrici le profondità di posa sono comprese tra 30 m e 60 m; - Per le sonde ad U normalmente si realizzano perforazioni comprese tra 60 m e 130 m di profondità.

Tuttavia bisogna considerare l’aspetto della semplicità di posa: infatti profondità superiori a 110 m potrebbero talvolta comportare difficoltà nella posa delle tubazioni a causa della controspinta esercitata dall’acqua presente nel foro. Inoltre bisogna considerare anche la pressione che viene esercitata in testa alla sonda associata alle temperature di esercizio della sonda stessa. Normalmente la profondità permette di aumentare la superficie di scambio; inoltre con la profondità aumenta la temperatura del terreno, pertanto, soprattutto in climi rigidi, poter raggiungere profondità maggiori di quelle usuali potrebbe portare a un aumento

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